lunedì 3 febbraio 2025

La pratica indisciplinata e le 7 ancore della disciplina

"Buongiorno, vorrei delle informazioni sul corso di Aikido... innanzi tutto, quanto costa?"

Tu parti proprio male, raggo/a mio/a!!!

C'è però una buona notizia: non costa niente, perché NON è un servizio a pagamento... bisogna però versare un CONTRIBUTO associativo, perché si diventa SOCI di una ASD, che fondamentalmente deve coprire le proprie spese vive.

"Vabbé, cosa cambia... sono sempre soldi che devo dare, no?"

NO, sono soldi che VUOI dare per avere in cambio ciò che TU stesso desideri... non te lo ordina il Dottore di fare Aikido! (sebbene alcune volte, però, lo consigli...).

É così, più o meno, che un Insegnante di Aikido inizia il dialogo più comune con chi viene a chiedere info sulla disciplina... che però di solito NON si esaurisce qui, ma prosegue con altre frasi tipo...

"Ho già visto gli orari sul Sito internet, e credo che potrei venire - a settimane alterne - per 1 ora: la seconda ora della lezione del martedì per una settimana e la prima ora della lezione del sabato la settimana successiva..." (noi facciamo quasi sempre lezioni di 2 ore consecutive n.d.r.).

NO, non funziona così: non puoi scegliere come se fossi in pasticceria... (ad esempio da noi la 2º ora da noi è fattibile a se stante SOLO per i Senpai, che arrivano e sono già capaci di scaldarsi da soli ed orientarsi nel lavoro che i compagni hanno iniziato l'ora precedente; questa cosa è assolutamente impossibile e quindi impedita ad un neofita).

"Eh mai io ho solo quegli spazi liberi nella settimana"

Ed allora NON forse sei più adatto al jogging, PUNTO!

Quello che ho cercato di simulare (e nemmeno poi molto, perché dialoghi del genere mi capitano quasi tutte le settimane) è il goffo tentativo di un indisciplinato di frequentare una disciplina, ovviamente senza conoscere prima a dovere le sue caratteristiche... o cercando di vivere il Dojo, la pratica ed il tatami come vive qualsiasi altra cosa della sua (indisciplinata) vita.

E, si badi, non è questione di non essere persone precise... si tratta proprio di non avere idea di cosa sia una disciplina, che è parecchio diverso!

Il neofita assoluto NON sa né di ciò che ha bisogno, e nemmeno di averne BISOGNO... quindi tende ad impostare la frequenza al corso di Aikido come farebbe con quello di pittura creativa, di scacchi o di padel.

Non che le discipline che ho citato non abbiano valore, ma è necessario comprendere le caratteristiche di ciò che ci si appresta a fare, se non ci si vuole imbattere in spiacevoli fraintendimenti.


1 - La cosa più importante di una disciplina NON sono né il costo per frequentarla, né la logistica (sede ed orari), ma quanto sia o meno in grado di darci ciò che cerchiamo

Un neofita assoluto però inizia proprio da queste cose pratiche, quasi come se dovesse mettere delle toppe, accontentarsi delle briciole per darsi l'opportunità di fare ciò che desidera, senza scombussolarsi troppo il trend lavorativo e familiare. Una cosa tipo: "Scusate se esisto e se desidero prendermi degli spazi per me!... Lo so che non si deve fare, quindi inizio ad accontentarmi di poco, che è meglio di niente".

Un bello spirito colpevolizzante e rinunciatario con il quale iniziare qualsiasi cosa, non c'è che dire!


2 - Una disciplina, specie all'inizio, NON può essere frequentata solo per 1 ora a settimana...

specie se si è già adulti: è una sveltina, una leccatina superficiale alla disciplina, che ci metterà ANNI a radicare al ritmo di 1 keiko a settimana, spesso pure saltato per impegni lavorativi, familiari, per questioni di salute, etc. 

Se, tutto dovesse andare per il meglio, si praticherà per sole 4 ore al mese: a me vengono gli esercizi, ma io pratico 4 ore al giorno!


“Non c’è più grande conquistatore, di chi è riuscito a conquistare se stesso.”

[Henry Ward Beecher]


3 - "Disciplina" ha un significato letterale molto ampio e versatile

Da un lato, può riferirsi a un insieme di regole, norme o principi che guidano il comportamento delle persone in una determinata attività o professione. In questo senso, la disciplina è associata all’idea di addestramento, di apprendimento sistematico e graduale di un settore specifico, come ad esempio la medicina, la filosofia o la musica.

Dall’altro lato, il termine può riferirsi anche all’atto di impartire una lezione o una correzione, di educare o di istruire, sempre con l’obiettivo di far acquisire una conoscenza più approfondita e articolata.

L’etimologia della parola deriva infatti dal latino “discipulus“, che significa “allievo” o “discepolo“. In origine, quindi, il termine si riferiva alla formazione degli allievi, all’educazione che i maestri impartivano ai loro discepoli per trasmettere loro le conoscenze, le abilità e le virtù necessarie per diventare uomini di successo e di valore.


4 - Misuriamo il valore di ciò che vorremmo ricevere

Acquisire la disciplina come valore è fondamentale per raggiungere i propri obiettivi e avere successo nella vita. Farla propria vuol dire avere un forte senso di autocontrollo e di determinazione, che aiuta a superare le difficoltà e le sfide che si presentano lungo il percorso... ma questa cosa NON avviene GRATIS e nemmeno senza considerevoli COSTANZA ed IMPEGNO.

Inoltre, avere disciplina ci consente di mantenere la concentrazione e di lavorare costantemente per migliorare le nostre abilità e le nostre conoscenze. Ci aiuta a sviluppare la capacità di pianificazione e di organizzazione, di definire obiettivi chiari e di elaborare strategie per raggiungerli.

Tra le altre cose, acquisire un valore importante come la disciplina ci rende più responsabili e affidabili, sia verso noi stessi che verso gli altri. Essere disciplinati significa rispettare gli impegni presi, essere puntuali e affidabili, ed avere considerazione per le norme che regolano le relazioni sociali e professionali.

Infine, la disciplina ci consente di sviluppare la resilienza e la capacità di adattamento alle situazioni impreviste e ai cambiamenti che possono verificarsi nella vita. Ci permette di mantenere la calma e la serenità di fronte alle difficoltà, di non demoralizzarci di fronte alle sconfitte e di imparare dalle esperienze negative.


5 - Perché facciamo fatica ad attribuire analogo valore a ciò che facciamo?

Se veramente una disciplina fosse in grado di fornirci tutto ciò che sta scritto sopra... Se veramente la pratica dell'Aikido potesse portarci dove desideriamo, perché troppo spesso siamo disposti di alimentare tutto ciò con i nostri "scarti"?

Scarti di tempo, di attenzione, di risorse, di qualità e di ingaggio... Risulta puerile credere che qualcosa di veramente prezioso possa essere barattato con il poco o con il nulla, non è vero?!

Questo è appunto una DISCIPLINA, ovvero qualcosa da non fare SOLO quando ne abbiamo voglia, quando ci sembra giusto, quando le circostanze non si mettono troppo di traverso.

Il corpo va nutrito, va fatto riposare... ma non perché ci mancano i soldi o il tempo possiamo permetterci di nutrirlo e farlo riposare 4 volte al mese, giusto?


6 - La disciplina non è un percorso solitario

Se bastasse il proprio sforzo per apprendere una disciplina, quando siamo neofiti assoluti, potremmo fare tutto da soli... ma questo non funziona, e dobbiamo andare alla ricerca di un luogo e di un mentore che ci diano supporto nell'ottenere ciò che desideriamo. Questo ci obbliga a COORDINARE il tempi ed i propri sforzi con quelli di qualcun altro... 

E se siamo NOI a cercare ciò che altri possono darci, tocca a NOI armonizzare i nostri impegni a quelli di chi ci offre supporto... non il contrario!

Quindi i corsi NON vanno cercati all'orario comodo e sotto casa, come primo parametro... ma dove e quando sono (foss'anche in capo al mondo e quando noi siamo già occupati), purché ci possano offrire ciò che cerchiamo.

Ne segue che il primo "sforzo" disciplinante è proprio quello di liberare tempo e spazio per fare ciò che vogliamo fare: questo non viene quasi mai contemplato da un neofita, che - erroneamente - pensa che il lavoro, l'impegno si ambientino SOLO sul tatami.

Assicurarsi di essere sul tatami nel luogo giusto e negli orari giusti richiede invece già una forma importante di auto-DISCIPLINA!

Non solo il docente, ma anche gli altri compagni di corso creano un "volano" in grado di smorzare i nostri eventuali facili entusiasmi iniziali, cos' come uno sprono nei momenti di maggiore crisi, che certamente si susseguiranno negli anni, più o meno ciclicamente.


7 - Una disciplina non è un percorso che termina

Se iniziamo a fare qualcosa, come un corso di Aikido... potremmo anche pensare che ad un certo punto questa attività finirà. Sarebbe la stessa cosa con un corso di fotografia, di cucina, di lingue: si frequenta per un po' di tempo... poi si acquisiscono le competenze desiderate, quindi si saluta e ringrazia e ci si dirige altrove.

La disciplina NON è così: è sempre possibile entrarvi in un rapporto più stretto ed intimo ed io non ho mai conosciuto una persona che sia riuscita a "terminare" di sottoporsi ad una disciplina.

Ho conosciuto persone che hanno ottenuto le competenze tecniche che desideravano, ma non che abbiano appreso da loro stessi tutto ciò che potevano apprendere.

In questo senso la disciplina può spaventare un tot, poiché si ha l'impressione di firmare un "pagherò" che non si riuscirà poi a saldare  nonostante tutto il proprio prolungato impegno: e qui invece avviene lo svoltone!

Siccome non è possibile terminare ciò che ci siamo prefissati di apprendere, noi DIVENTIAMO l'apprendimento stesso, ed è proprio qui che le discipline diventano modi e modelli di vita, che vengono con noi ben oltre il confine fisico del tatami o del Dojo.

In Aikido (ed in molto altri percorsi) è necessario sentire che si sta perdendo ogni speranza di soddisfare le proprie aspettative, per fare posto a qualcosa di sbalorditivo che possa giungerci.

Ma le persone normalmente NON sono disposte a giungere fino a questo punto, così il "WOW!" non arriva mai, o arriva proprio tanto saltuariamente...


É quindi importante comprendere cosa cerchiamo, per non rischiare di perdere il nostro tempo (e farlo perdere ad altri): se cerchiamo una DISCIPLINA (come l'Aikido), è necessario metterci in saccoccia tutte quelle forme di resistenza che risulteranno solo allontanarci dal nostro obiettivo principale, ovvero quello di conoscere noi stessi ATTRAVERSO ciò che facciamo.


Marco Rubatto




lunedì 27 gennaio 2025

"Educare con l'Aikido" di Roberto Travaglini

Ho desiderato avere questo testo per molto tempo: fino al 2010 ho lavorato come Educatore in una Cooperativa Sociale e già allora facevamo ampio utilizzo dei testi della Erickson per i laboratori cognitivi che svolgevamo regolarmente con l'utenza.

Già allora il titolo "Educare con l'Aikido" era presente nel catalogo presente al termine di ogni pubblicazione Centro Studi Erickson, ed ovviamente mi incuriosiva leggere il suo contenuto, benché non sapessi nulla sul suo Autore.

Diversi anni più tardi, ricevetti in dono questo libro da una mia allieva, credo per un compleanno... e lo misi fra i "must read", solo che ho avuto effettivamente modo di leggerlo con calma solo durante le ultime vacanze natalizie... ed ho potuto confermare l'intuizione che ebbi nel 2010...

"Educare con l'Aikido" credo ad oggi debba essere considerato ad oggi IL testo di riferimento per tutti coloro che abitualmente si occupano di Aikido bambini & ragazzi, o di tutti coloro che si apprestano a farlo!

Di certo il merito di un libro ben riuscito è si in parte dovuto alla serietà di una Casa Editrice da decenni dedicata ad argomenti educativi e formativi, ma anche dall'incontro di quest'ultima con un Autore preparato e che ha cose importanti da trasmettere: credo questo sia proprio il caso di Roberto Travaglini Sensei, che ancora non conosco di persona, ma che ho potuto in qualche modo conoscere ed apprezzare attraverso il suo scritto.

In prima battuta tengo a specificare che non sono ancora molte le opere in italiano dedicate all'insegnamento dell'Aikido ai più giovani (potrete trovare QUI un'altra recensione di un testo sul medesimo argomento), ed al momento fra queste nessuna mi sembra comparabile, per profondità, ricchezza e completezza al libro di Travaglini Sensei.

La "completezza" è sempre una chimera in argomenti come questo, tuttavia una solida base teorica di tipo accademico, ricca di rimandi bibliografici, rende possibile l'inquadramento del delicato processo di sviluppo dell'età evolutiva e la sua contestualizzazione nella pratica di una disciplina poliedrica e complessa come l'Aikido.

Ho avuto la sensazione dell'incontro fra due "colossi" differenti, ovvero la complessità tipica del periodo di infanzia, pre-adolescenza ed adolescenza... con quella della comprensione di una pratica che talvolta sfugge, per certi versi, anche a parecchi adulti che vi ci si dedicano.

Dal mio punto di vista, un'opera letteraria deve avere una credibilità di tipo accademico-scientifico per essere considerata tale, quindi deve offrire spunti di approfondimento a coloro che fossero interessati a farlo anche in sedi ulteriori... e questo è sicuramente possibile leggendo "Educare con l'Aikido".

Non si tratta di un testo "facile", nel senso che il linguaggio tende ad essere più per "addetti ai lavori" che meramente divulgativo... tuttavia è necessario comprendere anche la diversità utilità fra un'opera che ha ha un intento divulgativo, rispetto ad un'altra che si prefigge lo scopo di approfondire una determinata area.

Un'opera divulgativa ha un'impatto "orizzontale", ovvero cerca di arrivare più lontano possibile... come accade alle onde concentriche di un sasso lanciato in uno stagno.

Un'opera di approfondimento - come quella della recensione odierna - mira invece a penetrare ulteriormente nel merito di tematiche che intuitivamente ci paiono importanti, ma delle quali è necessario formarsi anche un certo know-how per poter procedere nell'apprendimento e nella specializzazione.

Purtroppo, nel nostro Paese vige ancora la spesso malsana abitudine di iniziare la propria carriera di insegnanti di Aikido proprio con i corsi rivolti ai più giovani... quasi come a tentare la scommessa: "Provo ad insegnare ai bambini, poi se riesco un giorno forse mi rivolgerò anche agli adulti".

In realtà, è ben noto negli abiti educativi istituzionali e non, che l'area pedagogica infantile e molto più complessa e irta di possibili ostacoli e sbagli rispetto all'insegnare qualsiasi cosa ad un adulto. Dovrebbero occuparsene quindi i più esperti, non coloro che sono alle prime armi.

É necessario comprendere come un essere nel pieno della sua formazione abbia, in qualche modo, meno strutture e sovrastrutture... quindi sarà relativamente semplice fornirne alcune, ma è necessario essere consapevoli di quanto e come esse possano essergli di supporto o da ostacolo nella delicata fase evolutiva della fanciullezza o della giovinezza.

Un adulto - di contro - ha molte infrastrutture e sovrastrutture (sia mentali, che fisiche) che spesso sono da allentare, rilassare o demolire del tutto... ma che lo possono paradossalmente anche proteggere da un intervento maldestro da parte di un Insegnante di Aikido.

Un adulto sceglie se fidarsi, o lo consente quando crede di avere gli elementi sufficienti per farlo: un bambino invece si fida a priori, quindi è molto facile da manipolare... anche nel senso meno nobile del termine.

"Manipolare", un po come si farebbe con la creta, non è di per sé qualcosa di negativo, a patto che si abbia chiaro che le strutture proposte agevolino una maturazione individuale... che mira all'indipendenza ed all'emancipazione del soggetto da ogni forma di dogmatismo, mentale, sociale o marziale che sia.

Quando sento un Insegnante di Aikido esprimersi in "giappaliano" (ovvero in un italiano giapponesizzato), solo perché magari per anni ha seguito un Insegnante giapponese (che con l'italiano faceva ciò che poteva) mi rendo conto quanto sia comune - anche nel mondo adulto - scambiare il dito per la luna: figuriamoci quanto un processo analogo può essere più pericoloso per un essere in evoluzione, particolarmente aperto ad introiettare ogni tipologia di informazione ed atteggiamento (sia consapevole, che inconscio) che il suo insegnante veicolerà (talvolta per scelta, altre suo malgrado) durante le lezioni.

Per questo è necessario STUDIARE per fare Aikido con i più giovani, e bisogna farlo PRIMA di iniziare con questa attività, così da limitare il più possibile gli errori dovuti alla propria inesperienza su un materiale umano particolarmente ricettivo, e quindi anche fragile.

"Educare con l'Aikido" è un testo che credo possa offrire un enorme supporto in ciò, poiché Travaglini Sensei ha fatto una mirabile opera di collezione di molte fonti accreditate che si occupano di psicologia dell'età evolutiva, le ha fra loro spesso confrontate ed ha provato a metterle in relazione con la pratica dell'Aikido, dividendo le varie fasce d'utenza per età evolutive differenti, così da calzare al meglio le loro caratteristiche uniche e peculiari.

L'opera, edita per la prima volta nel marzo del 2010, è costituita da 180 pagine, ed affronta contenuti suddivisi in:

- Educazione fra Orente ed Occidente

- L'intelligenza del corpo

- Psicopedagogia dell'Aikido

- Possibile strutturazione di una lezione tipo per bambini ed adolescenti

Ogni sezione termina con tabelle riepilogative, e spesso con schemi concettuali e didattici. Completa lo scritto un glossario giapponese-italiano di tutti i termini scritti in italico nel testo ed una generosa bibliografia, che cita circa 130 altri volumi (ad oggi l'unico testo che conoscevo a possedere una biografia così estesa era proprio quello che ho pubblicato io nel 2008!).

Punti di ombra?

Di solito, oltre a rimandare cosa ho trovato di positivo, tento anche di intessere una critica sugli aspetti che invece ho apprezzato meno (ovviamente sempre nella speranza di offrire un contributo più equilibrato possibile); devo dire che su due aspetti ho trovato un po' di resistenza personale:

- il linguaggio utilizzato non sempre mi è risultato scorrevole; talvolta alcuni passaggi mi sono sembrati un po' inutilmente complessi, pur rendendomi conto della necessaria specificità che gli si richiedeva di avere alla parole utilizzate;

- alcuni consigli forniti sulla pratica con le diverse tipologie di utenza mi sono parsi un po "datati", ovvero non necessariamente ancora attuali e spiego cosa intendo per questo. La mia formazione NON è stata di tipo accademico rispetto alle età evolutive, ma lo è stata rispetto alle fasce deboli d'utenza (handicap intellettivo medio-grave) ed alla comunicazione (PNL). La mia formazione teorica e pratica sull'Aikido dei più giovani proviene da numerose esperienze all'estero, in qualità di uchideshi di Dojo che hanno una considerevole tradizione nell'insegnamento a queste fasce d'età.

In questo senso, ho imparato da luoghi che avevano avuto un influsso meno diretto dal mondo accademico e più mediato da competenze di tipo pratico: questo "limite" si è rivelato talvolta un'opportunità di sviluppare un'intuizione più attenta contestualizzare l'intervento educativo rispetto alla situazione che mi trovavo a vivere.

Agivo (ed agisco) talvolta "meno da manuale", ma più connesso alla specificità del rapporto che mi trovo a vivere con i vari gruppi (nel mio Dojo sono attivi corsi per bambini, teenagers e portatori di handicap) e con alcuni loro componenti nello specifico. Quindi ciò che nel testo viene ad esempio talvolta "sconsigliato" con alcune fasce di età, l'ho adottato invece con successo... ma questo solo perché la contingenza lo rendeva possibile.

Non vedo però questo aspetto come un limite del testo, inteso come manuale che mira a dare indicazioni di massima e fornire linee guida di orientamento, ma solo come una conseguenza della mia esperienza personale.

Torno invece a fare un plauso ad un'opera che fornisce - per prima - una solida impalcatura anche e sopratutto di natura teorica a coloro che hanno intenzione di interagire con i più giovani.

Consiglio quindi vivamente di avere "Educare con l'Aikido" nella propria biblioteca personale, testo forse da consultare anche più volte nel tempo, per comprenderne ulteriori sfumature man mano che la propria esperienza sul campo aumenta. Così che pratica e teoria non vengano più visti come una diade di opposti, ma come elementi complementari che vanno nella direzione dell'equilibrio e dell'integrazione reciproca.

Mi auguro di avere modo di incontrare anche Travaglini Sensei su qualche tatami prima o poi, nel frattempo questo è il modesto contributo che posso fornire a far conoscere la sua meritoria opera.

QUI il link per l'acquisto.


Marco Rubatto



lunedì 20 gennaio 2025

La data del Seminar di Aikido che mette d'accordo tutti

Negli ultimi 20 anni mi sono trovato, in media, dalle 2 alle 8 volte all'anno nella frizzante situazione di dover organizzare un evento Aikidoistico, spesso di carattere domestico, oppure regionale, talvolta di caratura nazionale... ma non sono mancati anche quelli di tipo internazionale.

C'è un vero e proprio allenamento che si compie a forza di organizzare eventi di questo tipo, destinati a tipologie differenti di utenza (gli Aikidoka in basso a destra, i Docenti, persone che arrivano da mezzo mondo)... e, volenti o nolenti, qualcosa si impara!

É molto cambiato il clima rispetto quando ho iniziato a praticare io: momento nel quale si seguiva un'unica corrente di Aikido, che organizzava le sue cose, quando, dove e come desiderava lei... quasi sempre fregandosene di ciò che le accadeva intorno.

Stiamo comprendendo - finalmente - anche a livello collettivo, che siamo parte di un tutto sistemico... che meglio si integra fra le sue diverse parti, meglio stanno tutti.

Aikime nasce tanto tempo fa anche con il progetto lungimirante di far conoscere a tutta la "Società dell'Aikido" i vari eventi che accadono sul territorio: non voleva essere solo un auspicio ed incoraggiamento alla "bio-diversità", ma anche un'occasione per far si che le varie correnti potessero più facilmente tenere conto le une delle altre.

Questa cosa NON è accaduta poi così tanto, purtroppo... ed infatti già da anni Aikime ha mollato la fune, poiché ho ritenuto che fossero energia ed impegno un po' inutilmente sprecati, fra l'altro per coloro che non comprendevano nemmeno il valore e la lungimiranza di questo tentativo.

Non è finita li, però (purtroppo per me!): negli anni seguenti questo "servizio" offerto alla community, mi sono trovato io stesso nella posizione di organizzare eventi dei generi più disparati (invitare il "maestrone" di turno, pubblicizzare Seminar co-condotti, ideare nuovi format, come l'Aikido Workshop... nomenclatura della quale si fa un vasto utilizzo, ed anche abuso).

Ed i problemi che ho incontrato erano sempre dello stesso tipo:
- trovare le date migliori
- cercare la location migliore
- costruire i servizi migliori da offrire ai partecipanti (accompagnamenti, pranzi, cene, pernottamenti...)
- preventivare una quota di partecipazione che riuscisse a coprire le spese vive

Questo lungo training mi ha permesso di comprendere dal di dentro quali siano le variabili più importanti delle quali tenere conto, appunto nell'organizzazione degli eventi.

Partiamo dal presupposto che la DATA migliore per organizzare un Seminar di Aikido è quella nella quale le persone DESIDERANO partecipare all'evento stesso, e quindi sono disposte a fare di tutto per esserci... compreso lo sbattimento di anticipare o rimandare impegni di tipo personale pur di essere presenti.

Al di fuori di questo, la DATA che mette d'accordo TUTTI gli eventuali partecipanti semplicemente NON esiste!
E non appena il numero di questi partecipanti cresce, crescono esponenzialmente anche i giudizi di chi avrebbe fatto diversamente, in un'altra data, un'altra location, con servizi differenti e quote differenti. Quindi se uno attende che la proposta piaccia a tutti, semplicemente sarà destinato a non organizzare mai nulla.

Dobbiamo tenere presente che il numero di variabili è molto alto, ma anche quello dei vincoli ai quali siamo assoggettati...
- ad esempio, se si invita un Sensei di alto rango, egli ci offrirà magari un paio di disponibilità di calendario, nelle quali è libero di esserci
- esistono però anche vincoli legati alle festività del calendario normale (uno stage il 25/12 non troverebbe il plauso di tutti, ad esempio)
- esistono i calendari di impegno delle location (un Dojo, un palazzetto dello sport, una struttura federale...)

E per ora abbiamo SOLO fatto caso ad elementi che NON ritenevano più di tanto conto del favore degli eventuali partecipanti; questi ultimi - oltre ad avere una loro vita privata - spesso frequentano corsi di Aikido che hanno già i "loro" momenti di raduno ciclici... quindi, più è eterogenea la platea auspicabilmente presente, più è come provare ad incrociare i Google Calendar di TUTTI gli Enti che fanno Aikido in Europa, e magari anche quelli di altre discipline (perché ci sarà sicuramente qualche praticante di Shodo, Kendo, MGA, Iaido, scopone scientifico a mandorla che ti dirà "Ma io proprio quel week end ho il Seminario annuale, internazionale, interplanetario con il mio Guru!").

Capite bene che una DATA giusta per tutti NON esiste, e ad un certo punto è necessario sviluppare il super potere di dire "Ed allora fottiti!" a quelli che fanno le uscite come sopra. E non sia preso come segno di menefreghismo o maleducazione: è un mero atto di SOPRAVVIVENZA!

Le persone che non sono mai state da "questa parte del bancone" non hanno spesso la benché minima idea dell'impegno che richiede provare a lavorare per il vantaggio della maggior parte delle persone, specialmente quando si trovano dalla parte della minoranza di esse... quelle cioè alle quali la proposta non va a genio per i più disparati motivi.

Sfortunatamente, non siamo ancora tutti sempre così maturi - sempre collettivamente parlando - da saper fare un passo indietro dalle nostre esigenze personali, se ciò può mostrarsi utile al movimento del quale anche noi facciamo parte.

Ci sono però anche alcuni elementi che AGEVOLANO l'organizzazione di eventi
che possono interessare un certo numero di persone (la mia esperienza va dalle 30 alle 130 persone sullo stesso tatami). Ecco a voi un elenco di 7 preziosi consigli, ricavati direttamente dalla mia esperienza...


1) COLLABORAZIONE

Il primo di essi è la COLLABORAZIONE con chi è in grado di dare supporto vivo all'evento che abbiamo intenzione di realizzare: è necessario CONFRONTARSI calendario alla mano, ad esempio, con allievi e/o Insegnanti che vorrebbero partecipare e che magari hanno anche piacere di poter includere alcuni dei loro stessi allievi fra i partecipanti.

Si tratta quindi di un processo di convergenza di questo tipo:
1 - proposta
2 - feedback
3 - contro-proposta, se la 1 avesse criticità o potesse essere migliorabile
4 - feedback
5 - contro-contro-proposta, se la 3 avesse criticità o potesse essere ulteriormente migliorabile
6 - feedback

... e così via, almeno fino a quando si vede che le cose si stabilizzano e tutte le variabili principali sono state conosciute per tutti.

In questo modo - molto più lungo ed energeticamente dispendioso di calare dall'alto una data e stop - le persone iniziano a sentirsi considerate, e parte viva di ciò che si vuole organizzare.


2) EVENTI RICORRENTI

Il secondo elemento è cercare i creare delle abitudini ricorrenti
, ad esempio organizzare il Seminar più o meno sempre nello stesso periodo dell'anno (ad esempio sono circa 15 anni che organizziamo il Seminar con il mio Maestro SEMPRE nel primo week end di marzo, indovinate un po' quando sarà quest'anno?)...

In questo modo chi fosse interessato a partecipare può segnarsi con largo anticipo sul proprio calendario l'evento, ed evitare di prendere altri impegni concomitanti.


3) PROGRAMMAZIONE A LUNGO TERMINE

Il terzo elemento
, ove il secondo non fosse così facile da realizzare, è la programmazione a lungo corso... ovvero con MESI di anticipo (diciamo da 3 a 6, almeno). Impossibile per chiunque in questa società partecipare ad un evento organizzato questa settimana per la prossima, a meno che non dispiaccia poi ritrovarsi in 3 all'evento .

Io stesso pianifico con largo anticipo non solo gli eventi che organizzo, ma anche quelli ai quali partecipo, sia come docente, sia come discente: quindi c'è gente che mi invita ad insegnare o mi inviata a partecipare come semplice praticante agli eventi che organizza che si sente dire dei sonori "NO, grazie" perché mi avvisa troppo TARDI.
Addirittura venirmi a trovare in Dojo deve essere pianificato almeno con qualche settimana di preavviso, altrimenti uno attraversa l'Italia per praticare con me, e rischia di NON trovarmi!

La pianificazione è estremamente IMPORTANTE, quindi.


4) EVITARE CONCOMITANZE

Il quarto elemento è una mera questione di intelligenza e di buon senso: cercare il più possibile di evitare CONCOMITANZE con eventi già esistenti e fruibili dalla stessa utenza che potrebbe essere interessata al nostro. Dobbiamo iniziare a dare in Aikido la stessa attenzione che ci piacerebbe ricevere dagli altri!

Sicuro che se organizzo un week end di pratica a Torino NON dovrò essere così preoccupato di cosa accade a Canicattì... però sarebbe bene - ad esempio - che gli stage tenuti da alti gradi NON si concentrassero nella stessa data e nella stessa città (fidatevi, è capitato e continua a capitare in continuazione). In questo senso, non dobbiamo ritenerci responsabili dei casini che fanno gli altri, ma invece più che responsabili dei casini che combiniamo noi, anche involontariamente.

Un tempo il nostro piccolo mondo era famoso per la creazione quasi maniacale di concomitanze negli eventi, che impedissero alle persone di andare dove desideravano
(perché "obbligate" a partecipare ad un proprio evento, quindi impossibilitati a frequentarne un'altro, magari considerato più interessante ancora)...ma oggi chi ragiona ancora così - per fortuna - si sta (auto)estinguendo!


5) DETERMINAZIONE FLUIDA

Il quinto elemento è da comprendere bene: quando si vuole organizzare un Koshukai si parte di solito con uno spirito molto DETERMINATO; inevitabilmente però si incontrano ostacoli su ostacoli mentre il processo di realizzazione viene alla luce; la location è libera solo un giorno, ma a noi ne servivano due... il traduttore che avevamo sempre ingaggiato a sto giro non è disponibile, il grafico sbaglia le info sulla locandina, il giorno prima del seminar arriva una tormenta di neve...

Credete: negli anni ho visto dal vivo sia ciascuna di queste cose, che altre, persino peggiori!

In questi casi è necessario ricordare uno dei principi della disciplina, che è appunto la rilassatezza e la non resistenza
: inutile sfasciarsi il cranio contro ciò che non possiamo cambiare... molto utile invece risulta l'essere capaci di apportare i cambiamenti necessari - anche all'ultimo minuto - che ci consentano di portare a casa l'evento al quale teniamo.

Si tratta quindi di mantenersi in uno stato di "determinazione fluida", che ci consente di aggirare gli ostacoli che ci si presentano dinnanzi, e procedere verso il nostro obiettivo, con fiducia e focalizzazione.


6) INCLUDERE & DELEGARE

Il processo di organizzazione di un evento Aikidoistico di successo NON può reggersi sulle capacità di una sola persona: è necessario INCLUDERE persone fidate in un determinato ambito (dal tenere la cassa all'occuparsi della pulizia del tatami o dei bagni...) alle quale DELEGARE almeno parte del peso che grava sulle nostre spalle. Un evento ben riuscito implica sempre una qualche forma di "gioco di squadra".
Risulta saggio offrire forme di incentivo ai nostri collaboratori (ad esempio il pagamento di una quota ridotta sul Seminar, o qualche altra agevolazione a fronte del loro supporto pratico e logistico), così che per loro risulti una forma di "scambio" che si offre e non come una mera imposizione del Sensei di turno che ingerisce sui propri allievi.


7) FEEDBACK DELL'ESPERIENZA

Che vada come vada, lanciatevi nell'organizzazione di ciò che considerate sia importante, senza aspettare di essere "perfetti" per farlo, o senza attendere che ci siano le "condizioni ideali"... perché queste 2 condizioni non si verificheranno semplicemente MAI!

Dopodiché, che si sia trattato di un autentico successo, un qualcosa di medio, o un disastro completo... prendetevi del tempo per fare un feedback (insieme ai vostri collaboratori più stretti) di cosa è accaduto, individuando sia i punti di forza, che di debolezza dell'organizzazione. Segnatevi tutto nero su bianco, così da massimizzare gli insegnamenti che potrete trarre da questa esperienza, sia a livello individuale, che collettivo.
L'evento successivo nascerà sulle ceneri dei fallimenti di quello precedente e spinto dai punti di forza di quest'ultimo: è il principio di kaizen, che dovremmo utilizzare in continuazione in Aikido.


In conclusione, non c'è nulla come la pratica per comprendere e migliorare: ciò vale la stessa cosa anche con l'organizzazione degli eventi per l'Aikido!

A livello personale, mi sono fatto una discreta gavetta sull'argomento... tanto che progetto in futuro di allentare o di smettere del tutto di organizzare cose, visto che ora iniziano a venirmi come piacciono a me.
É bene lasciare spazio alle nuove leve, che posseggono energie fresche e che necessitano di fare le loro esperienze sul campo... mentre mi dedicherò a qualcosa di più congeniale a ciò che ora per me l'Aikido rappresenta.

Una cosa è certa: l'organizzazione di eventi - per quanto attività abbastanza sfiancante, sia fisicamente, che psichicamente ed emotivamente - è un processo che assicura una massiccia dose di crescita a tutti coloro che vi si ingaggiano... quindi in questo senso, sotto ad organizzare!

Non appena sarò più libero... magari ci si vedrà a cosa organizzerete VOI!!!

Marco Rubatto







 


lunedì 13 gennaio 2025

Le prospettive che rivoluzionano l'Aikido e la morte di Aikime

Iniziamo questo 2025 con un tema che mi pare stia diventando crucciale in Aikido.

Molte volte in queste pagine abbiamo parlato delle differenze che passano fra "tecniche", "principi" e "prospettive"... ovvero il "cosa", il "come" ed il "perché" mettiamo nella pratica: oggi si tratta di esplicitare i motivi di alcuni limiti che attualmente incontriamo, comprenderli a fondo... anche per avviarci a superarli, in un futuro speriamo non troppo lontano.

La mia esperienza, di studente prima e di studente e docente poi, ha messo in evidenza l'importanza di alcuni NON DETTI, sulla base dei quali tendiamo a basare le logiche delle nostre azioni.

Questi "non detti" sono di carattere molto personale e dipendono da cosa ciascuno sta cercando nel momento in cui approda all'Aikido (o a qualsiasi altra disciplina simile): abbiamo già visto che le prospettive sono tante e varie... e che non ce n'è una migliore di un'altra... c'è chi vuole studiare la tradizione marziale, chi vuole stare in forma, chi vuole imparare a difendersi, chi vuole trovare un gruppo di persone con le quali condividere un percorso, chi si sente attirato da una disciplina che ha molto da dare nel campo della relazione, anche se magari non è interessato di primo acchito ad aspetti così marziali.

Ora si tratta di comprendere bene come alcuni assunti siano in grado di modificare - alla lunga - il nostro percorso, talvolta permettendoci di ottimizzarlo... ma molte più volte facendoci da zavorra auto-limitante.

Premetto che questo discorso, che per me è impegnativo da fare, è frutto di circa vent'anni passati ad osservare alcune dinamiche (non del tutto sane) tipiche di noi Aikidoka, inabituati al confronto non-mediato con ciò che è differente da noi, ad esempio tramite una competizione diretta, come fanno molte altre discipline marziali.

Il confronto c'è, a volerlo... poiché chiunque è libero di frequentare qualsiasi Seminar, allenamento, raduno organizzato da correnti anche molto differenti dalla propria: ma è come andare, di religione in religione, a chiedere ad ogni credente, sacerdote o Papa quale sia il credo più autentico di tutti.

Tutti risponderebbero nello stesso modo: "IL MIO!".

Non credo che questo bias cognitivo possa rientrare introducendo l'agonismo in Aikido - sia chiaro fin d'ora - però è anche un dato di fatto che un Judoka o un Karateka sono più duttili ad accettare alcuni presupposti di base comuni a tutto il loro movimento, che consentono loro di confrontarsi durante le gare, ben al di là dei vari tecnicismi locali (che rappresentano appunto le singole "prospettive" delle loro discipline, accompagnati da tecnicismi e stili "locali").

Pensiamo ad esempio a tutti quegli Aikidoka che basano il loro allenamento su un movimento fluido continuo (come fanno all'Honbu Dojo) e che cozzano con stili più "statici" come l'Iwama Ryu o lo Yoshinkan... I primi sono molto più numerosi che i secondi, segno che la nostra società ha più bisogno di muoversi o trova più facilità a fare ciò, rispetto a trascorrere anni ferma a studiare i singoli angoli fra lo spostamento del nostro corpo e quello del nostro compagno di pratica. Entrambe le ipotesi possono essere contemporaneamente valide.

Io, che sono nato e cresciuto in un contesto di questi ultimi, però, ho da sempre sentito storie su quanto fossero "ballerini gli altri", quelli che dovevano muoversi per forza e fin da subito: erano critiche dure, aspre, come ad affermare che non si arriva da nessuna parte, se non ci si abitua ad attacchi un minimo energetici.

A guardare la medaglia da questo lato, sembrava che l'Aikido dovesse diventare una setta di persone che si convincono l'un l'altro dell'efficienza di un movimento, anche se il proprio uke sta al gioco e non fa nulla per testare questa supposta efficienza. Una sorta di Arte Marziale che ha eliminato il conflitto al suo interno, innamorandosi delle coreografie di cui è capace... ed impegnandosi ad eseguire movimenti magari inutili, però bellissimi!

Dall'altro canto, è anche evidente come l'Aikido maturo di O' Sensei (e di qualsiasi altro Maestro di un certo livello) si esprima INNANZI TUTTO nella dinamica, livello nel quale il maai (cioè lo spazio-tempo) diventa uno delle principali variabili della nostra azione.

Quindi kihon (base) o ki no nagare (fluidità)?

Questioni di prospettiva!

É reale che la quintessenza dell'Aikido sia dinamica (ki no nagare), ma è altrettanto vero che O' Sensei stesso affermasse che non sarebbe stato possibile comprendere questa essenza, se non si è in grado di liberarsi da una presa effettuata - ad esempio - con tutta la forza disponibile, poiché la dinamica aiuta, in tal senso... ma aiuta anche la copertura dei propri errori più piccoli (anche se significativi).

Girando parecchio, lo vedo proprio cosa accade a quei gruppi che sono abituati SOLO a muoversi e non hanno mai speso 3 allenamenti della loro vita marziale a comprendere gli angoli e le modalità di spostamento del corpo sotto una pressione PIENA: l'Aikikai dell'Honbu, quello d'Italia, il gruppo Tissier sono saturi di cose stupende, che però potrebbero non funzionare più altrettanto bene nel momento in cui il partner afferra sul serio con piena intenzione di tenere, ad esempio.

Presentano troppi movimenti parassiti dei quali non sono minimamente consapevoli, perché in quei contesti non si sono mai messi nella condizione di vederli (con un partner che fa un'ostruzione intelligente).

Ma vedo anche tanti Iwamisti - per continuare con il parallelo - che intenti a studiare l'angolo perfetto per uscire da una presa forte, arrivano a 4º dan muovendosi come Robocop: lodevole il loro intento, ma hanno tralasciato che quella modalità di allenamento deve essere messa al servizio della dinamica, e non basta in se stessa a fare il famoso "Aikido di O' Sensei", che era sicuramente dinamico (e che poi non potrà mai più essere fatto, perché era quello suo e non il nostro!).

Quindi che cos'è giusto fare? Ciascuno parte da una prospettiva corretta, ma al contempo anche limitata: se portata a vanti nel tempo, restituisce un'immagine parziale dell'Aikido ed una demonizzazione di chi fa diversamente... perché siccome si percepisce il buono che si sta facendo, non è facilmente concepibile che ci sia anche del buono anche in chi fa il nostro esatto contrario.

Nell'affermare quindi per primo che "nessuno sta completamente sbagliando strada", e per secondo che "nessuno sta completamente onorando tutto il percorso"... si dicono - secondo me - due verità: ciascuno dovrebbe, anche solo per un istante, prendere la PROSPETTIVA dell'altro... così da comprendere i perché della sua pratica e verificare se questi "perché" non potrebbero essere agevolanti anche per la PROPRIA pratica!

Il segreto è trasformare una "o" in una "e"... andare oltre ad una prospettiva duale della pratica... tutto fottutamente qui!

Prendiamo un altro ENORME dibattito: accompagniamo il nostro taijutsu con l'Aiki ken o con una Scuola di spada tradizionale giapponese?

Le Koryū (Scuole antiche) di spada giapponese affondano le loro radici in secoli di tradizione: il Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū è stata fondata nel 1447, il Kashima Shin Ryū all'inizio del 1500, ad esempio.

Difficile credere che costoro non abbiano proprio capito un tubo su come fare un fendente con il bokken, dopo oltre 500 anni di suburi... non credete!?

L'Aiki ken invece è un'invenzione originale di Morihei Ueshiba, che presenza delle differenze SOSTANZIALI rispetto alle Scuole di spada più antiche: dunque a noi cosa conviene praticare?

Innanzi tutto da qui capiamo che ci conviene praticare da subito anche con il bokken, quindi se la nostra Scuola di Aikido non prevede questa cosa, possiamo già rilevare una sua lacuna importante...

Poi è bene ricordare le PROSPETTIVE con le quali ciascuno si è messo a fare ciò che ha poi fatto: le Koryū nacquero per uno studio della spada (e non solo!) finalizzato al combattimento in un duello, su un campo di battaglia; in questo contesto i movimenti devono risultare piccoli, veloci ed essenziali. Devono consentirci di scovare l'apertura nel nemico e non scoprirci a nostra volta troppo nell'attaccarlo con la nostra spada.

I caricamenti saranno tutti piccoli e ci guarderemo bene dall'essere sempre protetti dalla nostra arma, che nasce con l'intento di TAGLIARE, evitando di essere a nostra volta feribili dall'arma avversaria.

L'Aiki ken invece nasce attingendo a questa grande tradizione legata alle Koryū, ma con prospettive del tutto differenti.

O' Sensei iniziò a lavorare quotidianamente all'Aiki ken ed Aiki jo quando si trasferì ad Iwama, ovvero dal 1942 in poi. In quel periodo la guerra incombeva sul Giappone, gli allievi erano piuttosto scarsi nel Dojo di campagna: Morihei Ueshiba era nella fase MATURA della creazione della sua disciplina, molto più interessato a studiare ed armonizzare se stesso con il suo corpo, la sua mente ed il suo spirito... piuttosto che vincere uno scontro su un campo di battaglia.

Ne segue che egli concepì l'esercizio della spada come una pratica di allineamento (o ri-allineamento) fra sé, la natura ed i kami, oltre che con i suoi radi partner di allenamento. In questa prospettiva il bokken deve continuamente SPECCHIARE cosa accade nella hara (il centro addominale), quindi il modo di caricare la spada di legno e di sferrare i fendenti (che erano dichiaratamente pensati per PERCUOTERE e non per tagliare) mira a creare continue spirali, sia sul piano orizzontale, che su quello verticale, che partono dalle anche e giungono fino alla punta dell'arma.

In questo contesto, il bokken viene caricato completamente in fase di allenamento solitario (suburi), perché si vuole massimizzare la percezione del movimento dei Seika Tanden, facendo compiere il tragitto più lungo ed ampio possibile... considerato anche che NON c'è nessun avversario dal quale proteggerci mentre lo facciamo. In questa visione, il corpo PRECEDE la spada, poiché è dal centro del corpo che promana il movimento che deve giungere all'arma.

In questi esercizi, la tsuka kashira (il termine dell'impugnatura della spada) deve essere sempre di fronte al nostro centro addominale, quasi come se fosse collegata con esso con una sorta di cordone ombelicale invisibile.

In presenza di un avversario (come nei kumitachi) tutto ciò diventa più piccolo ed essenziale, ma la prospettiva rimane quella di una "confronto fra 2 hara", entrambe impegnate a forgiare il movimento del relativo corpo... e non lo scontro di 2 individui, per la vita o la morte (che poi uketachi possa controllare il centro di uchitachi così facendo diventa una sorta di "effetto collaterale" dell'Aiki, e non l'unico intento dell'esercizio). Paradossalmente, inoltre, O' Sensei che si allenava spesso anche solo, ha ordito la sua pratica immaginando di essere sempre sotto l'attacco di avversari multipli, che colpiscono da tutte le direzioni.

Forse che qualcuno abbia sbagliato a caricare il minimo indispensabile la spada ed a muoverla prima ed in protezione del corpo (le Koryū ) o a caricare al massimo possibile il bokken e muovendo il corpo prima di esso (Morihei Ueshiba)?

Forse che sia sbagliato studiare un duello di spada in rapporto 1:1 (le Koryū ) o immaginarsi sempre coinvolti in attacchi di più avversari contemporanei (Morihei Ueshiba)?

Ciascuno ha fatto ciò che era FUNZIONALE alla prospettiva che stava seguendo in quel momento nel proprio allenamento, tutto qui.

Il problema però è il misunderstanding di queste accettabilissime prospettive differenti: c'è chi pratica le Koryū di spada e poi le unisce al lavoro del taijutsu, dicendo che è vero che parte del patrimonio tecnico deriva propio dal movimento della spada (che però era quello dell'Aiki ken)... e c'è chi crede sul serio che sarebbe in grado di usare uno shinken (spada affilata) nello stesso modo nel quale ad Iwama si insegnano i suburi o i kumitachi. Beh, costui non sarebbe in grado di tagliare nemmeno un paglione fermo e verrebbe ridotto a brandelli da qualsiasi spadaccino formatosi alle Koryū.

Nessuno ha completamente ragione, nessuno ha completamente torto: semplicemente non si è dato la possibilità di confrontarsi con prospettive differenti e con l'impatto diretto e notevole che esse hanno nella pratica dell'Aikido. Tutto fottutamente qui... again.

Ultimo punto saliente, anche se potrei cintarne ancora decine... Qualche tempo fa alcuni nostri lettori ci hanno chiesto come mai - secondo noi -che le varie correnti di Aikido non sembrano in grado di unirsi sotto un'unica egida, che permetterebbe loro di avere molta più scambio interdisciplinare e voce e visibilità pubblica...

Questo è il momento di rispondere; ammetto che questa annosa domanda mi è frullata in testa per anni ed anni... Mi pareva sciocco ed immaturo un movimento che promuove armonia e risoluzione pacifica del conflitto che però non fosse in grado di coalizzarsi, per darsi supporto a raggiungere obiettivi comuni...

Risulta sempre per questioni di PROSPETTIVA: dal punto di vista del singolo praticante, è indubbio che farebbe la differenza sentirsi parte di un movimento nazionale (o internazionale) NON composto dalle sole 7 o 8 persone con le quali si pratica in Dojo, o da una sola delle varie Scuole presenti (Honbu Dojo, Kobayashi Ryu, Ki Aikido, Scuola Tissier, Iwama Ryu...) o, ancora, da uno solo dei vari Enti presenti (FIJLKAM, UISP, ACLI, CSEN, ACSI...).

Ovvio che più riuscissimo a consorziarci, più la società intera (a livello cittadino, regionale, nazionale, internazionale) avrebbe modo di conoscere maggiormente la nostra disciplina, per risonanza comune e finalità di intenti di tutti coloro che già la praticano... che unirebbero le forze per un fine condiviso, coordinando ed armonizzando gli apporti di ciascuno, in modo sistemico.

Ma poi chi la GUIDA questa enorme massa di individui che praticano Aikido?

Ogni Scuola ed ogni Ente ha già previsto una sorta di Direttivo dei "4 gatti" (40 gatti, 400 gatti o 4000 gatti, molto poco importa) ai quali patrocina la pratica: se questo Direttivo dovesse diventare UNICO (anche solo a livello italiano) avreste idea di quante persone perderebbero la poltrona in un sol botto?

Quindi da un lato ci sono le PROSPETTIVE legate a ciò che farebbe bene al movimento, che dall'altro vanno in contrasto con le PROSPETTIVE del "feudatario locale" di quello stesso movimento... che spronerà "i suoi" ad essere il maggior numero possibile, ma SENZA osare di proporre di fondersi con altre realtà, perché altrimenti fra lui ed il feudatario locale dell'altra realtà... chi dovrebbe mantenere il trono e chi dovrebbe abdicare?

Un chiaro conflitto di prospettive fra "io" e "noi", insomma.

E come si risolve?

Secondo me - almeno per il momento - NON si risolve, semplicemente per il fatto che c'è ancora troppo ego in coloro che giungono ai piani alti delle rispettive organizzazioni, ed il tentativo di controllo degli altri cozza proprio con la necessità di creare un ambiente nel quale ciascuno possa praticare senza perdere la propria identità, ma potendo condividere i propri punti di forza.

Spero di essere riuscito a mostrarvi come una prospettiva è in grado di far apparire "un mostro" chi invece ne ha magari solo una differente dalla nostra: devo ammettere che questi problemi sono di solito propri solo in un gruppo di individui poco curiosi, poco intelligenti, poco lungimiranti e poco consapevoli... cosa che - da sola - mi farebbe voglia di cambiare mestiere, per non sentirmi incluso nella categoria.

Però c'è il lamentarsi di qualcosa che non va e poi c'è il tentare di fare il proprio per cambiare ciò che non ci piace. Aikime fa proprio questo dall'ottobre del 2007.

A questo proposito, vi annuncio che Aikime si spegnerà definitivamente ENTRO e non oltre ottobre del 2027, ovvero all'incirca dopo vent'anni di onorato servizio, nel quale abbiamo cercato di fare del nostro meglio nel fornire servizi e spunti di riflessione per Aikidoka appartenenti ad ogni stile, Scuola ed affiliazione.

Che questo progetto fosse qualcosa di importante è diventato chiaro a poca distanza da quando è partito, ma altrettanto è risultato per me importante che fosse a tempo DETERMINATO: era importante per me sentire che "stavo facendo la mia parte", consapevole del fatto che però ci dovessero essere dei limiti ben definiti nei quali stare e che l'intero movimento dovesse fare "la propria parte", non solo io. Ma avremo ancora modo di parlarne in futuro... e forse anche di cosa avverrà oltre.

Per qualche tempo ancora ci troverete qui, quindi per ora giunga a tutti l'augurio più sincero di uno splendido 2025 di Aikido, armonia e crescita comune!


Marco Rubatto