lunedì 2 dicembre 2024

Aikido, religione e spiritualità: che differenza passa?

"Al divino non piace essere relegato in un edificio. Al divino piace essere all'aperto. È proprio qui in questo corpo. Ognuno di noi è un universo in miniatura, un santuario vivente"

[Morihei Ueshiba]


Sappiamo bene che il Fondatore visse personalmente l'Aikido come un percorso spirituale: magari ciò non interessa a tutti i praticanti, ma credo importante si possa fare luce anche su questa prospettiva, così da comprendere almeno se interessa a noi...

Non è semplice comprendere la società, la tradizione ed il sistema di credenze di un uomo giapponese del secolo scorso, e nato nel secolo ancora precedente (ma sarebbe necessario approfondire, per possedere un punto di vista adeguato)... tuttavia mi limiterò ad alcune riflessioni che possono risuonare un po' di più a noi occidentali, specie noi italiani, nati sotto i campanili di Santa Romana Chiesa.

Benché lo Shinto sia ufficialmente la religione di stato, il Giappone era (ed è ancora) frazionato in una varietà innumerevole di movimenti religiosi diversi, che si occupano di aspetti differenti della vita e che richiedono ai loro fedeli approcci differenti alla preghiera, alla divinazione, ed al rapporto con ciò che è trascendente.

Qui dalle nostre parti le cose sono meno variegate, ed un filino più chiare... e considero questo - al contempo - sia un ottimo pregio, che un bel limite.

Tuttavia ad ogni latitudine del pianeta esiste una differenza ben delineabile fra "religione" e "spiritualità": iniziamo quindi a fare più chiarezza possibile su questo.

La religione - che ha lo stesso etimo di "rilegatura" - ha il compito di offrire buone pratiche per scoprire, curare e far evolvere il proprio rapporto con il divino, indipendentemente dal nome, dalla forma che gli si attribuiscono.

Sta cosa dell'UNO & TRINO - per fare un esempio piuttosto famoso - deve essere un aspetto/principio così importante che ve n'è traccia ad ogni latitudine: ciascuno la interpreta un po' secondo i propri dogmi e le contestualizza secondo proprio credo, ma vi assicuro che NON esiste una forma di religiosità significativa che non contempli un'origine trinitaria della propria deità.

Le religioni (tutte) hanno l'intento di fare da apripista, e tutela del rapporto che ciascuno può avere appunto con la trascendenza: questo viene fatto tramite precetti, dogmi, liturgie, preghiere, buone pratiche ed intermediari (il clero). La religione inoltre ha la caratteristica di essere sempre "strutturata" in qualche modo.

É piuttosto comune che un "fedele" venga considerato FUORI dalle linee del suo credo, se non lo accetta in pieno. Ovvero, come diceva sempre il mio parroco: "la religione non è una pasticceria", nella quale si può prendere solo quello che uno desidera o che piace di più.

Ed in questo prendere le cose "in toto" si manifesta necessariamente un "atto di fede" (altre parole chiave), tramite il quale ciascuno si sente di accettare anche ciò che non comprende... o che giudica addirittura sbagliato.

L'atto di fede è necessario nel momento in cui uno decide di aderire ad un credo specifico.

Un neofita, che calca per le prime volte un tatami, fa sicuramente un "atto di fiducia" (se non di fede), poiché si sottopone ad una disciplina che non conosce e della quale non comprende la maggioranza delle usanze e delle pratiche.

Anche il neofita si sottopone a TUTTA la disciplina, e non gli è dato scegliere solo gli aspetti che più lo aggradano, e nikyare su quelli che trova più scomodi.

Esistono delle figure di riferimento che accompagnano il fedele durante il suo cammino, appunto "di fede", gli danno la possibilità di interrogarsi, di verificarsi, di tornare sui suoi passi e/o redimersi (ove il credo contempli ciò che in occidente chiamiamo "peccato"): queste figure fanno da intermediari fra il piano divino e quello umano.

La spiritualità può essere definita invece il percorso personale e quindi il rapporto di carattere esperienziale che ciascuno può avere con la trascendenza. Non sono necessari né dogmi, né intermediari, né alcun tipo di strutturazione... poiché tutto è assolutamente sperimentabile in PRIMA PERSONA.

Ai miei occhi, la religione rappresenta un po' il kihon della spiritualità, così come quest'ultima rappresenta i principi della religione.

Ci sarà quindi un tot di religione densa di spiritualità e ci sarà un tot di religione solo frutto della speculazione umana... esattamente come ci sono tecniche animate dai principi, e tecniche "vuote", ma formalmente quasi perfette.

E ci sarà un tot di spiritualità che ha trovato una perfetta collocazione all'interno dei dogmi religiosi, così come invece ce ne sarà un tot che non ha alcun bisogno di essere rinchiusa in dogmi per essere esperibile in modo diretto e immediato (non-mediato, da nessuno).

Le tecniche hanno bisogno dei principi, ma i principi stanno in piedi anche senza le tecniche... almeno questo è quello che si dovrebbe toccare con mano nella pratica dell'Aikido!

O' Sensei ebbe un approccio inizialmente RELIGIOSO all'Aikido, in quanto frutto delle sue esperienze nello Shinto, nel Buddismo Shingon e nell'Ōmoto Kyo: non costrinse però mai nessuno ad abbracciare uno specifico credo religioso per praticare Aikido... limitandosi a rimandare come questa strada fosse COMPATIBILE con essi.

Quindi camminò sulle SUE gambe, e ritengo abbia mutato parecchio il suo approccio, da religioso a spirituale, e la differenza non è poca o banale.

In questo senso, ritengo che l'Aikido debba avere un approccio che nel breve periodo può essere "religiosistico", ma nel lungo periodo divenga "spiritualistico": ovvero che inizialmente debba richiedere di aderire ad un certo numero di norme, chiedendo fiducia su ciò che ancora non comprendiamo... ma sia un percorso che alla lunga debba essere esperito in prima persona, senza dipendenza da chi ci dice cosa sia giusto e cosa non lo sia.

Il Dojo, il Maestro, i compagni sono - bene o male - tutti intermediari... perché ATTRAVERSO di essi esperiamo il nostro percorso nella disciplina: difficile farne senza, almeno per la prima 20ntina di anni di pratica.

Ma essi - ad un certo punto - diventano qualcosa di cui è possibile fare a meno, SENZA dover abbandonare il proprio percorso: credo che continuerei ad essere uno studioso ed un ricercatore di Aikido anche se non mettessi mai più piede su un tatami, infatti.

La vita è diventata un grande Dojo e ciò che mi accade un Sensei, le persone che incontro sono i miei compagni di pratica... e tutto ciò è molto indipendente da un eventuale tesseramento in FIJLKAM o meno.

Alla fine i conti devono tornare a ME e se ci fosse sempre e solo un Sensei che mi dice: "Tu allenati, che vedrai che un giorno comprenderai/riuscirai"... gli girerei un tot alla larga. Un approccio spirituale non ha bisogno di promesse: fa quello che fa perché crede sia la cosa migliore da fare, non per il risultato che può ottenerci attraverso.

Sotto questo punto di vista, SE la vostra pratica non è agli esordi, PRETENDETE da voi stessi che i CONTI vi TORNINO, a tutti i livelli: quello tecnico, fisico, intellettuale, filosofico, spirituale.

Se anche una sola di queste aree risultano traballanti, NON state decenni fermi nella titubanza: chiedetevi cosa non torna, e pretendete da voi stessi di trovare una quadra che vi convinca, almeno momentaneamente.

Questo - di fatto - taglierebbe le gambe a tutti i venditori di fumo: tutti quelli che, ad esempio, dicono che con questo o quel metodo è possibile arrivare alle vette alle quali giunse il Fondatore dell'Aikido.

La domanda è: "Ma tu che mi vendi questo metodo... ci sei arrivato a quelle vette?" e se la risposta non fosse si: "Come fai a dirmi che in questo modo si raggiunge qualcosa che non hai ancora raggiunto nemmeno tu?".

I conti alla spiritualità devono tornare ben al di là di qualsiasi santone o gran sacerdote affermi di parlare per nome o per conto di O' Sensei: se così non fosse inizieremmo a fare un atto di fiducia che sprofonderebbe nell'esigenza di una fede cieca, come quella che si fa nelle peggiori sette della formica gigante o del babbuino tisico della Papuasia...

Risulta ovvio che sia l'approccio "religioso", che quello "spirituale" hanno delle zone d'ombra e dei pericoli in agguato del quali è bene essere consapevoli:

- la religione scopre talvolta il fianco alla manipolabilità dell'individuo; è sufficiente avere fiducia (o, peggio, fede) nelle persone sbagliate, per creare con loro un senso di dipendenza, che risulta l'opposto di una spiritualità matura. In cambio di ciò è sempre possibile incolpare qualcun altro di averci fregato: non importa che sia un essere umano o una divinità... "Mi trovo in queste condizioni perché mi sono fidato di te... e tu guarda in che condizione mi hai condotto!".

Non è un caso che le religioni parlino di "pastore" e di "gregge": dobbiamo infatti ricordarci che talvolta il pastore è una figura saggia, che ha cura del suo bestiame, da loro supporto e cura... altre volte (la maggioranza, ad essere onesti) è anche colui che lo conduce al macello. Il fatto di avere degli intermediari tra sé e dio consente di poter ricevere da loro supporto... ed anche ad alcuni di crearsi una professione, basata sulla credulità altrui.

Non accade diversamente in Aikido, quando poniamo TUTTA la nostra fiducia in un Maestro, un gruppo, una Scuola, un Ente... "Te lo dicono loro come dovrebbe essere l'Aikido!", salvo poi cascare dal pero e farsi male, senza nemmeno accorgerci che vi eravamo saliti!

- la spiritualità, di contro, ha il problema duale ed opposto: se sono da solo e me la canto e me la suono, devo anche mettere in conto la possibilità che mi auto-saboti o che mi prenda in giro da solo, senza nemmeno rendermene conto. Una religione - in qualche modo - può farti da specchio, e farti vedere se o quanto devi da un percorso prestabilito... ma se fai tutto da solo, chi te lo dice che sei sulla strada migliore per te?

Questo porta all'autoreferenzialità... e se uno vuole evitare la manipolazioni degli altri, dovrebbe anche trovare il modo di evitare le manipolazioni da parte di se stesso.

In Aikido vale proprio la stessa cosa: "Siccome tutto è un'esperienza personale, allora faccio quello che mi va, tanto io sono l'unica fonte autorevole da ascoltare"...questo non solo genera mostri, ma anche persone veramente incapaci, che si convincono di essere i nipoti segreti di Ueshiba, quando non sanno distinguere ancora un omote da un ura.

Cosa fare quindi: spiritualità o religione? A questo dilemma la risposta trovatevela da soli, visto che questo è fuori tema per queste pagine!

Invece sull'approccio "religiosistico" (1) piuttosto che "spiritualistico" (2) all'Aikido io una mezza idea ce l'avrei anche...

All'inizio (e per gli anni subito a seguire) non si può che partire dalla prospettiva (1): serve crearsi dei riferimenti concreti, solidi e stabili... e questi ve li da qualcun altro; un buon Ente, un buon Dojo, un buon Docente, un buon gruppo di pari con i quali studiare. Non credo che si possa prescindere da tutto questo, se devo essere sincero.

Se avete l'ardore di proseguire sul vostro Do, tuttavia, questa cosa deve - ad un certo punto - però poter virare nella prospettiva (2)... ovvero in consapevolezze più prese da dentro, che da fuori.

Fate dell'Aikido, innanzi tutto, un'esperienza personale, da giudicare con parametri VOSTRI, che sicuramente possono migliorare o affinarsi con il tempo... ma che se non convincono voi, non devono convincere nessuno d'altro. Ad esempio...

- Credete che dio non esista?

Ottimo, fate Aikido come se dio non esistesse... e poi guardate cosa accade

- Credete che dio esista?

In questo caso, fate Aikido come se esistesse... e poi guardate cosa accade

- Vuoi vivere il tuo credo religioso nella pratica?

Fallo! (non in senso genitale) ... e poi guardate cosa accade

- Vuoi lasciare il tuo credo religioso fuori dalla porta?

Fallo! (sempre non in senso genitale) ... e poi guardate cosa accade

Siate gli sperimentatori, l'esperimento ed il laboratorio in cui esso avviene!

Se ascoltate me - almeno nell'Aikidosmettete di delegare a terzi la qualità del vostro percorso (persino alle divinità!), iniziando ad assumervi piena responsabilità su di esso... credo questo possa fare una certa differenza, almeno per me è stato così.... ma, dopodiché, liberi tutti!

Marco Rubatto



lunedì 25 novembre 2024

Il Meditante - intervista a Gianclaudio Vianzone

Con estremo piacere quest'oggi Aikime recensisce per voi un altro libro sull'Aikido, tratto dalla collana "I dialoghi Aiki", editi da The Ran Network, a cura dell'amico Simone Chierchini Sensei.

Il piacere poi è doppio, visto che da qualche tempo Gianclaudio si sta allenando anche nel nostro Dojo, quindi ho avuto modo di conoscerlo meglio e scambiare con lui numerosi pensieri sulla nostra disciplina, su come viene vissuta ai nostri giorni ed anche organizzata a livello dei vari Enti.

Il suo libro parla di molto di tutto ciò, ma da subito tengo a precisare che il mio interesse per il suo scritto NON è influenzato dalla mia frequentazione ed amicizia con Gianclaudio.

Sono molto attento su quanto compare nel panorama editoriale, poiché finalmente qualcosa si sta muovendo anche per l'Aikido... anche se non tutto ciò che risulta nuovo è anche bello... e non tutto ciò che è bello risulta anche nuovo.

In questo caso, invece, abbiamo uno scritto maneggevole, chiaro... ma al contempo anche COLTO, nel senso di "mai banale" e che strizza l'occhio ad una ricerca significativa, ad approfondimenti che non tutti i praticanti (purtroppo) fanno.

La visione delle Arti Marziali tradizionali giapponesi di Gianclaudio è sicuramente stata influenzata dall'incontro avvenuto in gioventù con il Maestro Shoji Sugiyama, inizialmente per lo studio del Karate... ma in seguito anche per l'Aikijutsu. E quando uno parte con l'eccellenza, è complicato poi accontentarsi facilmente dei sottoprodotti occidentalmente politically correct...

Credo che questa circostanza abbia reso Gianclaudio (praticante anche di Aikido, Iaido e Kendo, studioso di lingua giapponese e Docente di tradizione giapponese presso l'Università popolare di Torino) una persona che desidera approfondire... sia con la pratica, ma anche con lo studio e la ricerca di quelle che sono le tradizioni e le filosofie che stanno dietro ad un gesto o ad una pratica di tipo fisico.

Il suo approccio quindi è anche di tipo intellettuale... ma è necessario ricordarci che O' Sensei stesso affermava che la pratica dell'Aikido consiste nel coltivare 3 differenti aspetti, ovvero:

- la pratica fisica

- la pratica del Ki

- la pratica intellettuale

Di quest'ultima - purtroppo - abbiamo avuto modo di discutere da poco (QUI) quanta carenza sembri esserci nel nostro mondo... quindi è ottimo che scritti come quello di Gianclaudio mettano la pulce all'orecchio rispetto ad una serie di domande e riflessioni che sempre più persone dovrebbero porsi... se hanno piacere che la loro pratica spicchi veramente il volo.

Entrando nel merito, il testo tocca alcuni punti interessanti sulla pratica, il suo insegnamento e lo spirito che dovrebbe caratterizzare entrambi questi aspetti...

Si parla di "mente imperturbabile", che però deve essere qualcosa di più che un concetto filosofico: un modo di essere e di vivere quello che si fa... e sappiamo bene quanti praticanti (e Docenti!) hanno una mente piuttosto "perturbata", per essere benevoli con le parole!

Si parla di "Vivere nel Ki" e della "Realtà del Ki"... come di un fenomeno o una dinamica che deve poter diventare TANGIBILE, e come questo "Ki" non possa più essere considerato ai nostri giorni una fantasia a mandorla, da tirare fuori SOLO nei discorsi filosofici, spesso utilizzati per imbambolare gli allievi dinnanzi a presunte imprese mirabolanti di questo o quel Sensei del nostro passato.

Il "Ki" come pratica da COLTIVARE quotidianamente, che ci si trovi sul tatami o che ci si occupi di altre contingenze.

Si parla di "Evitare le Maschere" dell'ego, soprattuto quando ci si riferisce a percorsi come l'Aikido... che possono ANCHE essere di tipo spirituale. In fondo coloro che si immergono in percorsi di tipo spirituale cadono spesso vittime delle trappole del loro ego, che li fanno ritenere "migliori degli altri", se non addirittura "i migliori di tutti".

Ancora mi risuonano nelle orecchie i discorsi negli spogliatoi o di quei Sensei devianti che continuano a far passare agli allievi la dottrina "noi siamo i migliori di tutti": l'Iwama Ryu da cui provengo era ZEPPO di questi imbarazzanti deliri dell'ego.

In fondo: se uno fosse davvero "il migliore di tutti", a cosa serve ribadirlo ogni 2x3?

Lo si è e basta, si tratterebbe di un dato di fatto difficilmente controvertibile... Invece questa continua presunta perfezione, sbattuta in faccia ogni 10 minuti, spesso nasconde una profonda insicurezza, - o meglio - il concreto dubbio che non si sia poi sto granché!

E ancora... il libro di Gianclaudio esplora la differenza che può passare fra la cosiddetta "Armonia light", un po' come la Cocoa Cola o la Philadelphia senza zuccheri o grassi aggiunti... che oggi sembrerebbe andare molto di moda fra gli Aikidoka... ed il concetto SINERGICO di Armonia, così come forse lo interpretava O' Sensei, o  in generale i Budoka "vecchia scuola".

Si tratta di un'armonia che si raggiunge dopo un considerevole ammontare di dedizione e sacrificio... non qualcosa che si può comprare al fast food del Budo: una condizione che richiede - ad esempio - la capacità di sopportare anche una certa quantità di frustrazione e di dolore.... e mette a dura prova la nostra determinazione.

A pro di questo, Gianclaudio ci ricorda l'importanza estrema insita nel "Reishiki" (avevamo già recensito una sua opera precedente sull'argomento, che troverete QUI), "l'etichetta"... ovvero un insieme di buone norme pensate per accompagnare il praticante nel suo percorso marziale: non un semplice elenco di cose da fare o da evitare una volta sul tatami, ma uno spirito da comprendere e fare proprio nel quotidiano.

In fondo ci si lamenta abbastanza tutti che le persone non sembrano più attratte dal nostro tipo di disciplina... perché ha tempi di apprendimento lunghi, richiede impegno, la capacità di superare molte difficoltà... e così via.

Tuttavia NON siamo i PRIMI ad incamminarci in un percorso estremamente richiedente, anche perché altrettanto profondo e trasformativo... se vissuto nel modo migliore: il "reishiki" è appunto il modo migliore di viverlo in modo significativo, null'altro.

Nel libro, interessante anche proprio per questo, Gianclaudio si toglie diversi sassolini nella scarpa alla luce del suoi trascorsi non banali nello studio delle Arti marziali e delle filosofie orientali (che lui insegna con regolarità): non desidera sentirsi o definirsi un Maestro, ma posso testimoniare essere in lui presente un autentico spirito da ricercatore... disposto a mettere in discussione metodologie e stilismi, al fine di comprendere meglio e di più il Do... vissuto come prospettiva concreta e quotidiana.

Non spoilero altro, ma vi assicuro che "Il Meditante" è un testo di 120 pagine che si legge tutto d'un fiato!

Per acquistarlo (11,99 €) è sufficiente seguire questo LINK, oppure cercarlo sui principali Store on-line.


Ne approfitto per ringraziare di vero cuore Gianclaudio per le interessanti disamine che ci propone nelle sue opere, così come delle piacevoli conversazioni che facciamo di fronte ad un cappuccino, dopo l'asakeiko 2 volte a settimana... e non per ultimo, per l'importante valore aggiunto che costituisce averlo con noi sul tatami!

Buona lettura!


Marco Rubatto


PS: il ricavato della vendita dei libri di Gianclaudio va tutto in beneficenza, un altra buona ragione per acquistarli!



lunedì 18 novembre 2024

Aikido: profondità o contingenza. Quali sono le tue priorità?

Più che in passato, sta accadendo che io venga contattato da persone (sia giovani, che più mature) che desiderano intraprendere la pratica dell'Aikido: e questo parrebbe un buon segno!

Purtroppo - da bravi neofiti assoluti - non leggeranno questo Post, e nemmeno sapranno che esiste il Blog... ma condividere questa esperienza potrà spero invece aiutare i molti che invece lo seguono... e che stanno vivendo esperienze analoghe.

Si percepisce una certa "esigenza" di fondo di fare qualcosa di positivo per se stessi... dedicarsi del tempo forse, riappropriarsi di una dimensione personale che se non stiamo ben attenti la nostra quotidianità ci sottrae, a forza di impegni di varia natura (nemmeno sempre così utili o edificanti).

Noto però anche un approccio che rischia di far partire con il piede sbagliato chi vuole fare il primo passo verso la disciplina... ovvero quello di mettere al primo posto innanzi tutto la CONTINGENZA.

Ovvio che cerchiamo una "palestra" vicina a casa, ovvio che controlliamo che abbia orari compatibili a quelli che abbiamo liberi... ovvio anche che cerchiamo un luogo che abbia quote sostenibili dal nostro portafoglio...

Tuttavia non abbiamo che pensato alla sola e mera CONTINGENZA per il momento.

Stiamo però cercando qualcosa di importante per noi, qualche attività tramite le quali stare meglio con noi stessi e forse pure con gli altri; cerchiamo qualcosa che ci faccia stare in forma, che ci supporti nel processo di unificazione mente-corpo... che ci faccia mettere in discussione fuori dalla nostra zona di comfort: questa però NON è mera contingenza... sono tutte esigenze legate ad una certa profondità, non trovate?

Paradossale quindi che i principianti (ma vedremo non solo loro) si occupino quasi SOLO di risolvere problemi di tipo pratico.

Molto raro che qualcuno mi chieda cosa sia l'Aikido o cosa differenzi questa disciplina da un'altra disciplina marziale giapponese o cinese... che si interessi in merito a quali dovrebbero essere i vari livelli di ingaggio o i risultati che potrebbero essere raggiunti attraverso una pratica costante.

Meno che mai ci si interessa a stili e Scuole e didattiche differenti: segno che queste cose interessano SOLO a noi che pratichiamo già.

Si vede che tutte questa cose le leggeranno su Wikipedia... o non si porranno nemmeno le questioni relative: però tutti a cercare il luogo più vicino, quello che costa meno, quello che possono andarci anche se faccio i turni.

Da un lato è comprensibile, dall'altro invece è un fenomeno che da da pensare (almeno a me)!

Qualche settimana fa, mi ha contattato un signore, non interessato ad un corso di Aikido (ma di Tai Ji Quan, che viene svolto comunque nel nostro Dojo), tuttavia risulta in ogni caso significativo il suo atteggiamento, per le questioni che mi ha posto.

Premetto che questo signore era già venuto a fare una prova del corso e sembrava esserne rimasto letteralmente entusiasta, affascinato ed ispirato...

Il nocciolo della questione era il seguente: mi chiedeva perché avrebbe dovuto pagare l'iscrizione annuale alla nostra A.S.D. (Associazione Sportiva Dilettantistica) pur non essendo ancora sicuro di frequentare il corso per un anno intero.

Questo signore ovviamente NON sapeva che essere assicurati presso un Ente è OBBLIGATORIO per la legge italiana sullo Sport e che quindi noi DOBBIAMO pretendere che il tesseramento avvenga (e la formula ANNUALE è l'unica esistente), in più siamo obbligati a richiedere un certificato medico in corso di validità (mi obbiettava che quelli sarebbero stati altri soldi da spendere a suo carico), sempre per ragioni legati all'assicurazione.

Inoltre sembravano esserci ulteriori problemi legati al suo abitare LONTANO dal Dojo e quindi una scomodità (e dei costi di trasporto) da aggiungere in caso avesse optato per la frequenza.

Tutte argomentazioni (quasi) ragionevoli, TUTTAVIA...

Gli ho fatto presente che avrebbe dovuto mettere in conto anche altri fattori, ad esempio:

- come si è trovato quando ha fatto la prova

- in che tipo di ambiente è stato accolto

- che preparazione aveva l'Insegnante che si è occupato di lui

- che tipo di rapporto avrebbe potuto intessere con l'Insegnante ed i suoi compagni

- quanto tiene allo studio del Tai Ji Quan

... giusto per elencare elementi ulteriori oltre a quelli che mi ha fatto presente lui.

Gli ho perciò posto anche questioni di SOSTANZA, oltre che relative a sistemarsi nel modo più comodo possibile un nuovo hobby.

Quanto Tai Ji Quan può imparare un neofita che NON pratica nemmeno per un anno consecutivo?

Quanto Aikido potrebbe imparare una persona se non si allenasse nemmeno un anno?

Ha senso inscriversi ad un corso di Aikido se si ha già la sua data di scadenza fissata?

(e sarebbe identico per qualsiasi altra disciplina)

A questo il neofita non pensa molto, mentre cerca la cosa che gli faccia fare la svolta nella vita a 3,50 €/mese, sotto casa e con un Insegnante che gli faccia lezione privata quando lui è più libero!!!

C'è uno stimato Maestro di Judo del Lazio che spesso ripete: "É chi ha sete che deve andare alla fonte a bere".

Molti cercano di fare di tutto per convincere la fonte a venire da loro... o sono disposti a bere in qualsiasi pozzanghera che trovano: sempre mentre sono alla ricerca della bottiglia di Vodka Billionaire (3,7 milioni di dollari a bottiglia).

Non pare un briciolo incoerente volere TUTTO ed essere disposti a dare quasi nulla di sé in cambio?

Non affermo che BISOGNA per forza pagare caro, essere scomodi per sedi ed orari... quanto che è necessario ANCHE pensare che il percorso ci richiederà di fare qualche sacrificio, se vogliamo sperare che per noi faccia la differenza, no?

E questi sono neofiti... e ce li prendiamo come vengono... ma siamo certi che sia poi tanto diverso per chi invece pratica già da un po'?

C'è gente che viene al Dojo ogni 3 settimane per 1 ora: si lamenta però poi che "sto Aikido però non riesce proprio per niente a decollare" come loro vorrebbero...

Meno male: altrimenti chi lo fa tutti i giorni sarebbe proprio un deficiente se bastasse praticare 4 ore a bimestre per ottenere un qualche risultato notevole! Non trovate?

Ed attenzione: anche quelli che vengono quasi sempre hanno un lavoro, una famiglia, le loro contingenze da mettere in quadro PRIMA di dedicarsi al loro hobby. Solo che questi ce la fanno ugualmente ad allenarsi: sono forse dotati di super poteri per dilatare il tempo?

O semplicemente sono anche disposti a qualche sacrificio PUR di mantenere una certa costanza?

Saranno persone che pensano alla loro CONTINGENZA, ma anche a ciò che per loro possiede una qualche forma di PROFONDITÀ, allo stesso tempo.

Ho allievi che quando sentono che c'è un evento importante in calendario - magari 1 al quale partecipare in 1 anno intero di pratica - vengono a dirmi: "Vorrei tanto venire, ma quel giorno festeggiamo il compleanno di mia suocera...".

Allora ricordati poi di andare a chiedere a tua suocera anche il prossimo passaggio di grado, sempre per coerenza: è qualcosa di paradossale non esserci mai per una disciplina, che vorresti sempre che ci fosse però per te, quando ne hai voglia tu!

Vediamola da un altro punto di vista: perché è così importante partecipare al proprio matrimonio, o al proprio funerale?

Forse perché non è possibile mandare nessun figurante al nostro posto: dobbiamo proprio esserci noi...

Ecco: è la stessa cosa anche con i doveri che ci siamo assunti nei confronti di noi stessi, ad esempio quelli della costanza negli allenamenti in un'attività che è BASATA sull'auto disciplina.

Se mia suocera compie gli anni nell'UNICO giorno all'anno nel quale ho l'opportunità di crescere nella disciplina che ho scelto PER CRESCERE... dite che si inalbererà molto se andrò a festeggiarla il giorno precedente o quello successivo?

É forse solo questione di comprendere quali sono le proprie priorità: non voglio suggerire che l'Aikido debba venire sempre prima della suocera... però che ciascuno di noi venga prima per se stesso rispetto a tutti gli altri SI!

Con gli Insegnanti non è che il discorso cambi tremendamente (purtroppo)...

Mutano forse le CONTINGENZE... diventano forse avere più allievi, il grado più altisonante, la palestra più bella e spaziosa: tutte cose sacrosante, ma siamo certi di stare lavorando (ancora) in direzione della nostra PROFONDITÀ?

Anche perché se smettiamo di farlo, ci trasformiamo nel peggiore degli allievi irresponsabili o in quei principianti che si arrendono già prima ancora di avere fatto qualche passo in avanti in ciò che interessa loro.

Infondo, se siamo in cerca di una SCUSA, finiremo per trovarla... e ciò sia da neofiti assoluti, che da praticanti consumati. Basta esserne però consapevoli e non lagnarci poi delle conseguenze della nostra scelta.

E - se ho inteso bene - la disciplina non farà altro che SPECCHIARCI chi siamo, piuttosto che ciò che desideriamo da essa.
Basta quindi dare all'Aikido la responsabilità delle nostri passioni tiepide e tristi: è perfido prenderci in giro in questo modo!


Marco Rubatto




lunedì 11 novembre 2024

Dietro le quinte dell'Aikido: l'arte della relazione malata

"Marco, ma ci pensi un attimo a cosa scrivi???"

"Si, che ci penso... anche più di un attimo, a dire il vero".

Ed in effetti l'Aikido sarebbe nota come "L'arte della relazione"... perché darle una connotazione patologica, quindi?

Se apriamo qualsiasi testo dedicato alla disciplina (introduttivo o meno che sia)... si vedrà un gran scrivere su carta, oppure si sentirà un gran vociare sul tatami "dell'armonia", fra noi ed il compagno che ci attacca, fra noi ed il conflitto... E si sprecheranno parole e pippozzi infiniti sulla necessità di rispetto, sull'esigenza di non ingerire sul partner, specie quando è inerme, sulla caratteristica NON violenta che dovrebbero connotare le azioni e le intenzioni di un Aikidoka... e bla, bla bla.

Ora, provate un attimo a venire con me DIETRO le quinte dell'Aikido...!

Sarà perché me ne occupo tutto il giorno e tutti i giorni... ma le questioni più comuni che mi capitano sulla scrivania, al telefono o suoi social sono relative a conflittualità da gestire/stemperare/sedare da parte di PRATICANTI (1) e non di certo della prima ora (2).

Spesso si tratta di Responsabili di Dojo, se non addirittura di Responsabili regionali o nazionali di questa o quella corrente, oppure Ente. E questo è strano, perché - se tutti i bla bla bla di prima fossero autentici - NON dovremmo incontrare così tante conflittualità (1) ed incontrarle SPECIE ai livelli più elevati della disciplina (2)!

Empiricamente però si constata che è proprio li che se ne incontrano maggiormente... segno che la maggior parte della filosofia che amiamo ed insegniamo non ha trovato vita ed applicazione nel nostro quotidiano, prima di tutto.

Uno dei primi bias che emerge è quello del "riconoscimento", ovvero della difficoltà che fanno gli Aikidoka ad essere apprezzati e valutati costruttivamente da altri Aikidoka, che provengono da percorsi differenti dai primi.

É un po' come dire che "l'Aikido è l'arte dell'inclusione"... ma solo per quelli che possono avere questa definizione IN ESCLUSIVA!

Non essere in grado di scorgere i lati positivi dell'esperienza di una persona, solo perché quella persona ne ha fatta una differente dalla nostra... non è questo gran bel segno di maturità, o della capacità di intraprendere relazioni sane, equilibrate e durature...

Ed infatti i vari Enti/gruppi hanno la tendenza a "ramificarsi", nel senso di scindersi in più correnti differenti... ma che di solito non ci tengono molto a mostrarsi collegati al luogo dal quale provengono.

É la dinamica di un figlio che si emancipa dal proprio genitore, ma lo riesce a fare solo dissociandosi in toto dal comportamento di quest'ultimo... anche se questi possedeva pregi, oltre ad un mare di difetti. In fin dei conti nostro padre e nostra madre rimarranno sempre tali... indipendentemente dalle persone che sono, che avrebbero voluto essere o che potrebbero diventare.

Perché camminare con le proprie gambe dovrebbe sempre essere sinonimo di avere sbattuto dietro a sé la porta di casa per chiuderla?

Quindi: dissociarsi dalle proprie origini è sovente la dinamica che adottano alcuni Aikidoka per cercare una "nuova verginità" nella disciplina... e qui siamo dinnanzi alla prima difficoltà di "riconoscimento" oppure di "riconoscenza", che hanno un prezioso etimo in comune.

Il passo successivo è quello di spostarsi da un ramo all'altro della "famiglia dell'Aikido" facendo una fatica notevole a vedersi riconosciuti come rami differenti dello stessa tipologia di pianta.

Sarà sicuramente anche perché la disciplina è così vasta che al suo interno comprende un po' tutto ed il suo contrario... quindi si fa particolare resistenza talvolta a riconoscere le proposte altrui come affini al lavoro che stiamo facendo: ma siamo sicuri che non sia più facile di come ci appare?

Io credo che ci sia del patologico nell'incapacità di scorgere il buono, il positivo ed il costruttivo che c'è in chi è differente da me: beh, gli Aikidoka questa difficoltà la provano tutta, segno che sono cresciuti con un profondo pregiudizio verso un operato differente dal proprio.

Sono stati un po' "catechizzati" da una parrocchia specifica... tanto da prendere per fedifraghi ed infedeli tutti quelli che attivano dalle diocesi limitrofe.

Li avete mai sentiti discorsi tipo: "Noi siamo i migliori di tutti"?... "Gli ALTRI fanno quello che possono"... Io li ho sentiti quotidianamente nell'Iwama Ryu, ma poi anche in altri gruppi e Scuole.

Più di una volta mi è capitato di sentire che un Insegnante richiedesse di ricominciare da capo il percorso a chi dovesse giungere da altrove, magari già possedendo alcuni gradi non banali.

Come dire: "Il percorso fatto senza di me, non è un percorso degno di lasciare strascichi!"

Ma come fa una disciplina apparentemente pregna di relazione ad mostrare tratti così esclusivi e svalutativi delle esperienze altrui?
Rammento che nella nostra attuale società la parola "esclusivo" viene utilizzata per indicare qualcosa di così FIGO che posseggo solo io e non possono avere gli altri, o che si possono permettere in pochi rispetto a tutti.

L'ESCLUSIVITÀ mette una barriera nella possibile relazione ed è l'esatto opposto di INCLUSIVITÀ, che invece è la base della connessione sulla quale si può basare una relazione... di qualsiasi tipo questa possa essere.

Come posso essere in grado di fondermi con il mio avversario, tanto da divenire una cosa sola con esso... ma non essere in grado di riconoscere altre persone sul mio stesso cammino, ma magari frequentanti presso un'altra Scuola, stile, didattica?

Mi pare un evidente controsenso... o segno che alcuni concetti al momento sono buoni SOLO in teoria, visto che non è possibile vederli comunemente applicati.

Ma i nostri "esperti" di Aikido non fanno solo questo... magari si fermassero qui!

Di solito utilizzano il propio peso esperienziale per ingerire su coloro che ne posseggono di meno: una sorta di "nonnismo" dei Senpai nei confronti dei Kohai, insomma.

Vediamo perciò gli Insegnanti che maltrattano i propri uke, in guisa di carne da macello, sacrificabile al fine di mostrare la propria bravura, potenza e velocità... ma anche le parti dirigenziali dei vari Enti prendere decisioni SUI loro associati... anziché CON i loro associati e PER i loro associati.

Una comunicazione top-down da manuale ("ti impongo/devi"), in completa assenza di quella bottom-up. Una gerarchia piramidale, capeggiata da sovrani tutto fuorché illuminati...

Questi sono nuovi segni di un rapporto di coercizione/dipendenza o di una relazione sicuramente malata fra gli individui. E perché accade proprio nell'Arte della relazione?

La relazione - qualsiasi essa sia - richiede e si basa sul RISPETTO: che forma di rispetto ci può essere dove c'è ingerenza di qualche natura?

- "Se non vieni al Seminar di Aikido poi non ti faccio dare gli esami o ti boccio".

- "Se vai al seminar di Aikido che ti ho vietato, poi non ti faccio dare gli esami o ti boccio".

- "Se non mi inviti a fare un Seminar di Aikido ogni tot tempo,  poi non ti faccio dare gli esami o ti boccio".

Credete che questi ricatti provengano dal medioevo giapponese?

Proprio NO: provengono dall'attuale Aikido Italiano e li ho visti con i miei occhi e sentiti con le mie orecchie una ventina di volte solo nell'ultimo paio d'anni.

Sapete quante volte mi è capitato di tenere un Seminar di Aikido e di avere partecipanti che provenivano da Scuole che avrebbero voluto impedire loro di essere li?

O quante volte ho preferito NON firmare i Budopass/Aikidocard di questi "anarchici" perché non avessero problemi con i loro abituali Insegnanti (despota) di riferimento?

Giusto una decina di giorni fa ho incontrato un Insegnante di Aikido con il quale ci siamo promessi di incontrarci presto sul tatami con i rispettivi gruppi... ma a "telecamere spente" per evitargli gli inevitabili problemi che questi avrebbe se nella sua Scuola si venisse a sapere che mi frequenta!

Ora: come può esserci una relazione SANA fra Scuole o fra Insegnanti ed allievi... se alla base della rapportazione ci sono delle ingerenze di questa tipologia?

Sapete... si credo che sappiate quanto si fa fatica anche solo a PARLARE di Aikido in un Social Media fra praticanti... specie, anzi, fra Insegnanti di questa disciplina.

C'è una tendenza devastante alla critica distruttiva, grazie alla quale chiunque farebbe sempre meglio di quello che asserisce qualcun altro: se posti una massima di O' Sensei... "troppo tempo sul Web anziché andarti ad allenare"; se posti un'immagine "bella caduta, ma l'uke che si è lanciato da solo"; se posto un video "si però secondo me quell'ikkyo così non funzionerà mai".

Se ti piace il self-defence "dovresti essere più filosofico"... se ti piace la filosofia "si, però l'Aikido è prima di tutto un'arte marziale"...

Queste dinamiche sono ben note sia in filosofia, che in psicologia: si tratta del pericolo di argomentare con uno scettico a priori.

Egli ha già scelto di trovare un punto debole della tua tesi, prima ancora che la enunci: lui non è li per ascoltarti, ma per farti muro... per rimbalzarti, far si che la tua azione venga ad annullarsi, grazie alla sua. Li chiamano anche passivi-aggressivi...

Ecco: siccome noi Aikidoka NON possiamo apparire aggressivi, visto che pratichiamo "l'arte dell'armonia", e NON possiamo essere passivi, perché pratichiamo "un'arte marziale"... finiamo per divenire "passivi-aggressivi" senza nemmeno essercene resi conto.

É inutile che ci riempiamo la bocca con alti concetti filosofici di rispetto, connessione, unità, condivisione ("Aikido no kazoku", la "famiglia dell'Aikido")... se poi abbiamo ancora le natiche piantate in questa melma umana e relazionale: diventiamo all'istante portatori di messaggi disfunzionali... e - per fortuna - le persone esterne al giro se ne accorgono (anche solo inconsciamente) e ci evitano come la peste.

Fate bene: rimanete distanti da chi non è capace di applicare le proprie filosofie nel quotidiano!
Noi Aikidoka siamo profondamente PROBLEMATICI, non tutti ovvio... ma la gran parte del movimento è ancora preda di bassezze egoiche del peggiore tipo: altro che "arte dell'armonia"... incarniamo più lo stereotipo dell'arte della relazione MALATA.

Prima lo realizziamo, e forse prima saremo in grado di uscire da questa condizione patologica, le cui nefaste conseguenze ricadono sull'intero movimento, pure su quelli che stanno facendo del loro meglio per cambiare le cose ed offrire alternative più SANE a queste dinamiche primitive, deleterie ed infantili.


Marco Rubatto