lunedì 21 ottobre 2024

Quanto è importante la teoria in Aikido?

Sembrerebbe che la pratica fisica sia la componente essenziale dell'Aikido, ma siamo sicuri che sia proprio così?

É importante costruirsi alcune basi "teoriche" nel tempo, sulle quali riflettere e con le quali influenzare la nostra pratica fisica?
Ed in che misura?

Quest'oggi proviamo a riflettere su queste domande, poiché risultano tutt'altro che scontate... ed alcuni potrebbero sorprendersi di quanto non lo siano per nulla!

Di sicuro il lavoro che facciamo con il corpo è determinante, poiché esso si dimostra essere lo strumento più umile e coerente con il quale avanziamo sul nostro DO... però non dovrebbe risultare strano che possa essere richiesto anche una certa dose di studio intellettivo, da affiancare al movimento fisico.

Ci sono alcune discipline - fra esse prendo ad esempio la meditazione - nella quale è piuttosto comune il mantra "teoria e pratica vanno insieme": con questa frase si intende che il lavoro intellettuale è necessario per approfondire alcuni aspetti sottili e comprendere come avvengono determinati processi interiori.

D'altro canto, però, non sarebbe corretto trasformare o limitare un'attività esperienziale in una mera speculazione filosofica: è necessario "mettere in pratica", ovvero "vivificare con l'esperienza"... soprattutto quella fisica.

Sotto questo punto di vista la mente ed il corpo possono (dovrebbero!) trovare una forma di equilibrio, nel quale la mente fa ciò che è capace di fare meglio (indagare con l'intelletto), ed il corpo altrettanto (praticando zazen o le forme di meditazione attiva che si è scelta).

Talvolta l'Aikido è stato definito "meditazione in movimento", ma al di là di concordare o meno con questa etichetta... sappiamo per certo che anche nella nostra disciplina è necessario coordinare ed integrare l'aspetto mentale con quello fisico e corporeo.

O' Sensei (ed anche parecchi Maestri della tradizione marziale) era un avido lettore e ricercatore, in campo religioso e spirituale, ma anche filosofico e letterario: in una parola, era un uomo colto... non nel senso di "persona che ha fatto studi universitari", quanto di individuo che amava esplorare e conoscere diversi ambiti dell'esistenza.

E con questa "cultura" ci ha imbibito la sua pratica, tanto che essa divenne indissolubilmente legata al suo sistema di valori ed alla sua prospettiva non violenta.

Oggi il Budoka medio, e l'Aikidoka medio con esso, leggono e studiano poco... essendosi trasformati in una sorta di "trafficoni da tatami". Noi occidentali abbiamo poi una difficoltà in più, rispetto ai nostri colleghi con gli occhi a mandorla: ci interessiamo di cose che NON appartengono né alla nostra cultura, né alla società ed al tempo in cui viviamo.

Lo studio della lingua giapponese - per dirne una - diventa quindi determinate, ad un certo livello di maturazione marziale, per non rimanere impigliato in qualcosa che si ripete all'infinito senza comprendere bene, con l'aspettativa magica che un giorno tutto ciò si chiarifichi da sé.

Lo studio della storia e della cultura del Giappone, così come la vita del Fondatore dell'Aikido e dei suoi principali allievi ci permette di entrare meglio in connessione con una fitta serie di elementi che non possono che arricchire i nostri movimenti sul tatami... e spesso hanno anche la possibilità di influire su di essi in modo diretto e chirurgico.

Intendiamoci: non si tratta di diventare per forza traduttori simil madre-lingua, o enciclopedie viventi del Medioevo giapponese... ma di STUDIARE e quindi cercare coerenza fra ciò che si SA e so che si FA.

La conoscenza della vita di Morihei Ueshiba un po' più approfondita di quella che fornisce Wikipedia, ci permette di comprendere quanto - ad esempio - egli visse alcune crisi che influenzarono parecchio le sue decisioni: la paura per la sicurezza del padre lo portò sulla via delle Arti Marziali, ed in seguito la preoccupazione per la sua malattia lo spinse verso le pratiche dell'Omoto Kyo... la differenza di vedute lo allontanò dal suo mentore Takeda, etc.

Oggi non solo si studia poco, ma osservo persone che si sentono autorizzate ad insegnare l'Aikido agli altri commettere banali errori legati alla propria ignoranza del mondo che dovrebbero invogliare gli altri a conoscere e studiare.

La differenza fra dire o scrivere Dojo Hara Kai ed Hara Kai Dojo... oppure fra Sensei Marco Rubatto e Rubatto Marco Sensei ne sono la più evidente testimonianza: lasciamo perdere quelli che utilizzano il termine onorifico "san" per indicare se stessi, magari solo perché suona un po' a mandorla... ma c'è gente che ha idee molto vaghe, forse anche troppo, sul mondo che vorrebbe patrocinare.

E così la teoria e la pratica non vanno più sotto braccetto... ma l'Aikidoka diventa una sorta di fabbro da tatami, un batti lastra umana... con tutto il rispetto verso queste nobili professioni, di solito però non svolte esattamente da premi nobel per la filosofia o la letteratura.

E quando non si studia la storia e non la si è compresa ad un certo livello di profondità, si replicano i suoi gli errori (pure sul tatami)... quando non si studia e non si fa propria la filosofia, compiremo movimenti nei quali non ve n'è traccia alcuna. Le tecniche diventeranno vuote, e magari si suderà anche moltissimo... ma non diversamente da quanto accade in una sauna o durante una lezione di aerobica.

Ed è forse questo ciò che vogliamo?

Un piccolo aneddoto, accadutomi ormai oltre 20 anni fa: al tempo collaboravo con un Maestro di Judo e, per ringraziarlo dello spazio che ci offriva per praticare Aikido, ero solito fargli un piccolo regalo per Natale... di solito acquistato in un negozio alla periferia di Torino, che fa importazione diretta di Articoli Marziali dal Giappone.

Anno dopo anno, credo di avergli abbastanza arredato casa con quadretti provenienti dal Kodokan, spille, tengui... ed altri articoli della tradizione: un giorno non sapendo cosa acquistargli, chiesi al negoziante se ci fosse qualche novità editoriale sul Judo... così da acquistare un libro che il mio collega ancora non possedesse. 

La sua risposta fu lapidaria: "Ma i Judoka mica leggono!"...

Senza fare di tutta l'erba un fascio (ci saranno sicuramente pure Judoka molto acculturati)... osservo però che in Aikido non è molto differente, anche se la nostra disciplina vorrebbe in qualche modo sembrare quella culturalmente più densa: non è proprio così nei fatti. Ci sono Insegnanti che faticano a contare in giapponese fino a 10!

Ma allora cosa ti vesti con il KEIKOGI (e non con il KIMONO... ignorante come una foca monaca a mandorla)! Fai lezione in tuta da ginnastica, dico io...

C'è gente che mentre insegna dice parole "giapponesofile", magari sentendosi anche un tot figo, sentite male e ripetute a pappagallo (ad esempio, l'ultima che ho sentito è "kiai des" -"desu" in giapponese è il verbo essere - anziché "kiai de", ovvero "con il kiai")... perché è  qualcosa di mai studiato e compreso ad un certo livello di consapevolezza.
Ma in fondo è solo una piccola "s": che differenza vuoi che faccia... corriamo a darci mazzate!

Mi capitano spesso allievi provenienti da altri percorsi precedenti nell'Aikido che mi dicono che nei loro vecchi corsi NON si usava tutta la nomenclatura giapponese che si utilizza da noi. Ma NON ne utilizziamo una sovrabbondanza... era là che non ne utilizzavano proprio!

Attenzione: non è che pretendo che i miei allievi conoscano i kanji con i quali si nominano le pieghe dell'hakama... il livello richiesto è veramente "basic": la nomenclatura tecnica di base, le parti del corpo, contare fino a 30... Dopo un anno di pratica, ci riescono pure i bambini di 5 anni!

In Dojo da noi c'è una libreria che contiene quasi tutta la bibliografia dell'Aikido in italiano, oltre numerosi testi in inglese ed in giapponese: fino ad ora UN solo mio allievo l'ha utilizzata con costanza per acculturarsi... gli altri prendono qualche testo sporadicamente, o mi aiutano a toglierci la polvere quando facciamo le pulizie approfondite nel Dojo.

Io ho scritto un certo numero di libri che i miei allievi di solito NON sanno nemmeno che esistano... e queste stesse pagine vengono lette più da estranei che fra di loro.

Magari non saranno particolarmente interessanti o acculturanti... ma il fenomeno che emerge è quello che dicevo: "Fammi fare un po' di movimento con il pigiama bianco 2 volte a settimana, così metto il cervello in formalina per qualche ora e mi svago"... Triste ammetterlo, ma perlopiù è così.

Esistono invece concetti, come ma-ai, ki-musubi, hara, omote/ura, deai, awase... che sono complicati spiegare in termini del tutto occidentali, poiché sono imbibiti di una tradizione culturale MOLTO differente dalla nostra. E se non vogliamo sia necessario trasformare ogni lezione in una conferenza, sarebbe bene che pure gli allievi qualche cosa leggessero sulla disciplina che praticano e sul mondo dal quale essa proviene; almeno da un certo livello d'ingaggio in poi.

Anche se la cultura - di per sé - non ha mai fatto male a nessuno!

In ogni caso, nella civiltà della divisione nella quale viviamo è parecchio facile semplificare (anche troppo) sistemi complessi: muoviamo il corpo facendo SPORT,  muoviamo la mente ed apprendiamo con i LIBRI... e potremmo cascare nell'errore che la cosiddetta "teoria" sia qualcosa in contrapposizione alla PRATICA, mentre è COMPLEMENTARE ad essa.

Ogni luogo che visito negli ultimi anni chiedo abbia una lavagna bianca o a fogli mobili sulla quale imbrattare schemi su schemi: ne abbiamo una di quasi 2 mq in Dojo, sempre piena di parole e disegni, connessi fra loro... a Palermo ormai c'è un armadio nel quale vengono conservati tutti i rotoli che ho imbrattato negli anni. Le persone mi chiedono se possono fotografare ciò che scrivo, segno che non sono abituate ad un approccio la cui pratica sia supportata da un'altrettanto funzionate parte teorica.

Che però trovo sempre più importante: da vivificare di certo nel movimento fisico e nel sudore... ma qualcosa che ci permetta di comprendere ciò che facciamo a tutti i livelli, senza richiederci una fede cieca e un addestramento solo basato sulla ripetizione... come si fa con i cani, le scimmie ed i delfini.

Se la mente ed il corpo vanno coniugati, allora perché sudare senza muovere un neurone?
Forse ci meritiamo qualcosa di più...

Marco Rubatto






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