lunedì 17 maggio 2021

Il saluto tradizionale in Aikido

Una moltitudine di scuole e visioni differenti sull'Aikido hanno creato altrettanti modi differenti di eseguire il saluto iniziale e finale delle lezioni.

È pressoché ovunque rimasto il senso del rituale, legato al proposito di rispetto fra i presenti, ma le modalità in cui ciò viene fatto sono davvero molte.

Alcuni hanno scelto di utilizzare termini giapponesi... altri quelli italiani per non creare barriere linguistiche nei confronti di chi frequenta le lezioni: ogni posizione è rispettabile e sicuramente legata a ragioni specifiche.

Oggi desideriamo tuttavia esplorare insieme i significati del saluto rituale tradizionale dell'Aikido, ovvero quello che utilizzava il Fondatore per aprire e chiudere le lezioni.

Innanzi tutto osserviamo che esso avviene in posizione [正座] seiza, ovvero in ginocchio (parola giapponese traducibile come "sedersi correttamente")... e che ci sono modalità specifiche per giungere in questa posizione o lasciarla, risollevandoci in piedi.

È necessaria una certa verticalità dell'asse del corpo, ovvero che questo non si inclini durante le operazioni di discesa e risalita. Immaginiamo di tenere una tavoletta in equilibrio sul capo: essa non dovrà cadere é mentre ci sediamo, né mentre ci rialziamo.

Si scende prima con la gamba sinistra e si sale prima con la destra, e ciò era tradizionalmente dovuto alla necessità di sguainare velocemente una spada, legata al fianco sinistro. Questa modalità di utilizzare le anche ottimizza appunto questa possibilità di estrazione dell'arma, cosa che verrebbe invece ostacolata nel caso in cui invertissimo l'ordine del ginocchio che si abbassa per primo e che si alza per primo.

Questo aspetto del saluto tradizionale suona come "be always ready", cioè mantenere un'attenzione vigile che consente in ogni istante di cambiare il proprio atteggiamento, in connessione con ciò che accade nell'ambiente. Tradizionalmente tutto ciò si racchiude nel principio di [残心] "zanshin", "mente vigile/pronta/presente".

Per analoga ragione, anche durante l'inchino di ogni saluto, la mano destra dovrebbe essere l'ultima ad arrivare a terra e la prima a staccarsi dal suolo: sempre a carico della mano destra - infatti - è la possibilità di andare repentinamente sull'impugnatura della spada che veniva tenuta sul fianco sinistro.

Una volta scesi in ginocchio, il saluto prevede appunto (come minimo) un inchino che rispetta alcune regole importanti:

- essere eseguito con la schiena più diritta possibile (no gobba, in sostanza);

- essere eseguito ad un livello di profondità che è funzione del lignaggio di chi ci sta di fronte (più pronunciato del nostro interlocutore se la nostra posizione è considerata inferiore alla sua, o meno pronunciato se siamo noi ad essere in una posizione considerata superiore a quella dei nostri interlocutori);

- essere eseguito con le mani che formano un triangolo (formato dall'unione dei pollici e degli indici).

Quest'ultima condizione è molto particolare e necessita di essere spiegata:

Formando questo triangolo con le mani ed andando a porre naso e bocca al suo interno nella parte inferiore dell'inchino, si evita che il proprio interlocutore possa approfittare di un momento nel quale la nostra posizione diviene più fragile ed indifesa per utilizzarla a proprio vantaggio.

Immaginate il contesto nel quale, durante un inchino reciproco, uno dei presenti attenda l'inchino dell'altro per fargli sbattere violentemente la testa al suolo, spingendogli il capo da sopra: in questo caso la spina nasale poteva conficcarsi nel cervello ed addirittura uccidere il malcapitato; ancora una volta, sono presenti nel saluto tradizionale elementi che portano a riflettere su come ogni particolare sia stato pensato per uscire da situazioni che divengono improvvisamente pericolose (come la mano destra che si muove per ultima ed il ginocchio sinistro che si piega per primo).

Realisticamente non esistono più questi pericoli ai giorni nostri, il saluto rituale però ne reca traccia ed è interessante far giungere ai propri allievi la mentalità "zanshin" che ha ispirato tali atteggiamenti. Essere sempre pronti, sempre sul pezzo è un principio che è ancora molto importante per i marzialisti, ieri come oggi... così per quelli che verranno in futuro.

Veniamo ora al saluto verso un compagno durante la pratica: all'inizio di ogni esercizio fatto insieme, la parola da pronunciare durante l'inchino è [お 願 い し ま す] "onegaishimasu", traducibile all'incirca con "per favore".

Si tratta di una richiesta di attenzione, cura ed impegno, quindi... che suona come "per favore, dai il meglio di te in ciò che stai per fare", sottintendendo che noi saremo disposti a fare altrettanto.

Nel saluto iniziale della lezione il Sensei dice "onegaishimasu" agli allievi nel senso di "date del vostro meglio durante questo allenamento, per favore"... mentre gli allievi rispondono "onegaishimasu" al Sensei nel senso di "insegnaci al meglio delle tua capacità, per favore".

Al termine di ogni esercizio invece le coppie si inchinano dicendo "arigatou gozaimasu", traducibile con "molte grazie".

Va detto che in giapponese esistono più livelli di formalità del linguaggio, che quindi cambia se ci si rivolge al proprio fratellino minore, ai propri genitori o all'imperatore in persona. E "grazie" è proprio un buon esempio di questa molteplicità di livelli...

 - se diciamo "grazie" al nostro fratellino/sorellina minore, sarà sufficiente accennare un "domo!", espressione meno formale possibile nel linguaggio;

- se diciamo "grazie" a chi consideriamo nostro pari come importanza, utilizzeremo "arigatou", ovvero un livello di formalità medio, maggiore del precedente;

- se diciamo "grazie" al nostro dare di lavoro, dovremmo utilizzare "arigatou gozaimasu", che è già ad un buon livello di formalità fra gli interlocutori;

- se diciamo "grazie" all'imperatore siamo costretti ad utilizzare "domo arigatou gozaimasu", che è il massimo dei livelli di rispetto e di formalità fra due interlocutori; in questo caso andrebbe tradotto con "molte molte grazie".

Per questa differenza di livello di formalità, potrebbe essere frequente che un Sensei si rivolga ai suoi allievi con "arigatou", cosa che richiederebbe loro di contraccambiare con "arigatou gozaimasu" (+1 livello di formalità reciproca)... oppure ove questi utilizzasse "arigatou gozaimasu", dovrebbe essere ricambiato con un "domo arigatou gozaimasu" (sempre +1 livello di formalità reciproca).

Al termine della lezione, nel saluto finale si usa appunto quest'ultimo livello di linguaggio, il più formale, ma lo si declina al passato, dicendo quindi "domo arigatou gozaimashita".

"Mashita" è il passato della forma "masu" e indica il fatto che stiamo ringraziando per un'azione che si è conclusa e che non è previsto si ripeta a breve. Per questa ragione, dovremmo utilizzarla solo alla FINE della lezione o solo con un compagno con il quale siamo certi che non lavoreremo più durante un determinato allenamento.

Si sente talvolta usata male, indiscriminatamente, forse solo un po' per ignoranza del suo significato... mentre sarebbe più corretto utilizzare la forma al presente.

Ora studiamo insieme le parti che costituiscono i saluti iniziale e finale veri e propri.

Si parte con 2 inchini verso il kamidana, (NI REI), ovvero l'altare shintoista nel quale la tradizione immagina risiedere la deità (kami) che patrocina e protegge la pratica. Ricordiamo che O' Sensei stesso è stato annoverato fra i kami a seguito della sua morte. Molti Aikidoka, infatti, fanno il saluto rivolti verso la sua immagine, anche se questa è un'interpretazione un po' occidentalizzata... in origine il saluto veniva fatto verso il kamidana o verso una calligrafia ("kakemono", ovvero "cosa appesa").

Ad esso seguono 2 battiti di mani (NI HAKUSYU) che hanno diversi significati: il primo può sembrare forse banale ed è quello di fare rumore e richiamare quindi così l'attenzione della divinità, il secondo è quello di far incontrare - in qualche modo - l'aspetto yin (femminile ricettivo), con quello yang (maschile attivo), in una sorta di integrazione di ogni aspetto duale ed opposto. Più correttamente questi aspetti dovrebbero essere resi in giapponese con le parole IN e YO, ma abbiamo utilizzato le loro controparti cinesi, perché sono più note al pubblico e forse rendono più l'idea.

In ultimo si esegue un ultimo inchino verso il kamidana (ICHI REI).

Questo è il costrutto di base sia per il saluto iniziale, che per quello finale... ma anche per molto altro: ad esempio è il rituale da compiere (stando in piedi) quando si visita qualsiasi tempio shintoista in Giappone, la gestualità non cambia affatto.

Ciò sta a significare come doveva essere pervasa di spiritualità la pratica nell'ottica del Fondatore che ha scelto di vivere il keiko come una sorta di "funzione religiosa", anziché come semplice allenamento sportivo.

A nessuno dovrebbe essere richiesto di diventare shintoista per poter fare Aikido, ma studiare e comprendere questo aspetto può far comprende quanto la pratica possa essere presa come qualcosa di serio, da rispettare ed onorare in ogni suo elemento... nonostante sia considerata dalla società odierna un mero sport.

Un'ultima nota: durante la cerimonia del kagami biraki (della quale vi abbiamo già parlato QUA ed anche QUI), i saluti mantengono la loro struttura di base, ma i battiti di mani diventano 4 anziché 2, per sottolinearne l'eccezionalità ed ufficialità.

Abbiamo preparato un tutorial video dedicato, nel quale si ripercorrono tutte gli elementi che abbiamo dettagliato in precedenza, eccolo...


Concludiamo questo articolo, facendo notare quanti elementi importanti e significativi siano contenuti in una tradizione che ci appare spesso lontana ed anche "ostile" proporzionalmente a quanto non c'è chi è in grado di spiegarcela e di facilitare "i perché" che essa veicola.

Attenzione quindi all'eccesso di semplificazione: tagliare sugli elementi della tradizione può essere talvolta utile per abbattere le barriere nei confronti del neofita, ma - al tempo stesso - introdurlo senza traumi nello studio della tradizione, motivandone le ragioni, crediamo che possa essere altrettanto fondamentale e di supporto al percorso di ciascuno.


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