lunedì 20 ottobre 2025

L'uke del Sensei: onori ed oneri del "prediletto"

Mi rendo conto che questo Post è riservato a chi pratica già Aikido da un po', ma quest'oggi metto un po' da parte la divulgazione per fare insieme qualche importante riflessione su un ruolo complicato e raramente identificato a dovere: mi riferisco all'uke del Sensei... la persona che ha oneri ed onori molto particolari all'interno di una lezione.

Viene utilizzato molto il metodo giapponese, basato sull'apprendimento per imitazione... quindi ovvio che l'Insegnante dovrà simulare con QUALCUNO quello che dovrà poi accadere in ciascun a delle coppie che si verranno a formare sul tatami.

Tradizionalmente il Sensei è tori/nage (colui che riceve l'attacco e performa la tecnica), quindi ha bisogno di un uke (colui che attacca e riceve la tecnica) per formare la diade di persone che poi si scambierà ruolo in continuazione durante la pratica di gruppo.

Ma chi sceglie? E sulla base di quali caratteristiche lo sceglie?

Teniamo presenti alcuni punti importanti:

- l'Aikido ambienta la sua azione nel conflitto, di natura soprattutto fisica;

- se chi attacca il Sensei non lo fa nel modo "migliore", risulterà complicato per quest'ultimo rendere l'idea di cosa desidera che si pratichi fra i presenti;

- se chi attacca si predispone ad essere il burattino del Sensei, viene a mancare il presupposto del conflitto... e tutto si trasforma in una recita finta.

Qui notiamo subito che uke ha un doppio mandato non semplice da attuare: da un lato deve dare supporto al Sensei perché questi riesca a spiegare nel modo più chiaro possibile la tecnica o gli esercizi che vuole proporre al suo gruppo; dall'altro lato, egli non è SOLO li per facilitare l'Insegnante, ma per permettere al gruppo di osservare come egli affronta un conflitto... quindi gliene deve creare almeno uno.

Da praticante prima e da Insegnante poi, so bene quanto è labile questo confine... Da uke sono stato redarguito monte volte dal Sensei per attacchi troppo energici o troppo blandi, così come da Insegnante mi è capitato spesso di avere un uke che non stava comprendendo di cosa avessi bisogno da lui per mostrare al meglio cosa stavo cercando di indicare al gruppo.

Ci sono uke che se fossero chiamati come miei partner sarebbero capacissimi di crearmi un tot di problematiche da superare, ma non sono sicuro che così facendo riuscirei a rendere al 100% con chiarezza ciò che desidero si eserciti e si apprenda nella pratica a coppie.

Un caso tipico è quando l'Insegnante chiama un principiante, che magari non attaccherà poi così intensamente, ma si metterà con il corpo in posizioni stranissime e pure pericolose per sé... quindi tutta l'attenzione del Sensei non andrà nel tenere un movimento pulito e linee chiare, ma dovrà adattarsi in continuazione per far si che il proprio compagno non si faccia male (quasi da solo).

Il "challenging" in questo caso è presente, ma non è derivato da un grande conflitto... ma piuttosto da qualcuno che non sa ancora bene come calzare il proprio ruolo.

Si cresce durante questo tipo di esperienza/scambio? Beh, forse si, ma non è ciò che serve maggiormente a chi sta osservando per poi tentare di copiare più fedelmente possibile! E l'Insegnate è li primariamente per fare crescere gli allievi, non per pensare a sé...

C'è poi l'uke più esperto, che - di contro - per far si che la rappresentazione di ciò che ha in mente il Sensei sia più chiaro possibile, diventa un vera e propria "scimmia" ammaestrata di quest'ultimo. Nel suo desiderio di fare al meglio il suo ruolo e dare supporto all'Insegnante... esagera con questa prospettiva e si muove ancora prima del dovuto, cade prima del dovuto, esagera platealmente l'efficacia di qualsiasi cosa gli venga proposto.

Ingigantire ciò che è piccolo può essere una specifica modalità di insegnamento, anche parecchio efficace, a dire il vero, ma cosa accade quando questa cosa viene portata all'esasperazione?

Che il conflitto viene meno del tutto, e il Sensei si trova a proporre un movimento o una tecnica su una persona succube, anziché nei confronti di un attaccante. Anche questo uke, pur mosso dalle migliori intenzioni, non aiuta più di tanto il processo di apprendimento dei presenti!

Infine c'è l'uke del "se vuoi farmi una tecnica, te la devi guadagnare!", ovvero quello che farà più ostruzione possibile all'Insegnante per metterlo sul serio dinnanzi ad un conflitto da superare: non male come atteggiamento, in generale... ma dobbiamo chiederci: è ciò che rende maggiormente chiaro al gruppo cosa poi dovrà allenare?

A volte si, altre meno...

Capite bene che anche solo questi 3 atteggiamenti estremi sono sempre un po' mischiati fra loro... e di certo l'uke chiamato dal Sensei farà del suo meglio, ma il punto è: ha compreso cosa sia più utile in quel momento specifico?

Se insegno una tecnica ad un principiante, non credo utile che il mio partner mi faccia parecchia ostruzione, poiché desidero che la rappresentazione di ciò che faccio sia più chiara possibile: rinuncio ad avere un conflitto reale da superare per permettere ad un neofita di capire bene quale mano e quale piede si muove per primo. L'esagerazione di questa prospettiva, porta alla "recita falsa" della quale parlavamo poc'anzi, quindi è bene saperlo per evitare che questa divenga un'abitudine.

Se insegno qualcosa che conosco bene, ad un pubblico di persone mediamente più preparate, non è un grande problema se il mio uke "me la faccia sudare un po'"... poiché questo potrebbe essere un buon momento per introdurre ANCHE la pratica con un compagno NON collaborativo. Ad un certo punto è necessario farlo: la difficoltà sta solo nel comprendere QUANDO è possibile introdurre questo livello, senza venire fraintesi. La pratica dovrà essere molto adattiva, quindi facile che vengano meno le pulizie delle linee e degli spostamenti tanto cari ad un allenamento di base.

Se spiego qualcosa che anche per me è al limite di ciò che conosco, ed - anzi - mi sto lanciando in una sperimentazione... beh, questo è nuovamente un momento improprio per fare resistenza e non essere collaborativo... perché già io stesso NON sono nella mia zona di comfort, se poi pure l'altro inizia a fare l'Aiki-stronzo, facile che ne venga fiori qualcosa di incomprensibile per chi ci sta osservando!

Notate quindi ad come uke sia richiesto di comprendere - di volta in volta - cosa implichi la situazione che il Sensei vuole rappresentare grazie a lui... Proprio perché questi casi non saranno tutti uguali.

Ci sono persone chiamate SPESSO a fare da uke all'Insegnante, i cosiddetti "prediletti"... e invece chi è chiamato a farlo quasi mai: all'interno di un gruppo questo può generare tensione, poiché alcuni si percepiscono "visti" dal Sensei, ed altri sembrano venire lasciati nel dimenticatoio.

In realtà con alcune persone riesce più facile rappresentare qualcosa, rispetto ad altre, ed è necessario farlo comprendere bene, sopratutto a chi è chiamato di meno, per rassicurarlo che non si tratta di discrimine, ma di una scelta che viene fatta a favore dell'interno gruppo, scevra da simpatie o antipatie di tipo personale.

Questo spinge anche le persone scarse come capacità di ukemi a divenire degli uke più completi: l'ambizione di divenire uke del Sensei può stimolare anche questo, in alcuni tipi di persone. Molti lo vivono come una sorta di "merito": se questa cosa non è esagerata, può anche essere un incentivo ulteriore da sfruttare. Di certo non deve rappresentare uno status symbol per sentirsi superiori o migliori degli altri praticanti, però!

Poi ci sono i Seminar... Qui le cose non stanno in modo molto differente, ma si evidenziano dinamiche nuove ed ulteriori, rispetto a quanto avviene regolarmente al Dojo.

Essere l'uke di un Maestro di alto rango che insegna ad un Seminar al quale partecipano centinaia di praticanti è un bella responsabilità, e lo dico per esperienza personale: c'è da offrire tutto il supporto possibile all'Insegnante, utilizzando molto l'empatia con quest'ultimo, senza risultare mai banali nel proprio modo di porsi... sapendo bene che la sua possibilità di intervenire con rimandi chirurgici dipenderà ANCHE dal proprio atteggiamento e propensione.

Conosco praticanti - specie se già Insegnanti - che darebbero un  rene e qualche metro di intestino per farsi immortalare in foto e video mentre fanno da uke al Maestrone di turno: quasi a dire che il loro livello è alto perché solo stati "scelti" fra 1000 altri nel delicato compito di servire il Sensei. Persone che hanno seri problemi con la propria self-confidence, evidentemente... se sono costretti ad abbinare il proprio valore a quanto siano stati vicini a qualcun altro che credono possederne molto!

Ma torniamo a cose più utili...

Ci sono Sensei che si portano dietro i loro uke personali, i cosiddetti [お供] "otomo", ovvero gli "assistenti". Questi ultimi conoscendo già il codice di pratica del proprio Maestro, riescono a servirlo con l'atteggiamento più adatto ai suoi insegnamenti; io stesso so bene che differenza passa quando qualcuno dei miei allievi mi segue in qualche Seminar, rispetto a quando devo fare utilizzo di qualche "indigeno locale" per farmi da uke... Ovvio che nel primo caso, mi sento più supportato ed agevolato nell'insegnamento.

Però è anche vero che, più l'abilità del Docente è elevata, meno avrà in proporzione bisogno di portarsi gli uke "da casa", poiché riuscirà a rendere comunque bene ciò che vuole tramettere con chi incontrerà sul suo cammino.

Ho sviluppato molta attenzione, quando partecipo ad un Seminar di qualche altro Insegnante, se questi chiama SOLO le persone che conosce bene o se pratica e insegna anche toccando persone mai viste in precedenza.

Quelli che fanno cose fighissime a patto di realizzarle SOLO con chi già conoscono a menadito potranno essere ottimi didatti, ma tendono a perdere un po' lo spirito di adattamento tipico del Budo; se invece il Sensei utilizza il suo otomo nella spiegazione generale, ma poi è in grado di fare sentire ad ogni singolo partecipante cosa intendeva, andando a lavorare nelle varie coppie... beh, questo mi rimanda una sua maturità tutta differente rispetto all'insegnamento!

Il paradosso è quindi il seguente: quando fra il Sensei ed il suo uke esiste una grande affinità empatica sarà molto più semplice per la loro coppia manifestare armonia, e questo è uno degli elementi che come allievo è più semplice leggere e poi provare a ripetere nella coppia nella quale ci troveremo a lavorare.

Quando il Sensei non conosce nulla del suo uke (e viceversa) sarà molto più VERO l'Aiki che entrambi riusciranno CREARE, senza scimmiottare schemi che hanno già ben imparato a memoria entrambi; qui il livello si alza di parecchio, poiché il conflitto torna ad essere concreto e la capacità di adattamento necessita di essere fulminea (da parte di entrambi); facilmente ciò che emergerà sarà meno prevedibile e forse tecnicamente anche più "sporco", ma più autentico di sicuro.

È un po' lo step nel quale si passa dalla forma alla sostanza, ma è raro imbattercisi... perché la maggioranza degli Aikidoka (e dei Sensei) sono ancora tutti occupati a costruire le loro forme tecniche: studiano l'alfabeto, più che provare ad esprimersi tramite ad esso.

Un altro paio di punti finali...

Esiste una componente della quale stare molto attenti, mentre ricopriamo il ruolo di uke del Sensei, ovvero quello del "rispetto/timore reverenziale" per la persona che abbiamo dinanzi.

Gli uke del Fondatore - quando questi aveva 85 anni - lo attaccavano ancora al massimo della loro intensità possibile, o si rendevano conto di avere di fronte una persona anziana, con le conseguenti limitazioni di movimento che essa può presentare?

Io non c'ero, ma chi gli ha fatto da uke a qual tempo ci ha rimandato come avessero anche molta CURA di lui, nel senso che non lo esponevano a rischi gravi della sua incolumità: questo è umanamente comprensibile. O' Sensei, di contro, si arrabbiava molto sia quando non veniva attaccato con spirito sincero, sia quando - a suo dire - veniva attaccato con una potenza e velocità maggiori delle capacità di ricevere indietro la propria energia.

In parole povere, non voleva essere né compatito, né era d'accordo di dover franare il suo ki per non ferire quelli che guidavano più veloce di quanto riuscissero a fare le curve!

Io ho sviluppato tardi, diciamo, il "rispetto reverenziale" per chi era in un dato momento il mio Sensei... fra me pensavo: "Se sei tu che devi insegnarmi qualcosa, sei tu che hai l'onere di cavartela dai problemi che ti creo!".

Un pensiero marzialmente forse valido, ma che non tiene conto di alcuni fattori che ora che ho più di 50 anni capisco bene pure io; ad esempio, ricordo una volta di essere stato chiamato dal Maestro De Compadri durante uno Stage Nazionale FIJLKAM ad Ostia per fargli da uke su una tecnica di jo dori.

Io e Fausto Sensei ci conoscevamo bene, ma non lavoravamo insieme molto spesso, se non forse proprio in occasione di eventi nazionali o regionali simili... Quello che accadde mi dispiacque un tot, poiché lui mi proiettò come era solito fare con i suoi partner di allenamento, che erano però molto più grossi e rigidi di me, quindi pure più facili da sbilanciare.

Io invece assorbii interamente la sua azione e rimasi li fermo come un palo, mandandogli completamente in vacca la tecnica (non  mi riferisco a NULLA che compare nel video precedente). Poi, una frazione di secondo più tardi, comprendendo cosa lui avrebbe voluto che io avessi fatto... mi sono proiettato da solo, quasi a voler mettere una pezza su quello che era accaduto.

Solo che una persona un minimo esperta se ne accorge subito se è il fake così clamoroso!

Chi aveva "sbagliato": lui come tori a non riuscire a capottarmi sul serio, o io come uke a non volare come un fuscello?

Non credo che qualcuno abbia sbagliato nulla, col senno di poi, ma certamente (entrambi) manifestammo il limite dell'Aiki che desideravamo possedere, ma che non era ancora nostro come avremmo voluto che fosse.

Ora il mio Sensei ha una decina di anni abbondanti più di me, e se lavoriamo insieme comprendo bene e subito quando averne cura ed invece quando creargli challenging serio: in uno sguardo si decide tutto!

Ci ho messo però quasi 35 anni ad imparare a fare da uke a questo livello di sensibilità/decisione: comprendo quindi molto bene come non possa essere per nulla qualcosa di scontato dopo pochi anni, o addirittura solo mesi di pratica.

Un ultimo rimando: nelle Arti Marziali tradizionali giapponesi, l'uke veniva anche chiamato [基立ち] "motodachi", che si traduce con "posizione di base" e si riferisce al ruolo del partner più esperto nella pratica, spesso un Istruttore, che fornisce una base stabile e di supporto al partner meno esperto per esercitarsi e sviluppare le proprie abilità.

Non si tratta solo di fornire attacchi e ricevere tecniche passivamente, ma di guidare attivamente lo sviluppo dell'altra persona attraverso un'attenta interazione e un feedback.

In Aikido c'è l'abitudine a far partire il Senpai nel ruolo di tori/nage e la persona meno esperta in quello di uke: beh sappiate che, la complessità di quest'ultimo ruolo, un tempo aveva fatto si che fosse proprio il più esperto a fare prima da uke, proprio perché ciò gli dava più opportunità di comprendere meglio di che cosa il compagno avesse più bisogno per crescere.

Il ruolo dell'uke del Maestro è dunque delicato ed importante, poiché richiede sensibilità, empatia, decisione, disponibilità, apertura, ingaggio, presenza e focalizzazione: non è poi raro che - quando il Sensei da il via alla pratica - ci possa essere un po' la corsa per lavorare con chi è appena stato il partner dell'Insegnante...

...ovvero, verso chi dovrebbe possedere una comprensione maggiore di tutti gli altri dell'esercizio proposto, essendo appena stato "sotto i ferri" del Sensei!

Un altro modo di "capire" diventa "sentire", sulla propria pelle... e questo è forse il regalo più grande che si porta a casa chi si è donato interamente al suo Insegnante.


Marco Rubatto




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