lunedì 31 maggio 2021

Ereditare un Dojo: cosa accade quando un Maestro non c'è più

Occupandomi di Aikido dalla mattina alla sera, ogni santo giorno della settimana, negli ultimi 10 anni mi sono successe un sacco di cose bizzarre su cui riflettere... ma ce n'è una, tornata tristemente alla ribalta da poco, della quale non avevo finora mia parlato su queste pagine.

Si tratta della complessa dinamica che accade quando un gruppo perde la sua guida.

Sono tante le ragioni per le quali un Maestro non possa più garantire ai proprio allievi la continuità che storicamente invece ha mantenuto: ci sono persone che vengono trasferite per lavoro in altre città, persone che smettono di voler insegnare per ragioni di tipo personale, altre persone si ammalano e la salute non consente loro di riprendere l'attività... altre che mancano proprio all'affetto dei loro cari e degli allievi stessi.

Molte di questi motivi sanno essere anche abbastanza improvvisi ed imprevedibili, perciò non è spesso possibile organizzare un distacco ed una riorganizzazione serena delle attività, designando qualcuno che possa farsene carico, una sorta di successione o avvicendamento naturale all'insegnamento.

È la vita: pochi sono quelli che la stravolgono o muoiono proprio quando vogliono loro...

Resta però un gruppo, un'insieme di persone - piccolo o grande fa poca differenza - che si riunivano intorno a chi non c'è più o non può più esserci: cosa fare in queste situazioni?

Una seconda volta sono stato coinvolto da una dinamica simile come Sensei... ma intorno al 1999 lo sono stato - per la prima volta - anche come allievo, quindi parlo con cognizione di causa e per esperienza personale.

Partiamo da qui: nel 1999 il mio Sensei di allora - tutt'oggi vivo e vegeto - per questioni personali aveva deciso (abbastanza all'improvviso) di abbandonare l'insegnamento: io all'epoca ero il senpai del gruppo, diventato shodan un paio di anni prima, non molto di più.

Per molti versi, era già naturale per me dare una mano al mio Maestro sul tatami, ma non avevo alcuna ambizione imminente di diventare il responsabile o il referente del gruppo del quale facevo allora parte. Avevo 25 anni.

Una sera egli venne e, con uno strano rituale, mi disse che da quel momento in poi sarei stato io il Maestro, che non dovevamo più fare affidamento su di lui.

Non fu per nulla semplice ciò che avvenne da li in poi. Non accettare la cosa avrebbe significato lo scioglimento del gruppo nel quale ero cresciuto però, quindi provai ad andare avanti... con l'intenzione di salvare il salvabile.

Quando ci si iscrive ad un corso, in prima istanza lo si fa perché si sente affinità con chi lo gestisce: quindi non è scontato che un avvicendamento alla direzione del Dojo sia compreso, accettato ed accolto favorevolmente da tutto il gruppo.

Quella fu la prima cosa che accadde, ma non l'unica visto che mi apprestavo a ricoprire un ruolo per il quale avevo molta meno competenza di chi mi aveva preceduto.

Il gruppo, già quindi "traumatizzato" dalla perdita della propria guida di riferimento, viene ulteriormente a zoppicare per la perdita di alcuni suoi membri storici. E siccome il gruppo medio in Aikido di solito non è composto di 30 persone, si fa presto a rimanere in 3 o 4.

Noi rimanemmo in 7 all'epoca. Alcuni se ne andarono e ci venne pure notificato che da li a breve avremmo pure dovuto cercare una nuova sede per gli allenamenti, poiché la palestra che ci ospitava aveva intenzione di rimodulare l'utilizzo delle sue sale.

Se c'è un'altra piaga d'Egitto che si può abbattere su un gruppo di praticanti di Aikido è il cambiamento della SEDE degli allenamenti: questo non vuole solo dire vedersi allontanare (quasi sempre) o avvicinare (quasi mai) il Dojo a casa, ma anche vedersi cambiare giorni ed orari del keiko.

Il trasferimento di un gruppo potrei supporre che comporti all'incirca la perdita del 20-25% dei suoi membri, così su due ashi.

Bene, a me è successo questo ed anche di più, ma mi fermo qui per ora con il mio improvviso affaccio all'insegnamento. Posso solo dire che non fu facile e trovammo un nuovo equilibrio stabile solo dopo alcuni ANNI dal cambiamento di Sensei e di sede.

Veniamo a quando invece sono stato contattato in qualità di insegnante... per un Sensei che purtroppo era venuto a mancare.

Parliamo di Gianflilippo Rutigliano, e siamo nel 2015 (potete leggere QUI la sua storia). Dovete sapere che conobbi Filippo proprio grazie a queste pagine: lui mi contattò per complimentarsi di Aikime e dei suoi contenuti, mi disse di essere un fan di questo Blog e fu subito facile sentirci al telefono giacché entrambi al tempo vivevamo ed insegnavamo nella stessa città.

Filippo da li a non molto però si ammalò gravemente ed uno dei suoi senpai - Gianfranco Colucci, il compagno di una cara amica della mia compagna - agevolò che io e Filippo ci incontrassimo.

Le cose non andarono bene per lui e purtroppo di li a non molto venne a mancare: il senpai non se la sentiva di farsi perennemente carico esclusivo del gruppo, così come aveva fatto durante il periodo di convalescenza del suo Maestro; mi chiese quindi se avessi potuto garantire una supervisione delle attività.

Lui, che era conosciuto da tutto il gruppo, teneva le lezioni regolari: il mio compito era dare una supervisione a lui ed un appoggio con il mio gruppo per eventi speciali e seminari. Mi occupavo già solo di Aikido al tempo, il mio gruppo era solido e florido e potevo garantire a questo gruppetto l'appartenenza ad una realtà viva e funzionante della nostra città.

Poco dopo essere partiti - ed aver notato che già non tutti avevano preso benissimo questo progetto - accadde purtroppo un incidente a questo senpai, che gli impediva anche di tenere le lezioni regolari del gruppo. Alcuni dei suoi membri iniziarono allora a frequentare il mio Dojo per non rimanere fermi, mentre inviai un docente del mio Dojo a dare man forte all'ex-gruppo di Filippo presso la loro sede... per tutti coloro che volevano continuare ad allenarsi la.

Fu un semi disastro: alcuni (pochi) si integrarono da me o con il nuovo docente presso la loro sede storica, tutti gli altri (la maggioranza) si persero per la strada. Solo una persona continuò nella vecchia sede con il nuovo Insegnante (e continua tutt'ora per la cronaca!).

Come mai accadde questo?

Ho alcune accreditare ipotesi...

Un allievo tende a cercare nel nuovo insegnante i tratti di quello vecchio che ora non è più li: però questi è un'altra persona, che ha un altro modo di fare... e soprattutto può avere una visione dell'Aikido anche differente.

Può essere differente anche l'approccio tecnico e metodologico per l'insegnamento: tutti fattori che creano spaesamento sia a chi aveva iniziato da poco e si vede cambiare tutto sotto gli occhi, perdendo anche quei pochi punti fermi che credeva di possedere...

... e sia a chi stava nel gruppo da più tempo, che non sempre - proprio in virtù della sua maggiore esperienza - è disposto di mettere in discussione le certezze che credeva di avere consolidato.

Il nuovo inizio con una persona differente è - in ogni caso - complicato per tutti: sia perché è restato, che vede cambiare il "dialetto" Aikidoistico al quale era abituato... sia a chi arriva e prova a dare del proprio meglio, ma ben conscio di non potere, né volere essere il clone di chi non è più li ad insegnare.

Un mese fa è accaduta la stessa dinamica aggruppo del mio amico Pietro Anselmo Sensei (il cui addio potrete trovare QUI): ora giustamente si stanno interrogando... cosa fare? Continuare, non continuare?

Se continuare, come e con chi?

Domande più che legittime che richiedono maturità in un gruppo, o che lo costringono in ogni caso a maturare piuttosto in fretta...

Dall'esperienza diretta ed indiretta che ho maturato sull'argomento posso però anche affermare alcune cose: pin primis, per quanto sia traumatico, improvviso, sconvolgente ed indesiderato vedere scomparire la propria guida, ciò costringe a chiedersi quanto ciascuno ci tenga a proseguire con lo studio della disciplina o meno, ed a rimappare le propria disponibilità per consentirci di proseguire la strada.

In dietro non si può tornare, quindi se uno vuole andare avanti è indispensabile comprendere come, dove e - soprattutto - con chi ciò sarà possibile.

E aggiungo che mediamente ogni praticante maturo è passato per almeno 2, 3, 4 momenti così nella propria carriera... quindi questo stop forzato può fare il distinguo fra quelli che si scoraggiano e rinunciano a proseguire, e quelli invece che continueranno in futuro a saper fare la differenza per se stessi e per gli altri.

Di solito da eventi di questo genere vengono forgiati buoni docenti futuri, quelli che appunto avranno avuto il coraggio di andare avanti.

In secondo luogo: sia i neofiti, che i senpai cresciuti sotto egida di una SOLA scuola ed insegnante specifici tendono ad ignorare che l'Aikido è composto da una moltitudine di visioni, didattiche e modalità tecniche/stilistiche differenti.

Questo "sentirsi a casa" fa stare bene, è rassicurante... ma è anche molto parziale e di nuovo, ogni praticante esperto sa che ciò che affermo è reale.

Lo stop improvviso legato al venire meno della priora guida quindi può divenire l'occasione d'oro per scoprire che c'è molto più Aikido fuori dal nostro piccolo recinto di quanto non si immagini, e questo sia se si decide di proseguire la strada a livello singolo, sia se si decide di chiamare un nuovo insegnate al posto di quello che non c'è più.

Di certo l'Aikido è sia una strada personale, che collettiva... quindi è possibile sia confluire in altri gruppi che ci sembrano sani (opzione che al momento mi pare più percorribile), sia studiare il modo per far sopravvivere il proprio gruppo (opzione possibile, ma più ostica nel concreto).

Un aspetto è certo: guai a cercare nella nuova configurazione tracce di quella vecchia... nella nuova guida l'ombra di quella vecchia!

Ikkyo sarà sempre ikkyo e difficilmente si farà sulle orecchie, però acclimatarsi sotto la direzione di un nuovo Maestro richiede tempo (qualche anno?): giudicare quando il nostro vecchio percorso fosse meglio, peggio o analogamente qualitativo rispetto al percorso nuovo che abbiamo scelto (se ovviamente non abbiamo stato per mollare tutto) è qualcosa di intelligente, auspicabile... ma non da fare nei primi 3 mesi successivi al cambiamento.

Proprio no: dobbiamo darci tempo...

Poiché sarà un po' come cambiare nazione, lingua, usi e costumi: ci va più di un attimo a comprendere ciò che è comune nonostante le differenze... mentre queste sono le prime che ci si palesano di fronte e creano talvolta scomodità.

Nuovamente è necessaria una certa maturità per non spaventarsi e fuggire via, cercando di rifugiarsi mentalmente ed emotivamente nei ricordi di un passato che - per quanto bello - è destinato a non tornare più.

Ma, esattamente, quali sono le dinamiche che sono capaci di dare frutto e che non necessitano di un certo grado di maturità personale?! NESSUNA...

Il rimanere senza guida diventa così da un lato uno dei più grandi rischi di interrompere la pratica e dall'altro uno dei più grandi sproni a fare di tutto perché questo fatto possa il propulsore per fare i propri click e perché la strada prosegua... spesso per sé ed anche per i propri compagni che hanno meno volontà di noi.

D'altronde tutti concordano nel voler onorare gli insegnamenti (anche la memoria, nel caso di chi è scomparso) del proprio Maestro, ma pochi sono quelli disposti a tirarsi su le maniche e comprendere come sia possibile farlo nel CONCRETO: questi pochi rappresentano appunto il baluardo che ha fatto forse andare avanti fino ad ora la nostra disciplina... nonostante ogni evento nefasto che ha interessato i nostri Dojo e tatami.

Si tratta di una grande crisi, che come tale, offre sempre enormi possibilità di evoluzione, oltre che di smarrimento: l'Aikido per me è proprio LA disciplina che insegna ad evolvere GRAZIE al conflitto... quindi la dinamica che ho esaminato con voi quest'oggi mi pare veramente "Aikidoistica" in tutti i sensi.

Se vi accadrà di vivere questa crisi o qualcosa di simile, iniziate a non fasciarvi la testa per via di quanto complesso possa sembrare uscirne a testa alta: le azioni piccole e costanti sono quelle che - alla lunga - fanno la differenza.

E soprattutto, chiedetevi: "Chi voglio essere io... quello che di fronte ad una difficoltà si abbatte e rinuncia? Come intendo dimostrarmi quanto ci tengo? Cosa è prioritario per me?"

Detto questo, ricordiamoci delle frase (di Fabio Ramazzin Sensei) che spesso leggete in queste pagine:

"Chi cerca una scusa, va a finire che la trova.... chi cerca una soluzione, va a finire che la trova".


Marco Rubatto



lunedì 24 maggio 2021

Colpire in 8 direzioni: happo giri ed happo tsuki

Dopo la descrizione dettagliata di tutti i suburi di ken e di jo, ci occupiamo quest'oggi di esplorare insieme i due esercizi che insegnano a colpire in 8 direzioni: happo diri ed happo tsuki.

Questa cosa delle "8 direzioni" in Aikido assume diverse caratteristiche, sia di carattere tecnico, che strategico, che filosofico e spirituale.

Iniziamo però dagli elementi più pratici e concreti: innanzi tutto descriviamo l'esercizio degli "8 tagli di spada"... che abbiamo già studiato essere in realtà 8 percussioni.

La cosa più importante da notare è che l'esercizio di taglio nelle due direzioni opposte (zengo giri) di trasforma in quello in 4 direzioni (shi ho giri) grazie ad una rotazione a 90º che avviene grazie alla gamba SINISTRA.

Quindi quest'ultimo esercizio diventa quello degli 8 tagli (happo giri), sfasando il precedente di 45º e ripetendolo una seconda volta (sempre grazie ad una rotazione operata dalla gamba SINISTRA).

La spada, arma YANG per definizione (è triangolare, di metallo se non si usa un bokken, tagliente, etc) compie questi 8 tagli grazie a spostamenti operati SOLO dalla gamba sinistra. L'esercizio di base termina 45º alla destra della posizione di partenza iniziale.

Anche la destra è archetipicamente YANG; leggiamo quindi tutto il processo così: l'esercizio di taglio YANG, parte YANG (guardia destra) e GRAZIE allo YIN (gamba sinistra) termina dopo 8 tagli in modo YANG (a destra della posizione iniziale), con la gamba YIN (sinistra avanti).

Prediamo tutto questo e mettiamolo da parte, ed intanto osserviamo quanto fino ad ora descritto nel video tutorial appositamente dedicato; eccolo...



Nel video abbiamo dettagliato la forma di base (sia sul posto che con traslazione in avanti), sottolineando le fasi respiratorie più consone al movimento... però poi abbiamo anche mostrato come lo stesso schema di base possa essere utilizzato con TUTTI i suburi di ken che avevamo studiato insieme (QUI per chi se lo fosse perso).

Lo stesso pattern quindi può essere utilizzato, indipendentemente dall'esercizio specifico che vi si "appoggia" sopra: questa è una delle dinamiche più caratteristiche di un PRINCIPIO, ovvero di quando un aspetto tecnico inizia mostrare delle proprietà universali, non solo riferibili alla sua specificità.

Veniamo quindi all'Aiki jo e all'esercizio di affondo in 8 direzioni: happo tsuki...

Come sopra notiamo subito che l'esercizio di affondo nelle due direzioni opposte (zengo tsuki) di trasforma in quello in 4 direzioni (shi ho tsuki) grazie ad una rotazione a 90º che avviene grazie - questa volta - alla gamba DESTRA.

Nuovamente quest'ultimo esercizio diventa quello degli 8 affondi (happo tsuki), sfasando il precedente di 45º e ripetendolo una seconda volta (sempre grazie ad una rotazione operata dalla gamba DESTRA).

Il bastone, arma YIN per definizione (è rotonda, sempre e comunque lignea, molto versatile nelle posizioni rispetto al bokken, etc) compie questi 8 taffondi grazie a spostamenti operati SOLO dalla gamba destra. L'esercizio di base termina 45º alla sinistra della posizione di partenza iniziale.

Se riprendiamo quanto scritto in precedenza, ci accorgiamo che l'esercizio di affondo YIN, parte YIN (guardia sinistra) e GRAZIE allo YANG (gamba destra) termina dopo 8 affondi in modo YIN (a sinsitra della posizione iniziale), con la gamba YANG (destra avanti).

Questo è lo stesso pattern esaminato poc'anzi, ma questa volta rappresentato nella sua versione speculare: nuovamente... siamo in prossimità di principi quando accadono queste cose!

Osserviamo il secondo video tutorial appositamente dedicato quando abbiamo descritto fino a qui; eccolo...



Anche in questo caso, abbiamo dettagliato la forma di base (sia sul posto che con traslazione in avanti), sottolineando le fasi respiratorie più consone al movimento... però poi abbiamo anche mostrato come lo stesso schema di base possa essere utilizzato con alcuni suburi di jo del primo gruppo (tsuki ho hon)che avevamo studiato insieme (QUI per chi se lo fosse perso).

Ecco... ora tiriamo insieme qualche conclusione.

Questi esercizi ci insegnano a compire in 8 direzioni, ma secondo uno schema ed ordine preciso, che viene reiterato sempre simile a se stesso... e non a caso con ENTRAMBE le armi tradizionali dell'Aikido.

L'Aiki ken e l'Aiki jo si mostrano quindi DUE facce distinte di una STESSA medaglia, come più volte abbiamo sottolineato a chi utilizza questi oggetti secondo i dettami di altre tradizioni: è proprio una caratteristica peculiare dell'Aikido che le sue armi siano state integrate così intimamente fra loro e con il lavoro espresso nel tai jutsu.

Questo è una delle spiegazioni migliori del detto "Tai jutsu, ken, jo onaji desu"... ossia "Le tecniche a mani nude, quelle con il bastone e quelle con la spada sono la stessa cosa".

Si noti come venga mantenuta una certa geometria delle polarità opposte, che si fanno fra loro equilibrio, proprio come avviene nel saluto tradizionale (i 2 battiti di mani), che abbiamo esaminato insieme la settimana scorsa (QUI per chi se lo fosse perso).

Lo YIN e lo YANG - secondo il Taoismo - sono quei due aspetti archetipici, polari ed opposti che saputi armonizzare fra loro garantiscono l'equilibrio dinamico, la salute ed anche la "vittoria" del sistema su se stesso.

Noi questo facciamo in Aikido: studiamo come armonizzare polarità antinomiche e complementari all'interno di noi stessi... e con un partner che fa con se stesso/a la stessa cosa: ne segue che il sistema si auto-equilibra e dona i conseguenti benefici a tutte le parti che lo compongono.

L'Aikido può quindi essere utilizzato come una sorta di diapason che serve per accordare o ri-accordare uno strumento musicale: lo strumento musicale siamo noi... che accordiamo noi stessi tramite il conflitto, ossia l'espressione più manifesta di ciò che - per definizione - non sembra armonico, accordato e pacifico.

L'equilibrio, l'armonia, la serenità... ottenuti frequentando il conflitto, lo squilibrio, il pericolo: geniale, vero?!

Beh... abbiamo la possibilità di comprendere se è vero sperimentalmente, in prima persona... a patto ovviamente che la si smetta di perdere tempo valutando chi ha l'Ikkyo più efficace o se la nostra disciplina sarebbe efficace sotto l'attacco di 2 coltelli, 3 carri armati ed 8 missili patriot.

Tutti segni di uno "squilibrio" che fa di tutto per alimentare se stesso, anziché comprendere come risolversi!












lunedì 17 maggio 2021

Il saluto tradizionale in Aikido

Una moltitudine di scuole e visioni differenti sull'Aikido hanno creato altrettanti modi differenti di eseguire il saluto iniziale e finale delle lezioni.

È pressoché ovunque rimasto il senso del rituale, legato al proposito di rispetto fra i presenti, ma le modalità in cui ciò viene fatto sono davvero molte.

Alcuni hanno scelto di utilizzare termini giapponesi... altri quelli italiani per non creare barriere linguistiche nei confronti di chi frequenta le lezioni: ogni posizione è rispettabile e sicuramente legata a ragioni specifiche.

Oggi desideriamo tuttavia esplorare insieme i significati del saluto rituale tradizionale dell'Aikido, ovvero quello che utilizzava il Fondatore per aprire e chiudere le lezioni.

Innanzi tutto osserviamo che esso avviene in posizione [正座] seiza, ovvero in ginocchio (parola giapponese traducibile come "sedersi correttamente")... e che ci sono modalità specifiche per giungere in questa posizione o lasciarla, risollevandoci in piedi.

È necessaria una certa verticalità dell'asse del corpo, ovvero che questo non si inclini durante le operazioni di discesa e risalita. Immaginiamo di tenere una tavoletta in equilibrio sul capo: essa non dovrà cadere é mentre ci sediamo, né mentre ci rialziamo.

Si scende prima con la gamba sinistra e si sale prima con la destra, e ciò era tradizionalmente dovuto alla necessità di sguainare velocemente una spada, legata al fianco sinistro. Questa modalità di utilizzare le anche ottimizza appunto questa possibilità di estrazione dell'arma, cosa che verrebbe invece ostacolata nel caso in cui invertissimo l'ordine del ginocchio che si abbassa per primo e che si alza per primo.

Questo aspetto del saluto tradizionale suona come "be always ready", cioè mantenere un'attenzione vigile che consente in ogni istante di cambiare il proprio atteggiamento, in connessione con ciò che accade nell'ambiente. Tradizionalmente tutto ciò si racchiude nel principio di [残心] "zanshin", "mente vigile/pronta/presente".

Per analoga ragione, anche durante l'inchino di ogni saluto, la mano destra dovrebbe essere l'ultima ad arrivare a terra e la prima a staccarsi dal suolo: sempre a carico della mano destra - infatti - è la possibilità di andare repentinamente sull'impugnatura della spada che veniva tenuta sul fianco sinistro.

Una volta scesi in ginocchio, il saluto prevede appunto (come minimo) un inchino che rispetta alcune regole importanti:

- essere eseguito con la schiena più diritta possibile (no gobba, in sostanza);

- essere eseguito ad un livello di profondità che è funzione del lignaggio di chi ci sta di fronte (più pronunciato del nostro interlocutore se la nostra posizione è considerata inferiore alla sua, o meno pronunciato se siamo noi ad essere in una posizione considerata superiore a quella dei nostri interlocutori);

- essere eseguito con le mani che formano un triangolo (formato dall'unione dei pollici e degli indici).

Quest'ultima condizione è molto particolare e necessita di essere spiegata:

Formando questo triangolo con le mani ed andando a porre naso e bocca al suo interno nella parte inferiore dell'inchino, si evita che il proprio interlocutore possa approfittare di un momento nel quale la nostra posizione diviene più fragile ed indifesa per utilizzarla a proprio vantaggio.

Immaginate il contesto nel quale, durante un inchino reciproco, uno dei presenti attenda l'inchino dell'altro per fargli sbattere violentemente la testa al suolo, spingendogli il capo da sopra: in questo caso la spina nasale poteva conficcarsi nel cervello ed addirittura uccidere il malcapitato; ancora una volta, sono presenti nel saluto tradizionale elementi che portano a riflettere su come ogni particolare sia stato pensato per uscire da situazioni che divengono improvvisamente pericolose (come la mano destra che si muove per ultima ed il ginocchio sinistro che si piega per primo).

Realisticamente non esistono più questi pericoli ai giorni nostri, il saluto rituale però ne reca traccia ed è interessante far giungere ai propri allievi la mentalità "zanshin" che ha ispirato tali atteggiamenti. Essere sempre pronti, sempre sul pezzo è un principio che è ancora molto importante per i marzialisti, ieri come oggi... così per quelli che verranno in futuro.

Veniamo ora al saluto verso un compagno durante la pratica: all'inizio di ogni esercizio fatto insieme, la parola da pronunciare durante l'inchino è [お 願 い し ま す] "onegaishimasu", traducibile all'incirca con "per favore".

Si tratta di una richiesta di attenzione, cura ed impegno, quindi... che suona come "per favore, dai il meglio di te in ciò che stai per fare", sottintendendo che noi saremo disposti a fare altrettanto.

Nel saluto iniziale della lezione il Sensei dice "onegaishimasu" agli allievi nel senso di "date del vostro meglio durante questo allenamento, per favore"... mentre gli allievi rispondono "onegaishimasu" al Sensei nel senso di "insegnaci al meglio delle tua capacità, per favore".

Al termine di ogni esercizio invece le coppie si inchinano dicendo "arigatou gozaimasu", traducibile con "molte grazie".

Va detto che in giapponese esistono più livelli di formalità del linguaggio, che quindi cambia se ci si rivolge al proprio fratellino minore, ai propri genitori o all'imperatore in persona. E "grazie" è proprio un buon esempio di questa molteplicità di livelli...

 - se diciamo "grazie" al nostro fratellino/sorellina minore, sarà sufficiente accennare un "domo!", espressione meno formale possibile nel linguaggio;

- se diciamo "grazie" a chi consideriamo nostro pari come importanza, utilizzeremo "arigatou", ovvero un livello di formalità medio, maggiore del precedente;

- se diciamo "grazie" al nostro dare di lavoro, dovremmo utilizzare "arigatou gozaimasu", che è già ad un buon livello di formalità fra gli interlocutori;

- se diciamo "grazie" all'imperatore siamo costretti ad utilizzare "domo arigatou gozaimasu", che è il massimo dei livelli di rispetto e di formalità fra due interlocutori; in questo caso andrebbe tradotto con "molte molte grazie".

Per questa differenza di livello di formalità, potrebbe essere frequente che un Sensei si rivolga ai suoi allievi con "arigatou", cosa che richiederebbe loro di contraccambiare con "arigatou gozaimasu" (+1 livello di formalità reciproca)... oppure ove questi utilizzasse "arigatou gozaimasu", dovrebbe essere ricambiato con un "domo arigatou gozaimasu" (sempre +1 livello di formalità reciproca).

Al termine della lezione, nel saluto finale si usa appunto quest'ultimo livello di linguaggio, il più formale, ma lo si declina al passato, dicendo quindi "domo arigatou gozaimashita".

"Mashita" è il passato della forma "masu" e indica il fatto che stiamo ringraziando per un'azione che si è conclusa e che non è previsto si ripeta a breve. Per questa ragione, dovremmo utilizzarla solo alla FINE della lezione o solo con un compagno con il quale siamo certi che non lavoreremo più durante un determinato allenamento.

Si sente talvolta usata male, indiscriminatamente, forse solo un po' per ignoranza del suo significato... mentre sarebbe più corretto utilizzare la forma al presente.

Ora studiamo insieme le parti che costituiscono i saluti iniziale e finale veri e propri.

Si parte con 2 inchini verso il kamidana, (NI REI), ovvero l'altare shintoista nel quale la tradizione immagina risiedere la deità (kami) che patrocina e protegge la pratica. Ricordiamo che O' Sensei stesso è stato annoverato fra i kami a seguito della sua morte. Molti Aikidoka, infatti, fanno il saluto rivolti verso la sua immagine, anche se questa è un'interpretazione un po' occidentalizzata... in origine il saluto veniva fatto verso il kamidana o verso una calligrafia ("kakemono", ovvero "cosa appesa").

Ad esso seguono 2 battiti di mani (NI HAKUSYU) che hanno diversi significati: il primo può sembrare forse banale ed è quello di fare rumore e richiamare quindi così l'attenzione della divinità, il secondo è quello di far incontrare - in qualche modo - l'aspetto yin (femminile ricettivo), con quello yang (maschile attivo), in una sorta di integrazione di ogni aspetto duale ed opposto. Più correttamente questi aspetti dovrebbero essere resi in giapponese con le parole IN e YO, ma abbiamo utilizzato le loro controparti cinesi, perché sono più note al pubblico e forse rendono più l'idea.

In ultimo si esegue un ultimo inchino verso il kamidana (ICHI REI).

Questo è il costrutto di base sia per il saluto iniziale, che per quello finale... ma anche per molto altro: ad esempio è il rituale da compiere (stando in piedi) quando si visita qualsiasi tempio shintoista in Giappone, la gestualità non cambia affatto.

Ciò sta a significare come doveva essere pervasa di spiritualità la pratica nell'ottica del Fondatore che ha scelto di vivere il keiko come una sorta di "funzione religiosa", anziché come semplice allenamento sportivo.

A nessuno dovrebbe essere richiesto di diventare shintoista per poter fare Aikido, ma studiare e comprendere questo aspetto può far comprende quanto la pratica possa essere presa come qualcosa di serio, da rispettare ed onorare in ogni suo elemento... nonostante sia considerata dalla società odierna un mero sport.

Un'ultima nota: durante la cerimonia del kagami biraki (della quale vi abbiamo già parlato QUA ed anche QUI), i saluti mantengono la loro struttura di base, ma i battiti di mani diventano 4 anziché 2, per sottolinearne l'eccezionalità ed ufficialità.

Abbiamo preparato un tutorial video dedicato, nel quale si ripercorrono tutte gli elementi che abbiamo dettagliato in precedenza, eccolo...


Concludiamo questo articolo, facendo notare quanti elementi importanti e significativi siano contenuti in una tradizione che ci appare spesso lontana ed anche "ostile" proporzionalmente a quanto non c'è chi è in grado di spiegarcela e di facilitare "i perché" che essa veicola.

Attenzione quindi all'eccesso di semplificazione: tagliare sugli elementi della tradizione può essere talvolta utile per abbattere le barriere nei confronti del neofita, ma - al tempo stesso - introdurlo senza traumi nello studio della tradizione, motivandone le ragioni, crediamo che possa essere altrettanto fondamentale e di supporto al percorso di ciascuno.


lunedì 10 maggio 2021

Pietro Anselmo: un saluto ad un amico

Correva l'anno 2002.. il 18 maggio per essere precisi.

Mi informarono di una iniziativa sportiva a supporto dei giovani portatori di handicap, a favore dei quali sarebbe stata organizzata un pomeriggio conoscitivo sulle arti marziali nei locali della Circoscrizione 5, a Torino.

Ci andai solo, nessuno del mio gruppo era disponibile per quella giornata... c'erano altri Insegnanti e praticanti di Aikido, che non conoscevo... e quando è stata l'ora di organizzare una piccola dimostrazione ci trovammo io ed un signore di mezza età, anche lui Insegnante di Aikido, ed anche lui giunto a quell'approntamento da solo.

Spontaneamente ci accordammo di fare insieme l'enbukai e di farci da uke a vicenda, nonostante non ci fossimo mai visti prima, per aiutarci a mostrare la disciplina che amiamo: fu così che conobbi il Maestro Pietro Anselmo.

Negli anni che seguirono ci siamo sentiti molto spesso e visti un po' meno di quanto ci siamo sentiti, ma sempre su un tatami per praticare insieme, spesso con i rispettivi gruppi al seguito.

Il Maestro Pietro Anselmo abitava a Venaria Reale, ma aveva la sua Scuola di Aikido - il Dojo Ryu Shin - a Savonera, in provincia di Torino. Talvolta partecipava con coinvolgimento alle iniziative che via via organizzavo, oppure veniva semplicemente a praticare da noi, quando era libero, quando non si occupava dei suoi nipotini e non era occupato con le sua attività Aikidoistiche...

Pietro era un entusiasta di natura, uno che non aveva paura di mettersi a ruzzolare sul tatami ed andare a lezione tenute da altri.

Lui aveva un talento naturale per lavorare con i bambini, una pazienza incrollabile ed un modo simpatico di coinvolgere i più giovani nella pratica.

È venuto a trovarmi a San Mauro Torinese quando insegnavo li, così come a Volpiano... e numerose volte lo ha fatto nel nostro Dojo, sin dal 2016.

Con Pietro c'era un rapporto molto speciale: io e lui proveniamo da percorsi Aikidoistici molto differenti, ma ciò non è stato mai motivo di frizione alcuna, anzi...

Forse questo ci ha aiutato a discutere di principi della disciplina e non solo di tecniche, constatando mutuamente che le grandi prospettive, così come i piccoli problemi da affrontare erano i medesimi.

Due Insegnanti parlano di problemi di gestione dei propri gruppi, di necessità di non tirare i remi in barca e continuare a mettersi in discussione... di queste cose qui insomma.

Anche alcuni miei allievi si erano legati particolarmente al Maestro Pietro: lui era siciliano ed aveva numerosi amici Aikidoka a Palermo, ove si recava spesso sia per vacanza, che per praticare Aikido.

La sorte ha voluto che anche io sia andato ogni anno in Sicilia per fare uno Stage Regionale federale e, l'ultima volta, a giugno del 2019; Pietro in quell'occasione anch'egli a Palermo, mi è venuto a trovare con i suoi ragazzi... ed al sabato pomeriggio abbiamo praticato tutti insieme sullo stesso tatami.

Ancora una volta, la diversità stilistica e di affiliazione non ha impedito alle persone che lo desideravano di celebrare i principi della disciplina che ciascuno ha nel cuore.

Ultimamente, diciamo nell'ultimo semestre, Pietro mi aveva contattato perché era interessato a comprendere meglio la realtà federale, che non conosceva.

Lui è a Aikidoisticamente nato cresciuto nell'ADO UISP, poi divenuta Aiada: mi parlava di alcune dinamiche che non lo entusiasmavano all'interno del suo gruppo, ma - anche in questo caso - lo contraddistingueva una certa saggezza ed etica, poiché non lo faceva svalutando nessuno. Una dote rara, che mi auguro di non essere stato il solo a notare.

Spesso accade ai vari gruppi che si occupano di Aikido di avere forme di conflittualità al proprio interno, al momento non ne ho mai trovato uno nel quale queste dinamiche non siano presenti: Pietro però stava attento ad onorare "la sua casa" anche mentre si informava di cosa accadeva nella mia. Ricordo che, sciorinate le problematiche, gli dissi: "Non credere che da me sia tanto diverso... più o meno tutto il mondo è paese, in queste cose!"

In ogni caso, con questa scusa ci siamo fatti un tot di colazioni in alcuni bar pasticceria niente male... ed eravamo d'accordo di fare a turno, una volta vicino al mio Dojo, una a Venaria da lui.

Facevamo quindi a gara per chi riusciva a far avere all'altro i cornetti migliori: in questo però Pietro mi ha stracciato, poiché non si può portare un siciliano a prendere un croissant alla ricotta e credere di poter fare colpo su di lui.

Io purtroppo ho commesso questo madornale errore... lui mi ha detto: "Buona, ma si sente che è ricotta industriale".

Ti voglio bene Pietro ed ancora non riesco a credere che il Covid ti abbia portato via da noi così velocemente.

Ci eravamo sentiti all'inizio di aprile, mi avevi parlato della scomparsa della tua mamma avvenuta alla fine del mese precedente.

Eri ovviamente abbattuto, ma pure sereno... stavamo per riprogrammare un'altra colazione: questa volta sarebbe toccato a me e già stavo cercando di escogitare un modo per riscattarmi del croissant con la ricotta industriale...

Ma sai, talvolta dici a qualcuno "Dai, ci sentiamo presto e combiniamo di incontrarci"... però poi né lo vedi, né lo stenti più. Come è capitato a me con te. E le persone come te mancano un sacco a chi resta qui, lo sai vero?

Che la terra ti sia lieve, amico mio... e buona pratica fra gli angeli, li si cade sul morbido.


Marco Rubatto


lunedì 3 maggio 2021

Le basi dell'Aiki ken

Analogamente a quanto abbiamo studiato insieme nel mesi scorsi con il jo, quest'oggi ci occupiamo di esplorare e dettagliare insieme le basi dell'Aiki ken.

Il viaggio sarà più breve, poiché - a livello numerico - gli esercizi di base da fare da soli con il bokken sono meno dei rispettivi con il jo (7 a 20), tuttavia questi movimenti essenziali risultano veramente importanti per qualsiasi praticante, in quanto impattano drasticamente sulle posture dell'Aikido in generale, e su quelle del tai jutsu in particolare.

Come per il jo, anche il bokken ha una serie di movimenti di base - detti suburi - che sono  "Kaiso jikiden Saito Morihiro Shihan", ovvero direttamente trasmessa dal Fondatore a Morihiro Saito Shihan... ergo, sono gli stessi movimenti che ha praticato ed affinato Morihei Ueshiba ad Iwama, dal 1943 in poi.

Nella codifica (questa operata da Saito Sensei) sono stati sistematizzati 7 esercizi di base, che ora vediamo nel dettaglio uno ad uno con altrettanti video tutorial girati appositamente.


ICHI NO SUBURI


Primo esercizio di base, nel quale si impara a sferrare un fendente frontale (shomenuchi) a partire dalla guardia ad altezza media (chiudan ken no kamae seigan no kamae). Un singolo fendente che utilizza però delle dinamiche molto particolari, ovvero viene portato integrando i movimenti dell'intero corpo - che si muove tutto - e tramite una respirazione che si apprende come sposare al meglio al movimento eseguito.

Va detto già qui, così da non ripeterlo anche in seguito, che l'Aiki ken è caratterizzato da colpi sia mirati al taglio, che alla percussione... ma i suburi di base si rifanno più a quest'ultima esigenza, come abbiamo rimandato anche in ciascun tutorial.

Lo specifichiamo poiché coloro che sono abituati a contestualizzare l'utilizzo della spada con il SOLO fine di taglio, potrebbero rimanere spiazzati da determinate attitudini, che invece in questo caso sono consapevolmente utilizzate e massimizzate nel loro effetto.


NI NO SUBURI


Secondo esercizio di base, consistente sempre in un unico fendente frontale, ma questa volta a partire dalla guardia alta di spada (jodan ken no kamae): questo esercizio insegna (oltre ad integrare il movimento del corpo, unito ad una buona respirazione) a pesare velocemente dalla posizione di hanmi a quella di hitoemi, ovvero da una postura triangolare frontale (sankaku tai) ad una triangolare più defilata (ura sankaku tai).


SAN NO SUBURI


Terzo esercizio, terzo fendente frontale singolo, questa volta a partire dalla guardia di spada bassa (gedan ken no kamae o waki kamae). In questo caso però c'è molto ancora da aggiungere...

A livello tecnico, questo suburi non fa che completare le varietà di posture dei due esercizi precedenti (guardia media, guardia alta... ed ora guardia bassa), insegnando come nascondere la propria arma dietro al corpo di chi la brandisce.

Ma questo esercizio ha anche una lettura molto più profonda e sottile.

Il Fondatore era uno studioso ed una persona interessata alla propria interiorità ed alla spiritualità: egli utilizzò il 3º suburi come esercizio psico-spirituale, ovvero come possibilità sia di riconnettersi alla sua natura più profonda, sia con l'immanenza divina che egli percepiva permeare tutta la realtà.

La chiave di questa lettura alternativa si evince da una respirazione particolare, nella quale si alternano 2 mezze inspirazioni, ad un momento di apnea... ad una espirazione veloce, potente e vigorosa.

In più nel passaggio intermedio, è stato inserito una specie di tsuki verso il cielo, che costringe il praticante ad alzare il proprio baricentro... cosa che non ha nulla di marziale, ovviamente.

La lettura di O' Sensei di questa pratica era:

1 - momento di introversione nel quale si raggiunge il jodan no kamae (1/2 inspirazione);

2 - movimento verso l'alto della hara e colpo di punta al cielo ("ten tsuki") come a bucarlo per poter attingere a tutta l'energia in esso contenuta (1/2 inspirazione);

3 - movimento di raggiungimento del waki kamae, nel quale si porta l'energia dell'universo dentro la propria hara (apnea);

4 - movimento di estroversione, che termina con il fendente frontale, nel quale si immagina di scagliare tutta l'energia dell'universo, insieme alla propria, verso l'avversario... ovvero atto grazie al quale la si manifesta nel mondo (espirazione).

L'insegnamento verbale (kuden) di O' Sensei associato a questa pratica era:

"Ken ga ten wo sasu uchu kara ki ga ken no naka ni hairimasu ato de hikari de terasu"

che significa... "il ken crea un buco nell’universo, allora il ki dell’universo pervade il ken e lo rende luminoso e veloce, rapido come un fulmine”.

Il tutto è dettagliato nel tutorial, poiché lo scritto non rende l'idea come un video.


YON NO SUBURI

Nel 4º suburi si impara a concatenare una serie di fendenti frontali, ed eseguirli in due direzioni opposte.

Tradizionalmente se ne eseguono 4 in una direzione e 4 in quella opposta, ponendo una particolare attenzione al cambio di direzione... movimento questo che è essenziale in diverse tecniche di Aikido a mani nude.

Questo è anche l'ultimo esercizio della serie nel quale si esercita lo shomen uchi.


GO NO SUBURI


Ora iniziamo ad esercitare il fendente laterale (yokomen uchi), tradizionalmente da eseguire 4 volte in una direzione e 3 volte in quella opposta, per far si di tornare nella posizione di partenza con la gamba destra avanti.

Il cerimoniale di iniziare con la destra un esercizio e terminarlo con la stessa guardia appare piuttosto importante nel lavoro con il bokken (differente accade invece con il jo), poiché dinamica ricca di elementi archetipici e simbolici ai quali il Fondatore si è mostrato molto legato nella sua ricerca personale.

Il fendete laterale poi mette in campo una ulteriore importante lezione da apprendere, ovvero il modo migliore di utilizzare la propria arma sia come strumento di difesa che di offesa: all'inizio del movimento, il bokken diviene una sorta di "scudo" che impedisce al compagno di colpirci, mente nella seconda metà del movimento... il fendente si occupa della parte legata al contrattacco.

Bilanciare ed ottimizzare questi due dinamiche differenti non è la cosa più semplice del mondo e richiede almeno qualche anno di allenamento.

Si vedrà di seguito nei kumi tachi che di solito l'attacco yokomen uchi viene sempre neutralizzato da una parata shomen uchi, ovvero ciò che si ottiene con un uchitachi (persona che attacca con il bokken) che esegue go no suburi ed un uketachi (persona che riceve l'attacco con il bokken) che indietreggia eseguendo una sorta di yon no suburi al contrario... ma di tutto ciò ci occuperemo più avanti...


ROKU NO SUBURI



Nel 6º esercizio di base, impariamo a fare i colpi di punta con la spada (tsuki), sia a destra che a sinistra.

L'esercizio parte in jodan ken no kamae (come ni no suburi) e quindi prevede l'esecuzione tradizionale di 4 fendenti laterali e tsuki in una direzione (2 a destra e 2 a sinistra)... e 4 fendenti laterali e tsuki nella direzione opposta (2 a destra e 2 a sinistra), per tornare nell'esatto punto di partenza (sempre con la guardia destra avanzata).

L'esercizio risulta quindi simmetricamente distribuito sui due lati del corpo.


SHICI NO SUBURI

Ultimo esercizio di base, che consiste questa volta in una serie di fendenti laterali (yokomen uchi) sul lato destro, seguiti da altrettanti colpi di punta (tsuki) sul lato sinistro. Anche in questo caso la partenza avviene da jodan ken no kamae (come nel 2º, 3º e 6º suburi) e si sviluppa in un esercizio asimmetrico (duale ed opposto al precedente), che tradizionalmente si esegue 2 volte in una direzione e 2 volte in quella opposta.

Molte cose sono state dette sulla numerologia inerente le ripetizione dei suburi di ken:

1º - (1)

2º - (1)

3º - (1)

4º - (4 +4)

5º - (4 +3)

6º - (4 +4)

7º - (2 +2)

Noi amiamo aggiungerne anche una di carattere molto pratica: quando venivano praticati all'interno del Dojo di Iwama queste erano le ripetizioni possibili con lo spazio che c'era a disposizione, al di là di molte speculazioni di carattere esoterico.

Gli esercizi presentati quest'oggi rappresentano proprio la base della base della base delle pratiche personali di bokken legate direttamente all'Aikido: ricordiamo che i suburiper loro natura - sono esercizi di coordinazione ed integrazione del movimento del corpo e della respirazione.

Ovviamente l'Aiki ken esprime la sua valenza e senso negli esercizi in coppia (ken awase, kumi tachi, henka no tachi), tuttavia questa fase di apprendimento personale ci risulta molto utile ad ogni livello della pratica... vi consigliamo quindi di non sottovalutarla.

Buon keiko!