lunedì 20 marzo 2023

Aikido, fra bisogno e piacere

Cosa sprona qualcuno a cercare un corso di Arti Marziali?

Cosa lo sprona nello specifico a ricercare un corso di Aikido?

Forse la voglia di imparare a difendersi, forse vuole fare attività fisica... ciascuno avrà un po' la sua ragione, ma tutti questi motivi hanno in comune una cosa sola: sono percepiti come un BISOGNO da colmare.

Ovvero una MANCANZA che ciascuno sente nella propria vita e che crede possa venire messa a tacere, in questo caso, dalla frequenza ad un corso di discipline marziali giapponesi.

Pochi sono coloro che si affacciano alla pratica per puro PIACERE, anche perché non si può avvertire il "piacere della pratica", se prima non si è PRATICATO un po'. Al limite ci si può affacciare senza troppi bisogni da colmare, ma con una sana e fervida curiosità verso determinati ambiti.

Quindi una certa quantità di persone ogni anno "bussano" alle porte dei Dojo alla ricerca di qualcosa che faccia sentire loro meglio di quanto si percepiscano al momento in cui lo fanno.

Credo che questa dinamica sia piuttosto comune e normale, anche fra molte altre discipline, sportive e non.

Veniamo quindi a chiederci SIA se il nostro ambiente sarà - di fatto - in grado di soddisfare questi "bisogni", SIA se si tratti di qualcosa di così sano essere mossi da essi nelle questioni importanti della nostra vita.

Iniziamo da primo punto.

Le possibilità sono 2: o la pratica sarà in grado di colmare quella sensazione di mancanza che uno possedeva quando si è affacciata ad essa, oppure non lo sarà.

In ogni caso però è importante pensare a cosa succederà un secondo dopo: SIA che uno abbia trovato le risposte che cercava, SIA che ciò non sia avvenuto... NON ha più senso continuare con essa.

Non ha senso se non siamo riusciti a soddisfare i nostri bisogni, perché abbiamo la sensazione di starci muovendo nella direzione sbagliata... ma non ha nemmeno senso continuare con una risorsa che ci ha già dato ciò che reputavamo necessario.

Quindi c'è gente che, per uno di questi due motivi, ad un certo punto SMETTE di praticare.

Diverso invece è se - o quando - la pratica è in grado di "ri-mappare" la lista dei nostri bisogni e necessità, e farci innamorare dell'arte di farci buone domande, anziché cercare compulsivamente buone risposte a tutte quelle che ancora risultano senza.

Perché una persona dovrebbe scegliere la pratica come "compagna di vita"?

Questo avviene quando questa "pratica" diventa un modo di ESSERE... e smette di significare un salvagente delle proprie necessità: ovvero chi pratica - e non ha nessuna intenzione di far terminare questa cosa - spesso NON si limita a farlo per colmare un bisogno, ma per il puro piacere di farlo e continuare così ad esplorarsi, visto che intravvede in ciò qualcosa di inestimabile valore per sé.

Entrare dalla porta per colmare un proprio vuoto ed uscirne esploratori di se stessi non dipende solo dalle propensioni di ciascuno, ma pure dagli incontri che si fanno sul tatami.

Prendiamo ad esempio un "bisognoso" che sale sul tatami ed incontra un Maestro che è ancora li a tentare di colmare un proprio bisogno (il senso di importanza verso gli altri, l'ego, imparare qualcosa che egli stesso non è ancora in grado di fare)... 

Fino a quando il bisogno del Maestro e quello del nuovo allievo coincideranno, facilmente essi rimarranno fra loro legati da una sorta di "missione comune"... soddisfare qualcosa che per entrambi viene considerato importante.

Quando uno dei due - fortunatamente - riuscisse a soddisfare il proprio bisogno, perderebbe di interesse nel frequentare l'altro... poiché non si sentirebbe più compagno di niente.

Quando ho iniziato a fare Arti Marziali, desideravo imparare a difendermi dai soprusi... ed andavo d'amore e d'accordo con tutti quelli che avevano un interesse molto simile al mio: lasciamo stare che questo interesse fosse generato da una notevole insicurezza di fondo che mi caratterizzava. Il mio bisogno autentico - ma nascosto - era infatti quello di imparare a rendermi conto del mio potenziale, poiché, non essendo capace, credevo chiunque altro più abile e forte di me.

Ho passato molti anni in ambienti in cui il focus era tutto sull'efficacia del gesto, sullo sviluppo di una mitica "imbattibilità", che alimentava i miei sogni a mandorla più erotici.

Poi mi è passata la sbornia - pure essendo astemio - e tutti quei contesti mi sono via via parsi meno rilevanti per il mio cammino personale.

Ho però avuto anche la fortuna di incontrare in seguito Maestri e praticanti giunti ad un livello differente della pratica (e di loro stessi): il livello nel quale il tatami non era un'esigenza, ma un ottimo e positivo potenziale da continuare a frequentare.

Mi sono ritrovato non più mosso dal BISOGNO, ma dal PIACERE!

Ora aiuto i miei allievi a fare altrettanto, se posso, poiché ho ben chiaro quanta differenza ci sia nel fare una cosa perché si "deve" (bisogno impellente) o perché si "vuole" (piacere intrinseco).

L'atteggiamento, così come il risultato finale che si può ottenere sono molto differenti.

Ancora entrano dalla porta un sacco di persone spinte dal trovare buone risposte ai loro attuali problemi, quindi mosse più da un'impellenza che solo da una curiosità disinteressata... però ora saranno gli incontri che ci saranno nel Dojo a poter fare la differenza.

È come se ci fosse il concime adatto a trasformare un seme in una pianticella, oltre che tutto il necessario per farsi dare una salutare sfrondata dal giardiniere. A questo punto è il singolo nuovo Aikidoka a scegliere COSA vuole per sé.

Sempre più di rado - per fortuna -  c'è anche chi continua a prendere in giro se stesso, uscendo dalla porta ancora prima di aver soddisfatto il proprio bisogno... specie se la pratica rivela che prendersene cura  non sarebbe stato così a buon mercato come preventivato.

In questo caso le persone più che scappare dall'Aikido, scappano piuttosto da loro stesse... e bisogna accettare che ciò possa accadere, perché l'acquisizione di consapevolezza è un percorso PERSONALE, e quando non è ancora il momento si viene rimbalzati da tutte le esperienze che non siamo ancora disposti a compiere.

Però, in tutti gli altri casi, sono contento che nel mio Dojo le persone possano provare a cercare cosa sta loro a cuore, per il tempo che risulta loro necessario... oppure possano restare per il semplice desiderio di farlo, indipendentemente da cosa viene loro in tasca di ciò.

Questi ultimi credo siano i migliori Aikidoka con i quali ho l'onore di rapportarmi... e che negli anni stanno costruendo una vera e propria famiglia, che ha come coagulante il puro PIACERE di stare insieme... e la gioia che da ciò può nascere.


Marco Rubatto

lunedì 13 marzo 2023

Armonizzati che ti passa, ovvero... come usare il bokken per migliorarsi la vita

Ci sono molte pratiche di armi che risultano molto, molto utili... ed alcune fanno sentire la propria utilità anche nel quotidiano.

Può essere complicato o raro trovare però un Sensei in grado di mostrare come gli esercizi che propone possano avere una qualche forma di impatto positivo nel "daily life"... quindi è normale che gli allievi tendano a sottovalutare l'importanza di alcune pratiche.

Ci occupiamo quindi oggi di introdurre con alcuni video le armonizzazioni di spada ("ken awase" per gli addetti ai lavori)...

Di cosa si tratta?

Una volta che siano stati appresi i rudimenti dell'utilizzo del bokken, attraverso 7 esercizi eseguiti da soli ("ken suburi nanahon", che trovate QUI), ci si può inoltrare nell'esplorazione della connessione con un compagno, in esercizi altrettanto basici e semplici (anche se non facili), chiamati proprio "armonizzazioni".

Le armonizzazioni storiche di base sono 4, ovvero:


1) MIGI NO AWASE: armonizzazione sulla destra

L'attaccante (uchitachi) sferra un unico fendente frontale avanzando (shomen uchi) e chi fa l'esercizio (uketachi) si esercita ad armonizzarsi con esso, spostandosi simultaneamente alla sua destra.


2) HIDARI NO AWASE: armonizzazione sulla sinistra

L'attaccante (uchitachi) sferra un unico fendente frontale avanzando (shomen uchi) e chi fa l'esercizio (uketachi) si esercita ad armonizzarsi con esso, spostandosi simultaneamente alla sua sinistra.


3) GO NO AWASE: armonizzazione del (suburi) nº 5

L'attaccante (uchitachi) sferra una serie di fendenti laterali avanzando (yokomen uchi) e chi fa l'esercizio (uketachi) si esercita ad armonizzarsi con essi, spostandosi simultaneamente all'indietro ciascuna volta.
Il numero dei fendenti è pari a quello dello spazio disponibile; il nome è legato al fatto che l'attaccante utilizza il 5º esercizio fondamentale di ken (go no suburi) e non al fatto che si tratti del 5º esercizio di armonizzazione (visto che risulta essere il terzo).


4) SHICI NO AWASE: armonizzazione del (suburi) nº 7


L'attaccante (uchitachi) sferra una serie di fendenti laterali a sinistra avanzando (yokomen uchi) e di affondi sulla destra avanzando (tsuki) e chi fa l'esercizio (uketachi) si esercita ad armonizzarsi con essi, spostandosi simultaneamente all'indietro ciascuna volta.
Il numero dei fendenti e degli affondi è pari a quello dello spazio disponibile; il nome è legato al fatto che l'attaccante utilizza il 7º esercizio fondamentale di ken (shici no suburi) e non al fatto che si tratti del 7º esercizio di armonizzazione (visto che risulta essere il terzo).

Detto questo, andiamo alla sostanza...

C'è un attaccante che sferra uno o più colpi in ripetizione... e qualcuno deve provare a prendere la sua stessa velocità, a muoversi con lo stesso ritmo di chi lo incalza con gli attacchi: a cosa serve questa pratica?

A prima vista può sembrare una cosa banale, ma vi assicuro che non risulta tale se ci si prova e quindi si fa qualche considerazione.

Quando un problema ci si presenta davanti (sul tatami, così come nella vita), ha una sua "velocità" specifica... questo lo apprendiamo dall'esperienza quotidiana, sia che si tratti di un incidente stradale, che della morte di un parente, che un problema lavorativo o relazionale...

Ecco: ci viene chiesto di imparare ad affiancarci a questo problema, essendo in grado di prendere alla svelta il suo stesso ritmo; è un po' quello che accade al rifornimento in volo degli aerei... lo avete mai visto?

Un aereo in volo, per essere rifornito, necessita di un aereo-cisterna che gli si affianchi, che prenda la sua stessa velocità per poter passare il carburante grazie ad un cavo, un tubo flessibile, che connette i due aeromobili.

Questo si chiama "entrare in relazione": non attendere che si modifichino le condizioni esterne che ci creano problema, ma essere in grado di adattarci noi ad esse, così da poter "gettare un ponte" fra noi e loro.
I problemi si possono risolvere solo se si ha il coraggio di rimanerne in contatto con essi, in qualche modo, tessendo una sorta di dialogo: la pratica del ken awase serve esattamente per questo.

Ci occorre una forte dose di umiltà per modificarci al punto tale da avere qualcosa a che fare con il problema che ci si para dinnanzi: a questo livello di pratica il focus non è posto sul "vincere" o sul "perdere" nei confronti del nostro avversario... ma unicamente sulla capacità/possibilità di gettare un "tubo flessibile" fra noi e lui, attraverso il quale potremo force rifornirci di qualcosa, o magari anche rifornire lui.

Un ponte che permette uno scambio alla pari: lui va alla velocità di una lumaca?
Noi rispondiamo specchiando una velocità lumacosa...

Lui va a 1000 all'ora?
Noi rispondiamo con altrettanta prontezza.

Questo sviluppa qualità legate alla presenza mentale ed alla prontezza, chiamate "mushin" e "zanshin": due colonne portanti del Budo, qualsiasi forma esso possa prendere.

L'esercizio è "solo" quello di SPECCHIARE il compagno attaccante: e vi assicuro che non è banale quando questi - appositamente - continua a cambiare di continuo il ritmo con il quale attacca!

Chi riesce ad adattarsi istantaneamente alla situazione difficile che si trova a vivere, si riscoprirà MOLTO rilassato, ovvero inizia a sviluppare la capacità di essere sereno anche sotto stress... altro punto importantissimo della nostra pratica.

Naturalmente ho indicato i 4 esercizi di base solo perché si potesse prendere l'idea che essi veicolano... ma dopodiché esistono decine e decine di loro variazioni possibili: eccone alcune...


MIGI NO AWASE HENKA


14 varianti del 2º esercizio nella seguente playlist...

HIDARI NO AWASE HENKA


5 varianti del 4º esercizio nella seguente playlist...

SHICHI NO AWASE HENKA


NB, esistono OVVIAMENTE varianti pure del 3º esercizio, solo che non abbiamo ancora caricato i relativi video sul nostro Canale YouTube.


Parliamo quindi come minimo di una cinquantina di esercizi che mirano TUTTI allo stesso fine, ovvero quello di essere capaci di entrare in relazione con il conflitto, all'intensità ed alla velocità di quest'ultimo: in questo modo una pratica con il bokken sul tatami diventa uno dei metodi più potenti per acquisire un principio da utilizzare nel quotidiano (non necessariamente con l'ombrello però, spero si capisca!)

Qualcuno crede che si tratti di qualcosa di poco conto?

Marco Rubatto




lunedì 6 marzo 2023

Aikido e la cultura della tradizione

Spesso dalle pagine di questo Blog negli anni abbiamo cercato di agevolare e supportare il più possibile una certa forma di cultura legata all'Aikido.

Mi riferisco a quelle informazioni di base inerenti la storia, le origini socio-culturali di un popolo - quello giapponese - che risulta profondamente diverso da noi.

Questo è per cercare di abbattere le barriere che impediscono la mutua comprensione, da un lato... e per non limitarci a ripetere azioni a pappagallo, senza averne compreso il significato... e quindi anche il valore, dall'altro.

L'Aikidoka è di solito più interessato a questo genere di aspetti collaterali alla pratica, rispetto ai praticanti di altre discipline marziali tradizionali giapponesi... però lo è ancora troppo poco, secondo me.

E quindi, andando in giro, incontro persone che non hanno grosse conoscenze e consapevolezze sul reishiki (il codice comportamentale), sulla nomenclatura tecnica, sulle origini di quelle abitudini che molti di noi utilizzano costantemente in un Dojo, in ogni lezione... dal modo di contare, al rapporto fra sensei, kohai e senpai, ad esempio... fino ai più semplici comandi utilizzati nel mondo del Budo giapponese per avere sicurezza ed ordine all'interno di un keiko ("l'allenamento", per quelli che non conoscessero nemmeno questo termine).

Quest'oggi quindi ho deciso di ripassare insieme a voi alcuni concetti di base e di parole utilizzate spesso durante le nostre lezioni, grazie piacevole supporto di Cristina Gioanetti Sensei, ovvero una mia vecchia compagna di corso di giapponese, 5º dan di Iaido e 3º dan di Jodo... che nel frattempo è diventata un'Istruttrice di Iaido ed arbitro federale.

La redazione del Blog KIRYOKU, della quale la mia amica Cristina fa parte, ha iniziato a pubblicare una rubrica mensile, chiamata "Budo Jisho", ovvero "dizionario del Budo", nel quale vengono analizzati con semplicità e chiarezza alcuni dei termini più frequenti che vengono utilizzati durante le lezioni.

Ecco la puntata "zero", con una breve spiegazione degli alfabeti giapponesi (kanji, hiragana, katakana e romaji).



Nella 1º puntata, abbiamo la spiegazione di alcuni termini di base utilizzati in tutto il Budo giapponese, ovvero "hajime", "yame" e "yoi"... chi è stato un tatami con un Sensei a mandorla li avrà per forza già sentiti.

Interessante è vedere le radici dei significati degli ideogrammi, poiché essi sono un concetto molto distante - culturalmente parlando - da nostro modo di scrivere, e quindi di pensare.

Non è una questione di nozionistica, ma di presa di coscienza di praticare una disciplina nata in contesti socio-culturali molto differenti dai nostri... che non sempre vengono per forza migliorati dalla loro occidentalizzazione.



Nella 2º puntata, il video spiega nel dettaglio il modo più semplice di contare in giapponese... ovvero qualcosa che avviene molto spesso nel Dojo, ma non sempre con altrettanta attenzione e contezza.

La numerazione giapponese è tutt'altro che banale, ed io stesso quando ho iniziato a studiare questa lingua credevo di conoscerla già bene (proprio perché sapevo 10 parole scarse apprese sul tatami): mi sono poi dovuto ricredere, quando sono stati introdotti i numeri ordinali, cardinali, le varie pronunce, ed il sistema dei contatori...

Ma per noi basta anche solo imparare a contare da 1 a 10 in modo semplice e corretto, in questo contesto.



Questo è un simpatico video per bambini, che è stato realizzato da Sergio Trama nel 2020, nel quale mi sono prestato come doppiatore proprio per i numeri in giapponese.



Nella 3º puntata, viene spiegata in dettaglio l'origine etimologica di 3 importantissimi termini utilizzati nella nostra pratica, ovvero Sensei, senpai e kohai. Molto della cultura e tradizione del Giappone ruotano ancora oggi quotidianamente intorno a queste 3 parole!



Queste sono informazioni semplici ma anche importanti per ogni praticante... specialmente per gli Insegnanti, che si trovano nella responsabilità di dover trasmettere concetti tutt'altro che intuitivi alle nostre latitudini.

Questo riguarda chi, come noi, pratica Aikido... ma anche chi è un appassionato di Iaido, Judo, Karate, Kendo, Ju Jutsu, etc...

La costruzione di un "alfabeto comune" è qualcosa di essenziale per la pratica e sono rimasto piacevolmente soddisfatto da come i ragazzi di KIRYOKU lo stiano facendo, tanto da voler condividere con voi quest'oggi il loro lavoro.

Ganbatte nè!


Marco Rubatto




lunedì 27 febbraio 2023

Aikido, lo spirito critico ed il sistema delle credenze

Quest'oggi, argomento complicato quanto crucciale!

Quando ho iniziato a scrivere queste pagine, non dedicavo 10 ore al giorno allo studio, la pratica, l'insegnamento e la divulgazione dell'Aikido.

Volevo condividere la grande passione che ho sempre avuto per questa disciplina, questo si... ma diciamo che era più un desiderio romantico che altro; senza dubbio mi mancavano sia parte degli strumenti per farlo, sia parte dell'esperienza.

Non che adesso abbia tutti gli strumenti del mondo e che l'esperienza sia troppa... ma ora ho le idee un tantino più chiare!

Lo spirito critico è forse da sempre stato una delle caratteristiche più importanti di un ricercatore... e di ricercatori onesti ne abbiamo da sempre ed in tutti i campi dell'esperienza umana.

Internet però si è popolato - di certo almeno per quanto riguarda le arti marziali - di molti "Samurai da tastiera", di voyerur delle tecniche altrui, inutilmente criticoni e a priori denigratori del lavoro degli altri: ecco, questo non centra però un TUBO con un sano spirito critico.

Lo spirito critico NON consente a chiunque di dire qualunque cosa, solo perché ha la lingua col Parkinson: nel mondo della scienza, ad esempio, quando viene emesso una tesi... si valuta sia all'attendibilità/credibilità di chi la enuncia (al quale viene dato un ranking, l'H-index), sia la quantità e qualità dei revisori di tale tesi.

Sarebbe troppo facile altrimenti sia "suonarsela e cantarsela", sia sfasciare deliberatamente solo ciò che non piace a questo o quell'altro in base a quanto scomoda risulti questa tesi o la scoperta relativa.

Parallelamente a tutto ciò, però, convive negli esseri umani un pericoloso attaccamento ai propri sistemi di credenze... che nella storia ha fatto passare brutti momenti a chi ha osato mettere in discussione, ad esempio, che la Terra fosse al centro dell'universo.

La volontà di ricerca era sicuramente viva, ma la disponibilità ad accantonare le informazioni precedenti qualora potessero essere sostituite da modelli in apparenza più coerenti e convincenti... beh, questa non è stata sempre altrettanto forte ed immediata; talvolta c'è voluto del tempo perché la comunità scientifica internazionale iniziasse a convincersi che un modello usato per anni fosse scricchiolante rispetto ad un altro modello più nuovo proposto.

Vi faccio un esempio: alle elementari mi hanno spiegato che esisteva la forza di gravità, che mi teneva attaccato per terra; alle superiori ho imparato con formule e vettori a calcolarne la direzione, il verso e l'intensità.

Insomma, questa cosa della "gravità" mi sembrava veramente tanto convincente... e, soprattutto, chiara.

Poi all'università mi hanno spiegato che la teoria gravitazionale newtoniana presentava sia nel micro, che nel macro diverse parti oscure e limiti, tanto che - ad un certo punto - Einstein, nella Teoria della Relatività Generale, postulò la curvatura dello spazio-tempo per spiegare meglio i fenomeni gravitazionali.

Questo mi è parso molto più complicato e meno intuitivo, rispetto a quanto avevo imparato alle elementari e poi alle superiori! Diedi però abbastanza agevolmente tutti gli esami di chimica e fisica che al Politecnico riguardavano aspetti inerenti "la gravità", che - come Ingegnere strutturista - non erano pochissimi, e mi laureai a pieni voti.

Niente Newton, e viva Einstein... che forse aveva più ragione, ma tanto per fare i conti della serva, si poteva ancora usare la formula di Newton, che era semplice.

Poi nel 2012, proprio quando iniziai ad occuparmi full time di Aikido, alcuni scienziati della NASA ricevettero alcuni dati poco spiegabili da alcune sonde spaziali, che portarono, più di recente a pensare che lo spazio-tempo non fosse curvo, bensì un "fluido dilatante"... nonostante il grande dispiacere che ciò potesse procurare ad Einstein!

Quindi, niente Newton, niente Einstein... ed allora perché le mele continuano a cascare per terra?

Quello che sappiamo al momento è che NON SI SA BENISSIMO nulla, ma esistono alcune nuove teorie, formulate da scienziati tutt'oggi viventi, tipo Juan Maldacena e Erik Verlinde, che attribuiscono l'effetto gravitativo ad una proprietà olografica della realtà... ovvero essa pare essere molto simile ad un ologramma (che, la massa non ce l'ha!), come scoperto Alain Aspect, John F. Clauser e Anton Zeilinger, pionieri dell'informazione quantistica... ai quali è stato assegnato il Nobel per la Fisica proprio alla fine 2022, quattro mesi fa. 

Cosa significa ciò?
Che fino alle superiori avevo le idee chiarissime, ma quelle idee si sono rivelate poi incomplete, se non proprio sbagliate... mentre ora, a quasi 50 anni, ho più dubbi che certezze sulla gravità... così come su un altro centinaio di migliaia di cose.

Questo forse parla sia di un indomito spirito critico, sia della messa in discussione del mio (un tempo comodo) sistema di credenze. Veniamo all'Aikido, allora!

Sul tatami accade più o meno la stessa cosa che è successo a me alle elementari: ti iscrivi in un corso di Aikido, il Sensei di turno ti insegna a fare le cadute... e le chiama "ukemì" (proprio con l'accento sulla "i").

Tu non ti fai tante domande e cadi, cadi e poi cadi... fino a quando non ti sembra di saper cadere.

Poi vai a fare uno stage, e ti trovi con um Maestro giapponese che dice "ukemi", ma senza l'accento sulla "i"... e ti chiedi se il tuo primo Sensei si fosse sbagliato a pronunciare questa parola (o se più improbabilmente si stia sbagliando quello di madre lingua).

Insomma, stai un po' nel limbo... poi un giorno scopri che ci sono diverse "correnti" di Aikido, ed una di quelle più frequenti che si incontrano qui hanno avuto un pesante influsso francese (Christian Tissier Shihan, Noro Snsei, Tamura Sensei, Toutain Sensei... tutta gente francese o chi ha speso l'intera vita nell'Aikido francese).

Quindi ti accorgi di essere finito proprio in quei gruppi, senza saperlo, quando hai iniziato... ed avere iniziato a mettere accenti un po' a cazzo (iriminagé, shihonagé, tenchinagé, kaiten nagé, jujinagé, udekimenagé...) che in realtà NON ci sono su quelle parole giapponesi. Sono francesismi di giapponesismi.

Scopri anche che ALTRI Aikidoka sta malattia non ce l'hanno, perché hanno studiato altrove: di malattie ne hanno prese delle altre, ma non quella degli accenti a cazzo.

Ti cascano diversi miti, perché - a questo punto - ti chiedi quante altre parole hai fino a quel momento pronunciato a cazzo, senza nemmeno essertene mai reso conto.

Magari nel frattempo sei diventato 3º dan, e ti girerebbero un po' i cosiddetti dover correggere tutta la nomenclatura tecnica del tuo alfabeto Aikidoistico!

QUESTO è l'esatto punto nel quale spirito critico e desiderio autoconservativo dei propri sistemi di credenze precedenti entrano in contrasto fra loro.

CASO 1

Me ne frego di tutto, faccio finta di non avere scoperto nulla di scomodo, continuo a frequentare ambienti Aikidoistici di derivazione SOLO francese... ed a posto così: li tutti usano l'accento in fondo a qualsiasi cosa... viva Newton e fanculo a tutti quelli che vengono dopo e la pensano diverso!

CASO 2

Decido di vederci chiaro, perché sono stanco di pronunciare in modo poco preciso i termini della disciplina che mi appassiona così tanto... e mi iscrivo ad una Scuola seria di lingua giapponese!
Li ti si aprono 120 Stagate al minuto, perché hai modo di studiare e comprendere "i perché" dei termini che magari utilizzi da 15 anni sul tatami.

Scopri, ad esempio, che il termine "Sensei", ha quasi la "i" finale muta (pronuncia simile a "Sense"), che i suburi di jo e bokken si contano in quel modo perché ci sono delle particelle, dette "contatori", che distinguono se numeri cose strette e lunghe, rispetto che se conti animali di piccola taglia, oppure oggetti piatti...

C'è da sbarellare un tot, ma inizi a capire meglio molte correlazioni fra nomenclatura e movimento: smetti di imparare a memoria dei nomi che per noi occidentali hanno poco significato ed incominci a diventare un addetto ai lavori... dopo qualche tempo, di soldi e tempo spesi, di studio ed impegno costante.

Riporto qui un aneddoto divertente che mi è accaduto diversi anni fa: stavo partecipando ad una piccola giornata di seminario, quando mi fu proposto di condurre una piccola porzione di allenamento; i ragazzi del mio Dojo che mi accompagnavano raccolsero nello spogliatoio alcuni commenti di altri Aikidoka che erano presenti sulla mia lezione: la maggioranza di questi erano soddisfatti, ma qualcuno aveva criticato la pronuncia del giapponese che avevo utilizzato durante la lezione ("peccato per certe pronunce di quel Rubatto").

La cosa buffa è che li dentro ero l'unico che studiava giapponese da qualche tempo: chi era quindi ad avere più probabilità a cannare le pronunce... io o chi pensava che io le sbagliassi?

Le osservazioni astronomiche di Galileo Galilei, compiute grazie al telescopio, rivoluzionarono la concezione dell’universo, sconfessando la teoria geocentrica, ma la reazione dell’Inquisizione non si fece attendere e le sue teorie vennero bollate come blasfemie.

Con le dovute scale, non ci vedete nessun parallelo?

Io non parlavo per sentito dire, ma perché stavo approfondendo (in questo caso una lingua), tuttavia a quanto pare suscitai parziale fastidio nelle orecchie di chi non faceva altrettanto. Complicato da mettere in discussione il propio sistema di credenze, non è vero?!

Da allora ne è passato di Aikido sopra i tatami, ma ancora... sempre con le dovute scale, vedo un tot di confusione a riguardo di nozioni semplici girando qua e la per l'Italia (per chi ha avuto il coraggio, la pazienza e la volontà di approfondire): vedo didattiche lacunose o poco fondate, però perfettamente ispirate da quello che dice Sensei Tizio o Shihan Caio... E mi chiedo: "Ma perché ripeti a pappagallo una cosa che evidente che non hai capito?".

(e che non è detto che abbia compreso nemmeno chi te l'ha insegnato, n.d.r.)

Vedo utilizzare le armi, quando esse vengono utilizzate, con logiche piuttosto affascinanti... che non centrano un TUBO con l'Aikido tuttavia. E mi chiedo: "Ma prima di usare il jo come un nunchaku, perché non approfondisci ciò che ha fatto il Fondatore con quel bastone in mano?".

Credete che siano domande lecite?

Non mi pare che si tratti solo di critica distruttiva comune e malata: le mie osservazioni sono legate al percorso che sto facendo, che oggi deve essere in grado di mettere in discussione e pure di confutare le mie credenze di ieri, se questo mi permette di migliorare ed evolvermi ulteriormente.

Se un giorno incontrassi una fonte non banale secondo la quale NULLA di ciò che ho fatto sino ad ora è corretto, come la prenderei?

Accetterei la crisi o la rigetterei, buttandole addosso un comodo discredito?

Una cosa importante forse è comprendere che non c'è da buttare al macero l'esperienza fatta (che anzi risulta sempre preziosa): bisogna solo avere il coraggio di darle una lettura nuova, spesso inedita... e questo le conferirà un nuovo valore, senso e significato.

La formula F = m x g di Newton può ancora essere utilizzata, basta ricordarsi che non c'è una vera forza che trascina le mele verso il centro della terra, nonostante farebbe comodo credere il contrario.

La conoscenza ed il propio miglioramento è basata sulla capacità di trasformazione dei nostri sistemi di credenze: se volete avere riprova di chi non sta migliorando, osservate chi non cambia da molti anni.

Questo da un lato spaventa, ma poi diventa una prospettiva ed un metodo sano da seguire, se non vogliamo restare a vita attaccati alla nostra coperta di Linus.

Non c'è nulla di male a credere fermamente in qualcosa - intendiamoci -, anzi, risulta piuttosto funzionare assumere un sistema di credenze che spieghi al meglio le nostre necessità del momento. A patto però poi di non rimanerne schiavi.


E di pensare, nella scienza come nell'Aikido, che tutto giri per sempre intorno all'ikkyo... e che uke cada per pagare un tributo a Newton. 

Marco Rubatto




lunedì 20 febbraio 2023

Aikido i principianti e le cadute: un inizio col tonfo!

Una delle caratteristiche meno banali e più specifiche dell'approccio all'Aikido da parte di un profano... è che ci sono le "cadute", da imparare a fare, da far fare... e che di solito incutono un tot di paure ai principianti.

Più volte mi è accaduto che qualcuno si presentasse in Dojo e mi chiedesse se fosse possibile iscriversi al corso di Aikido MA NON fare le cadute, giusto per comprendere come questo argomento possa essere percepito in modo ostico.

In realtà, non solo sappiamo quanto sia fondamentale approcciarvisi in modo semplice, sicuro ed adeguato alla persona che entra dalla porta... ma si tratta di una pratica crucciale, sia per bambini, che per gli adulti.

Abbiamo preparato alcuni brevi tutorial sulle principali e più semplici cadute che sono inserite nei primi curriculum tecnici del nostro Dojo, e ve le proponiamo di seguito, fra un testo e l'altro.


Caduta in avanti: mae ukemi o zenpo kaiten ukemi


Le cadute sono percepite come qualcosa di "critico" per una buona manciata di ragioni, del tutto comprensibili se ci mettiamo nell'ottica di chi non le ha mai fatte.

Sono una pratica "destrutturante", ovvero ci fanno esperire una modalità di utilizzare il corpo pressoché sconosciuta, nella quale le informazioni con l'ambiente esterno arrivano per cinestesia e non attraverso vista ed udito: già solo questo può risultare parecchio scioccante.

Per capirci, è come se - dopo essere stati bendati - un cieco ci prendesse la mano e ci chiedesse di leggere i numeri scritti in linguaggio Braille (sistema di lettura e scrittura tattile a rilievo) sui tasti di un ascensore, e ci chiedesse: "Adesso portami al 4º piano"...

Sarebbe già un grande risultato beccare la tastiera sulla parete e sentire il rilievo dei vari pulsanti... ma da li alla capacità di leggere i puntini su ciascuno di essi... c'è un abisso!!!

Lui sarebbe capacissimo di leggere i numeri sulla pulsantiera toccandoli, perché ha studiato l'alfabeto tattile e si è esercitato... per noi invece sarebbe un casino e basta.


Caduta in avanti incrociatamae juji ukemi


I punti del corpo che utilizziamo in una caduta NON sono quelli che di solito usiamo di più, come le mani: vengono coinvolte le gambe (messe in modo spesso inedito), la schiena (abituata solo ad appoggiarsi agli schienali delle sedie o al letto), le braccia - dalle spalle alle dita -, bisogna imparare come non far toccare a terra la testa (luogo percepito come delicato e che non deve prendere sollecitazioni forti)... le cervicali, che sono il punto di somatizzazione dello stress di 8 adulti su 10, etc.

Il nostro corpo è interamente ricoperto da una rete di sensori tattili, ma è più che naturale trovarsi in un impasse se dovessimo utilizzarli per la prima volta: non esistono ancora le piste neurali che li collegano con il cervello... o meglio, ci sono già, ma non sono per nulla rodate.

Vanno manutenute, ampliate, corroborate, rese funzionali; questo richiede tempo ed esercizio, come accade ogni prima volta che facciamo un movimento nuovo, prima di "sentirlo nostro"... all'inizio del percorso in Aikido però questo "tempo" non è ancora trascorso, quindi si teme ciò che non si conosce e non si ha nemmeno la capacità di percepire e valutare più di tanto.


Caduta in avanti lateralemae yoko ukemi



C'è la "paura di farsi male", che è una diretta conseguenza dell'inconsapevolezza del gesto che ci viene chiesto di compiere: nella credenza comune, "cadere "è un sinonimo di grande possibilità di ferirsi, farsi male seriamente, rimanere un tot di tempo immobili a letto... nei casi peggiori andare in ospedale con qualche osso rotto, e nei casi limite rimanere invalidi a vita, o morire.

Fino da piccoli ci viene chiesto di fare attenzione a non cadere, perché è PERICOLOSO... e con gli anni questa associazione mentale si va a depositare in profondità nell'inconscio, quindi - quando poi ci viene chiesto di cadere per la prima volta - abbiamo parecchie di resistenze interne da vincere, prima di riuscire a farlo da rilassati e tranquilli.

Al principiante viene quindi chiesto parzialmente di "riscrivere" una sua prima mappa del territorio, nella quale "cadere" non è per forza sinonimo di "pericolo/danno/mutua/infermità"

Pensiamo ad un padre o ad una madre di famiglia che non può permettersi di restare a casa dal lavoro: quanto si sentirebbe in colpa se "solo per aver provato quella arte marziale li con il gonnellone... ora non potesse lavorare per un mese e mezzo, perché si è fatta male nelle capriole?"

Dobbiamo renderci conto che chiediamo una cosa più che legittima a cimentarsi con le cadute. ma non chiediamo poco, dalla prospettiva di un neofita!


Caduta in avanti con attitudine all'indietromae ukemi, ushiro kimochi



C'è poi un tema che abbiamo già trattato molte volte, che non è direttamente collegato a motivazioni muscolo-scheletriche o di tipo pratico... ma che riguarda un ambito ESCLUSIVAMENTE psicologico.

Siamo una società che rimanda l'importanza di essere "equilibrati" e quanto sia sconveniente e segno di debolezza, se non addirittura di sconfitta perdere questo equilibrio.

"Cadere" ora è associato a "perdere" qualcosa, quindi non si può vedere di buon occhio la disciplina che ci chiede di "imparare a perdere" anziché "imparare a vincere". É nuovamente una questione di capacità di modificare la propria mappa del territorio, come si direbbe nella PNL.

A cosa servirebbe mai imparare ad accettare la sconfitta, accettare di diventare degli "squilibrati"... quando noi volevamo diventare più forti ed imbattibili andando a frequentare un corso di arti marziali?

Sembra un evidente contro senso, e lo faccio apposta a calarmi nell'ottica di chi sul tatami non ci è ancora mai salito.

Vedo film nei quali l'eroe di turno conosce 1000 mosse fighissime, in grado di vincere su ogni avversità, fa salti sui muri che manco Matrix, non ha paura di nulla e vince contro tutto e tutti: mi immagino che andando a fare un corso "di quelle robe li", prima o poi anche io riuscirò ad emulare le sue gesta.

Da addetti ai lavori, forse, si direbbe che la gente ha la testa piena di spazzatura, insomma... il problema è che ancora non lo sa, e tocca al Sensei di periferia spiegarglielo, con esercizi semplici e sicuri, che mettano un neofita nelle condizioni di sentire quanto la sua mente sia riuscita - negli anni - a disallinearsi dal suo corpo.

La caduta offre un prezioso momento di "bootstrap", ovvero di "riavvio/ripristino del sistema mente-corpo" in una condizione molto prossima alle condizioni di origine, le famose "impostazioni di fabbrica", ovvero quando queste componenti fra loro funzionavano parecchio bene in armonia. Qualcosa di molto salutare ed auspicabile, quindi!


Caduta all'indietro: ushiro ukemi



Da ciò che ci siamo detti fino ad ora, possiamo quindi comprendere da un lato la necessità introdurre fin da subito il concetto di "presa di confidenza con il tatami" non solo camminandoci sopra... ma dall'altro anche le grosse tematiche e problematiche che affronta internamente un non-addetto-ai-lavori quando si sente dire che deve imparare a cadere, se vuole frequentare un corso di Aikido.

Questo risulta un passaggio STRETTO che avviene proprio all'inizio della pratica e che quindi determina una sorta di filtro naturale fra coloro che sono disposti ad affrontarlo, rispetto a coloro che ne vengono rimbalzati.

Un passaggio obbligato che è destinato a dare indubbiamente copiosi frutti nel momento in cui gli si da fiducia e credito... ma che allontana anche allo stesso tempo, che mette una importante barriera fra l'idea romantica di iniziare un percorso alla famosa "call to action" di farlo poi sul serio.

Gli Insegnanti questo lo devono sapere bene, e studiare le strategie migliori per accogliere le difficoltà di chi si approccia alla disciplina: esistono oggi didattiche molto specifiche e mirate all'apprendimento delle cadute, quindi è dovere dei docenti conoscerle e formarsi al meglio in esse.

Quando ho iniziato io, la didattica era essere presi per le spalle dal Sensei ed essere lanciati a terra un po' a casaccio... tanto che alla seconda o terza lezione, ora non ricordo, mi venne strappato il karategi che allora indossavo durante un lancio, non propriamente "didattico".

Ora non siamo più li, a dimostrazione che molte cose negli anni si evolvono e migliorano senza dubbio: abbiamo però noi oggi a che fare con persone (adulti, adolescenti e bambini) che hanno molti più problemi di connessione fra la loro mente ed il loro corpo, che sono molto meno abituate all'utilizzo consapevole di quest'ultimo... e che molto spesso risultano prigionieri delle loro stesse paure.

Nuovamente, anche di ciò bisogna essere consapevoli, altrimenti rischiamo che l'entusiasmante avventura di esplorazione dell'Aikido per alcuni termini un secondo dopo essere iniziata... con un tonfo dal rumore sordo.


Marco Rubatto