lunedì 29 marzo 2021

Embodied dialogue: Aikido ed il movimento dell'inconscio

Secondo appuntamento con l'esplorazione di un terreno di frontiera per la maggior parte degli Aikidoka... anzi, una tematica che sta ben lontana dal modo comune di praticare Aikido.

Ma un'abitudine consolidata nel NOSTRO Aikido, quindi ve ne parliamo alla luce della nostra esperienza diretta.

Per proseguire, avete bisogno di sapere quanto abbiamo già detto sull'argomento (che trovate QUI) poiché non lo ripeteremo in questo Post.

Assodato che spesso il nostro inconscio si "aggroviglia", a causa di un tot di eventi emotivi vissuti, ma non altrettanto opportunamente metabolizzati ed integrati nella nostra coscienza... servono strumenti per andare a comprendere dove siano questi nodi e che - possibilmente - ci aiutino a scioglierli.

I nodi sono nell'inconscio, ovvero in uno zainetto che ci portiamo sulle spalle senza nemmeno avere la percezione di possederlo.

Se proviamo a chiedere alla nostra mente di riesumare l'immondizia che ciascuno ha seppellito sotto al proprio tappeto (una rimozione avvenuta per eccesso di sofferenza, di solito, non per scelta consapevole)... essa ce la può fare, se le diamo tempi e spazi congrui; questo è infatti esattamente cosa avviene nella psicoterapia.

Ma se chiediamo al corpo di farci vedere dove sono i blocchi emotivi nascosti nel nostro inconscio, lui ce li fa vedere in tempo reale, poiché nel suo movimento vengono specchiati sia il conscio, che l'inconscio.

Il corpo è quindi uno strumento potente per studiare la propria coscienza... forse il più potente che ci sia!

Esistono quindi modalità per utilizzare il proprio corpo come una sorta di scanner dell'inconscio: una di queste è appunto l'embodied dialogue, del quale vi parliamo oggi.

Di cosa si tratta?

"To embody" è un termine inglese/americano che si traduce con "incarnare / impersonare / incorporare", ma questa traduzione non rende veramente merito al termine originale, che sa più di "specchiare nel corpo" o "rendere manifesto attraverso il corpo".

Gli studi effettuati da alcune community di Aikidoka - come l'EAC di cui anche noi siamo membri - hanno portato ad utilizzare il movimento corporeo quale indagatore degli aspetti più profondi della coscienza, ad esempio i conflitti rimossi dal conscio di cui parlavamo poc'anzi.

Immaginatevi una coppia di praticanti eseguire tecniche continue (per semplificare diciamo senza scambiarsi i ruoli), in modo tranquillo, ma con un ritmo abbastanza serrato: non ci vorrà molto perché uke vada in uno stato di down energetico, carenza di ossigeno e stanchezza generalizzata, sia fisica, che mentale.

Supponiamo ora che durante questa pratica, tori faccia anche delle domande mirate al suo compagno... in quale cercherà di rispondere senza fermarsi: doppio stress... deve muoversi, cadere, rialzarsi e riattaccate, ma anche comprendere le domande e rispondervi in modo più naturale, spontaneo e diretto possibile.

Se le domande sono ben mirate (e ci sono regole precise da seguire perché ciò avvenga) e collegate le une alle altre - come una sorta di "interrogatorio", nel quale ogni risposta è utilizzata per creare e calibrare la domanda successiva - non è difficile raggiungere le aree di interesse che si intendono esplorare con l'esercizio: il dolore, la paura, la percezione del proprio sé, i limiti di sé percepiti, il proprio passato, le proprie ombre, i sogni rimasti nel cassetto... e così via.

A cosa mira questa pratica "chiacchierata" e senza cambio di ruoli?

A creare quello che per un computer sarebbe un crash per overflow di dati: mentre cadiamo, ci rialziamo e riattacchiamo, il nostro partner esamina parti del nostro coscio attraverso le domande che ci fa e le risposte che gli restituiamo... FINO A QUANDO...

... fino a quando il sistema non ce la fa più a tenere sotto controllo tutto ed inizia a far emergere anche l'INCONSCIO senza filtrarlo, ovvero si dicono cose non perché vi si è ragionato sopra, ma semplicemente perché viene naturale e spontaneo farlo: beh, quello il momento nel quale talvolta le nostre orecchie non riescono a credere a ciò che sentono uscire dalla propria bocca.

Si è più che coscienti, niente di ipnotico... solo che se si "sta al gioco", si perde il controllo e si consente al sistema di esprimersi senza filtri razionali, morali o culturali: questo è il momento in cui molto spesso emergono parte delle immondizie che avevamo inconsapevolmente nascosto sotto il nostro tappeto!

Da cosa ce ne accorgiamo?

Se non sappiamo rispondere alla domanda, pure il corpo si ferma... come la rotella/clessidra che gira quando chiediamo al nostro computer di fare troppe cose contemporaneamente.

Questo è il momento nel quale - infatti - il soma diventa esattamente lo specchi della psiche che lo muove!

Durante l'embodied dialogue - che va sapientemente guidato perché funzioni - emergono cose spesso grosse, che richiedono poi un tempo coerente in seguito per essere comprese e digerite... ma che in ogni caso risultano più proficue ad essere uscite rispetto che se fossero rimaste nella parte sommersa del nostro iceberg coscienziale.

Da noi sono successi embodied dialogues a seguito dei quali gli Aikidoka "sotto i ferri" hanno deciso di cambiare lavoro, hanno scoperto di avere inclinazioni per aree della vita mai esplorate in precedenza, si solo lasciati con il/la proprio/a partner, hanno scoperto di avere una personalità multipla (doppia, nella fattispecie), hanno scelto di dedicarsi a studi o esperienze che avrebbero sempre desiderato... hanno avuto cioè esperienze molto forti e direttamente impattanti sul proprio stile di vita, in ogni ambito (personale, lavorativo, relazionale, famigliare, etc) e determinanti quindi per il proprio futuro.

E in 1, 2, massimo 3 esercizi... non in 5 anni di psicanalisi settimanali. Capite la delicatezza da un lato e la portata dall'altro di un simile strumento?

Capite perché bisogna essere piuttosto preparati per sottoporvici o dirigerlo?

Capite che non si più arrivare a sondare la propria coscienza a certi livelli fino a quando saremo li a discutere se l'ikkyo più figo lo fa Saito, Tada o Tissier?

O se l'Aikido sia o meno efficace per difendersi quando il bullo tenta di ciularti il portafoglio?

NO: sta roba bisogna essersela lasciata tutta alle spalle... perché ora in ballo ci siamo NOI, ciò che pensiamo di essere e ciò che siamo disposti a scoprire e che è potenzialmente in grado di cambiarci/sconvolgerci la vita...

Per tutti questi motivi l'embodied dialogue NON lo possono fare tutti e non si può fare in ogni contesto, ma solo ove sia stato creato un setting adatto (come avviene in psicoterapia): non si possono fare esercizi simili perché non si sa cos'altro fare... o perché abbiamo finito di ripassare il nostro programma tecnico d'esame e restano 5 minuti liberi prima della fine della lezione!

NON si possono fare esercizi simili in un Dojo nel quale non sia stata creata un'atmosfera più che inclusiva e collaborativa fra gli individui presenti... poiché se "cose grosse" emergono, lo fanno in pubblico (ovvero le altre persone presenti), in mezzo però ad Aikidoka che devono avere scelto altrettanto di "mettere in piazza" la loro immondizia sotto il tappeto, e di accettare di vedere quella degli altri.

Se ci rapportiamo bene con un/una compagno/a per anni nello spogliatoio, come ci comporteremmo con lui/lei quando dovesse emergere un aspetto della sua realtà più intima che nemmeno lui/lei sapeva di avere?

Cosa accadrebbe se questo "aspetto nuovo" dovesse confliggere con il nostro sistema di credenze?

Il/la nostro/a caro/a amico/a si potrebbe trasformare in qualcuno da evitare come la peste?

Sono aspetti che è meglio considerare PRIMA si tuffarsi nella tana del Bianconiglio, perché poi NON si torna più INDIETRO!

Per queste ed altre ragioni, è importante sapere che esistono determinate pratiche - impensate all'epoca di O' Sensei - che hanno una potenzialità spettacolare, ma che non è bene prendere tanto alla leggera, o frequentarle per banale curiosità... così come si prova una tecnica nuova e mai vista.

Possono lasciare il segno e farlo in modo indelebile, quindi è bene accostarvicisi con un certo grado di responsabilità e maturità.

Cosa centra questo argomento con quello che abbiamo già trattato (Aikido e blocchi energetici)?

Semplice: i conflitti emotivi irrisolti - come abbiamo visto - sono la causa principale dei blocchi energetici e quindi delle SOMATIZZAZIONI, ovvero di quello che comunemente chiamiamo "malattie", ma che più correttamente dovremmo indicare come "segnali della coscienza che c'è qualcosa che non va dentro di noi"... che "urge un cambiamento da fare".

Se noi - tramite un esercizio come l'embodied dialogue - permettiamo a questi conflitti irrisolti di riemergere dall'inconscio (e spesso non è piacevole li per li quando accade, perché siamo costretti a rivivere il trauma che avevamo seppellito), non c'è più alcuna ragione di blocco energetico (generato da ciò che non veniva espresso, ma al quale ora diamo una possibilità di manifestarsi)... e quindi di somatizzazione.

In altre parole, detto in modo babbano, non c'è più motivo di ammalarsi o si guarisce dal problema - anche fisico - che ci tormentava.

Facile?
Semplice diremmo forse meglio... molto essenziale, ma non del tutto banale.

Queste sono tematiche di frontiera: che stimolano ed ispirano alcune persone e fanno chiudere e ritrarre altre... com'è ovvio che accada. Ci sembra giusto però esplorarle comunque insieme, perché questo è il mandato di Aikime; ovviamente non è possibile mostrarvi alcun video di questo esercizio per ovvie ragioni di privacy rispetto alle persone ed ai contenuti che emergono facendolo.

Immaginate però qualcosa che va dall'Aiki-seduta di psicoterapia, alla trance indotta della Tarantella o dalle danze Sufi dei Dervisci, ad una sorta di "esorcismo tecnologico". Niente menate alla Wanna Marchi però: ha tutto una dinamica molto chiara e - se vogliamo - "razionale", che però va studiata ed approfondita nelle dovute sedi PRIMA di mettersi a fare pasticci con se stessi e con gli altri.

Gli ingredienti indispensabili sono:

- avere una preparazione tecnica (Aikidoistica) molto chiara e solida;

- avere studiato ed appreso le basi della medicina allopatica e della fisioterapia;

- avere studiato ed appreso le basi di PNL e del linguaggio del corpo;

- avere studiato, appreso le basi di alcune forme di psicoterapia (l'Analisi Transazionale, la Gestalt e la Psicosisntesi al momento sembrano essersi rivelate le migliori);

- avere studiato ed appreso le basi della medicina tradizionale cinese ed indiana (Ayurveda);

- avere sviluppato alcuni elementi di bodywork libero (come avviene nel Contact Improvvisation);

- avere rudimenti sulle principali tradizioni spirituali secolari, che si sono contestualizzate nelle varie culture.

Per ciascuno di questi studi NON intendiamo essere sufficiente leggere la corrispondente pagina di Wikipedia, ma avere approfondito l'argomento su testi specifici e nelle sedi opportune con formatori/docenti qualificati nelle singole discipline menzionate.

Si può fare tutto quindi, ma un certo BAGAGLIO - questa volta consapevole e non inconscio - ci deve essere se desideriamo approcciare determinate tematiche, che in futuro prevediamo diventino il pane quotidiano di discipline anche molto differenti dalla nostra, ma che potranno attingere agli studi fatti in materia proprio dall'Aikido.

Da scoprire rimane ovviamente ancora molto... ma ci sono strumenti ottimi già noti che ancora i più non conoscono, proprio perché si tratta di strade ancora poco battute e che richiedono un impegno che non molti sono disposti a mettere in gioco.

Questo il nostro umile contributo a renderle qualcosa di maggiormente comprensibile ed esplorabile.



lunedì 22 marzo 2021

Aikido e blocchi energetici

Ogni essere umano è un sistema completo e complesso... ci risulta piuttosto congeniale definire bene la nostra componente fisica e riuscire a descriverla pure con una certa dovizia di particolari: la medicina è in grado di fare molto per il nostro corpo, immaginandolo un po' come una sorta di "macchina biologica" estremamente evoluta, raffinata e complessa.

Anche a livello fisico però non tutto è chiaro e, man mano che la scienza evolve... sono più le nuove domande che ci poniamo... rispetto alle risposte che siamo in grado di dare a quelle del passato.

Ma non siamo solo "corpo", questo è altrettanto più che evidente: siamo piuttosto entità spirituali che abitano (molto temporaneamente) un contenitore fisico; questo non lo può provare la scienza giacché per essa esiste solo ciò che è misurabile e visto che lo spirito non è facilmente esprimibile in centimetri, secondi o joule... non è agevole esprimersi su di esso.

Però è la nostra natura più autentica, e non serve avere una credenza religiosa per concordare con noi: nella spiritualità, a differenza della fede, non c'è alcun dogma da sposare o credere... ma ogni cosa può (ed anzi deve) essere sperimentale in prima persona, grazie quindi ad un'esperienza diretta.

E questa "natura più intima" si manifesta in modo semplice attraverso la nostra coscienza: definiamo quindi quest'ultima come la consapevolezza di esserci.

Ora... la nostra coscienza, mentre fa esperienza nel mondo, talvolta ne gioisce, altre ne soffre... altre ancora giudica che ciò che sta esperendo sia un po "troppo" per lei, e chiude nel proprio inconscio gli avvenimenti che non sono semplici da "digerire": paure, lutti, abbandoni, sofferenze profonde, etc.

Questi avvenimenti "temporaneamente rimossi" vanno a creare una sorta di matassa di emozioni inespresse, che rappresentano i conflitti psicologici messi in attesa di essere presi in carico, compresi e risolti.

Non esiste essere umano immune da questa dinamica, l'unica differenza è appunto la consapevolezza dei propri possibili lati in ombra ed immondizie nascoste sotto il tappeto... o meno.

Ve ne parliamo quest'oggi perché è possibile che la pratica dell'Aikido si venga - incidentalmente o consapevolmente - a connettere a questo argomento: ogni conflitto psicologico, infatti, ha la possibilità di somatizzarsi in un organo bersaglio e lo sanno bene sia la medicina tradizionale indiana, che quella cinese... che studiano queste interconnessioni da millenni.

In una visione olistica, quindi, il corpo NON risulta una semplice macchina biologica raffinata e complessa, ma una sorta di manifestazione/somatizzazione di ciò che accade alla coscienza... ovvero all'entità spirituale che abita il corpo. Sotto questo punto di vista, quindi, tutte le malattie sono psicosomatiche.

Un conflitto di abbandono colpisce il meridiano dei polmoni, così come un evento legato alla rabbia tocca quello della cistifellea, un evento "non digerito" tende a manifestarsi lungo il meridiano dello stomaco o della milza nel caso nel quale questo evento sia repentino ed inaspettato...  la paura di amare o di non essere amati colpisce il meridiano del cuore, così come l'eccesso di critica (subita o agita) si fa sentire in quello dell'intestino crasso e l'incapacità di prendere una decisione tocca l'energia dell'intestino tenue.

Questi ovviamente sono solo alcuni semplici esempi di somatizzazione: in realtà le combinazioni possibili sono molteplici e non sempre così facili da scindere l'una dall'altra, proprio perché la nostra coscienza manda nell'inconscio un sacco di materiale del quale non è riuscita a farsene granché.

Praticando Aikido con il proprio corpo, e facendolo in modo oculato, è però possibile stimolare fisicamente i meridiani e gli organi bersaglio di queste somatizzazioni, ottenendo un'immediata possibilità di rivivere il conflitto psicologico che era stato "messo in magazzino" a suo tempo... ciò porta rivivere l'emozione rimossa in modo repentino e manifesto.

Poco importa se il conflitto è stato vissuto quando avevamo 5 anni ed ora ne abbiamo 40: la stimolazione oculata dell'ancora emotiva, riporta l'emozione nel presente: ciò che non si era vissuto allora, viene perciò esperito nel qui ed ora, solo che la consapevolezza maturata nel mentre aiuta a vivere questa emozione (perlopiù dolorosa, altrimenti non sarebbe stata nascosta sotto il tappeto) in modo positivo, utile ed integrante.

Ci permette di fare quel "click" che non siamo stati capaci di fare un tempo... e vivere più serenamente quindi ogni conflitto simile che dovessimo in futuro incontrare sul nostro percorso.

Perché ci sono persone che hanno paura di cadere e questa paura fa mancare loro il respiro?

Perché, archetipicamente la caduta richiede usa separazione dal partner con il quale stiamo praticando... e questa emozioni blocca i polmoni, che risultano l'organo/meridiano bersaglio della rimozione. Avere esercizi specifici per imparare le ukemi in sicurezza diventa quindi - ad esempio - molto importante per superare questo "dramma".

Assistiamo allora a persone alle quali mentre cadono e si allontanano dal proprio tori viene da piangere, perché? Perché rivivono (inconsapevolmente ed in modo figurato) un dramma di separazione che era rimasto inespresso nel loro vissuto personale passato.

Ci sono persone che dopo una proiezione si sentono emotivamente rinate a causa della sensazione di libertà di potersi "staccare" da una situazione che li ha oppressi per molto tempo: non quella della tecnica che stanno vivendo, ma qualcosa che la loro coscienza SPECCHIA nell'azione che stanno vivendo.

E sono possibili manifestazioni emotive anche parecchio evidenti: gioia, rabbia, paura, pianto (sia di felicità che di tristezza) che accadono spontaneamente, senza che qualcosa sembri averle provocate. Magari ci sono 20 allievi sul tatami, fanno tutti la stessa cosa... ma ad uno di essi accade questa manifestazione improvvisa di emotività.

Era quello la cui coscienza è riuscita ad esprimere un conflitto spiscologico pregresso ancorandolo e facendolo risvegliare dall'azione fisica che il corpo sta compiendo: queste manifestazioni di emotività improvvisa sono da accompagnare, non da sedare, ovviamente.

Piangere in pubblico non è qualcosa di universalmente accettato, ma se l'ambiente lo consente (e sopratutto se il Sensei è preparato) è possibile ottenere ciò che in analisi psicologica richiede mesi (forse anni) di terapia con un movimento, in una lezione a caso delle tante che frequentiamo.

É una sorta di allineamento fra ciò che dentro necessita di essere ri-vissuto e quello che accade fuori di noi, dove la coscienza si specchia in continuo.

Questa è una delle ragioni per le quali l'atmosfera di un Dojo deve essere particolarmente collaborativa e di mutuo supporto fra tutti i membri: ciascuno lo frequenta per conoscere meglio se stesso... anche quelle parti di sé che possono fare capolino improvvisamente, potentemente richiamate dalla fisicità che stiamo attuando ed esprimendo.

Questa è una delle ragioni per le quali in katageiko (ovvero l'esecuzione di forme preordinate) è fondamentale ma NON può essere il piatto unico dell'Aikido: nell'apprendimento tecnico si coordina il nostro sistema psico-corporeo (ovvero si consente sempre meglio allo spirito di interfacciasri in modo integrato con il contenitore che utilizza), ma queste pratiche sono generalmente ben poco espressive.

Accade, come accade nei massaggi shiatsu ad esempio, che manipolando inconsapevolmente un meridiano (es: shihonage - meridiano dei polmoni) uke abbia una sorta di ri-vivificazione di un conflitto che si era rintanato nel suo inconscio... si, questo accade: da noi è accaduto un paio di settimane fa durante una lezione on-line, addirittura.

Però accade ancora più di frequente che questo processo di "spacchettamento" possa essere reso volontario e consapevole tramite il jiyu waza e l'embodiment: nel nostro Dojo da anni pratichiamo alla fine di ogni lezione in un'atmosfera espressiva in grado di lavorare più sul nostro inconscio che sulla parte razionale di ciascuno dei presenti.

Il risultato?

C'è meno immondizia sotto il tappeto di chiunque entri nel Dojo e, così facendo, anche le relazioni all'interno di esso risultano più autentiche e prolifiche.

Questo aspetto sottile dell'Aikido ESULA dal suo aspetto tradizionale/marziale: nel frattempo fortunatamente l'evoluzione è continuata ed abbiamo più informazioni di quelle delle quali disponeva O' Sensei, quindi anche la possibilità di includere dinamiche personali anche profonde nella pratica.

L'individuo messo sotto stress (fisicamente, emotivamente, mentalmente, psicologicamente) tende in ogni caso a sbattere contro a quelli che percepisce essere i suoi limiti (o ha creduto fossero i suoi limiti) e quindi a scatenare una sorta di "rivoluzione interiore", che lo spinge ad allontanarsi dalla pratica o a fare "click" grazie ad essa...

La novità ora è che siamo in grado di essere più precisi nella mappa dei conflitti psicologici che ciascuno ha la possibilità di affrontare ed addirittura facilitarne alcuni piuttosto che altri tramite esercizi specifici. Ovvio che bisogna STUDIARE e STUDIARE un sacco per fare questo genere di cose senza andare a tentoni nel buio... e non ci si può arenare ad un mero livello tecnico (che è e rimarrà comunque importantissimo, lo ripetiamo a scanso di equivoci!).

I Sensei in grado di lavorare a questo livello di consapevolezza non sono attualmente molti, ma esistono: non serve che siano psicologi, né medici... ma devono maneggiare piuttosto bene i principi della medicina integrata (corpo-mente-spirito, allopatia, medicina tradizionale cinese e ayurveda), oltre che devono avere una certa padronanza dei principi contenuti nelle tecniche dell'Aikido per rendere queste ultime strumenti potenti di lavoro interpersonale.

Non è questo un argomento per nuovi "Guru", ma per ricercatori che hanno il coraggio di condividere con gli altri ciò che hanno ampiamente sperimentato su se stessi.

Quindi... vuoi liberarti da quell'evento inaspettato che non sei stato in grado di accettare del tuo passato?

Pratica suwari waza, poiché sia il meridiano dello stomaco che quello della vescica biliare passano appunto dalle ginocchia: sarà più facile quindi tornare a far fluire il ki nell'indirizzo corporeo nel quale esso è rimasto bloccato.

Credi che sia tutta una buffonata?

Nessuno è obbligato ad evolvere, continua così se è quello che ti sembra più consono credere.





lunedì 15 marzo 2021

Nagare gaeshi ni hon: come muovere il jo con fluidità

Eccoci giunti all'ultima tappa del viaggio di esplorazione dei suburi di jo: esaminiamo quest'oggi la serie più corta di tutte, composta da soli 2 esercizi e chiamata "nagare gaeshi ni hon".

Abbiamo già preso familiarità con il fatto che ciascuna serie è stata coniata per farci impratichire su un aspetto specifico, nella fattispecie (lo ripetiamo per i distratti):

- tsuki go hon = serie di 5 colpi di punta;

- uchikomi go hon = serie di 5 fendenti

- katate san bon = serie di 3 esercizi che vengono eseguiti principalmente con una sola mano;

- hasso gaeshi go hon = serie di 5 parate che permettono una risposta sequenziale veloce...

E i "nagare gaeshi" a cosa servono"?

La traduzione di questi termini è "risposte fluide", quindi la loro utilità è proprio quella di raccordare alcuni insiemi di movimenti in modo fluido, armonico: fino a questo punto, infatti, ci siamo dati da fare per esplorare alcune possibilità di movimento, di cambio di guardia, di modalità di attacco e parata... ma senza fare menzione della necessità o meno di eseguire questi esercizi con una certa fluidità.

Nella base viene solitamente raccomandato di andare piano ed eseguire forme precise, quindi di per sé eseguire i suburi da 1 a 18 con calma e sottolineando bene ogni passaggio può essere considerata quasi una delle virtù della loro pratica, anche se i movimenti risultano un po' da robottini, un po' spigolosi cioè.

Ora con l'ultima serie ci viene chiesto di cambiare anche questa prospettiva e di eseguire movimenti in entrambe le direzioni in modo essenzialmente più fluido e continuo, tanto che questa continuità diventa proprio il focus maggiore di questi esercizi.

Vediamoli quindi uno per uno nei soliti tutorial video dedicati.

Suburi nº 19: hidari nagare gaeshi uchi - "risposta fluida a sinistra con un fendente"


L'esercizio parte esattamente con il suburi nº 6, ovvero shomen uchikomi, già esaminato insieme a suo tempo... al quale però si innesta una rotazione che fa cambiare di 180º direzione al praticante e gli consente di attaccare con un ulteriore fendente nella direzione opposta alla prima.

NB: il suburi contiene il termine "hidari" (sinistra), poiché questa rotazione avviene verso la propria sinistra (ovvero in senso antiorario se vista da una telecamera idealmente posta sopra la testa del praticante).

Durante questa rotazione completa il movimento del jo funge da possibile scudo contro un attacco che giunge alle proprie spalle: è questa la particolarità di questo modo di maneggiare l'arma.


Suburi nº 20: migi nagare gaeshi tsuki - "risposta fluida a destra con un colpo di punta"


L'esercizio parte esattamente con un movimento identico alla prima parte del suburi nº 10,
ovvero gyaku yokomen ushiro tsuki, anch'esso già esaminato insieme a suo tempo... ma prosegue con una rotazione di 180º che consente al praticante di portare un colpo di punta nella direzione opposta alla prima.

NB: il suburi contiene il termine "migi" (destra), poiché questa rotazione avviene verso la propria destra (ovvero in senso orario se vista da una telecamera idealmente posta sopra la testa del praticante).

Anche in questo caso, durante questa rotazione completa il movimento del jo funge da possibile scudo contro un attacco che giunge alle proprie spalle: è questa la particolarità di questo modo di maneggiare l'arma.

Vediamo ora nel complesso questa breve serie prima di trarre alcune considerazioni insieme...


Una delle cose che ci auguriamo possa essere saltata all'occhio dei praticanti è che questi due esercizi richiedono una certa capacità di riprodurre degli schemi motori specifici, perciò anche nel tutorial essi sono stati mostrati PRIMA di presentare i corrispondenti movimenti fluidi.

Un po' come dire che prima di scrivere fluidamente in corsivo, di solito, si impara a scrivere in stampatello... anche se esso risulta più spigoloso ed impersonale: essendo tuttavia il fine ultimo di questa serie propizio la fluidità, ci pare molto importante che alla fluidità ci si possa arrivare, in qualche modo.

Spesso invece accade che nella metodicità di fare "sempre piano e bene" nell'Iwama Ryu pure questi due ultimi esercizi vengano insegnati quasi SOLO nella loro forma spigolosa, "pinocchietta" e perciò ben poco fluida: NO... questi VANNO FATTI FLUIDI a qualsiasi livello, poiché l'esercitare la fluidità è il loro scopo d'origine.

Ovvio che uno yudansha
(dalla cintura nera in su) li farà belli, FLUIDI, veloci e potenti, un mudansha (principiante) li eseguirà male, FLUIDI ed imprecisi... ma sempre FLUIDI andranno eseguiti!

Secondo aspetto: questa volta più una curiosità legata ad uno studio che abbiamo fatto noi al Dojo...

Ci siamo ovviamente chiesti più e più volte COME MAI Saito Sensei abbia codificato il buki waza (le tecniche con le armi) in questo modo e non in un altro: vedeva fare delle cose ad O' Sensei e il suo meritevole lavoro è stata una sorta di "catalogazione" del bagaglio tecnico che veniva allenato ogni giorno in Iwama.

Non dimentichiamoci infatti che suburi di ken, di jo e kata sono cosiddetti "Kaiso jikiden", ovvero "trasmessi direttamente dal Fondatore a Morihiro Saito Shihan... ma NON trasmessi nel senso che Morihei Ueshiba si fosse messo li a dire quale fosse e come si chiamasse l'esercizio nº12 o perché un movimento fosse fatto in un certo modo.

Non è nella cultura giapponese un simile atteggiamento: al solito i nomi sono giunti DOPO... al limite Saito Shihan si è limitato a far approvare al suo Maestro gli esercizi che egli riteneva più caratteristici del lavoro con la spada e con il bastone che vedeva eseguire a questi.
A nonno Morihei pare evidente che importasse ben poco delle codifiche!

Quindi si sono scelti CERTI movimenti e non ALTRI poiché essi rappresentavano - in qualche modo - l'essenza del lavoro: ovvio quindi che la scelta non crediamo sia ricaduta su movimenti a caso o in ordine qualsiasi.
Però questo lavoro ci deve avere messo un attimo ad essere reso sistemico ed organizzato.

Perché diciamo questo?

Perché da tutte altre fonti (extra-Aikido) sappiamo bene che le cose essenziali di questo universo tendono a stare su precise leggi matematiche: una fra tutte la legge dell'operatore hermitiano lineare, la cui espressioni più semplice è:

Y = 3X + 1

X = 1
Y = 4 abbiamo, ad esempio, il numero delle dimensioni delle realtà (3 spaziali + 1 temporale), dei punti cardinali;

X = 2
Y = 7
ovvero il numero delle note musicali, dei giorni della settimana, dei colori dell'arcobaleno,  dei metalli simbolici del percorso di trasmutazione alchemica, dei chakra principali... dei 7 nani... e dei SUBURI DI KEN...

X = 3
Y = 10 cioè il sistema di numerazione esadecimale, e i KUMI JO...

X = 4
Y = 13 numero che in alcuni parti del mondo indica fortuna, in altre malasorte... ma che corrisponde pure ad uno dei 2 kata di jo dell'Aikido, 13 NO JO KATA appunto;

X = 5
Y = 16 troviamo il programma tecnico di base più diffuso nella maggioranza delle scuole di Aikido (ikkyo, nikyo, sankyo, yonkyo, gokyo, kotegaeshi, shiho nage, irimi nage, kaiten nage, juji nage, tenchi nage, koshi nage, kokyu nage, tanken dori, tachi dori, jo dori);

E così via fino a

X = 10
Y = 31 ovvero il numero dei movimenti dell'altro kata universalmente studiato con il jo, 31 NO JO KATA

Però di 20 - ovvero del numero dei suburi di jo - non vi è traccia in questa sequenza!
Il gioco ci ha funzionato un bel po' fino ad ora... ma ora sembra fare le sue ingombranti eccezioni..

Spunta però un filmato, datato 1964 che abbiamo già osservato insieme in passato... che al minuto 7:22 mostra una cosa alquanto strana: si vede Morihiro Saito Sensei nel giardino antistante il Dojo di Iwama eseguire alcuni proto-movimenti di jo che sarebbero poi venuti a formare i suburi ed i kata come li conosciamo noi oggi (per approfondire guarda anche QUI).

O' Sensei
era vivo e vegeto, in piena attività... e facilmente a poche decine di metri rispetto a dove questo filmato venne girato da Robert Nadeau Sensei!

BENE: si vede una sequenza nella quale gli ultimi 2 suburi vengono eseguiti l'uno di seguito all'altro; questa pratica era qualcosa che è rimasta come eco nella storia della disciplina... in diversi seminar di Aikido ci ricordiamo di aver praticato questi due esercizi in sequenza, senza cioè soluzione di continuità fra loro. E questa è una cosa che è successa SOLO con questi 2 suburi, non con altri.




E quindi?

E quindi se li contiamo come un unico esercizio il numero totale dei suburi scendono a 19, ovvero proprio il numero che si ottiene per...

X = 6
Y = 19!

Toh, ma guarda un po'!? I conti in questo modo ci tornerebbero... Che inizialmente fossero stati pensati in un unico movimento/suburi, che poi è risultato troppo complesso da trasmettere e quindi scisso in 2 sotto esercizi a favore di chi li avrebbe dovuti apprendere?

Non lo sapremo forse mai... ma ci suona bene che sia stata l'essenzialità archetipica a guidare Saito Sensei nello scegliere cosa fosse veramente essenziale congelare nella forma e cosa no...

Ovviamente l'archetipia è SOLO un'ipotesi di lavoro
: non è infatti detto che sia stata determinate nel lavoro di codifica dell'Aikido... certo però che "Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova".

Detto questo... la cosa più importante è impratichirsi di questi (20) esercizi di base con il jo per poter incominciare a dedicarsi a pratiche di coppia più complesse (e pure forse più divertenti?): ma questo lavoro va fatto perché genera una base solida che poi sosterrà un lavoro molto più sottile basato sulla percezione e sul timing di un duello.

Allora forza: tutti a studiare i suburi di jo... questa è la RETTA VIA!





lunedì 8 marzo 2021

L'Aikido è femmina

In giapponese non esistono le declinazioni maschile e femminile dei nomi ed aggettivi: quindi "Aikido" è ufficialmente una parola transgender (come tutte le altre della lingua nipponica): oggi però non potevo fare a meno di utilizzare l'8 marzo per lanciare un messaggio forte e nitido da queste pagine.

Aikime è attivo da un tot di anni, ma dobbiamo risalire al 15 marzo 2008 (13 anni fa!) per trovare un articolo interamente dedicato alla declinazione della nostra disciplina al femminile (eccolo QUI).

Nel frattempo di tecniche ne sono passate sui nostri tatami e pure me per me una certa maturazione in merito ad alcuni principi ha avuto il suo tempo per avvenire in modo spontaneo.

Sono quindi pronto oggi ad affermare che l'Aikido è FEMMINA, e non lo faccio per uno scontato omaggio alle nostre guerriere del Dojo o per una voglia di cavalcare la "Via della Mimosa"... quanto perché mi sono proprio reso conto che è così, ed è forse uno degli aspetti ancora meno compresi nella nostra disciplina.

Le arti marziali, ovvero il luogo dal quale anche l'Aikido trae la sua origine storica, erano pensate per contesti piuttosto maciosi: ferire per primi, ferire velocemente, ferire a morte.

Qualcosa iniziò a cambiare quando ci si rese conto che era possibile fare tutto ciò minimizzando lo sforzo e massimizzando la resa: in quest'ottica, la forza fisica iniziò a non essere più il fulcro intorno al quale tutto girava.

Nacquero il ju jutsu, il ju tai jutsu, il judo... tutte le vie della cedevolezza, ma l'Aikido non c'era ancora.

Il fine era ancora quello di "usare la cinetica dell'aggressore a proprio vantaggio": non più in modo grezzo forse, ma in modo immutatamente spietato di sicuro.

Poi venne un ometto giapponese che trasse la propria formazione proprio da questo contesto storico: il Daito Ryu Aiki Ju Jutsu ne è un degnissimo rappresentante, questa persona si chiamava Morihei Ueshiba.

Egli fece qualcosa in più che applicare ciò che aveva appreso: iniziò a rivisitarlo sotto un'ottica nuova, forse più introversa e personale. Iniziò ad affermare che ferire il prossimo significava ferire se stessi, che la forza necessaria per eseguire le tecniche era quella necessaria per tenere in mano una mela... che il proprio avversario era qualcuno da trattare con la delicatezza che avremmo riservato ad un neonato.

Un pazzo forse, ma anche un grande avanguardista: per la prima volta, qualcosa di MATERNO nello spirito della disciplina stava facendosi spazio: l'avversario era parte di noi, era nostro fratello, era nostro figlio... il conflitto diventava una FAMIGLIA.

E tutti sappiamo che dietro una famiglia che funziona c'è sempre una grande donna: non per discriminare noi maschietti (non è una questione di genere sessuale, infatti), solo che ci sono proprio cose legate all'archetipo dello YIN prima che a quello dello YANG; non ammetterlo sarebbe idiota.

L'Aikido da allora è divenuto l'arte dell'empatizzare con cloro che vorrebbero farci del male, anziché combatterli... l'auto-disciplina di cercare cosa non va in noi stessi, prima di farlo nel prossimo... l'occasione di fare di un conflitto una sorta di parto di consapevolezza per chiunque ne sia coinvolto.

E nel parto si soffre, molto; non lo sapevo ma esiste un unità di misura del dolore, e sembrerebbe che il dolore del travaglio sia il peggior dolore esista. Il corpo umano può sopportare solo 45 unità di dolore, ma al momento del parto una donna supporta fino a 57 unità di dolore: questo equivale a 20 ossa rotte contemporaneamente, giusto perché noi maschietti ci si possa fare un'idea approssimativa.

Anche in Aikido il cambiamento di paradigma fa soffrire: smetterla di prendercela con il prossimo per quanto è _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ (metteteci voi le peggio parolacce che vi vengono in mente) ed incominciare ad indagare su quanto egli ci sembri così perché NON conosciamo a dovere NOI STESSI è un parto parecchio doloroso, perché richiede di fare il funerale a chi pensavamo di essere e andare ad allattare chi non siamo ancora, augurandoci che questa potenzialità possa crescere.

È la richiesta di chi si dona completamente ad una causa, la sposa e resta con essa fino a quando è necessario: un modo naturale di chiamare questa propensione dalle nostre parti è "DONNA".

Tutte quelle che lottano per la parità dei diritti mi sembrano sempre che si svalutino un po': le donne non sono pari agli uomini; archetipicamente sono qualcosa di immensamente più profondo. Diciamo che entrambi i sessi sono fondamentali per la vita, quindi non c'è uno più importante di un altro... solo che è come se l'uno fosse importante per il 70% e l'altro per il 30%.

E in Aikido è proprio questo 70% che vengono ad apprendere quelli che pensano di essere forti perché sono capaci di dare il 30% del contributo!

I tatami sono meno frequentati da donne, rispetto agli uomini... è vero, ma c'è un motivo!

Alle donne non servirebbe un ambiente spesso non ancora pronto ad accoglierle e che non potrebbe arricchirle di un granché: diverso è per gli uomini, in DISPERATA ricerca dentro di loro di quel femminile che non conoscono, non hanno imparato ad apprezzare ed al quale non sanno attribuire il congruo valore.

Solo che gli uomini fra di loro fanno casino e sembra che l'introspezione del Fondatore NON sia esattamente la cosa che riesce loro più facile: l'introspezione infatti è archetipicamente YIN, femminile...

Serve a maschi e femmine, ma solo andando alla ricerca dello YIN che c'è dentro un maschio... che egli si potrà chiamare UOMO.

Altrettanto vero che solo andando alla ricerca dello YANG che c'è dentro ad una femmina, che essa si potrà chiamare DONNA: però loro hanno già mediamente avuto il coraggio di fare questo passaggio... noi maschietti un po' di meno!

Così molti Dojo sono ancora luoghi maciosi e militareschi, nei quali l'eco delle parole del Fondatore suonano più come il delirio di un vecchio demente, piuttosto che uno sprono alla ricerca di ciò che ancora manca.

È per questo che affermo con vigore (da "vir", "uomo/maschio") che l'Aikido è FEMMINA!!!

Ad un principiante sconsiglierei di iscriversi in un corso che non abbia una buon equilibrio fra maschi e femmine sul tatami: questa promiscuità è fondamentale perché tutti possano fare la ricerca di cui sopra, supportati da persone del sesso opposto.

Luoghi esclusivamente maschili sono pre-Aikido, dal mio punto di vista... che va benissimo, ma dai quali sarebbe sciocco pretendere di avere la possibilità di effettuare una certa ricerca personale.

Dojo di Aikido esclusivamente maschili o nei quali si respira l'aria di un certo macismo, nei quali il valore aggiunto sembra essere "quanto forte si riesce a tirare una tecnica" sono luoghi che credono di fare Aikido, ma sono rimasti impantanati in qualcosa che non lo è (ancora).

Capite bene che queste NON sono considerazioni da 8 marzo, ma da ogni giorno della settimana, del mese e dell'anno.

Le nostre compagne di pratica vanno ringraziate, perché ci insegnano a non stringere troppo forte un polso quando non serve... perché sono maestre di cosa significa mettere intenzione in una presa muscolarmente non forte, ma che non molla manco a morire!

Le nostre compagne di pratica sono maestre nell'arte di fare ukemi, perché l'accettazione e l'accoglienza sono nel loro DNA... stupidi saremmo a non riconoscerlo ed approfittare del loro illuminate esempio.

Le donne sono muscolarmente più deboli, ma fisicamente molto più forti e tenaci dei loro compagni: hanno una capacità di focalizzazione, di dedizione, di costanza, di senso di abnegazione, di sopportazione del dolore e dello stress... che la maggioranza dei maschietti non si sognano neppure.

Il femminile è storicamente discriminato, è vero... ma perché ne si teme l'essenza e l'enorme potenzialità!

Ma il femminile è anche paziente e quindi così nobile da non volersi autodeterminate a discapito della sua metà opposta e polare, al contrario di quest'ultima purtroppo.

L'Aikido è una grande opportunità di riscoprire l'immenso valore di questo YIN che sarebbe così utile a quella parte di mondo convinta di sapere come si fanno le cose e oltretutto incapace di percepire come si stia sbagliando.

"Percepire"... si esatto: lo YIN è PERCEZIONE; lo YANG è più legato all'AZIONE: ma cos'è l'azione se non risulta guidata dalla percezione?

Se il maschile è la pallottola, quella che fa rumore, quella che fa il buco... il femminile è il mirino: difficile fare segno senza passare dall'onorare questo piccolo ed apparentemente poco importante insieme di lenti... vero?

L'Aikido è FEMMINA e lo dico senza timore di offendere gli uomini, che lo sanno bene... ma al massimo consapevole della disapprovazione dei maschi, che pur di non ammettere di essere la fetta piccola della torta della consapevolezza, si inventano dolci triangolari anziché circolari.

Marco Rubatto