lunedì 21 ottobre 2024

Quanto è importante la teoria in Aikido?

Sembrerebbe che la pratica fisica sia la componente essenziale dell'Aikido, ma siamo sicuri che sia proprio così?

É importante costruirsi alcune basi "teoriche" nel tempo, sulle quali riflettere e con le quali influenzare la nostra pratica fisica?
Ed in che misura?

Quest'oggi proviamo a riflettere su queste domande, poiché risultano tutt'altro che scontate... ed alcuni potrebbero sorprendersi di quanto non lo siano per nulla!

Di sicuro il lavoro che facciamo con il corpo è determinante, poiché esso si dimostra essere lo strumento più umile e coerente con il quale avanziamo sul nostro DO... però non dovrebbe risultare strano che possa essere richiesto anche una certa dose di studio intellettivo, da affiancare al movimento fisico.

Ci sono alcune discipline - fra esse prendo ad esempio la meditazione - nella quale è piuttosto comune il mantra "teoria e pratica vanno insieme": con questa frase si intende che il lavoro intellettuale è necessario per approfondire alcuni aspetti sottili e comprendere come avvengono determinati processi interiori.

D'altro canto, però, non sarebbe corretto trasformare o limitare un'attività esperienziale in una mera speculazione filosofica: è necessario "mettere in pratica", ovvero "vivificare con l'esperienza"... soprattutto quella fisica.

Sotto questo punto di vista la mente ed il corpo possono (dovrebbero!) trovare una forma di equilibrio, nel quale la mente fa ciò che è capace di fare meglio (indagare con l'intelletto), ed il corpo altrettanto (praticando zazen o le forme di meditazione attiva che si è scelta).

Talvolta l'Aikido è stato definito "meditazione in movimento", ma al di là di concordare o meno con questa etichetta... sappiamo per certo che anche nella nostra disciplina è necessario coordinare ed integrare l'aspetto mentale con quello fisico e corporeo.

O' Sensei (ed anche parecchi Maestri della tradizione marziale) era un avido lettore e ricercatore, in campo religioso e spirituale, ma anche filosofico e letterario: in una parola, era un uomo colto... non nel senso di "persona che ha fatto studi universitari", quanto di individuo che amava esplorare e conoscere diversi ambiti dell'esistenza.

E con questa "cultura" ci ha imbibito la sua pratica, tanto che essa divenne indissolubilmente legata al suo sistema di valori ed alla sua prospettiva non violenta.

Oggi il Budoka medio, e l'Aikidoka medio con esso, leggono e studiano poco... essendosi trasformati in una sorta di "trafficoni da tatami". Noi occidentali abbiamo poi una difficoltà in più, rispetto ai nostri colleghi con gli occhi a mandorla: ci interessiamo di cose che NON appartengono né alla nostra cultura, né alla società ed al tempo in cui viviamo.

Lo studio della lingua giapponese - per dirne una - diventa quindi determinate, ad un certo livello di maturazione marziale, per non rimanere impigliato in qualcosa che si ripete all'infinito senza comprendere bene, con l'aspettativa magica che un giorno tutto ciò si chiarifichi da sé.

Lo studio della storia e della cultura del Giappone, così come la vita del Fondatore dell'Aikido e dei suoi principali allievi ci permette di entrare meglio in connessione con una fitta serie di elementi che non possono che arricchire i nostri movimenti sul tatami... e spesso hanno anche la possibilità di influire su di essi in modo diretto e chirurgico.

Intendiamoci: non si tratta di diventare per forza traduttori simil madre-lingua, o enciclopedie viventi del Medioevo giapponese... ma di STUDIARE e quindi cercare coerenza fra ciò che si SA e so che si FA.

La conoscenza della vita di Morihei Ueshiba un po' più approfondita di quella che fornisce Wikipedia, ci permette di comprendere quanto - ad esempio - egli visse alcune crisi che influenzarono parecchio le sue decisioni: la paura per la sicurezza del padre lo portò sulla via delle Arti Marziali, ed in seguito la preoccupazione per la sua malattia lo spinse verso le pratiche dell'Omoto Kyo... la differenza di vedute lo allontanò dal suo mentore Takeda, etc.

Oggi non solo si studia poco, ma osservo persone che si sentono autorizzate ad insegnare l'Aikido agli altri commettere banali errori legati alla propria ignoranza del mondo che dovrebbero invogliare gli altri a conoscere e studiare.

La differenza fra dire o scrivere Dojo Hara Kai ed Hara Kai Dojo... oppure fra Sensei Marco Rubatto e Rubatto Marco Sensei ne sono la più evidente testimonianza: lasciamo perdere quelli che utilizzano il termine onorifico "san" per indicare se stessi, magari solo perché suona un po' a mandorla... ma c'è gente che ha idee molto vaghe, forse anche troppo, sul mondo che vorrebbe patrocinare.

E così la teoria e la pratica non vanno più sotto braccetto... ma l'Aikidoka diventa una sorta di fabbro da tatami, un batti lastra umana... con tutto il rispetto verso queste nobili professioni, di solito però non svolte esattamente da premi nobel per la filosofia o la letteratura.

E quando non si studia la storia e non la si è compresa ad un certo livello di profondità, si replicano i suoi gli errori (pure sul tatami)... quando non si studia e non si fa propria la filosofia, compiremo movimenti nei quali non ve n'è traccia alcuna. Le tecniche diventeranno vuote, e magari si suderà anche moltissimo... ma non diversamente da quanto accade in una sauna o durante una lezione di aerobica.

Ed è forse questo ciò che vogliamo?

Un piccolo aneddoto, accadutomi ormai oltre 20 anni fa: al tempo collaboravo con un Maestro di Judo e, per ringraziarlo dello spazio che ci offriva per praticare Aikido, ero solito fargli un piccolo regalo per Natale... di solito acquistato in un negozio alla periferia di Torino, che fa importazione diretta di Articoli Marziali dal Giappone.

Anno dopo anno, credo di avergli abbastanza arredato casa con quadretti provenienti dal Kodokan, spille, tengui... ed altri articoli della tradizione: un giorno non sapendo cosa acquistargli, chiesi al negoziante se ci fosse qualche novità editoriale sul Judo... così da acquistare un libro che il mio collega ancora non possedesse. 

La sua risposta fu lapidaria: "Ma i Judoka mica leggono!"...

Senza fare di tutta l'erba un fascio (ci saranno sicuramente pure Judoka molto acculturati)... osservo però che in Aikido non è molto differente, anche se la nostra disciplina vorrebbe in qualche modo sembrare quella culturalmente più densa: non è proprio così nei fatti. Ci sono Insegnanti che faticano a contare in giapponese fino a 10!

Ma allora cosa ti vesti con il KEIKOGI (e non con il KIMONO... ignorante come una foca monaca a mandorla)! Fai lezione in tuta da ginnastica, dico io...

C'è gente che mentre insegna dice parole "giapponesofile", magari sentendosi anche un tot figo, sentite male e ripetute a pappagallo (ad esempio, l'ultima che ho sentito è "kiai des" -"desu" in giapponese è il verbo essere - anziché "kiai de", ovvero "con il kiai")... perché è  qualcosa di mai studiato e compreso ad un certo livello di consapevolezza.
Ma in fondo è solo una piccola "s": che differenza vuoi che faccia... corriamo a darci mazzate!

Mi capitano spesso allievi provenienti da altri percorsi precedenti nell'Aikido che mi dicono che nei loro vecchi corsi NON si usava tutta la nomenclatura giapponese che si utilizza da noi. Ma NON ne utilizziamo una sovrabbondanza... era là che non ne utilizzavano proprio!

Attenzione: non è che pretendo che i miei allievi conoscano i kanji con i quali si nominano le pieghe dell'hakama... il livello richiesto è veramente "basic": la nomenclatura tecnica di base, le parti del corpo, contare fino a 30... Dopo un anno di pratica, ci riescono pure i bambini di 5 anni!

In Dojo da noi c'è una libreria che contiene quasi tutta la bibliografia dell'Aikido in italiano, oltre numerosi testi in inglese ed in giapponese: fino ad ora UN solo mio allievo l'ha utilizzata con costanza per acculturarsi... gli altri prendono qualche testo sporadicamente, o mi aiutano a toglierci la polvere quando facciamo le pulizie approfondite nel Dojo.

Io ho scritto un certo numero di libri che i miei allievi di solito NON sanno nemmeno che esistano... e queste stesse pagine vengono lette più da estranei che fra di loro.

Magari non saranno particolarmente interessanti o acculturanti... ma il fenomeno che emerge è quello che dicevo: "Fammi fare un po' di movimento con il pigiama bianco 2 volte a settimana, così metto il cervello in formalina per qualche ora e mi svago"... Triste ammetterlo, ma perlopiù è così.

Esistono invece concetti, come ma-ai, ki-musubi, hara, omote/ura, deai, awase... che sono complicati spiegare in termini del tutto occidentali, poiché sono imbibiti di una tradizione culturale MOLTO differente dalla nostra. E se non vogliamo sia necessario trasformare ogni lezione in una conferenza, sarebbe bene che pure gli allievi qualche cosa leggessero sulla disciplina che praticano e sul mondo dal quale essa proviene; almeno da un certo livello d'ingaggio in poi.

Anche se la cultura - di per sé - non ha mai fatto male a nessuno!

In ogni caso, nella civiltà della divisione nella quale viviamo è parecchio facile semplificare (anche troppo) sistemi complessi: muoviamo il corpo facendo SPORT,  muoviamo la mente ed apprendiamo con i LIBRI... e potremmo cascare nell'errore che la cosiddetta "teoria" sia qualcosa in contrapposizione alla PRATICA, mentre è COMPLEMENTARE ad essa.

Ogni luogo che visito negli ultimi anni chiedo abbia una lavagna bianca o a fogli mobili sulla quale imbrattare schemi su schemi: ne abbiamo una di quasi 2 mq in Dojo, sempre piena di parole e disegni, connessi fra loro... a Palermo ormai c'è un armadio nel quale vengono conservati tutti i rotoli che ho imbrattato negli anni. Le persone mi chiedono se possono fotografare ciò che scrivo, segno che non sono abituate ad un approccio la cui pratica sia supportata da un'altrettanto funzionate parte teorica.

Che però trovo sempre più importante: da vivificare di certo nel movimento fisico e nel sudore... ma qualcosa che ci permetta di comprendere ciò che facciamo a tutti i livelli, senza richiederci una fede cieca e un addestramento solo basato sulla ripetizione... come si fa con i cani, le scimmie ed i delfini.

Se la mente ed il corpo vanno coniugati, allora perché sudare senza muovere un neurone?
Forse ci meritiamo qualcosa di più...

Marco Rubatto






lunedì 14 ottobre 2024

Aikido senza gradi ed esami

Come cambierebbe la nostra disciplina se decidessimo di fare a meno di esami e ad ogni parametro di graduazione?

É una domanda molto interessante... in quanto sia gli esami, sia i vari sistemi di graduazione sono il fulcro di una serie di problematiche piuttosto annose, e non del tutto superate ai nostri giorni.

Quindi faccio una proposta provocatoria: chiunque entra dalla porta non sostenga più esami ed non ottenga gradi (di qualsiasi natura)... oppure riconosciamo di default il 9º dan... e la qualifica di Shihan (persona da imitare), Doshu (guida), Kai-Cho (Capo-Scuola) a CHIUNQUE... in questo modo saremo tutti uguali e non ci sarà più nessuno che lamenta ingiustizie!

Ci farebbe comodo ricordare che ai tempi di O' Sensei era tutto esattamente così: non esistevano esami strutturati per raggiungere un grado specifico: un giorno il Maestro Morihei ti batteva sulla spalla e ti diceva: "Sei 4º dan"... anche se non fossi stato mai stato 3º dan in precedenza. Era tutto deciso da una persona sola al mondo (il Fondatore), la cui opinione non era minimamente discutibile: si faceva come diceva lui... e stop. Ora le cose però sono un po' differenti...

Le qualifiche, così come oggi le abbiamo in Italia per poter insegnare una disciplina sportiva, sono un'acquisizione recente, che non è ancora uniforme in tutto il mondo. In Europa esiste lo SNaQ, ma altrove ad esempio no...

I titoli giapponesi (Fuku-Shidoin, aiuto Istruttore; Shidoin, Istruttore; Shihan, Maestro...) sono qualcosa che non è uniformato nemmeno all'interno delle stesse discipline tradizionali giapponesi: alcuni li sentono con più importanza, altri li ignorano quasi del tutto.

Ovvio che da quando si è cercato di dare loro una strutturazione - almeno all'interno della disciplina che pratichiamo - ci sono state differenti interpretazioni di questa strutturazione, da parte delle varie correnti stilistiche che l'Aikido moderno presenta.

Di solito i parametri che presi in considerazione prima di potersi presentare ad un esame sono stati:

- periodo di permanenza al grado precedente, frequenza e costanza degli allenamenti;

- numero di seminari e formazioni fatti dal grado precedente;

- uno specifico curriculum tecnico da padroneggiare (almeno fino al 4º o il 5º dan);

- particolari meriti e benemerenze da tenere in considerazione a riguardo di impegno sulla divulgazione della disciplina (nel caso dei gradi dan più elevati)

Il problema di fondo nasce dal fatto che i famigerati gradi kyu e dan erano (e sono) una metodologia imperfetta, come molte altre ce ne sono, per verificare/esprimere/manifestare i propri avanzamenti di consapevolezza nella disciplina. Ciò che accade agli altri non è di minimo interesse dalla prospettiva di chi è tutto intento a migliorare se stesso... e comprendere con chiarezza se ciò sta avvenendo oppure no.

Un secondo dopo la strutturazione dei curriculum tecnici, invece, è stata naturale anche la COMPARAZIONE delle differenti abilità di coloro che magari posseggono lo stesso "grado". E di qui in poi si è generato il grande caos: "Io so fare questo più di lui/lei, ma ho un grado inferiore al suo..." etc, etc, etc.

A parte il fatto che i curriculum tecnici sono relativi alle singole Scuole, quindi ciò che secondo una corrente si studia da 5º kyu, in un'altra si affronta al 2º dan... ed in un'altra non si studia nemmeno... ci sono comunque alcuni aspetti che continuerebbero a non quagliare ANCHE se ci fosse un unico curriculum con il quale - per magia, molta magia - tutto il mondo dell'Aikido andasse d'accordo.

Il fatto che i cosiddetti "gradi" non vengono attribuiti da un robot ad un altro robot: quindi NON è possibile alcuna forma di oggettività binaria, tipo acceso/spento, giusto/sbagliato, promosso/bocciato... stiamo cercando di descrivere l'avanzamento di un essere umano con un numero, ovvero di giudicare un sistema complesso con una scala graduata troppo limitata per poter tenere in considerazione tutte le infinite sfumature dell'esistere e del fare.

Se parecchi fanno a botte per ottenere gradi e qualifiche e noi le togliessimo, cosa resterebbe?

Semplice: resterebbero sul tatami le persone che sono li per fare il loro processo di miglioramento personale, anche se non ci fosse più un metro per tentare (maldestramente) di misurarlo!

Ma chi insegna?

Colui o colei che hanno la consapevolezza più alta nella disciplina... ovvero quelli che avrebbero dovuto avere i gradi più alti, se questi fossero stati attribuiti con cognizione di causa.

Altrimenti diventa una comune, nella quale tutti - essendo "alla pari" - hanno diritti e doveri di imparare ed insegnare al prossimo. Però questa cosa NON funziona e gli esseri umani già lo sanno bene da tempo.

In qualsiasi ambiente sociale, il più "anziano" o esperto tende ad avere più voce in capitolo rispetto chi è appena arrivato: ci sarà una ragione, no?

Come potrebbe funzionare quindi un percorso di acquisizione di consapevolezza senza qualcuno che lo guidi, in accordo con chi si lascia guidare?

Bene: i gradi kyu e dan - pur nella loro estrema semplicità e limite - hanno sopperito a tutto ciò fino ad ora.

Ma NON sono perfetti, NON sono oggettivi, NON sono la legge del Signore... si tratta solo di un escamotage pratico per far funzionare un meccanismo sociale, per provare a regolamentare una micro-società proprio in quegli aspetti che sono molto complicati (se non impossibili) da normare con precisione.

A questo punto però arriva un ulteriore problema: SUPPONIAMO che ciascuna organizzazione attribuisca gradi e qualifiche in modo oculato e secondo un evidente principio di merito (qualcosa di realmente ardito e quasi mai riscontrabile nei fatti!)... QUALE sistema di graduazione è il migliore, visto che ce ne sono tanti?

Alcuni di voi ci hanno chiesto di esprimerci in merito alle certificazioni e le modalità per comprendere quali sono più tutelanti di altre...

Il discorso è lungo ed articolato e magari lo affronteremo a dovere in un Post dedicato, però posso dire fin da ora che - nonostante si sappia già che ogni sistema di graduazione ha delle falle dei limiti - sarebbe bene volgere lo sguardo a quale fra essi è più difficilmente FALSIFICABILE.

Il denaro del Monopoli funziona come quello corrente all'interno del gioco da tavolo, però non viene accettato nei negozi... come mai? Perché non c'è un Ente affidabile che lo emana: la stessa cosa vale per i gradi e le qualifiche in Aikido.

Ad esempio, i gradi Aikikai (dell'Honbu Dojo, non quelli dell'Aikikai d'Italia o di qualsiasi altro Stato) NON sono perfetti, però vengono emanati da un'UNICA fonte certificatrice, hanno una filigrana, un numero di protocollo e devono sottostare a regole internazionalmente ben chiare.

Certo che c'è poi il furbetto che s'immanica questo o quello Shihan e riesce pure ad aggirare le regole del protocollo... ma è più complicato rispetto a fare la stessa cosa con il grado stampato con la getto d'inchiostro dal Maestrino in basso a destra.

Provate - sempre per puro esempio - ad entrare in Federazione ADESSO e farvi riconoscere gradi e qualifiche SENZA rispettare le regole del Regolamento Organico Federale: ve le tirano sui denti le vostre richieste!

Se invece un gruppo di persone si mette insieme, crea un'Associazione (di 1º o 2º livello, non importa) e poi inizia distribuire "gradi interni" si fa qualcosa di sicuramente lecito, ma al contempo anche un tantino autoreferenziale... proprio perché è una dinamica percorribile da chiunque, senza che nessuno possa dire nulla in contrario. Quindi noi dell'Aikido PRIMA ricorriamo a questa dinamica anarchica, nella quale ciascuno è libero di attestare ad altri ciò che ritiene meglio... POI ci mettiamo a litigare fra noi su quale "grado" conti di più o sia il migliore: siamo veramente dei furboni che meritano l'estinzione!!!

Ed il Mondo dell'Aikido è pieno di gradi che hanno una marea di sigle differenti appresso: 3º dan Aikikai3º dan Aikikai d'Italia dan FIJLKAM dan CSEN dan UISP dan LIBERTAS dan AICS dan ASI, 3º dan OPES, 3º dan CSAIN,  3º dan ASC, 3º dan Progetto Aiki, 3º dan Shumeikai, 3º dan FESIK dan Atago dan Dantai dan Aiada... sono tutte "cose" diverse che utilizzano lo stesso numero e la stessa parola giapponese per identificare percorsi DIVERSI fra loro, talvolta più ISTITUZIONALI, talvolta meno... talvolta più SERI, talvolta meno.

Diventa quindi molto complicato orientarsi in questa infinità di variabili e contesti differenti, poiché di solito ne conosciamo al massimo bene 1... forse 2, ma non di più.

Ed in Italia c'è ancora una confusione pazzesca in merito a queste cose, poiché ciascuna delle sigle fa di tutto per convincere la schiera dei propri iscritti di essere finita nel luogo migliore, più serio, più ufficiale, più tutelante.

E siccome pure io appartengo ad un paio di queste sigle (Aikikai so Honbu e FIJLKAM) potrei sembrare di parte: bene, vorrei assicurare che lo sono senza alcun dubbio... ma solo perché ho studiato a fondo questi Enti e, nel tempo, ho compreso ad un certo livello di dettaglio le differenze fra le diverse possibilità di appartenenza.

Provate, per esempio, ad informarvi voi stessi da un consulente serio sulle differenze che passano fra:

A) Fondazione Internazionale (Aikikai)

B)  Federazione Nazionale (FIJLKAM)

C) Ente di Promozione Sportiva (CSENUISPLIBERTASAICSASI, OPES, CSAINASC...)

D) Associazione di 1º livello (Associazione Sportiva Dilettantistica/ASD, oppure SSD) (Hara Kai, Dantai, Shumeikai, Aiada, FESIK, Atago)

E) Associazione di 2º livello (approfondisci QUI) (Progetto Aiki)

F) Ente Morale (Aikikai d'Italia)

G) Scuola privata (Ciccio Formaggio Ryu...)

Con 80-100,00 € da un bravo Commercialista o un bravo Avvocato vi togliete la paura... poi incomincerete a comprendere come mai un 3º dan Aikikai ed in 3º dan FIJLKAM si equivalgono quasi sempre, mentre NON è detta la stessa cosa per tutte le altre sigle.

Ma lungi da me voler convincere qualcuno... fate le vostre debite ricerche per i fatti vostri, se ne avete voglia.

La stessa cosa potrei dire per le famigerate "Qualifiche d'Insegnamento", che in Italia non sono ancora tutte SNaQ manco per niente... quindi ci sono Enti che rilasciano certificati che sono validi SOLO al loro interno e che poi vengono a chiedere alla CTN Aikido FIJLKAM perché la loro Qualifica NON viene equiparata all'interno della Federazione, sempre per fare un altro esempio.

Ma se c'è tutta questa bio-diversità (che se fosse stilistica sarebbe pure una grande ricchezza) ed alcuni percorsi di certificazione sono più "verificabili" di altri... allora perché tutta la Community Aikidoistica non confluisce in quelli più seri e strutturati... così da ridurre il caos e poter parlare una sorta di lingua comune, almeno per quanto concerne le graduazioni ed i riconoscimenti?

Me lo sono chiesto letteralmente per quasi 20 anni... ma ora credo finalmente di avere compreso perché ciò non è accaduto, non accade e mi pare prossimo che non accadrà nemmeno nell'immediato futuro: questo discorso però richiede un approfondimento ulteriore, che faremo forse più avanti.

Ma in sostanza: 1000 percorsi di graduazione, TUTTI con pregi e difetti abbastanza evidenti... tutti che cercano di auto-eleggersi migliori di altri... così non se ne uscirà mai.

Nemmeno però eliminando esami e gradi si risolverà il problema alla radice: dobbiamo quindi trovare un nuovo approccio alla questione, qualcosa che onori ciò che c'è stato, ma ci consenta anche di proseguire con flessibilità e meno incertezza rispetto al passato.

Io mezza idea ce l'avrei pure... ma devo dire che questa cosa mi tange sempre meno nel tempo: ho ottenuto ciò che desideravo, sia in termini di riconoscimenti, che soprattutto di pratica, quindi per me le cose possono anche rimanere come stanno.

Se dovessimo fare dei cambiamenti migliorativi, lo potremmo fare però per tutti coloro che devono ancora intraprendere questi percorsi, così che non si trovino ad incappare nelle stesse difficoltà dalle quali abbiamo provato a districarci noi.

Marco Rubatto






lunedì 7 ottobre 2024

Aikido e velocità di apprendimento

Vi siete mai chiesti quali sono i fattori che influenzano la velocità di apprendimento di un Aikidoka?

Io SI... l'argomento mi interessa particolarmente per 2 ragioni specifiche:

- sono un Aikidoka, quindi sono interessato in prima persona a comprendere come continuare ad apprendere più velocemente possibile;

- ho allievi che mostrano propensioni molto differenti all'apprendimento, e mi piacerebbe dare loro una mano.

Un primo apporto alla velocità di apprendimento può essere dato misurando questo parametro in relazione all'età di chi si appresta ad apprendere qualcosa: più si è piccoli, più questa velocità è elevata... mentre più l'età avanza, più questo parametro rallenta.

Come mai? Proviamo a spiegarlo in parole semplici...

L'apprendimento può essere definito come la capacità di includere nuove informazioni, ma anche elaborarle e farle proprie; questo richiede una certa propensione al cambiamento, già ché ogni cosa che impariamo tende a farci cambiare la mappa con la quale descriviamo il territorio della nostra realtà.

Impara prima chi è disposto a modificare le proprie convinzioni ed i propri schemi di pensiero: anche i neuroni sono in grado di creare nuove piste neurali, che agevolano un migliore scambio di informazioni all'interno dell'encefalo. Esiste cioè una certa capacità trasformativa dentro ciascuno di noi, una elasticità che va sfruttata per acquisire nuove forme... della mente come del corpo.

Frequentiamo tuttavia tutta una serie di luoghi per l'apprendimento più intenti a riempirci come un uovo di informazioni, fin tanto da ingolfarci... piuttosto che affiancarci e supportarci nei processi di cambiamento che servono ad apprendere. E dalle elementari in poi - di solito - inizia a ridursi la capacità che abbiamo di includere nuove informazioni, poiché parte di esse costituisce una sorta di "spazzatura" voluminosa, spesso ben poco utile al nostro sistema bio-psichico. Ci servirebbe qualcuno che ci spieghi come funziona la RAM del nostro computer mentale, oltre a preoccuparsi di saturarci l'hard-disk.

Un corso come quello di Aikido propone una metodologie di apprendimento differente da quella scolastica ordinaria: si impara tramite esperienza personale diretta, per propriocezione, con la cinestesia del corpo. Non è richiesto alcun atto di fede nell'Insegnante, poiché tutto è sperimentabile e verificabile in prima persona.

Da piccoli il corpo è morbido ed aperto, così come lo è la mente... ma crescendo una mente più selettiva tende a plasmare un corpo fisico altrettanto trattenuto, articolarmente parlando.

L'Aikido richiede tuttavia di rilassare ed aprire al massimo sia la percezione, sia la propria capacità di ricevere con il corpo: sotto questo punto di vista, uke è la base dalla quale allenare la propria capacità di apprendimento.

Ora pero immaginiamo cosa accade quando ciascuno di noi ha la (spesso errata) percezione di avere appreso qualcosa ad un livello sufficiente di qualità: le energie restanti vengono spese in due ambiti completamente differenti...

... il primo è quello di imparare nuove cose, ma il secondo è quello di cercare di non perdere, di proteggere, ciò che ha già appreso. Notate però che questo secondo ambito è completamente assente in un bambino piccolo, o in un principiante.

Sapere di non sapere nulla consente di impiegare TUTTE le nostre energie nell'apprendimento, mentre più accumuliamo conoscenza e know how, più aumenta la quota parte di energie che riserviamo alla loro protezione.

Quando parlo di "protezione" di ciò che abbiamo imparato non mi riferisco solo al tentativo di "non dimenticarlo"... ma anche dal rischio molto concreto che ciò possa essere messo in discussione da situazioni, nuovi fatti e persone che sembrerebbero rimandarci o che "non avevamo capito molto bene" o che "quello che avevamo capito era proprio sbagliato".

É un po' ciò che accade all'università, quando ti dicono che la fisica di Neuton è ormai superata: si fa resistenza a crederci perché era una fisica dannatamente predittiva, semplice... nella quale con 3 conti si arrivava ovunque. Sembra di peggiorare nel sostituirla con il concetto di "probabilità", specie se prima si pensava di possedere una certezza!

In Aikido è la stessa cosa...

Da principianti non ci si pone alcun limite o problema e si è disposti ad accettare tutto per buono fin da subito; poi si cresce negli anni di pratica e nei gradi, e si cerca - inconsciamente - di imparare SOLO le cose che non contraddicano il nostro storico, perché tutto il resto richiederebbe una revisione totale e faticosa, che non siamo disposti troppo a fare.

E la nostra velocità di apprendimento RALLENTA inevitabilmente... talvolta - purtroppo - fino a fermarsi del tutto.

In media, chi sono quindi in Aikido le persone che imparano più lentamente... o che hanno addirittura smesso di farlo?

I SENPAI e/o gli INSEGNANTI! Sembra paradossale, ma è proprio così...

Un cosiddetto "esperto" che durante una lezione qualsiasi (poco importa se vissuta da allievo o da docente) NON impara nulla di rivoluzionario per il proprio Aikido sta tirando il freno a mano alla sua velocità di apprendimento: preferisce ribadire che mettere in discussione... evitare il nuovo anziché ristrutturare il proprio livello e lanciarsi verso i propri ignoti.

Pensate, ad esempio, con quale bassa frequenza un Aikidoka - sedicente esperto - si reca in un luogo nel quale fanno Aikido in modo differente dal suo lineage di provenienza: ad esempio... un Senpai del gruppo Tissier che va a fare un Seminar di Iwama Ryu (da allievo, ovviamente), o un Senpai della Scuola di Iwama che ricambia la cortesia al Seminar di Roquebrune.

Raro, raro, raro... Ebbene, c'è una ragione: in entrambi questi casi, la frequenza a qualcosa di inusuale per sé richiederebbe una massiccia dose di ristrutturazione delle piste neurali e degli schemi motori già appresi: ovviamente consentirebbe anche un veloce apprendimento (specie per un Senpai), ma questo viene sacrificato, per non avere la sensazione di dover mandare alle ortiche parte del proprio lavoro pregresso... così come per evitare la frustrazione di avere a che fare con cose nuove, che non si conoscono per nulla.

Evitiamo cioè come la peste i luoghi nei quali un esperto possa tornare a sentirsi principiante!

In realtà, MAI il nostro lavoro pregresso ha necessità di essere buttato via: è parte della nostra esperienza, è già "nostro", non può essere rovinato, rubato, messo in discussione da nessuno... e sarà sempre li al nostro servizio, quando ne avremo bisogno.

É proprio solo la paura di dover ammettere che c'è ancora qualcosa che non sappiamo a fermarci! Umanamente parlando, questo è comprensibile... però dovremmo ricordare a noi stessi che siamo sul tatami per progredire, non per ribadire quanto è glorioso il nostro passato!

Di contro a tutto ciò, abbiamo che la velocità di apprendimento rimane invariata (o anche aumenta) se si tiene viva una certa dose di curiosità, di abitudine al cambiamento, di necessità di confrontarsi con qualcosa di ancora sconosciuto o inesplorato.

In Aikido ciò può avvenire o provando schematizzazioni differenti da quella alla quale siamo abituati... oppure decidendo anche di esplorare livelli differenti delle stesse pratiche: ciò ci garantisce una massiccia dose di novità costante, che è poi ciò che è assicurato ad ogni neofita nei primi anni di frequenza del tatami.

Cerchiamo di comprendere PERCHÉ nella tradizione è considerato così importante il termine [初心 ] "shoshin", "mente del principiante"... e facciamo del nostro meglio per continuare ad avere un approccio congruente con questa attitudine.

Consiglio di recuperare un Anime dal titolo "Golden Boy", il cui protagonista ha fatto dell'apprendere il principale motivo dell'esistenza... come forse dovrebbe fare anche chi intende fare la differenza con se stesso, ogni giorno.




Marco Rubatto




lunedì 30 settembre 2024

Pulire il Dojo fa parte del Keiko

Ci si azzuffa spesso parecchio on-line per stabilire chi pratichi Aikido in modo più "tradizionale".

Nelle locandine sui social e nei siti internet di alcune Scuole compare a lettere cubitali "AIKIDO TRADIZIONALE", unito a numerosi termini giapponesi... che di solito scaldano parecchio il cuore di chi li scrive, ma che risultano completamente incomprensibili all'uomo della strada che vorrebbe intraprendere la pratica di questa disciplina.

Anzi, spesso finiscono per essere una barriera che rimbalza gli interessati, anziché far percepire loro un certo valore aggiunto.

Beh, quest'oggi parliamo di una dinamica MOLTO tradizionale, che però raramente vedo praticare dalle nostre parti... ovvero la buona abitudine di prendersi cura del proprio Dojo, all'inizio o al termine di ciascuna lezione, e periodo di pratica.

Perché mai, infatti, l'attenzione a chiudere ikkyo con lo stesso angolo che utilizzava O' Sensei dovrebbe essere considerato meno importante di fare le pulizie al termine del keiko, proprio come si faceva ai tempi di O' Sensei (e si fa ancora oggi)?

Chi è stato uchideshi (allievo residente) di qualsiasi Dojo vero in giro per il mondo, ma anche solo che abbia fatto qualche lezione all'Honbu Dojo di Tokyo,  sa che è considerato NORMALE che gli allievi puliscano per intero il luogo nel quale si sono allenati.

Non esiste la "ditta di pulizie" in un Dojo... ma dalle nostre parti, il fatto che talvolta il tatami si trovi collocato in un Club Sportivo fa si che questo aspetto venga meno.

Anche il fatto che lo stesso spazio adibito alla pratica venga utilizzato da gruppi e discipline differenti non aiuta ad assumersi grosse responsabilità su chi dovrebbe prendersene cura e pulirlo.

Se un altro corso subentra al proprio una volta terminato l'orario di lezione, diventano impensabili tutta una serie di abitudini che invece sono molto importanti per l'Aikido... come prendersi il tempo di piegare la propria hakama, ma anche proprio l'abitudine di fare le pulizie.

Questa dinamica talvolta è ancora possibile quando si fa utilizzo di uno spazio pubblico, del quale abbiamo le chiavi... che spesso è una Scuola elementare o media, e che non sempre troviamo pulitissima nemmeno prima di iniziare gli allenamenti!

Il mio gruppo si è fatto le ossa proprio in un contesto simile... una Scuola elementare nella quale fare la doccia avrebbe richiesto inizialmente una certa dose di coraggio e la vaccinazione contro ebola e malaria.

Tuttavia, nel tempo, il gruppo ha iniziato a sentire "suoi" i locali che utilizzavamo ed a fare manutenzione regolare agli impianti, area tatami, spogliatoi, bagni o docce che fossero.

Siamo arrivati addirittura a dare il bianco agli spogliatoi di nascosto, visto che versavano in condizioni pietose... ma la Dirigente Scolastica non ci dava il suo benestare (per questioni assicurative).

Ora abbiamo un Dojo, e le cose sono molto differenti... tuttavia è rimasta inalterata l'esigenza di manutenere in un buon stato sia la struttura nel suo complesso, sia i locali che utilizziamo quotidianamente per l'allenamento.

Per questa ragione, dopo OGNI keiko, ci occupiamo di pulire il tatami e 3 volte alla settimana facciamo lo stesso anche a spogliatoi, docce, servizi igienici e zona reception.

É un'attività che coinvolge tutti i praticanti, senza che vi siano obblighi imposti, ma stimolando il senso di responsabilità di ciascuno e tenendo conto delle disponibilità personali che i membri del Dojo offrono.

E - fra l'altro - fare pulizia tutti insieme è divertente e ci si mette un attimo, se ciascuno si occupa di un pezzettino di ciò che c'è da fare!

Queste attività, ovviamente, vengono potenziate in prossimità di eventi importanti che si svolgono nel Dojo (Seminars, Kagami Biraki, celebrazioni varie...) o momenti di manutenzione approfondita, come quelli che facciamo in previsione della ripresa delle attività, a seguito della pausa estiva (agosto).

Abbiamo preparato per voi un report video, nel quale ciascuno spiega a qual è il significato di prendersi cura del Dojo secondo il proprio sentire: buona visione!



Avrete notato che, a parte il logico senso di appartenenza e di responsabilità di contribuire ad un "bene comune", diverse persone attribuiscono una plus-valenza anche personale ad occuparsi queste mansioni, umili ed importanti al contempo.

"Pulire il Dojo è come pulire se stessi" è un po' il mantra ripetuto dagli intervistati. Beh, ci sono fior fiore di studi psicologici che danno loro ragione (QUI, ad esempio, ne trovate uno).

E tu... come tratti il tuo Dojo?

Lo sai che lo stai trattando esattamente come tratti te stesso?

Hai l'abitudine di prenderti cura degli spazi che utilizzi settimanalmente per l'allenamento?

Se ti piace il rispetto della tradizione... lo sai che questa usanza è un elemento tradizionale MOLTO importante?


Marco Rubatto




lunedì 23 settembre 2024

Aikido per quelli che ancora non lo sanno

Qualche settimana fa abbiamo esaminato insieme le difficoltà che incontrano sovente le persone intenzionate a promuovere i loro corsi di Aikido.

Abbiamo cercato di spiegarne alcune ragioni, ma a parere mio fra di esse ne esiste una più importante di tutte: non ci ricordiamo più di come eravamo PRIMA di iniziare a praticare. Tutto qui.

Quest'oggi proviamo quindi a mettere il focus proprio su questo, entrando nelle dinamiche di chi avrebbe una mezza idea di praticare qualcosa "come l'Aikido"... senza necessariamente già sapere che è possibile farlo sul serio!

Fino a 20 anni fa, di certo, c'era meno internet, meno informazioni disponibili in tempo reale... e quindi erano più preziose le idee che ciascuno possedeva, visto che non era così facile confrontarle e scambiarle con altri.

Meno offerte, meno bombardamenti mediatici... ciascuno un po' più nel suo mondo interiore.

Chi aveva voglia di praticare Arti Marziali, spesso andava a provare nei corsi disponibili vicino a casa, non avendo molto le idee chiare su che differenza ci fosse - ad esempio - fra Karate, Judo, Aikido, Kendo e Kung Fu.

Oppure faceva come me una trentina di anni fa: andava in una libreria ben rifornita, e sfogliava, magari acquistava pure, alcuni volumi sulle varie discipline... per potersi fare un'idea delle stesse già nella propria cameretta da adolescente.

C'erano i primi film su queste discipline: Bruce Lee davanti a tutti, ma poi anche Jan Claude Van Damme, Steven Seagal, Jackie Chan, Cynthia Rothrock, Chuck Norris... e tutte le peggio porcherie sui Ninja, dal fil interpretato da Franco Nero, a quelli mitici con Shō Kosugi...

Questi fornivano una visione piuttosto particolare delle Arti Marziali: duro allenamento, fatica a fiumi, frustrazioni a manetta date da un Maestro severo ed intransigente verso i propri allievi... possibilità di diventare così forte da affrontare diversi avversari contemporaneamente... fino a realizzare gesta umanamente impossibili, come schivare le pallottole ("Il mio nome è Remo Williams"), o saltare da un tetto all'altro delle case ("La foresta dei pugnali volanti").

C'era il cattivo... e poi c'erano gli eroi bravi, e ciascuno di noi sognava di diventare come questi ultimi!

Andavamo a provare e stavamo zitti ed in religiosa osservazione di quello che facevano gli iscritti del corso: il Maestro faceva un movimento e chiedeva di ripeterlo... (qualche milionata di volte, di solito); qui ci rendevamo conto che, prima ancora di diventare capaci di schivare le pallottole, a livello fisico eravamo delle mega pippe indecenti.

Quando il Sensei si muoveva, tutto sembrava facile... ma quando ci provavamo noi non lo era altrettanto, anzi!

Erano anni in cui si rischiava di essere ripresi di brutto se per caso sbagliavamo qualcosa, o non mostravamo di metterci sufficiente impegno. In una sola parola: il corso era mooolto "richiedente"!

E quelli che non accettavano la sfida con se stessi, potevano accomodarsi alla porta... senza tanti fronzoli.

Era divertente?

Sicuramente era gratificante quando ciascuno si scopriva oltre quelli che credeva fossero i propri limiti, ma "piacevole" direi che non fosse la descrizione più adatta al 100% dei casi.

Quando ci veniva un dubbio di qualsiasi natura, se ne parlava al massimo con i nostri compagni di pratica, nello spogliatoio... già farlo con l'Insegnante poteva essere interpretato come una mancanza di fiducia o di rispetto in lui.

I corsi erano molto "yang", ogni tanto ci si faceva male e si considerava accettabile la possibilità che accadesse pure a noi. Non c'era il defibrillatore in palestra... e questa spesso era ricavata in uno scantinato maleodorante, nel quale non prendere una malattia mortale legata alla scarsità di igiene poteva essere considerato un primo importante risultato!

Nessuno si chiedeva QUALE stile si seguisse, né come si chiamasse il Capo-Scuola della propria corrente Aikidoistica: si identificava quello che facevamo con tutto quello che era possibile fare, punto.

Oggi le condizioni di pratica sono molto differenti - ed indiscutibilmente migliori - ma NON è cambiato l'humus dal quale possono arrivare i praticanti ed Insegnanti di domani.

Si tratta di persone che oggi non sanno NIENTE sull'Aikido, NEMMENO che esista.

Non sanno che è possibile iscriversi ad un corso... per poi modificare negli anni le ragioni che ci spingono a continuare a seguirlo. Non mettono forse neppure in conto la possibilità di seguire un corso con un certa continuità temporale.

Allora possiamo dire loro un'unica cosa certa: l'Aikido ESISTE... ma spetta a loro fare la stessa parte di fatica che abbiamo fatto noi decenni fa, ovvero quella di venire a comprendere SE è qualcosa che fa per loro oppure no. NESSUNO può fare questo al loro posto.

Ma i praticanti odierni invece spendono parecchia energia a descrivere con dovizia di particolari le caratteristiche della loro pratica: quelle tecniche, relazionali, filosofiche, spirituali...

Se si tratta di "Aikido tradizionale" o meno... e spesso non comprendono che parlano a dei sordi, o meglio: a persone che non sanno nemmeno ancora di avere le orecchie per ascoltare.

Allora mi direte: perciò è impossibile fare una pubblicità efficace di questo genere di corsi?

In tutta sincerità: credo che una forma consueta di pubblicità si riveli abbastanza infruttuosa, ma ve ne è una forma alternativa che invece è efficacissima!

Si tratta della pubblicità migliore che hanno fatto a noi di ciò che poi si è rivelato essere una risorsa importante: un consiglio SPASSIONATO di una persona alla quale teniamo o della quale abbiamo una buona considerazione... si chiama anche "DARE L'ESEMPIO"...

Una persona che sia il BANNER pubblicitarioVIVENTE di tutti i benefici che crediamo l'Aikido porti ai suoi praticanti: calma, equilibrio, fiducia in se stessi, capacità di impegno, disponibilità ad affrontare le difficoltà, capacità di apprendere - specie dai propri errori -, umiltà, spirito di servizio, capacità di adattamento, attitudine positiva nei confronti della vita, anche nei confronti dei momenti più difficili che possono arrivare.

Se una persona avesse queste caratteristiche e venissi a sapere che non è nata così, ma lo è "diventata" attraverso una pratica... beh, forse mi piacerebbe conoscere il "segreto" di questa sua pratica e vorrei avvicinarmici anche io!

Non stiamo parlando di ciò che si può DIRE dell'Aikido (quello si trova pure su Wikipedia), bensì di quello che si può mostrare di ESSERE di questa disciplina... quando la sua essenza sia diventata la nostra quotidianità, e come i suoi principi siano qualcosa che viviamo, soprattutto fuori dal tatami e dal Dojo.

É li che incontriamo altri potenziali interessati all'Aikido: FUORI dal tatami e dal Dojo.

Si... possiamo attaccare il pippone di quanto sia bella quella cosa che andiamo a fare di sera col pigiama bianco e la gonnellona nera, ma non è la stessa cosa di quando sono gli altri a chiederci per primi.

Ma senza "indorare la pillola", senza cercare di avvicinare le persone come le mosche al miele... con promesse seducenti e mirabolanti: questa è la dinamica della pubblicità più becera, che promette a vanvera mari e monti. Meno male che non funziona, perché sappiamo quanto spesso debba utilizzare mezze verità, se non proprio le menzogne!

Porto me come esempio, anche se mi rendo conto del limite di ciò: ho un'esposizione così elevata alla disciplina che difficilmente parlo di Aikido se non sono proprio costretto a farlo.

Ne segue che una persona che si relaziona con me per la prima volta in un qualsiasi luogo (che non sia il Dojo) NON viene a sapere sicuramente da me di questa passione trentennale. Manco per niente, non ne parlo proprio con nessuno.

Però è accaduto diverse volte che le persone mi rimandassero che ho un modo "strano" e talvolta "affascinante" di pensare e di comportarmi... passo forse per quello bizzarro, ma più di uno mi ha chiesto a cosa fosse dovuto questo mio atteggiamento.

Quello è il momento migliore (dopo che qualcuno ha fatto lo sforzo di chiedere) per raccontare "qualcosa" (NON TROPPO!) di ciò che faccio, pratico, insegno. "Non troppo" perché l'appetito deve venire mangiando... non bisogna ingolfare stomaci pronti solo a digerire un omogeneizzato e nulla più.

Può forse sembrare "poco" questo modo di fare... ma stiamo cercando la carbonella per accendere un falò che poi si alimenta da solo: se deve partire un corso da zero, e 2 persone mi chiedono di provare... a breve saremo in 3 a cui poter chiedere "cosa si prova", "cosa vuol dire" stare sul tatami a fare quella roba li che noi facciamo da anni.

3 TESTIMONI in prima persona dell'Aikido e dei suoi benefici sono molto più "ficcanti" che una sponsorizzata sui Social di un corso che poi non è in grado di far "innamorare" della disciplina: noi abbiamo in proporzione oggi molti Dojo che stanno scoprendo le sponsorizzare sul Social Media, ma che poi NON sono in grado di trasferire nel giro di poco tempo la sensazione che si prova ad intraprendere un percorso.

Manca la diavolina, in sostanza, ed il fuoco non si accende... o si accende per poi spegnersi 5 min più tardi. É necessario mettersi ni panni di chi inizia per rendersi conto di cosa NON vada bene proporre: non so se sia sufficiente, ma di certo è necessario!


Marco Rubatto