lunedì 5 giugno 2023

L'Aikido che si sveglia dall'incubo marziale

Cosa c'è di meglio di risvegliarsi alla mattina, specie se abbiamo fatto un brutto sogno?

Di colpo ci rendiamo conto che quell'atmosfera magari opprimente, quella situazione difficile era solo parte del mondo onirico... e che la realtà è fortunatamente diversa, anche molto migliore di esso.

Ecco, credo che questa sia anche la sensazione che ebbe O' Sensei e un certo numero di praticanti odierni quando si ha il CORAGGIO di svegliarsi da ciò che io definisco "incubo marziale"...

Ma in che cosa consisterebbe questo "incubo marziale"?!

Mi riferisco alla deriva che prende chi utilizza l'Aikido SOLAMENTE per la sua chiara e tracciabilissima provenienza marziale, e che ad onore può fare contemplare la disciplina fra le forme di Budo più evolute del Giappone.

Tutte caratteristiche ottime, s'intende... purtroppo però INSUFFICIENTI da sole per caratterizzare l'enorme valore aggiunto che l'Aikido può rappresentare nelle vite di ciascuno di noi.

E perché affermo questo?

Forse che atterrare con efficacia un avversario, senza lederlo, non possieda già da sé un valore aggiunto piuttosto considerevole?

Credo che lo abbia, infatti, ma solo che risulti ancora ben poca cosa rispetto alla portata dell'Aikido!

Essendo cresciuto nell'Iwama Ryu, ero abituato a considerare buona la tecnica che fosse in grado di sbilanciare ed atterrare anche un avversario parecchio oppositivo e fisicamente più forse di me.

Diciamo che per anni il mio mantra è stato proprio quello di ottenere quella "invincibilità marziale" che era un po' il mito di noi tutti... magistralmente rappresentata da Morihei Ueshiba e dalla sua straordinaria capacità di risolvere gli scontri fisici più impari a suo favore.

Stavo semplicemente tralasciando di considerare il punto più importante, ovvero ciò che avviene PRIMA che l'avversario cada a terra... ovvero il processo interiore che O' Sensei fece a suo tempo in se stesso: qualcosa al contempo di molto più stealth e molto più importante dei suoi uke che cadevano al suolo come birilli.

Immaginiamo che l'Aikido sia infatti una sorta di black box, nel quale c'è un entrata ed un'uscita: cosa sarebbe più interessante comprendere e conoscere... cosa c'è all'interno o cosa ne esce?

Per anni sono stato abituato a studiare solo il risultato finale di un processo che non è invece per nulla scontato e che - per giunta - è in grado di far completamente fraintendere quale sia il punto più importante da tenere sott'occhio.

Per "fortuna" però ora credo di averlo colto: il goal dell'Aikido è cosa accade IN ME quando sono attaccato da uno o più avversari, non importa come...

Il "processo Ueshiba" è ciò che differenzia l'Aikido dal Ju Jutsu, ovvero che non relega il primo ad una lotta tecnica fra tori ed uke, nel quale ci si augura che sia il primo ad avere la meglio sul secondo, grazie ad un buon allenamento fatto in precedenza.

Sicuramente c'è il conflitto, ma NON c'è un tori che si difende da un uke... perché se invece così fosse ci sarebbe ancora una dualità fra attaccante e difensore: la cosa complicata, ma essenziale in Aikido, è la capacità di superare queste forme di dualità, integrando gli opposti e fornendo un risultato finale frutto di questo processo... più che di una tecnica micidiale ripetuta ed affinata milioni e milioni di volte.

E la difficoltà sapete qual è? 
Quella di doversi "fondere" con l'altro... che però non è un altro a caso, ma è un altro pericoloso, puzzolente, indesiderato... è un "altro" che vuole ferirti, se non addirittura prenderti la vita.

É l'"altro" che eviteresti più di qualsiasi altro, mi spiace per il gioco di parole.

É complicato NON lottare con chi vuole prenderti la vita, ma al contempo non rimanere passivi per evitare di farlo. L'Aikido non sembra affatto l'arte di "porgere l'altra guancia" per mieloso perbenismo filo cattolico, ma richiede anche di non opporre risistenza per far valere le proprie posizioni irrinunciabili.

Capite di che oggetto strano si tratti? 

Se non fai niente sei passivo, se fai troppo risulti aggressivo e comunque sempre inadeguato alla situazione mutevole: quindi è necessario trovare DENTRO DI SÉ una forma di equilibrio alchemico fra queste due polarità complementari, almeno quanto fra loro divergenti.

Risulta un'operazione di alchimia interiore: l'altro - l'attaccante - non centra un tubo, se non l'essere stato il trigger, la miccia che innesca questo scacco matto che ciascuno deve cercare di fare a se stesso.

É un processo personale che - se fatto, una volta fatto - in qualche modo coinvolge anche la controparte (l'attaccante)... poiché il tentativo di tori di superare la dualità fuori (quella fra lui ed uke), conduce l'attaccante ad un'operazione simile con se stesso e dentro se stesso.

L'aver superato la dualità in se stesso conduce QUINDI eventualmente uke al suolo senza utilizzare alcuna violenza o coercizione su quest'ultimo... ma questo è ciò che esce dal black box, non è il processo che ha reso possibile questo risultato notevole!

Questo è risultato per me una sorta di "risveglio dall'incubo marziale" perché ha demarcato una linea precisa fra ciò che io potevo fare sugli altri grazie al lavoro che avevo fatto su me stesso (Aikido tradizionale)... ed il lavoro che potevo fare su me stesso grazie a ciò che gli altri facevano a me ("processo Ueshiba"): ed ho compreso che la seconda parte di questa equazione è in effetti quella che mi fa venire la prima, e non viceversa.

Mi sono cioè accorto che ero affogato io stesso nel buonismo mieloso, ovvero in quella condizione nella quale cercavo di "catechizzare" il prossimo vomitandogli addosso quelli che ritenevo essere validissimi principi da condividere (la non violenza, il rispetto, la compassione, la decisione, il coraggio, etc).

Non mi sbagliavo sulla bontà dei principi da condividere, SOLO non mi ero accorto di tenerci tanto a condividerli PER NON dover fare il processo interiore di superare ed integrare le molteplici forme di dualità che mi albergavano dentro (e che non hanno ancora del tutto smesso di farlo).

Ed il punto più complicato e doloroso di questo processo interiore è stato quello di comprendere che non c'è un tubo da "trascendere"... come ancora spesso vedo scritto in alcuni libri o sento pontificare da alcuni maestroni (dalla "m" appositamente microscopica): è il contrario, bisogna avere il coraggio di danzare con il tuo demone, di abbracciare la tua stessa merda... se mi si concede un francesismo.

E non è per nulla piacevole, né facile da fare... per quello che faremmo qualsiasi altra cosa AL POSTO di fare questo processo profondo, intimo e delicato... persino credere che siamo i detentori di qualche forma di verità superiore e che un impegno nobile sia quello di farla conoscere al resto del mondo.

Una catechesi ("insegnamento a viva voce") che ha il perfido scopo di non farci sentire mai la voce sussurrante degli innumerevoli contrasti che abbiamo dentro, capire l'auto-manipolazione che siamo in grado di operare su noi stessi?

Ecco, se riesco in questa catarsi personale ho già ottenuto un ottimo risultato... per il quale mi viene proprio da ringraziare quell'avversario che lo ha innescato mettendomi faccia a faccia con me stesso, ancora prima che con lui.

Poi, siccome l'Universo è intelligente e ciò che avviene dentro è simile a ciò che avviene fuori (non mi dilungo qui per spiegare il motivo di ciò, ma è possibilissimo farlo)... allora facilmente la mia introspezione indurrà forse anche uke a fare altrettanto: egli era venuto per combattere me, ma non trovando in me un avversario, sarà spinto a trovarlo in se stesso... e franerà al suolo con un eccesso di ricettività per bilanciare l'eccesso di aggressività che aveva avuto durante l'attacco.

Io non voglio combattere con lui, ma accetto di combattere dentro me stesso, uke non trova all'esterno avversari quindi si auto-sconfigge attraverso di me, esattamente come io mi sono auto-affrontato attraverso di lui. E palla al centro: il sistema è nuovamente in equilibrio... anzi, in realtà non ci è mai veramente uscito.

Un processo esteriore per due individui (un attacco) si commuta in due processi interiori individuali (differenti fra loro), quello che prima avevamo chiamato la "black box", per poi ri-sfociare nell'oggettivo con un risultato finale (tori in piedi, uke a terra)... ma non grazie a cosa diavolo tori ha fatto ad uke, quanto specchio di cosa ciascuno dei due ha compiuto in se stesso.

Certo che qui l'efficacia marziale sembra entrare a gamba tesa sopra qualsiasi altro fattore, ma è un fraintendimento del processo che è avvenuto: è come dire che fare l'amore serve per bruciare calorie. Chi dice che non se ne brucino, ma non ridurrei il tutto ad una mera occasione di fitness!

Ecco, affermare che "l'Aikido serve ad atterrare un avversario senza utilizzare aggressività" è come dire che "facciamo l'amore con lo scopo di fare dimagrire il nostro partner". Mi pare un po parziale come prospettiva... anche se come attività potesse essere preferibile da molti alla cyclette.

Tuttavia mi rendo anche conto che queste sono solo parole scritte in un Blog, e che qui la differenza la si riesce a comprendere di gran lunga molto meglio su un tatami, specie se il proprio Sensei ha avuto -  a sua volta - questo risveglio dall'incubo... e quindi può mostrarne i benefici anche a chi fosse ancora nel bel mezzo del proprio sonno rem.


Marco Rubatto



lunedì 29 maggio 2023

13 no jo awase: la chiarezza della presenza

Qualche tempo fa abbiamo commentato insieme l'importanza del katageiko ("allenamento della forma") e di quanto questa pratica possa essere salutare nel mondo dell'Aikido: quest'oggi ne esploriamo il valore nell'Aikijo anche grazie alla presenza di un compagno.

I kata rappresentano combattimenti con avversari immaginari... che possono tuttavia diventare fisici e darci una precisa idea dell'applicazione dei vari movimenti.

In questo caso non parliamo ancora di vero e proprio bunkai - ovvero "livello applicativo", ma di awase, cioè di semplice armonizzazione con l'attacco del nostro avversario.

13 no jo kata ci permette tutto questo, in quanto può essere praticato sia singolarmente, sia a coppie, che in 4 o 5 persone. Per chiarezza però ripeto: l'applicazione kumijo la vedremo poi un'altra volta.

Prima esaminiamo nel dettaglio i movimenti che ci serviranno...


Ora immaginiamo di SCOMPORRE questa forma in alcuni pattern più semplici, con i quali iniziare ad armonizzarci in presenza di un avversario fisico. Per questa serie di esercizi, la parte di uchijo (colui che attacca) risulta particolarmente semplice, poiché consiste unicamente in una serie di tsuki (colpi di punta, affondi) portati sia ad altezza chudan (media) che jodan (alta).

Il primo esercizio prevede i movimenti del kata da 1 a 3, e lo vediamo rappresentato nel video che segue... L'esecuzione dankai teki ni (step by step) precede per questione didattiche quella del vero e proprio awase (armonizzazione).



In seguito a ciò, il secondo esercizio riguarda i movimenti del kata da 4 a 6, e lo vediamo anch'esso rappresentato nel video che segue, nelle stesse modalità descritte in precedenza... 



Ora metteremo insieme le due sequenza precedenti, procedendo direttamente con l'armonizzazione fra i praticanti: siamo già giunti all'incirca a metà del kata iniziale; ogni movimento indica la necessità di spostarsi dalla linea di attacco di uchijo ed intercettare invece l'asse centrale di quest'ultimo con la risposta di ukejo.

Stiamo infatti lavorando per coltivare alcuni principi, che poi ci torneranno utili in qualsiasi altro contesto Aikidoistico.



Un terzo esercizio contempla i movimenti da 7 a 9: la sequenza parte con l'avversario che colpisce alla spalle, infatti il kata prevede ben due inversioni a 180º di ukejo, delle quali di seguito vediamo rappresentata la 2º (la prima si scorge nel secondo esercizio proposto, ma nell'applicazione si preferisce eseguire solo uno spostamento di 90º, anziché di 180º)...



Con il quarto esercizio si esaminano le armonizzazioni sui movimenti 10 ed 11 del kata...


Mentre nel quinto ed ultimo esercizio si termina il kata, studiando i movimenti da 10 al 13...

Su questa sequenza dobbiamo fermarci un istante, poiché rivela un fatto molto importante: 13 no jo kata è una forma "tronca", ovvero NON terminata dal Fondatore, che la stava ancora studiando e modificando quando ci lasciò. Questo elemento si evince dal fatto che, nel movimento 13, uchijo non fa nulla, se non attendere che ukejo lo colpisca la fianco, decretando la fine della sequenza.

Perché non para, quando potrebbe farlo?
Perché la sequenza non si chiuderebbe con la "vittoria" di ukejo, come invece di solito accade in questo genere di esercizi: per questa ragione i movimenti 12 e 13 si eseguono in metà tempo, ovvero cercando di togliere all'attaccante quella frazione di secondo nella quale potrebbe effettivamente parare l'ultimo affondo... e continuare così una sequenza che non abbiamo idea di quale avrebbe potuto essere, giacché non è mai stata formalizzata..


Anche in questo caso, come in precedenza, abbiamo ora una sequenza di raccordo che mette insieme tutti i movimenti della seconda parte del kata, ovvero da 7 a 13.


Ora mettiamo finalmente insieme tutto ciò che abbiamo studiato sino ad ora ed osserviamo come armonizzarci ad un avversario in tutta la forma di 13 movimenti...



Molto bene: abbiamo costruito didatticamente un'armonizzazione che ripercorre tutto 13 no jo kata, mostrando come esso si applichi al lavoro a coppia. In questa sequenza - in realtà - ogni segmento prevederebbe un diverso uchijo, in quanto al termine di ciascuna di esse egli viene controllato e non sarebbe più in grado di proseguire nel suo attacco.
Se desideriamo che lo faccia, sarà necessario passare al kumijo associato, che però sarà tema di un approfondimento ulteriore futuro... per ora stiamo all'awase ed addentriamoci invece in un altro principio dell'Aikido.

Mi riferisco all'attacco multiplo: Morihei Ueshiba ha infatti caratterizzato la sua disciplina con la possibilità che gli attacchi provengano da più soggetti, collocati intorno a chi viene attaccato.

Ho quindi ripetuto la stessa sequenza, ma questa volta con 3 uchijo, disposti a 90º fra loro...



E quindi anche con 4 uchijo, disposti ai quattro punti cardinali intorno a me, ecco il video...



Si vede (spero) abbastanza bene come ogni movimento tolga SEMPRE ukejo dalla traiettoria di tutti gli altri attaccanti, oltre che da quella dell'uchijo che si sta prendendo in considerazione: ciò significa che veramente O' Sensei ha strutturato le forme codificate come cristallizzazioni di conflitti con avversari multipli.
Questo forse fu ciò che gli fece affermare: "Quando ha un avversario solo comportati come fossero tanti, e quando sono tanti, come se fosse uno solo"...

In ogni caso questo processo, che si evidenza secondo me bene in questo esercizio, è un principio che ritroviamo inalterato anche nell'Aikiken e nel taijutsu, quindi si tratta di un elemento trasversale alla disciplina, del quale è quindi bene tenere una certa considerazione.

Per oggi ci fermiamo qui, di carne al fuoco ne abbiamo già messa a sufficienza: il bello dello studio però è quello che ci permette di spingerci sempre più in là nella conoscenza... sorprenendoci oggi di ciò che fino a ieri ci era passato inosservato sotto il naso.

Marco Rubatto





lunedì 22 maggio 2023

Aikido ed il paradosso dell'uke oppositivo

Quanto dovrebbe essere oppositivo uke durante la pratica?

Quanto dovrebbe farci sudare la realizzazione della tecnica che vorremmo creare grazie al suo attacco?

... Un tema molto crucciale nei circuito dell'Aikido (e anche oltre)... poiché un uke eccessivamente compiacente rischia di fare danno esattamente come potrebbe farlo se si mostrasse troppo oppositivo... ma a proposito esistono numerose (e divergenti) scuole di pensiero.

Essendo la nostra disciplina di chiara matrice marziale, si suppone che le azioni siano ambientate in un contesto conflittuale... ovvero nel quale chi attacca non è li per cadere, a meno che venga costretto a farlo, o che scelga di farlo per non ferirsi.

Al contrario, un attaccante che si auto-abbatte non permette uno studio serio al proprio partner di pratica, che magari potrebbe sentirsi pure per qualche istante Kenshiro... ma risulterebbe solo l'eroe di una pantomima fake.

Ovvio quindi che una qualche forma di resistenza da parte di uke dona senso all'azione del proprio tori... ma quanta?

Dalla Scuola dalla quale provengo, uke deve sempre tenere più stretto possibile, deve piazzarsi bene a terra e non deve muoversi di un millimetro... a meno che non sia tori ad indurlo al movimento, sbilanciandolo e vincendo le sue resistenza con un buon angolo ed un buon timing.

In questa accezione, più uke si mostra oppositivo... maggiormente deve essere abile tori a performare la tecnica: per fare questo si utilizza tantissimo l'allenamento statico, poiché è noto a tutti dalla fisica delle medie che mettere in movimento un corpo fermo richiede di superare la sua forza di inerzia iniziale.

Più semplice risulta sbilanciare una persona che è già lanciata in un attacco, e di conseguenza ha essa stessa un equilibrio meno stabile.

Nell'Iwama Ryu quindi si privilegia per anni un kihon statico proprio per evitare che l'attacco sia scialbo e quindi perda di valore la nostra azione: ci sta, ma cosa accade poi realmente in pratica?

Ve lo racconto, pure di primo pelo, perché l'ho vissuto sulla mia pelle per anni.

Una tendenza nata nella pratica con una certa utilità, può diventare mostruosa ed inutile se mandata ai suoi estremi.

Ad esempio l'ultima volta che sono stato ad Iwama, era chiaro come le prese che ricevevo non si prefiggessero solo il compito di avere un attacco serio... ma di impedirmi di fare ciò che il Sensei stesso mi stava chiedendo di fare. Mi spiego meglio.

Tenere forte è un conto... ma tenere forte e tirare nel senso opposto a quello in cui la mia mano avrebbe dovuto andare è un mero atto di sabotaggio: uke, che sapeva bene cosa avrei dovuto fare (perché lo aveva visto dal Sensei) cercava di remarmi contro in ogni stante della tecnica, irrigidendosi, andando nella direzione opposta a quella che avrei dovuto percorrete, etc.

Era "ganzo" ci riusciva a portare a termine l'azione NONOSTANTE uke avesse fatto di tutto per impedirlo.

L'allenamento risultava quindi particolarmente inutile: ogni tecnica una sorta di panca piana, nella quale usare la mia forza contro uke, che utilizzava la sua forza muscolare contro la mia... in quello che ho molte volte chiamato "braccio di ferro waza". Così l'opposizione risultava abbastanza inutile, poiché non mirava a far crescere il proprio tori, quanto a svalutarlo con un atteggiamento passivo-aggressivo.

Bisogna infatti notare che l'attacco è sempre un dare energia, un fornire un impulso che entra in tori... non limitarsi ad annullarne ogni movimento con un'azione uguale e contraria: se mi attaccassero così per la strada... attenderei che si stanchino!

C'è un altro simpatico baco nel dare sempre più opposizione possibile da parte di uke: i neofiti.

Ovvio che, se uno ha appena iniziato la pratica, qualsiasi espero è in grado di opporsi in modo tale da non fargli venire più nulla, da stoppargli qualsiasi tentativo di liberarsi sin dal principio: ma, nuovamente, sarebbe utile un atteggiamento simile?

Farebbe progredire il neofita o lo demotiverebbe inutilmente?

Nell'Iwama Ryu questo atteggiamento è stato molte volte usato per sancire chi fosse il maschio-alfa sul tatami: "quello che riesce a fare le tecniche con tutti gli uke, mentre nessuno riesce a fare le tecniche con lui quando tocca a lui essere uke".

Pisellismo... insomma: poi alcuni corsi si chiedono come mai non sono frequentati da donne e ragazze. Ovvio che non lo siano: il gentil sesso non è per nulla interessato ai giochi di compagni che utilizzano la pratica per misurarsi l'ammennicolo con una certa frequenza.

Quindi ostruzione si... ma fino ad un certo punto, oltre il quale diventa addirittura controproducente.

Ora esaminiamo la posizione diametralmente opposta, ovvero quella nella quale uke segue, sempre e comunque.

In questo caso di buono c'è che si apprende la non-resistenza, il jutai, che sembra essere un elemento piuttosto importante per il corpo e per la mente di un praticante di arti marziali.

Il problema però è che un attacco privo di ogni forma di resistenza, poiché da un impulso e poi si lascia trascinare ovunque questo lo condurrà... sa di attacco magari omicida, ma suicida un secondo più tardi.

L'avversario che si auto-abbatte - lo abbiamo detto qualche riga sopra - offre poca (se non nulla) possibilità a chi lo riceve di migliorarsi... perché è proprio indipendente da qualsiasi cosa faccia tori.

Risulta una recita, con ruoli prefissati... nella quale uno fa finta di attaccare e l'altro di difendersi, ma dove non c'è nulla di tutto ciò, perché l'attacco stesso non ha i presupposti di un attacco nemmeno lontanamente reale. In questo caso la scenetta può anche riuscire bene e risultare particolarmente armonica e spettacolare... ma è stato estromesso di netto il conflitto, che invece era proprio la caratteristica preminente del contesto dell'allenamento.

Molte Scuole - in modo più o meno consapevole - agiscono secondo questo copione almeno parzialmente fake: di solito si tratta di tutti coloro che non praticano raramente un allenamento di tipo statico (come accade l'Aikikai Honbu Dojo) o che si dedicano al cosiddetto "soft touch" (ad esempio coloro che seguono Endo Sensei, per fare un nome molto noto).

In realtà ci sono cose mirabili che si possono apprendere in queste Scuole, come la rilassatezza, il senso del timing (che appunto migliora più siamo rilassati), del ritmo della pratica, etc... Non si tratta quindi di contesti "fake", ma di luoghi nei quali uke diventa un po' "il giocattolo di tori", il quale lo "addestra" a fare un po' ciò che questi ritiene più produttivo per lui.

Buono, produttivo ed utile per certi aspetti... se non fosse il fatto che in un conflitto è tori che deve imparare ad armonizzarsi al proprio attaccante, e non il contrario. Questo tipo di pratica quindi è importante, ma rischia - ad un certo punto - di pervertire il significato stesso di arte marziale.

Esiste però una terza via, forse la più interessante a mio avviso... ma anche quella che necessita di esperienza maggiore da parte di tutti i praticanti, indipendentemente dal ruolo che ricoprono: quella del kaeshi waza, ovvero della "contro-tecnica".

In questo contesto, il mandato di uke è quello di fare un attacco credibile... ma non solo UNO.

Durante lo svolgimento dell'azione, egli può divincolarsi e riattaccare o tentare di applicare una contro-tecnica ogni qualvolta che ciò gli risultasse possibile: in questo modo tori sa di avere fra le mani una bomba inesplosa... che può ferirlo anche DOPO che il suo primo attacco è stato reso inoffensivo.

Sfortunatamente, questo livello della pratica richiede sia a tori, che ad uke di avere già sviluppato alcune capacità non esattamente basilari: una certa precisione tecnica, ma anche una sensibilità acuta ed un buon senso del timing... oltre alla chiara intuizione di quando ha senso continuare con la propria azione, o quando è bene invece desistere.

Il livello kaeshi waza infatti tende ad alimentare una certa dose di competizione fra i praticanti, che può risultare dannosa, se non addirittura pericolosa: tori vuole chiudere la tecnica a tutti i costi perché il compagno non possa più ribellarsi ad essa (di solito facendo un più massiccio utilizzo della forza muscolare), mentre uke tende a non accettare mai del tutto che per lui sia finito il tempo di attaccare e che gli convenga quindi cedere per non farsi male.

Entrambe le situazioni rischiano di essere estremizzate e quindi diventare pericolose per l'integrità dei praticanti. Più di una persona con la quale ho parlato mi riferiva, ad esempio, che Hosokawa Sensei smise di insegnare e far praticare kaeshi waza proprio per questa ragione.

Però non è detto che sia impossibile utilizzare bene uno strumento, solo perché è facile che esso sia usato male.

Il kaeshi waza, infatti, è un'ottima risposta a quanta resistenza debba fare un uke: richiede quest'ultimo sia ingaggiato al proprio mandato ben oltre l'attacco iniziale, ma per tutta la durata dell'azione.

Ogni volta che uke scorge un angolo libero o un istante di scopertura del compagno glielo fa notare con un ulteriore attacco: certo, è facilissimo per tori offendersi, prendere la cosa sul personale e preferire un "uke addomesticato" a dovere... ma se accetta che gli vengano rimandati i suoi punti lacunosi nella pratica di certo potrà crescere molto velocemente.

Quando ciò accade può non essere piacevole, ma risulta sicuramente utile per chi veramente è interessato allo studio di se stesso sotto stress!

Per la cronaca, la tradizione insegna che la pratica del kaeshi waza è essa stessa un katageiko, ovvero un allenamento pre-ordinato: si lascia volutamente un "buco" nella propria tecnica, così che uke impari ad avvertirlo e ad approfittarne per fare una contro-tecnica.

Questo però non è che l'inizio dello studio del kaeshi waza in realtà: se questo viene affidato solo ad una situazione pre-ordinata si rischia infatti di sfociare in un nuovo teatrino fake, ovvero nel quale tutti sanno già cosa fare, quando e come farlo.

Il kaeshi waza reale è un'altra cosa... ovvero deve avvenire all'improvviso, quando meno uno se lo aspetterebbe, senza che ci sia stato alcun accordo precedente fra i praticanti.

Ma anche in questo tipo di pratica e pur se non viene incentivata alcuna forma di competizione, esistono delle zone d'ombra dalle quali è bene tenersi alla larga: ad esempio deve essere chiaro per uke come la possibilità di kaeshi waza deve essere impiegata SOLO per fare notare al proprio compagno una sua apertura della quale non è consapevole... e che ciò è da fare in questo modo SOLO se presumiamo che questi sia in grado di cogliere il messaggio positivo che può trarne per la propria pratica.

In altre parole NON serve a nulla fare kaeshi waza per mostrare che siamo maschi alfa, in alternativa ad opporre una resistenza in grado di "schiacciare" fisicamente ed emotivamente il proprio compagno. Risulterebbero infatti due modalità diverse di fare la stessa cosa... peraltro inutile per entrambe i praticanti.

Ci sono anche momenti nei quali opporre una resistenza attiva o passiva è più sensato che in altri.

Nella pratica ordinaria one-to-one - ad esempio - può avere un senso... nel bel mezzo di un randori durante un esame non saprei se ne avrebbe altrettanto... Ha senso se si pratica con Aikidoka che hanno avuto modo di maturare un certo livello di padronanza di sé e di ciò che accade intorno a loro; può essere del tutto improduttivo, se non addirittura pericoloso invece fra neofiti.

Insomma è una cosa complicata perché la resistenza che è bene fare da uke dipende da numerosi parametri diversi, e spesso è solo l'esperienza ciò che ci può guidare nei vari distinguo.

Una cosa è certa: con l'aumentare del livello di un praticante è naturale che anche il suo compagno possa aumentare in proporzione la sua resistenza (passiva e/o attiva)... poiché ciò risulta di beneficio a chi la riceve.


Essendo l'argomento importate quanto complesso, ci stiamo attrezzando con numerosi video esplicativi sul tema... quindi presto avrete buone nuove!

Stay tooned.


Marco Rubatto





lunedì 15 maggio 2023

Formazione nazionale dei Tecnici Aikido FIJLKAM 2023

Ogni anno vi tengo al corrente sulle novità del Settore Aikido FIJLKAM, poiché mi pare importante veicolare alla community ciò che avviene dentro ad un'istituzione... specie se la maggior parte degli Aikidoka in Italia ne sono al di fuori, e quindi potrebbero non esserne informati con una certa costanza.

Quest'anno in FIJLKAM abbiamo coronato un altro importante traguardo: quello di dedicare un evento di tipo "nazionale" alla formazione dei Tecnici Federali in possesso delle Qualifiche di insegnamento più alte.

Tradizionalmente questo evento formativo coincideva con il Seminar Nazionale, che per moltissimi anni si è svolto presso il Centro Olimpico del Lido di Ostia, ma lo scorso anno la Commissione Tecnica Nazionale che presiedo ha proposto ed è riuscita a farsi approvare dal Consiglio Federale che gli eventi nazionali raddoppiassero, e ve ne fosse uno specificamente dedicato alla formazione dei Tecnici Federali.

Perché questo cambiamento?

La ragione principale è quella di potersi dedicare il più possibile ad una formazione specifica, che non può agevolmente essere fatta in un ambito che mette sullo stesso tatami praticanti dal 6 kyu al 6 dan. Tenete presente che la formazione nazionale è OBBLIGATORIA per il mantenimento della propria Qualifica di Insegnanti, quindi ci è parso più che importante dare più qualità specifica possibile a chi deve ottemperare ad un obbligo.

Un praticante, anche magari datato, ha esigenze differenti da chi ha intrapreso la carriera di docente; quest'ultimo è interessato ad aspetti molto più poliedrici di quelli meramente di carattere tecnico... e siccome è tenuto a formarsi in continuazione, più attenzione e qualità riceve, più lo farà volentieri e spontaneamente... anche al di là degli obblighi previsti dal Regolamento Organico Federale.

Lo Stage Nazionale di Aikido continuerà ad essere organizzato in modo itinerante, sempre nel periodo ottobre-novembre... ma la partecipazione quest'ultimo NON sarà più obbligatoria per i Tecnici Federali, visto che da ora essi potranno invece OGNI ANNO contare sul LORO appuntamento formativo, presso il Centro Olimpico FIJLKAM di Ostia (se riusciamo, lo manterremo intorno ad aprile).

Nello specifico, vediamo insieme in cosa è consistita questa prima proposta formativa: ci siamo trovati al Centro Olimpico gli scorsi 14, 15 e 16/04 ed il venerdì abbiamo approfittato per fare una riunione de visu - dopo ben 3 anni - con i Fiduciari Regionali ed i Tecnici presenti.

Eravamo una quarantina abbondante di persone, su un totale di circa 65-70 Tecnici Federali attuali in tutto, quindi una partecipazione discreta per questo primo appuntamento sperimentale. Per questo primo anno, abbiamo consesso facoltà ai Tecnici di poter scegliere anche il prossimo Seminar Nazionale come credito formativo personale, quindi ci auguriamo di vedere li quelli che sono mancati all'appello questa volta.

Non è risultato per nulla banale costruire un'attività formativa specifica per l'Aikido, che quindi non fosse solo di tipo tecnico, visto che la platea è - come sempre in Federazione - formata da Docenti interstile;  quest'anno abbiamo dovuto superare una difficoltà ulteriore, ovvero dovere gestire questo evento con la metà esatta delle risorse della CTN.

Per ragioni di salute il Mº Nuccio Iuculano ed il Mº Giancarlo Giuriati non hanno potuto essere dei nostri, e ad entrambi auguriamo una pronta e completa ripresa... quindi ci siamo trovati io ed il Mº Giovanni Desiderio a gestire quasi tutte le attività sia pratiche che teoriche.

Ci siamo fatti però egregiamente supportare da Pietro Leto Sensei, che - oltre ad essere un Tecnico Federale - è anche un formatore BLSD certificato e con un'ampia esperienza sul campo, ed a lui quindi abbiamo affidato un corso intitolato "cenni di primo soccorso, cardio protezione, ed utilizzo del defibrillatore", che è stato tenuto in Aula Magna nel pomeriggio di sabato 15/04.

Il Mº Giovanni Desiderio si è occupato, in separata sede prima con ISTRUTTORI e MAESTRI, e quindi con gli ALLENATORI di tracciare alcune linee del progetto federale di Aikido a favore dei bambini, intitolato "sviluppo delle capacità motorie del bambino (5-9 anni)". Queste sono state lezioni teorico-pratiche.

Io invece, in contemporanea, ho trattato prima con gli ALLENATORI e quindi con gli ISTRUTTORI e MAESTRI lo studio delle forme con le armi; il titolo delle lezioni era: "buki waza, origine ed evoluzione del katageiko".

Con il primo gruppo (i meno esperti fra i Docenti) abbiamo praticato alcuni kata desueti (18 no jo kata e 32 no jo kata) e poi ragionato insieme sulle motivazioni che possono avere spinto il Fondatore a fare evolvere le forme di jo che utilizzava, notando come parti di esse siano state utilizzate per creare i suburi di base, che molti di noi praticano regolarmente nei Dojo.

Ecco una delle forme che abbiamo utilizzato. Al termine di essa si vede bene - ad esempio - che il suburi nº 19 (hidari nagare gaeshi uchi) ed il nº 20 (migi nagare gaeshi tsuki) vi erano contenuti entrambi.


Con il secondo gruppo (i più esperti fra i Docenti) abbiamo praticato i 10 ken tai jo furui (dei quali abbiamo parlato già QUI di recente), e quindi abbiamo studiato dove i pattern di movimento derivanti da essi siano stati poi riutilizzati nel buki waza studiato odiernamente (kumijo, kumitachi).

Possiamo dire di avere fatto lezione pratiche, ma anche di "archeologia" Aikidoistica al contempo.

Per colmare il vuoto di una lezione che non è stato possibile fare in streaming con il Mº Giancarlo Giuriati (che ha però fornito una dispensa a tutti i partecipanti) il Mº Giovanni Desiderio ha offerto una lezione pratica di bokken, con approfondimento sugli aspetti fuori dagli schemi e dalle applicazioni predefinite che normalmente utilizziamo in Aikido.

Io invece ho tenuto in contemporanea una lezione teorica, intitolata  "le dinamiche di un Dojo di successo", che si è prefissa di fornire strumenti per aumentare il numero dei propri iscritti e far riflettere sugli elementi in grado di determinare la “fortuna” di un Dojo, rispetto alla sua problematicità. Le slides utilizzate sono poi state messe a disposizione dei presenti.

Si è fatto cenno alla percezione stessa della realtà ed alle principali aspettative di chi si approccia oggi all’Aikido, per comprendere come essere in grado di accogliere le differenti prospettive dei praticanti attuali e di quelli futuri. É stato fatto cenno all'importanza della conoscenza di base della nomenclatura giapponese utilizzata durante le attività, così come la chiarezza e la professionalità nelle comunicazioni grafiche sui Social Media. Sono stati mostrati alcuni errori tipici legati alla mancanza di queste conoscenze comunicative. In fine è stata fatta una panoramica su possibili applicazioni future della disciplina ad ambiti ancora particolarmente nuovi dal punto di vista accademico, come quello del benessere psicofisico dei praticanti.

E la giornata intensa di sabato si è conclusa con una dopocena insieme, nella sala giochi del Centro Olimpico... mangiando la colomba, sorseggiando una birretta e giocando a ping pong e bigliardo.

Domenica sono partito io, con un laboratorio ricolto in contemporanea a tutti i livelli di Qualifica, intitolato "brainstorming e mirroring". I partecipanti, divisi in gruppi, hanno tenuto delle micro lezioni nelle quali era loro facoltà insegnare ciò che desidereranno al piccolo gruppo del quale erano parte; i ruoli di docente e discente sono ruotati sino a quando tutti non li hanno ricoperti entrambi. É stato chiesto a tutti, al termine di ogni micro-lezione, di individuare ed esplicitare al docente di turno sia un punto di forza percepito, sia un aspetto al loro dire ulteriormente migliorabile. Si sono quindi raccolti, a campione, i rimandi di 2 gruppi e si è discusso insieme sui risultati ottenuti da questo confronto aperto.

Ha concluso il week end di formazione il Mº Giovanni Desiderio con la lezione "Aikido tradizione ed innovazione", che ha provato ad evidenziare i punti di forza delle tradizioni della disciplina e le innovazioni di una pratica moderna con la fusione dei due aspetti.

Anche quest'anno abbiamo fornito ai partecipanti un form di gradimento, grazie al quale farci sapere come si fossero trovati, quali fossero eventuali punti di criticità riscontrati ed ulteriori suggerimenti per le attività future. Da questo è emerso come sembra non sia andata per nulla male, considerando che era una prima volta per tutti e he abbiamo portato a casa il risultato con metà delle nostre abituali risorse!

C'è stata una ulteriore novità a riguardo: essendo noi in presenza di SOLI Insegnanti di Aikido, abbiamo previsto anche una ulteriore parte del survey nella quale i Docenti stessi che hanno tenuto il corso potessero esprimere un parere sulla qualità dei loro discenti, sui loro punti di forza, così come sugli aspetti che in loro potrebbero ancora migliorare.

Giusto per pareggiare le possibilità di giudicare e di essere giudicati... ma soprattuto di imparare a farcene qualcosa di positivo dalle critiche altrui! Ovviamente, è tutto PUBBLICO e lo potrete trovare QUI.

Esiste la possibilità che i prossimi Stage Nazionali subiscano un'inflessione nelle partecipazioni, un po' per via del fatto che i Tecnici Federali potranno parteciparvi così come scegliere di non farlo, ed anche per via del fatto di essere organizzato sempre in Comitati Regionali differenti... quindi più vicino ad alcuni gruppi di praticanti e più lontano da altri. Tuttavia questo non ci preoccupa più di tanto: è bello lavorare con chi desidera esserci, oltre che con chi è chiamato a farlo da un regolamento.

A proposito: segnatevi tutti che i prossimi 27,28 e 29 ottobre 2023 saremo tutti appunto a PALERMO proprio per il prossimo Seminar Nazionale di Aikido 2023, che si preannuncia essere un tripudio di leve articolari, arancine, proiezioni, pasta con le sarde, buki waza, cassate e cannoli!!!

Una splendida occasione di sudare insieme sul tatami, certi che sarà difficile non recuperare sali minerali ed enzimi nutritivi (e non solo) a tavola....


Marco Rubatto



lunedì 8 maggio 2023

Ken tai jo: lo yin che tiene testa allo yang

A più di 10 anni dall'ultimo articolo di Aikime sull'argomento (che troverete QUI), torniamo a parlare di una pratica interessante e poliedrica, ovvero gli esercizi di "spada contro bastone".

[剣体杖] Ken tai jo può definirsi la summa dell'espressione dell'Aikido con le armi, anche se - al livello di questa pratica - ha forse poco senso parlare di tecniche a mano armata (buki waza) o a mano libera (taijutsu)

Morihiro Saito Sensei ha insegnato in molti Paesi una serie di 7 esercizi, che sono cambiati leggermente pure da quando io stesso pratico Aikido, quindi parliamo di una trentina di anni a questa parte.

Qui vi lascio la playlist nella quale sono visualizzabili tutti e 7...



La loro caratteristica è la possibilità (spesso più teorica che praticata) di armonizzarsi con un bastone di legno sui fendenti di uno shinken, ovvero una spada dalla lama affilata (nel video i miei attaccanti utilizzano uno iaito, quindi di metallo, dal peso e geometria identici ad uno shinken, ma con la lama non affilata).

Ovviamente la possibilità di un oggetto affilato di metallo di andare ad incidere su uno di legno è molto elevata, quindi la prima cosa che da subito mi ha sorpreso è la constatazione che è sempre ukejo (la persona che riceve con il bastone) a controllare al termine uchitachi (la persona che attacca con la spada)... e non il contrario.

Se si fosse solo voluto studiare una serie di duelli simulati - resi kata - fra una spada ed un bastone, perché non farne un po' nei quali vince il bastone ed un po' nei quali vince la spada?

Domanda forse banale, io me la feci per la prima volta nel 1993... e non avendo avuto modi di evocare l'anima del Fondatore attraverso una seduta spiritica, ho iniziato a studiare per trovare alcune possibili risposte soddisfacenti.

Ma prima di rimandare cosa credo di avere compreso al momento, devo specificare di avere notato - nuovamente sin dagli inizi della pratica - altre serie di esercizi che, a modo loro, seguivano dinamiche simili a ken tai jo: mi riferisco a tachidori, jodori e tankendori.

In questi ultimi - rispettivamente - si sottrae l'arma a chi ci attacca con la spada, con il bastone e con il coltello: la somiglianza con ken tai jo risiede nel fatto che NUOVAMENTE sembra prevalere la parte debole/delicata, ovvero la persona disarmata, su quella armata... che sarebbe in grado di fare più danno.

Fra spada e bastone, pare avere sempre la meglio il bastone; fra armato e disarmato, ha la meglio sempre il disarmato... questo è contro-termodinamico oppure serve a qualcosa di specifico?

La risposta (provvisoria, ovviamente) che mi sono dato al momento è che O' Sensei volesse far risaltare o sottolineare una sorta di preminenza della sensibilità sulla forza... dello YIN sullo YANG, potremmo anche dire.

In questo senso, sarebbe importante che negli esercizi risulti hito no michibichi (la persona che conduce) chi è armato in modo più versatile (che è una caratteristica dello YIN) o chi è disarmato proprio: chi sta messo nella condizione inizialmente più svantaggiata, insomma.

Questo aspetto per me era già interessante così... ma nel lontano 2011 (se non ricordo male) Bill With Shihan (allievo sia di O' Sensei, anche se se lo deve essere goduto ben poco, sia di Saito Sensei) per la 2º volta venne ad Ostia a tenere uno stage nazionale FIJLKAM... ed in quell'occasione mostrò - di volata e senza nemmeno farli praticare - altri 10 ken tai jo cosiddetti "furui", ovvero "antichi/desueti", che si praticavano ad Iwama sino agli inizi degli anni '70.

Ricordo che me le godetti perché l'uke di turno a sto giro non fui io!

Però questi esercizi mi interessarono un sacco, e non tanto perché non li avessi mai visti prima, quanto perché ero interessato a cosa ne avesse spinto l'abbandono per optare didatticamente sulle forme più moderne, quelle cioè che avevo studiato e praticato pure io nei 20 anni precedenti.

Altra domanda da seduta spiritica all'anima di O' Sensei!

Ma mentre preparate il tavolino a 3 gambe e la plancette, ecco una playlist che ve li mostra tutti e 10...



In questo senso la pandemia mi ha aiutato molto, perché mi ha dato modo di fare molta ricerca di documenti storici ed occasioni di praticare buki waza, quindi ora li conosco un tot pure io!

Cosa emerge da questi ulteriori - ma precedenti a livello temporale - esercizi?

La necessità di un enorme senso del timing, innanzi tutto... ed il timing è una caratteristica essenzialmente YIN!

Quindi la ricerca di ogni geometria che consentisse di non far collidere il proprio jo con il bokken del compagno... o di farlo nel modo più armonico ed avvolgente possibile.

Quest'ultima è una caratteristiche comune anche del  ken tai jo più moderni, ma in quelli "furui" emergono anche altri interessanti pattern resi poi famosi da altri esercizi di buki waza, sia di Aiki jo, che di Aiki ken.

Un po' come a dire che questi 10 ken tai jo antichi potrebbero essere i genitori di tutto quanto il buki waza moderno, che poi sono stati "smontati" nelle loro parti costituenti e "riutilizzati" in altri contesti... specialmente nell'Aiki jo.

Mentre è infatti storicamente chiaro quali studi abbiano ispirato Morihei Ueshiba nell'Aiki ken (in proposito vedi QUI), non si può dire altrettanto nell'Aiki jo; da ciò la mia attuale ipotesi di lavoro è che il Fondatore abbia incluso inizialmente l'utilizzo del jo proprio per difendersi da un possibile attacco di shinken... ed in seguito questo bastone sia stato utilizzato in modo sempre più strutturato, fino a diventare una vera e propria risorsa per l'allenamento assolutamente paragonabile alla spada (se non anche qualcosa di più).

L'Aiki jo risulta infatti notevolmente più ampio dell'Aiki ken... a livello di curriculum tecnico. In questo senso il primo sarebbe di carattere più YIN (ampiezza, versatilità), mentre il secondo più YANG (essenzialità, determinazione).

Sarà così o no? Forse non avremo mai una chiara certezza, ma è per me appassionante aggiungere sempre ulteriori tasselli al mosaico, proprio come ho fatto durante la pandemia.

Volenti o nolenti quindi ken tai jo ci invitano ad un tot di esplorazioni (oltre che di frustrazioni), sia di tipo storico, che legate ai principi stessi della disciplina: una sorta di punto di incontro anche fra pratica e filosofia, se vogliamo.

La trovo una pratica molto "spacchettante", che desidero approfondire ulteriormente nel miei studi, per questo ho creduto fosse importante riprendere dopo tanto tempo l'argomento anche qui sul Blog.

YIN e YANG sono due principi importanti per ogni disciplina, marziale o meno, giapponese o meno: per questo l'affermare che ci possa essere una prelazione/supremazia di uno sull'altro potrebbe essere misinterpretato.

Viviamo in una società che troppo spesso eccede nella razionalità e nel maschilismo, quindi lasciare più spazio alla percezione ed intuizione può quindi risultare uno stratagemma per riequilibrare una dinamica bipolare che per molto tempo, specie nelle arti marziali, ha svalutato parte di se stessa... ovvero propri quella che Morihei Ueshiba avrebbe quindi dotato di nuova luce e prospettiva.

Marco Rubatto