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lunedì 28 aprile 2025

Il confronto che viene a mancare e l'Aikido che non cresce

Vi siete mai chiesti come facciamo ad imparare qualcosa?

Qualsiasi cosa, dalla matematica, all'Aikido, ad una ricetta di cucina...

É importante sapere come funziona questo processo, perché più lo abbiamo chiaro... meglio, ad esempio, riusciremo a comprendere come mai il movimento dell'Aikido sembra faccia così grande fatica a crescere ed a prendere piede, specie fra i giovani!

La ricetta è parecchio semplice: c'è un DOCENTE, uno che sa qualcosa e che vorrebbe insegnarla a qualcun altro... e poi c'è un DISCENTE, ovvero quello che dovrebbe essere li per imparare ciò che ancora non sa. Si tratta di un semplice sistema DUALE, anche se ci possono essere ben più discenti di uno per uno stesso docente.

Per quanto possa sembrarvi strano, il ruolo del docente è completamente PASSIVO, ovvero lui non insegna proprio niente a nessuno: lui semplicemente mostra ai discenti la "sua mappa del territorio", ovvero ciò che lui crede di avere compreso della realtà che sta cercando di trasmettere. L'unica componente ATTIVA del docente è quindi quella di mostrarsi, di palesarsi per ciò che è... poi il suo compito termina li.

Il discente - di contro - ricopre la parte perlopiù ATTIVA, ovvero prende visione della "mappa del territorio" che gli offre il suo docente e quindi SCEGLIE se farla sua, sostituendola a quella in suo possesso... o se tenersi le proprie convinzioni e mandare al macero la proposta del docente. La parte PASSIVA del discente consiste nell'accogliere la proposta del docente, ma poi è suo l'onere di mettersi nei panni di quest'ultimo e comprendere se gli interessa o meno la prospettiva nuova che gli viene offerta... ed - in caso affermativo - "riprogrammarsi" secondo le nuove informazioni che ha ricevuto.

Fin qui vi ho rimandato una banale dinamica relativa all'apprendimento: ora vediamo come ciò si applica all'Aikido e perché essa ingenera difficoltà nell'espansione del movimento.

Quando andavo e vado a lezione da un Sensei (più esperto di me), parto dalla convinzione che sarà interessante stare a sentire e provare sulla mia pelle ciò che questi avrà da darmi e suggerirmi: facilmente, se la sua esperienza è notevole, avrà avuto tempo per maturare delle consapevolezze delle quali io non dispongo e beneficio ancora. Sono quindi in una condizione aperta e curiosa, inoltre sono consapevole di avere un bisogno che potrebbe essere colmato GRAZIE a qualcun altro.

Quindi io-discente mi predispongo ad essere ricettivo ed attento perché "so di non sapere" quanto lui: farò volentieri il processo di acquisizione della "sua mappa del territorio", per poi valutare se questa risulta migliore di quella che possedevo in precedenza (e questa cosa penso già in partenza che sarà molto probabile).

Farò questo sforzo anche se le nuove informazioni ricevute mandano in forte crisi quelle che possedevo in precedenza: se la mia voglia di apprendere è tanta, sarò disposto a fare questa fatica per amore della mia evoluzione personale!

Nei primi anni di espansione mondiale dell'Aikido, questo processo è stato agevolato dal fatto che TUTTI erano principianti assoluti, quindi tutti "sapevano di non sapere" ed andavano a formarsi con molta "fame di conoscenza" dagli allievi diretti del Fondatore, che sicuramente avevano un'esperienza molto più profonda di qualsiasi altra persona in circolazione. Fidarsi di loro non era difficile!

Questo ha reso il binomio docente-discente non solo funzionante, ma praticamente ideale: una persona altamente preparata che si occupa di offrire i suoi rimandi ad un neofita assoluto (o a gruppi di neofiti assoluti).

Poi però qualcosa è cambiato... ed è naturale anche che sia avvenuto così.

La crescita nell'Aikido dei Sensei di generazioni successive ha dato la sensazione che qualcosa si fosse già appreso, mentre gli allievi del Fondatore, ovvero i "mostri sacri", riconosciuti da tutti per la loro preparazione... com'è ovvio hanno iniziato a scomparire dai tatami, per mere questioni di età anagrafica.

Quando veniva Saito Sensei in Italia, i suoi stage erano frequentati da qualsiasi tipo di Aikidoka, di qualunque estrazione, perché si riconosceva in lui una sorta di "esperienza super partes" che interessava a tutti.

Pensate, ad esempio, che la stessa cosa non è nemmeno più successa allo stesso livello nemmeno con Tada Sensei, che è 9º dan a sua volta, apripista dell'Aikido italiano certamente... e che che ha catturato un cospicuo seguito nel nostro Paese per decenni, ma che ha già iniziato a non mettere d'accordo i più come faceva Saito Sensei, che era il suo senpai. E non si può di certo dire che Tada non abbia un'esperienza fuori scala rispetto alla maggioranza degli altri Insegnanti!

Kisshomaru Ueshiba, Saito, Tohei -> quasi tutti

Tada -> moltissimi

Kobayashi, Tamura -> molti

Fujimoto, Hosokawa, Tissier -> non pochi

Yoshigasaki, Noro, Chiba -> alcuni

.... -> pochi

Man mano che si arriva ai nostri giorni, il seguito di rinomati Sensei si è proporzionalmente ridotto, man mano che aumentava il numero delle possibili fonti dalle quali andare ad apprendere l'Aikido.

Ovvio che fino a quando esisteva un'unica (o rarissime) possibilità di apprendere, tutti andavano ad abbeverarsi a quella o quelle poche fonti: dal momento che queste occasioni di formazione si sono moltiplicate, si sono anche SUDDIVISE fra loro anche il numero dei discenti disponibili, che quindi non erano più tutti concentrati in pochi luoghi e momenti.

E non sono solo aumentate le risorse disponibili, ma è anche diminuito in proporzione l'interesse da parte dei discenti di andare a mettersi nell'ottica di chi spiega loro qualcosa: non si può infatti apprendere, se si pensa già di sapere e quindi non si ha nessuna voglia di mettere in discussione la propria mappa del territorio, per la dinamica che spiegavo poc'anzi.

Quindi, se le fonti "super partes" vengono meno, così come viene notevolmente meno la fame di sapere da parte dei discenti... possono esserci tutti i docenti bravi che vogliamo, ma non c'è più molta gente disposta a fare quel cambio provvisorio di paradigma che genera un'evoluzione significativa nei discenti... e quindi nel movimento stesso.

Oramai c'è così tanta offerta di insegnamento (ad un livello veramente basso) che quasi chiunque pensa già di sapere tutto o quasi, tanto che ho visto l'altro ieri sui Social una sorta di invito a contattare un Sensei perché questi possa venire ad insegnare nel tuo Dojo... una cosa senza alcun senso, visto che deve partire dai discenti il desiderio di cercare un docente, e non da un docente quello di cercare degli allievi!

Invece ci sono un botto di Sensei senza allievi: come mai? Ce lo siamo chiesto con serietà?

Dal mio punto di vista, resta senza allievi solo chi non ha un tubo da insegnare, altrimenti gli allievi arrivano eccome, se si è in grado di offrire loro una mappa del territorio interessante nella quale immergersi! La gente non è stupida, specie se si tratta di neofiti assoluti.

La gente si rivela stupida solo quando inizia a credere di sapere qualcosa quando ancora non è ancora così: questo significa che c'è il rischio di diventare esponenzialmente più stupidi quando si accumula un po' di esperienza, per paradosso!

Ed è anche ora che il paradigma cambi, visto che non è più possibile accettare gli insegnamenti di un docente SOLO se questi è considerato un "mostro sacro" della disciplina... poiché questi personaggi non esistono praticamente più, o comunque non esistono più persone in grado di mettere d'accordo tutti sulla loro straordinarietà (come se tornasse il Fondatore a fare lezione).

Come potrebbe trasformarsi quindi questo processo di apprendimento, se le fonti sono tutt'altro che poche ed univoche?

Abituandoci al CONFRONTO: immaginate un gigantesco gioco nel quale i Sensei attuali si incontrano per "scambiarsi le figurine" dell'album Panini dell'Aikido...

Chi ha dei doppioni li offre a chi non ha quella determinata figurina, in cambio di altre figurine che invece ancora non possiede: alla fine tutti ne escono arricchiti... tutti dando qualcosa, tutti ottenendo qualcosa che prima non avevano. Ma questa è una dinamica molto differente da quella storica, poiché è più "orizzontale", e necessita di sviluppare la capacità di ammettere quando un nostro "pari" possiede qualcosa che ci serve, senza sentirci in imbarazzo per questo... inferiori a lui se gli si chiede qualcosa o superiori a lui se si è in grado di dargli qualcosa.

Credo che questa nuova dinamica potrebbe richiedere almeno dai 20 ai 30 anni per crescere e consolidarsi: attualmente ciascun Sensei tende invece a difendere ciò che ha appreso, anziché a continuare ad essere discente ed essere quindi aperto alle novità che gli passano dinnanzi.

Prendere - anche solo momentaneamente - un'altra mappa del territorio, che NON proviene da un "mostro sacro dell'Aikido, ma semplicemente da un'altra persona... viene visto come svilente e come un tradimento a cosa si crede già di avere appreso. Così, per proteggere la propria tradizione, la si uccide senza volerlo.

Mi è capitato poco tempo fa di insegnare ad un Seminar nel quale vi erano anche altri Insegnanti: io ero il senpai, ma alcuni di questi di certo NON mi consideravano una possibile fonte di apprendimento per loro... anzi, più come qualcuno che scomodamente metteva in discussione le loro convinzioni precedenti.

E così è accaduto che quando ho provato a fare presente ad uno di essi che poteva esserci una modalità alternativa di fare ciò che stava facendo (che a mio avviso era migliore di quella che stava utilizzando) questi si è chiuso a riccio, quasi come lo stessi attaccando personalmente... anziché essere disposto a darmi un minimo di fiducia, ed a provare sulla propria pelle la bontà o meno dei miei rimandi.

Ovvio che così questa persona non sarebbe in grado di crescere nemmeno se incontrasse O' Sensei in persona, a meno che non si accorga che ha uno più esperto di fronte a sé!

Il paradosso è che NON importa quanto l'altro sia - di fatto - più esperto o meno: conta SOLO se il discente è disposto a mettersi in discussione oppure no!

Non basta quindi avere qualcosa da dare, ma per la dinamica docente-discente che rimandavo poco sopra, è necessario che questi incontri qualcuno ancora disposto a mettere in discussione le proprie convinzioni: doppia difficoltà quindi, poiché il Docente medio sa in proporzione sempre meno ed il discente medio appare sempre più egoicamente spocchioso.

Avendo molti Docenti odierni dei gradi e dei titoli altisonanti, tanto che ad ogni calcio ad una pietra, escono 7º dan Shihan come formiche... chi glielo fa fare a questa gente di andare a "scambiare le proprie figurine" per continuare a crescere?!

Docenti ignoranti delle loro lacune divengono di solito gli allievi egoici spocchiosi ideali per non apprendere niente!

Solo nella mia città si vedono cose obbrobriose ad opera di Insegnanti di Aikido che evidentemente si credono competenti ad un certo livello... e che di certo NON verrebbero mai da me a chiedere cosa ne pensi di ciò che fanno: magari fanno benissimo, perché credo di saperne di più di loro, ma non è così... magari invece fanno malissimo, perché ne so effettivamente più di loro e quindi potrei aiutarli... ma il punto NON è nemmeno questo.

Il punto è che non lo sapranno e sapremo MAI, perché non c'è l'abitudine ad un confronto serio ed intenzionato a COMPRENDERE ciò che non ci torna (ancora)... e nel frattempo la disciplina stessa rimane al palo, non più spinta dai mostri sacri del passato, e ora popolata di docenti che hanno dismesso la passione di essere discenti e di continuare ad imparare cose nuove.

C'è una specifica categoria di persone, caratterizzata dalla continua esigenza di apprendere e mettersi in discussione: sono i giovani!

Vi sorprende molto quindi che siano proprio i giovani a non essere attratti da una disciplina dalla mentalità "vecchia" e sorpassata come l'Aikido?

Ci evitano... ed a questo punto credo sempre di più che facciano bene!


Marco Rubatto






lunedì 7 aprile 2025

Sumi otoshi e la Torre di Babele dell'Aikido

Abbiamo molti problemi a definire esattamente cosa sia l'Aikido... anzi, si tratta di una disciplina così poliedrica e polimorfica da mettere in disaccordo persino chi la pratica già, figuriamoci come dev'essere complicato trovare una sorta di definizione che la descriva a chi ancora non conosce nulla di questo mondo!

A questo proposito oggi vi invito a fare una semplice riflessione che riguarda la NOMENCLATURA TECNICA, ovvero quell'aspetto funzionale che tutti utilizziamo durante l'allenamento.

Scuole differenti utilizzano nomenclature diverse per indicare la stessa azione: una prima fonte di fraintendimento quindi è proprio questa, una sorte di Torre di Babele dell'Aikido... nella quale non siamo nemmeno d'accordo su come chiamare ciò che facciamo con il corpo.

É il caso di una tecnica chiamata [隅落とし] "sumi otoshi", che è rappresentata nel seguente video...



Sumi otoshi letteralmente significa "affondo d'angolo", ed è una delle 40 proiezioni originali del Judo, come lo sviluppò Jigoro Kano Sensei. Appartiene al 5º gruppo (gokyo), della lista delle proiezioni tradizionali del Judo Kodokan, classificata come "te waza", ovvero "tecnica di mano".

L'Aikido moderno l'ha fatta propria, utilizzandone il principio... ma è accaduta una cosa curiosa che ha distinto le varie Scuole e Stili.

Nell'Iwama Ryu, sumi otoshi è SOLO la tecnica rappresentata nel video precedente, e realizzata quasi SOLO dalla presa katatedori (gyakuhanmi), anche se - ovviamente - è possibile ottenerla praticamente da qualsiasi altro attacco.

In questo caso specifico, sumi otoshi costituirebbe lo 0,0001 per mille dell'Aikido: 1 attacco, 1 tecnica e stop... una cosina in fondo a destra e nulla più!

Altri stili di Aikido però hanno seguito un percorso differente ed hanno iniziato a chiamare "sumi otoshi" tutte quelle tecniche che utilizzano lo STESSO ANGOLO di sbilanciamento... eccone una breve carrellata video!







Ed avrei potuto continuare ancora a lungo...

L'elenco delle tecniche chiamate "sumi otoshi" diventa quindi piuttosto estesa: nell'Iwama Ryu TUTTE queste tecniche ESISTONO, ma vengono denominate semplicemente [呼吸投げ] kokyunage, come si fa con tutte quelle pratiche che non hanno un nome specifico.

Quindi, ad un ipotetico esame, un praticante di Iwama ti fa la tecnica mostrata nel 1º video, con presa katate dori gyaku hanmi, poi ti guarda come dire: "E cos'altro vuoi da me?!"

Gli altri invece continuano a profusione, visto che gli si apre un insieme di tecniche con quel nome. Non si tratta di cose che l'Iwamista non studi a sua volta e magari sappia anche, solo che le chiama in modo DIFFERENTE e quindi non gli viene in mente di mostrare.

E questo è solo un esempio di Babelismo Aikidoistico, ma ce n'è veramente molto altro...

- [腕絡み] ude garami (controllo dell'avambraccio) per alcuni, [十字絡み] juji garami (controllo a forma di 10) per altri;

- [肘極め投げ] hiji kime nage (proiezione sul gomito) per alcuni, [腕極め投げ] ude kime nage (proiezione dell'avambraccio) per altri;

- [六教] rokkyo (6º principio) per alcuni, [肘極め押さえ] hiji kime osae (controllo del gomito) per altri;

- [内回転三教] uchi kaiten sankyo (3º principio con rotazione interna) per alcuni, una semplice forma variante di sankyo per altri;

- [内回転投げ] uchi kaiten nage per alcuni, [回転投げ内回り] kaiten nage uchi mawari per altri;

- [外回転投げ] soto kaiten nage per alcuni, [回転投げ外回り] kaiten nage soto mawari per altri;

- [腰投げ頭をいれる] koshinage atama wo ireru per alcuni, [✢✿⊅∩⨊🐼♞] "che caxx hai detto?!" per altri.


Queste macro differenze nascono da evoluzioni storiche e consuetudini locali che NON creano problema ad un madrelingua giapponese, in quanto ci si sta esprimendo semplicemente nel suo idioma natio e quindi questi comprende cosa si intende sottolineare in OGNI caso... fanno la differenza invece per NOI, che mediamente NON sappiamo il giapponese... e che capiamo male i suoni che a sua volta ha capito male il nostro Sensei dal suo.

Non ci chiediamo molte cose, ma tendiamo a creare dei contenitori stagni, nei quali depositiamo un fonema e chiudiamo a chiave, visto che lo usiamo per distinguere le forme a livello locale: poi CHISSENE se non ci si capisce con gli "altri"... che manco so che esistono e con i quali manco ho necessità di andare d'accordo!

Assumiamo quindi modalità e mentalità "locali", che funzionano all'interno di un Dojo o di una Scuola di pratica... ma che sono disfunzionali se guardate nell'ottica dell'intero panorama Aikidoistico.

In realtà, il nostro movimento è relativamente GIOVANE, poiché se osserviamo le discipline che ci hanno preceduto, hanno già quasi tutte concordato una sorta di "nomenclatura di base", che consente proprio di potersi comprendere almeno all'INTERNO del movimento stesso.

E i giovani non è detto che siano saggi o lungimiranti: si lamentano magari di quanto sembra dura la loro esistenza, ma non sempre fanno qualcosa di concreto per migliorarsela!

Come si supera questo impasse?

Posso solo raccontarvi come lo abbiamo superato in Federazione, con una proposta che feci nel 2017, e che ora sembra stia funzionando alla grande: si tratta di approfondire un po' di più la nomenclatura di macro categorie di base, condivise da tutti gli stili e Scuole. Ad esempio...

[固め技] katame waza: tecniche di immobilizzazione

- [投げ技] nage waza: tecniche di proiezione

- [武器技] buki waza: tecniche di armi

Si rimane VOLUTAMENTE sul generico, ma iniziando a definire alcuni aspetti di massima, che accomunino tutti i praticanti: kuzushi (sbilanciamento), awase (armonizzazione), ma-ai (distanza spazio-temporale)... non è che ci sia un Aikidoka in grado di prescindere da questi elementi!

Indipendentemente dalla sua provenienza e dalla sua esperienza, intendo...

E così è nato il "Programma Tecnico Unificato", che vi potrete scaricare dal sito federale (QUI), e che consente a praticanti di stili differenti di dare gli esami insieme... e CAPIRSI!

Ovvio che non sia possibile entrare troppo nella specificità delle pratiche caratteristiche delle singole Scuole, ma ikkyo è ikkyo... e di solito si fa sul gomito, non sulle orecchie!

Perciò, se costruiamo una sorte di "Stele di Rosetta", grazie alla quale ciò che faccio io viene "tradotto" con i termini di ciò che fai tu, il movimento (inteso come "disciplina", non solo cosa fare con il corpo) può iniziare a RICONOSCERSI e darsi un mutuo supporto.

L'esperimento dell'Esperanto è fallito a livello sociale, ma in Aikido le cose possono andare diversamente, perché NON stiamo creando una "lingua nuova per tutti", ma stiamo utilizzando un meta-linguaggio (il giapponese) che - almeno in occidente - troppo pochi hanno approfondito a dovere.

E come decifriamo meglio questo meta-linguaggio, attraverso di esso iniziamo a poter comunicare nuovamente!

Semplice? SI!

E perché non lo abbiamo fatto prima?!
Perché non mancava la possibilità di farlo, ma la voglia ed un'intenzione chiara a poter andare di comune accordo... e di questo ne sono sempre più convinto.

I cambiamenti che si rivelano migliorativi ed i passi più importanti di una persona, così come di una disciplina, partono sempre da PICCOLI PASSI: fra i primi di essi c'è proprio quello di creare un "vocabolario condiviso", con il quale parlare di ciò di cui vogliamo parlare insieme.

Mi pare una cosa di una banalità estrema!

Quindi vogliamo fare grandi cose per l'Aikido, per aumentare il numero dei suoi praticanti... e poi non siamo nemmeno ancora stati in grado di dotarci di un alfabeto comune e sufficientemente condiviso.

Quando cerchiamo i responsabili dei peggiori problemi dei quali soffriamo, dovremmo guardare in uno specchio!


Marco Rubatto






lunedì 17 marzo 2025

Il 4º kumi jo, il jo che avanza e l'allineamento che manca

É ora di proseguire il nostro viaggio nel buki waza... e nello specifico con lo studio del 4º kumijo.

Un esercizio abbastanza semplice (almeno in apparenza), costituito di 3 soli movimenti, nei quali emerge con prepotenza l'applicazione di katate toma uchi, ovvero del 12º suburi di jo.

Sarebbe bene sempre avere esercizi applicativi di qualsiasi cosa studiamo, così da poter comprendere l'utilità di ciò che facciamo, specie in un confronto armato.

Vediamo innanzi tutto la sinossi dell'esercizio...

1-A) Uchijo attacca il suo compagno con uno tsuki chudan (partendo da hidari tsuki no kamae);

1-B) Ukejo si defila da questo attacco, spostandosi alla sua sinistra (partendo da hidari jo no kamae), e caricando il jo sulle spalle;


2-A) Ukejo esegue katate toma uchi, con l'intenzione di colpire la tempia sinistra del compagno;

2-B) Uchijo indietreggia e si para la tempia sinistra; ma si sposta così abbondantemente da far si che il fendente passi davanti a lui e non collida con il suo jo.

2-C) Ukejo avendo eseguito un colpo a vuoto, nasconde il jo dietro di sé, sulla parte sinistra del corpo (waki kamae)


3-A) Ora è uchijo a prendere l'iniziativa, poiché scorge un'apertura frontale del compagno, ed attacca con chudan tsuki;

3-B) Ukejo avanza diagonalmente con tsugi ashi e controlla il petto del compagno con jodan tsuki.


... tutto qui, ma guardiamolo in video che si fa prima!



Quali sono le caratteristiche MOLTO interessanti di questo esercizio?

Sono ALMENO 3... e provo a dettagliarle qui nel seguito.


Punto interessante nº 1

Il katate toma uchi che esegue ukejo è l'applicazione esplicita di un suburi di jo (il 12º come abbiamo detto poc'anzi), tuttavia vediamo un'apparente discrepanza nella sua modalità di esecuzione: quando l'esecuzione è un esercizio solitario, che serve a prendere manualità con il jo, è importante che questo venga afferrato al fondo dalla mano destra, infatti la traduzione letterale è "con una mano colpo lontano".

Ne segue che più la mano destra impugna il jo all'estremità, più lontano andrà il nostro fendente.

Lo vedete qui di seguito nel tutorial preparato a suo tempo per apprendere i movimenti di base...



Nel kumijo, tuttavia il jo non va afferrato all'estremità, ma occorre lasciare un piccolo spazio vuoto fra la mano destra e la fine del bastone: come mai?

Questa è una delle tipiche differenze che emergono quando si è consapevoli della differenza e della distanza che corre fra la teoria e la pratica!

Un po' la stessa differenza che passa fra come ci insegnano a guidare all'autoscuola e come invece si guida in mezzo al traffico di una città metropolitana...

Se infatti uchijo indietreggia parecchio - come previsto nella forma di base -, il nostro jo non andrà mai a collidere con la sua parata, quindi sarà sempre in grado di mantenere la traiettoria del suburi di base, che finisce dietro di noi, dopo essere stato ricevuto dalla mano sinistra.

Ma se il comportamento di questi fosse differente (e non non siamo mai in grado di saperlo a priori) ed indietreggiasse di meno, in questo caso il jo andrebbe a collidere con la sua parata, per effetto della quale verrebbe sbalzato verso l'alto e non riuscirebbe più a raggiungere la mano sinistra dietro a noi.

Questa comportamento di uchijo in combattimento può essere SCELTO, per far si che - mentre il nostro jo viene deflesso e svolazza - egli possa "toglierci un tempo" ed affondare lo tsuki al nostro fianco. In questo caso si parlerebbe di "kaeshi waza", ovvero di uchijo che approfitta di una nostra apertura per prendere il sopravvento su di noi.

A questo punto però ci viene in aiuto il piccolo pezzo di jo che "avanza" dalla nostra impugnatura: questi ci permette di riprendere la traiettoria del jo deflesso verso l'alto ed indirizzarla nuovamente verso uchijo (facendo nel mentre anche uno spostamento verso sinistra, che ci consente di evitare il suo tsuki al fianco), ed evitare il suo kaeshi waza.

Lo potete vedere rappresentato in questo video (al sec 45)...


Il fatto di "avanzare" un pezzo di jo nell'impugnatura - e quindi accettare il compromesso di poter colpire ad una distanza minore - ci offre la possibilità di fare fronte ad una eventuale risposta differente del nostro compagno, ed una marzialità matura dovrebbe SEMPRE prevedere che il nostro partner non si comporti secondo le nostre più rosee aspettative!

Ecco che un esercizio eseguito in un contesto di base (i suburi) prevede una cosa di poco differente rispetto a quando diventa uno strumento di connessione con il centro del nostro attaccante: la differenza fra "teoria" e "pratica" che si diceva prima, oppure lo scostamento fra pratiche di base (suburi) e pratiche più avanzate (kumijo).


Punto interessante nº 2

Al termine di ogni esercizio, in Aikido, si tende ad avere il proprio hanmi orientato con il piede avanti verso l'asse centrale del nostro compagno: si tratta di un principio, visto che la direzione del nostro piede avanzato indica dove stiamo mandando la nostra attenzione ed energia.

Ed ovviamente la nostra attenzione ed energia è tutta meritata nel centro del nostro partner.

Nel 4º kumijo tuttavia NON sembra così: l'hanmi finale diverge leggermente, quasi ad indicare un punto nella diagonale posteriore destra di uchijo... come mai?

Con estrema probabilità, O' Sensei ha coniato questo esercizio immaginandosi di non terminare l'azione al 3º movimento, ma di proseguirla con una proiezione del partner: questo negli anni è diventata una variante parecchio studiata, sebbene la forma di base si fermi all'esercizio esposto nel video sopra.

Potete vedere ciò che ho appena descritto nel video qui sotto (a 2 min e 05 sec)...



Un principio di base (l'hanmi verso il centro del compagno) non viene quindi disatteso, e sembra non esserci SOLO perché l'azione è interrotta, ma torna ad essere presente se invece viene portata fino al termine: sapevate questa cosa?


Punto interessante nº 3

Il 5º kumijo (che esamineremo nel dettaglio in futuro) è l'esercizio nel quale si vede applicato il suburi nº 11, ovvero katate gedan gaeshi (da perte di uchijo); abbiamo visto ora che il 4º kumijo è il luogo nel quale applicare il suburi nº12 (da parte di ukejo)... quindi la domanda spontanea è: dove si può vedere applicato il suburi nº13 (katate hachi no ji gaeshi), per completare lo studio - anche applicativo - di katate san bon?

Risposta... esiste una variante del 4º kumijo, che ho imparato frequentando per alcuni anni la Scuola di Hitoira Saito Sensei (Iwama Shin Shin Aiki Shuren Kai) che offre proprio questa possibilità.

Non so se sia una sua elaborazione nuova o se fosse qualcosa di antico "lasciato in soffitta" da Morihiro Saito Sensei, o addirittura da O' Sensei stesso... ma poco importa, poiché risulta in qualche modo sia geniale, che utile a parere mio.

Si tratta di eseguire katate hachi no ji gaeshi e quindi lo stesso finale del  kumijo, ma speculare rispetto alla sua forma di base; anche per uchijo si aggiungono 2 movimenti alla forma di base che abbiamo studiato poco sopra.

Trovate questa variante nel seguente video (a 1 min e 48 sec)...



Ed ecco che i nostri 3 semplici movimenti del kumijo diventano sempre meno banali, è possibile scriverli e riscriverli in un sacco di modalità differenti... ed infatti nei video su citati troverete almeno una DECINA di variazioni, sia jo no riai, (armonizzazioni con il jo), sia taijutsu no riai (armonizzazioni del corpo)

Cosa dire se proviamo poi ad unire il 4º kumijo con TUTTI gli altri kumijo codificati: trovate tutto in questo video...



Qui forse termina il ruolo che può avere un Blog ed i VIDEO, per quanto abbiamo cercato di renderli esplicativi... ed inizia il compito di trovarsi un Sensei che queste cose PRIMA le abbia studiate... e quindi sia in grado di spiegarle NORMALMENTE ai suoi allievi durante le lezioni al Dojo. Non è possibile prescindere da una buona guida!

E vedrete che, nel panorama Aikidoistico attuale, non sarà una cosa così banale trovare una simile figura... poiché è l'Aikido stesso a non essere banale, almeno così come alcuni Insegnanti lo vorrebbero.


Marco Rubatto







lunedì 3 marzo 2025

Evolutionary Aikido: il punto della situazione

É da un bel po' che non vi parlo più di un tema che ha cambiato profondamente la mia visione, la mia pratica e il mio modo di insegnare Aikido... correva infatti l'anno 2015 in cui sul Blog avevamo provato a descrivere il movimento al quale avevo scelto di appartenere fin dal 2003 (potrete leggere QUI l'articolo).

A 10 anni precisi da quel Post, sono in grado di portarvi l'esperienza maturata nel mentre e rimandarvi con più chiarezza di qualcosa che è iniziato nel passato, ma che ora sono ben cosciente che non finirà di occuparmi fino a quando mi dedicherò a questa disciplina... sto parlando dell'opportunità di crescere ed evolvere tramite la pratica dell'Aikido.

Apprendere attraverso le esperienze che facciamo sembrerebbe qualcosa di lapalissiano in qualsiasi disciplina praticata nel mondo... dalle Arti Marziali allo scopone scientifico, dalla matematica all'Ikebana... ma dedicarsi anima e corpo allo studio, alla pratica ed all'insegnamento dell'Aikido in modo tale che questa esperienza possa massimizzarsi è qualcosa di ancora troppo raro, secondo me.

L'Evolutionary Aikido è proprio questo: esiste una Community di Insegnanti internazionali Aikikai e di praticanti che si dedicano a studiare e promuovere ogni pratica utile ad acquisire consapevolezza sulla disciplina, sia utilizzando le metodologie più tradizionali, che attingendo a mani basse alle novità emergenti e più interessanti delle neuroscienze, della psicologia e di ogni altra attività umana volta alla scoperta si sé.

Questo può essere visto come un "tradimento" delle sacre tradizioni nipponiche, da parte di alcuni... ma vi posso testimoniare di prima pelle che funziona maledettamente!

Un tempo ero più impegnato a sentirmi parte di un movimento specifico, ad uno stile specifico, ad una Scuola o Ente ben definiti: ora invece sono più preoccupato che ciò che faccio possa risultarmi utile alla mia crescita personale e possa agevolare il cammino di tutti coloro che accanto a me hanno deciso di fare altrettanto.

"Evolutionary Aikido" è si un gruppo ben definito di persone, ma è anche un modo di organizzare una lezione o di condurre un Seminar, ad esempio.

Da ben 19 anni, organizziamo un evento internazionale a Torino, nel quale coinvolgo più che volentieri il mio Insegnante, Patrick Cassidy Sensei,dan Aikikai, il primo week end di ogni marzo.

Il fatto che questo processo sia in continua crescita è - ad esempio - testimoniato dalla rara dinamica di overbooking dei partecipanti già 2 mesi prima dell'evento stesso, nonostante NON lo pubblicizzi praticamente per nulla.

Quanti sono i Seminar di Aikido che fanno il "tutto esaurito" da quasi 2 decenni e richiamano ogni anno partecipanti da diverse nazioni estere?

Quest'anno, ad esempio, abbiamo avuto partecipanti provenienti da diverse regioni italiane... svizzeri, francesi ed irlandesi: la preparazione dell'evento parte già un mesetto prima, con la raccolta delle quote interne, la decisione delle pulizie e dei turni comuni durante quei giorni: è un bel lavoro di team, che di anno in anno ha aiutato molto a formare e forgiare una squadra di una ventina di persone, che ora sarebbe in grado di organizzare senza problemi persino il matrimonio del futuro Doshu...

Il Seminar è filato liscio come l'olio: certo... per molti potrebbe suonare strano un evento che non sia di carattere esclusivamente tecnico, ma in realtà è proprio questo l'enorme potenziale legato ad un simile e specifico tipo di ritrovo.

Ciascuno di noi è "fermo" in un luogo ed un tempo determinati e, oltre a prendere nuovi strumenti per lavorare su di sé (quelli prettamente di origine tecnica), è bene che possa esternare le proprie esigenze e tendenze nella pratica, in modo personale e non mediato.

Un Seminar che quindi preveda una notevole parte ESPRESSIVA di chi vi partecipa consente proprio questo processo individuale, che ovviamente è differente ed unico per ciascuno.

In quest'ottica si esce dall'esigenza di copiare il movimento dell'Insegnate o di considerare "giusto" o "sbagliato" ciò che si fa in base a quanto somiglia (o meno) a quanto ha fatto il nostro modello tecnico di riferimento. Nell'esprimere se stessi, un principiante prova le stesse difficoltà di un praticante più esperto... se questi non l'ha mai fatto in precedenza.

Una visione dell'Aikido NON più quindi basata necessariamente su ciò che è "di base" oppure "avanzato"... ma su ciò che sentiamo più o meno appartenerci, cosa sentiamo più o meno ispirarci nella pratica.

Questo modo di fare, intervallato anche con qualche momento tecnico di tipo più tradizionale è anche divenuto il format di quando insegno, sia nelle lezioni regolari al Dojo, sia nei Seminar in giro per il globo.

E, torno a dire, funziona stramaledettamente!

É un po' come imbandire una tavola e metterci sopra cibo di tantissime tipologie e provenienze differenti... e lasciare che i commensali scelgano da sé di cosa nutrirsi, in base alla loro fame, alle loro intolleranze o bisogni specifici. É possibile addirittura cucinare INSIEME il cibo più nutriente e appetibile a chi si relaziona con noi.

La pratica basata sulla ripetizione è UNA delle opportunità che l'Aikido ci offre, ma solo perché è la più diffusa non è sinonimo che sia sempre quella più adatta o più proficua: seguire invece una tematica trasversale e provare ad offrire stimoli che possano giungere al praticante sia da fuori (dall'Insegnante e dai colleghi di pratica), sia dall'interno (la propria coscienza) credo sia il modo migliore per conoscere qualcosa ed aumentare la propria consapevolezza.

La ripetizione è utile nel momento nel quale si è capaci di afferrare solo un piccolo particolare alla volta; immaginiamoci di dover riempire di acqua una vasca da bagno con un cucchiaio da minestra: facilmente necessiteremo di svariate ripetizioni, poiché dentro il cucchiaio di acqua ce n'è sta poca...

Ma quante volte dovremmo ripetere il movimento se dovessimo riempire una vasca da bagno avendo a disposizione tutta l'acqua del mare?

Forse nemmeno una! La vasca da bagno si riempirebbe, lasciando pressoché invariato il livello del mare...

Ecco, la coscienza lavora più o meno nello stesso modo: non aggiungendo ogni volta un'informazione che mancava, ma realizzando che da sempre sapeva sia cosa mancasse, sia come riempire quel vuoto.

Addirittura, ogni tanto la coscienza arriva a realizzare che ciò che percepivamo come vuoto era già PIENO, anche se non ce ne eravamo mai accorti prima!

In questo, la coscienza di un bambino o di un principiante sa come "riempire il vuoto" esattamente come la conosce la coscienza di un praticante più esperto: per la prima volta, i gradi NON risultano più lo spartiacque di chi è sul tatami.

E qual'è allora questo spartiacque? La qualità dell'intenzione di vivere il processo di evoluzione, crescita e cambiamento.

Non più una pratica nella quale il principiante ha tutto da imparare e l'avanzato ha tutto da ribadire, ma nella quale ciascuno si ingaggia nel processo di acquisizione di consapevolezza e riceve frutti proporzionalmente a questo coinvolgimento. Tutto semplicemente qui!

Questo processo va nella stessa direzione del 2º Principio della Termodinamica, ovvero quello di una grandezza (l'entropia, ma in questo caso "la coscienza") che aumenta sempre e che non può più tornare indietro. É come far uscire il dentifricio dal tubetto, o aprire una scatola piena di vermi: praticamente impossibile rimettere le cose nella condizione di partenza!

Per questa ragione le attività basate su un Aikido che cerca la sua stessa consapevolezza hanno MOLTO più successo di mere sessioni di allenamento tecnico (che hanno comunque il loro perché, ma SOLO alla luce della consapevolezza che a loro volta sono in grado di apportare): ripetere meccanicamente un pattern senza consapevolezza è come apparecchiare una tavola con 100 stoviglie, ma non mangiare mai nulla di significativo.

Ma siccome si tratta di un'attività basata sull'esperienza PERSONALE, non mi aspetto che tutti coloro che non l'hanno mai provata la comprendano solo leggendo queste poche righe... Sono invece più che certo che si ritroveranno in esse le ormai centinaia di Aikidoka che sono negli anni venute a contatto di questo "metodo senza metodo" di praticare!

Mettere in prima posizione la qualità del proprio stare sul tatami, il rispetto dell'integrità propria ed altrui (sia a livello fisico, che mentale), comprendere i meccanismi con i quali "la mente muove il corpo", oppure con i quali "il corpo muove la mente"... basarsi su una pratica psico-fisica tramite la quale alla fine del keiko stiamo MEGLIO, rispetto a quando abbiamo iniziato... con le articolazione sane, la mente più serena ed il cuore più pieno... è esattamente la direzione che percorriamo in ogni sessione dell'Evolutionary Aikido.

E già questo è veramente tanta roba: qualcosa ciò che dovrebbe sulla carta essere proprio di ogni modalità di pratica dell'Aikido, mentre sanno bene quanto tutto ciò non sia così comune le persone che calcano il tatami già da qualche tempo. 

Si pensa forse in modo errato che dietro ad un nome si debba per forza nascondere uno stile specifico di pratica, una didattica peculiare... ma siamo molto distanti dalla realtà: nel nostro caso abbiamo provato a caratterizzare solo la volontà di fare il prossimo passo verso noi stessi (ed il prossimo, in simultanea), facendoci custodi di ciò che per noi ha un valore da condividere e scegliendo, di volta in volta, ogni modalità possibile che ci permette di renderlo concreto e manifesto in un Dojo, così come nella vita quotidiana.

E funziona, ed è bello ed emozionante: perciò credo che sia il futuro... perlomeno il mio!


Marco Rubatto