lunedì 23 dicembre 2024

Auguri di un SANKYO Natale a voi tutti!

Pausa invernale per il Blog, in occasione delle festività di fine anno.

Al solito vi auguriamo un periodo di serenità e relax, così da poter iniziare l'anno che viene con slancio ed entusiasmo.

Noi andiamo in letargo fino a lunedì 13/01, ma potete continuare a contattarci in privato nel frangente: nulla andrà perso, tranquilli.

Quindi... auguri di un SANKYO Natale e di un katate san BON Anno a voi tutti!


Marco Rubatto



lunedì 16 dicembre 2024

Aikido: i possibili traumi della pratica

C'è un gran vociare sul fatto che l'Aikido venga considerata una vera Arte Marziale o meno: per alcuni si, per altri no... ma di certo deriva da una pratica assolutamente marziale.

E, come ogni disciplina che coinvolge corpo e mente, è soggetta a traumi più o meno ricorrenti... dei quali vorrei parlare quest'oggi... riprendendo un discorso iniziato QUI, oltre 14 anni fa.

Non esiste un sarto con una certa esperienza che non si sia mai bucato il dito con un ago, o un muratore che non si sia martellato un'unghia per sbaglio... quindi - verosimilmente - come iniziamo una pratica fisica dobbiamo mettere in conto che possano verificarsi alcuni micro traumi di varia natura.

Mi colpì moltissimo, tuttavia, una formazione che feci al Centro Olimpico Federale di Ostia nel 2017, nel quale il medico sportivo della nazionale di Judo era venuto a tenere una lezione proprio su questo argomento ai Docenti dei Settori Aikido e Ju Jitsu FIJLKAM.

All'inizio del suo intervento, chiese ai presenti che numero medio di infortuni e di che tipologia avevamo ogni anno nelle nostre Società Sportive: rimase perlopiù stupefatto dal basso tasso di incidenti rimandati, e dalla loro relativa lieve entità.

Nel Judo una caduta che richiede un intervento chirurgico di rifacimento di un'articolazione è abbastanza frequente, specie in alti livelli di gara: noi non abbiamo gare (il Ju Jitsu invece si), ma comunque non si andava oltre alla clavicola rotta o alla contusione di una caviglia... in media (ed il Ju Jitsu molto più che l'Aikido, fra l'altro).

Segno è che la nostra disciplina non è particolarmente soggetta a traumi che hanno gravi conseguenze: certo alcune leggende metropolitane parlano di "morti di koshinage"... ragione per la quale alcuni stili hanno estromesso questa tecnica dai loro curriculum tecnici, tuttavia sul numero globale degli Aikidoka, possiamo considerarci abbastanza al sicuro da eventi estremi di tipo fisicamente traumatico.

Di certo shihonage è potenzialmente una tecnica killer (per spalla, gomito e polso), se tori chiude più del dovuto ed alcune chiavi articolari possono condurre alla rottura, lussazione o sub-lussazione degli arti.

Uno degli incidenti più comuni e frequenti - per quando appaia bizzarro - avviene nella pratica di ikkyo (omote waza), che di chiavi articolari non ne ha nemmeno una!

Accade che un uke troppo lasso avvicini troppo il proprio gomito alla faccia, facendo si che il pollice di tori che gli ha afferrato il gomito gli finisca nell'occhio: anche in questo caso, però, nulla che non si risolva con un arrossamento (di solito).

Abbastanza frequente è anche la rottura della clavicola a seguito di una semplice caduta in avanti (zenpo kaiten ukemi), specie da parte dei neofiti. Ci sono distorsioni a caviglie e ginocchia... ma è raro che si arrivi alla frattura ossea vera e propria (se non, appunto, per ossa minuscole come la clavicola).

Mi è capitato più volte di vedere dita dei piedi incerottate o fasciate, sia per abrasioni sul tatami, che per distorsioni legati a qualche materassina lievemente discostata da quella a fianco; quando invece sono le dita delle mani quelle fasciate è una tecnica di leva che è sfuggita al controllo di chi la stava eseguendo.

C'è l'usanza di segnalare visivamente ai compagni di pratica una propria fragilità, utilizzando fasciature, polsiere o altri escamotage per far comprendere che una nostra articolazione è più delicata delle altre, e quindi di andarci piano quando siamo "sotto i ferri" del nostro tori.

Io pratico ininterrottamente da 33 anni e mi è capitato di avere diversi piccoli incidenti di percorso (più che altro stiramenti ed alcune piccole contusioni), ma nessun trauma grave, tipo rottura ossea (al momento... e mi auguro di continuare così!).

Credo però che i traumi più grandi della pratica da Aikidoka NON avvengano a livello fisico, ma psicologico; forse verrebbe da considerare meno grave una problematica che non mostra aspetti organici, ma non credo siano da sottovalutare nemmeno i disagi di carattere psichico ed emotivo.

Ci si abitua a dare tutto (e questo è un bene), ma anche a non fermarsi un attimo prima che questo "tutto" non si trasformi in "troppo": di solito, anche dietro ad un'infortunio di tipo fisico c'è un'errore di valutazione (sia di tori, che di uke, molte volte) che si potrebbe più descrivere come una devianza psichica di almeno uno dei due praticanti... il quale riteneva ok ciò che poi si è mostrato non esserlo sul serio per entrambi.

Proiezioni "inferte" a chi credevamo le potesse reggere... ma che poi frana sotto le nostre mani, e talvolta finisce pure col farsi male, ad esempio.

Salti che un praticante "crede" di poter realizzare, senza però fare i debito conti con la forza di gravità...

Leve tirate "per proteggersi" da chi non ci stava realmente minacciando fino a quel punto.

Si tratta - insomma - di un sacco di PROIEZIONI MENTALI maldestre, che facciamo su noi stessi e sugli altri... e che talvolta sfociano in piccoli traumi fisici, mentre altre volte ci fanno semplicemente provare dolore inutile.

Il dolore inutile in Aikido potrebbe nascondere anche una forma di sadismo occulto, per il quale piegare l'altro al nostro volere è qualcosa di consentito, se ben mascherato da "tecnica efficace". Mi ricordo quando io stesso avevo questa "malattia": non erano tante le persone che amavano praticare con me (ed ora non posso dare loro torto!).

Non essendo in grado di rispettare me ed il mio corpo, non ero in grado di rispettare nemmeno i miei compagni di pratica ed il loro corpo...

Questa capacità (di rispettarsi e rispettare) un tempo credevo fosse da acquisire con la pratica, ora so che non è sempre detto che ciò avvenga: conosco un botto di gente che per se stessa (e per chi sta loro accanto) sceglie corsi "ruvidi" apposta, forse per sentire (inconsciamente) dolore, che nella maggior parte delle volte si rivela essere inutile e controproducente, sia per il corpo, che per la psiche che lo abita. Si arriva addirittura all'aberrazione di considerare "di valore" una pratica solo se fa male o se è in grado di infliggere dolore al prossimo.

Al solito, le discipline come l'Aikido possono essere scelte consapevolmente per fare il prossimo passo verso se stessi, o per erigere un muro fra sé e sé.

Ci sono due ultimi punti che mi piacerebbe esaminare velocemente...

Il primo è quando accade che ci si faccia fisicamente male (poco importa se con conseguenze o meno nel tempo): questi momenti... che uno maledirebbe, li per li, invece risultano preziosi per chi è in grado di apprendere dalle proprie esperienze, anche da quelle più negative.

Accade che il dolore sia una sorta di segnale di allarme rispetto al fatto che siamo sulla "rotta sbagliata", in qualche modo... e questo parla sempre di NOI, anche se a provocarci questo dolore è un nostro compagno di pratica.

- perché non sono riuscito ad armonizzarmi al suo gesto? (se ero io quello che poteva fare meglio)

- perché mi sono andato a scegliere proprio quel compagno di pratica? (se è lui quello che mi ha provocato dolore, nonostante io stessi facendo del mio meglio per non averne)

Sotto questo punto di vista, un trauma che mi richiede di stare assente dal corso per alcune lezioni / settimane / mesi è un'evento che mi richiede di riflettere di più, man mano risulta grave l'entità del trauma.

Così è possibile fare kaizen (miglioramento continuo) anche attraverso un'esperienza dolorosa.

Ultimo punto: quando è un principiante a ferirsi - non importa come o perché - ci troviamo davanti ad una persona che parte in salita il suo percorso con se stesso e verso se stesso.

Alcune volte (poche), costatiamo così quanto è forte la determinazione di chi abbiamo dinnanzi, proprio perché il suo percorso parte in salita... altre volte (la maggioranza) è un evento troppo grande per essere digerito nel modo migliore, ed il neofita smette di praticare definitivamente.

Pochi di noi in età lavorativa si possono permettere di stare con un braccio al collo o con un gesso alla gamba per più di un mese perché "al corso mi hanno fatto male" oppure "mi sono fatto male da solo"...

Fanno spesso prima a cambiare hobby, pensando che l'Aikido non sia qualcosa che faccia al caso loro. E queste cose succedono, purtroppo, talvolta.

Dal mio punto di vista però queste sono proprio dinamiche che andrebbero evitate il più possibile: la capacità di comprendere quanto la nostra consapevolezza sia determinante nei movimenti che facciamo (e ci facciamo fare) richiede tempo, così come richiede tempo comprendere quanto l'Aikido possa fare per noi in questo senso.

Consentire che un nostro compagno subisca un trauma troppo prematuramente è la stessa cosa che esporre una piantina appena sbocciata ad un uragano... possiamo lamentarci poi se cerca un altro campo nel quale crescere? Forse ora lo farei anch'io...

Saito Sensei era maniacale nell'assicurarsi che nessuno sul tatami corresse pericoli durante l'allenamento e spesso ripeteva che la bontà di un Insegnante è quella di accertarsi che tutti pratichino in sicurezza sotto la sua supervisione.

Gli incidenti accadono, non credo possano essere azzerati definitivamente... però è nostro dovere fare di tutto per rendere remota la possibilità di smettere di praticare proprio perché stiamo praticando... non vi pare?


Marco Rubatto


PS: esiste un volume intitolato "Aikido: una guida per la prevenzione ed il recupero delle lesioni", di Encarna Planells, edito da Jute Sport. É incluso nell'elenco disponibile alla sezione "BOOKS" del Blog.

Mi piacerebbe dire che è un bel libro e che l'ho trovato utile, ma mentirei spudoratamente: purtroppo credo sia uno dei testi più inutili che è stato scritto con la parola "Aikido" nel titolo, secondo me.

Se volete evitare di farvi male, siate presenti a voi stessi, osservate cosa accade intorno a voi... e siate consapevoli di come muovete la vostra energia, mentale, emotiva e fisica... sono convinto otterrete risultati migliori che leggere questo testo!



lunedì 9 dicembre 2024

Il 3º kumi jo e quello tsuki che non ti aspetti

Si torna a parlare di forma, di tecnica e di buki waza: quest'oggi esaminando da vicino il 3º kumijo...

Un esercizio (apparentemente) non fra i più complicati, che è composto da soli 3 movimenti. Ecco la sinossi:

1-A) Uchijo attacca il suo compagno con uno tsuki gedan (partendo da hidari tsuki no kamae);

1-B) Ukejo para questo attacco, defilandosi alla sua sinistra (partendo da hidari jo no kamae);


2-A) Uchijo scorge un'apertura sul fianco sinistro dell'avversario, e quindi lo attacca con chudan tsuki;

2-B) Ukejo para questo attacco, spostandosi verso la sua destra;


3-A) Ora è ukejo a prendere l'iniziativa, poiché scorge un'apertura sul fianco sinistro del compagno, ed attacca con chudan tsuki (fa lo stesso attacco cioè che ha appena ricevuto lui);

3-B) Uchijo tenta di bloccare questo affondo con una parata verso sinistra, tuttavia lo tsuki cambia di livello e raggiunge comunque il suo centro.

... tutto qui, ma guardiamolo in video che si fa prima!



Tre scambi non sono molti, ma questo esercizio è particolarmente significativo per il 3º di essi, nel quale uchijo tenta di parare uno tsuki... che poi cambia mentre procede, riuscendo così ad aggirare ciò che si stava facendo per evitarlo.

Certo che, una volta imparata la sequenza, è ben noto ad entrambi i praticanti che avverrà questo passaggio... quindi uchijo già sa che il suo tentativo di parare andrà alle ortiche.

La caratteristica di kumijo (ed anche dei kumitachi) però è proprio fingere di non conoscere la sinossi del combattimento, così da vivere quel momento come se venissimo sorpresi da qualcosa di nuovo, ed inatteso.

Nella fattispecie, è molto evidente per un'occhio attento la differenza che passa fra una sequenza eseguita da praticanti che ripetono la sequenza "a pappagallo", come si recitano le poesie alle elementari... oppure da qualcuno che sta VIVENDO le azioni che compie, anche a livello emotivo.

Si scorgono uchijo sbilanciarsi all'indietro in tono molto arrendevole, anche perché sanno già che la sequenza li finisce!

Però le riflessioni di oggi utilizzano proprio questo fraintendimento, per esplorare insieme alcune dimensioni della pratica non così scontate per molti Aikidoka.

Sappiamo tutti che il katageiko è qualcosa di prestabilito, in cui è necessario ripetere una forma e non un'altra - perché il Sensei ce lo chiede - ma dobbiamo ricordarci tutti che questo allenamento della forma è stato creato per darci quegli elementi necessari a sopravvivere su un campo di battaglia... luogo nel quale la forma non è mai esistita, e ciascuno si sentiva libero di muoversi come meglio credeva opportuno.

Non si incontravano un tempo ad eseguire il 3º kumijo, e nemmeno il 5º o il 10º: cercavano di rimanere vivi agli attacchi che ricevevano... darsi per vinti prima era un'opzione poco interessante.

Ed allora accade nella vita, oggi come allora, che uno tsuki che sembra avere una traiettoria, all'ultima frazione di secondo si trasforma in qualcosa di differente... che ti frega, ti spiazza, ti fa rimanere male... forse ti ferisce o ti uccide addirittura, e completamente all'improvviso!

Questo tentativo di "fallire" consciamente è estremamente importante nelle Arti Marziali, poiché risulta molto differente da una resa incondizionata: si tratta dell'ACCETTAZIONE che le cose NON vadano come noi ci saremmo aspettati che facessero, sbaragliando in un attimo le nostre aspettative. La vita ordinaria spesso va proprio così... e questo diventa un laboratorio per farci esplorare questa dimensione frustrante dello stare su questa terra.

Ci va coraggio a provare quell'emozione (non necessariamente piacevole) nella quale un attimo prima senti che ce la puoi fare, che stai tenendo sotto controllo la situazione... ed un attimo dopo hai uno tsuki che ti minaccia l'integrità del plesso solare. Molto coraggio!

Secondo la medicina tradizionale cinese, a seguito di uno spavento improvviso e non prevedibile, si rischia un blocco nel meridiano milza-pancreas; secondo la medicina tradizionale indiana, si rischia il blocco del 3º chakra... ad esempio.

Se guardiamo la situazione, a specchio, nell'altro praticante... abbiamo un ukejo che intuisce al volo che la sua azione sta per essere annullata dalla parata dell'avversario, ma con un'armonizzazione rapida al suo movimento (descrivendo una sorta di "U" in aria)... riesce comunque a controllare il centro di uchijo.

É un po' la situazione nella quale riusciamo a tirare fuori il coniglio dal cappello al momento più opportuno: è come quando cerchi parcheggio al supermercato, e mentre arrivi vedi quello che sta andando via. Magic moment!!! Anche questo accade nel quotidiano, anche se forse meno di quanto desidereremmo.

Momento magico, se me lo vivo come non sapessi che fa parte di una sequenza costruita e concordata in precedenza, ovviamente...

Ma nel Budo, sia che lo stupore sia di meraviglia perché le cose vanno - inaspettatamente - meglio del previsto, sia che invece precipitino molto peggio di ciò che avremmo desiderato... è necessario "mantenere il centro", una mente lucida, presente, aperta, stabile, libera.

La pratica dei kumijo (in questo modo) inizia così a modificare l'atteggiamento mentale ed emotivo del praticante, mentre se è svolto in modo meccanicistico diviene - alla lunga - un gesto al quale essere addestrati come se fossimo scimmie dell'Aiki-Circo.

E quando la mente resta come l'ho appena descritta - indipendentemente da cosa mi accade - è in grado di farci compiere azioni che hanno dell'incredibile... ad esempio riuscire a parare ugualmente lo tsuki di ukejo, anche dopo che avevamo fatto cilecca una frazione di secondo prima!

In questo modo - ovvero quando non ci si arrende a ciò che accade, ma si impara a viverlo fino in fondo - è possibile continuare l'azione, anzi è possibile collegare qualsiasi altro esercizio al 3º kumijo... ed a titolo puramente esemplificativo. ve lo mostriamo con un video che connette TUTTI i kumijo al 3º. Eccolo...



Come constaterete, così facendo la musica cambia.... ed anche un'apparente "sconfitta" può tramutarsi in qualcos'altro.

Il 3º kumijo possiede una vesta gamma di variazioni possibili, che per semplicità abbiamo condensato in un ulteriore video. Non è al momento oggetto di questo scritto entrare troppo nel merito di queste varianti, ma sappiate che se avete voglia di studiare... troverete pane per i vostri denti!



Come constaterete, anche dietro ad un esercizio che ha solo tre passaggi nel suo katageiko, si dischiude un mondo di possibilità (di connessione, di variazione, di contro-tecniche): la scelta se accontentarci solo della forma esteriore o se approfondire maggiormente sta solo a noi!


Marco Rubatto






lunedì 2 dicembre 2024

Aikido, religione e spiritualità: che differenza passa?

"Al divino non piace essere relegato in un edificio. Al divino piace essere all'aperto. È proprio qui in questo corpo. Ognuno di noi è un universo in miniatura, un santuario vivente"

[Morihei Ueshiba]


Sappiamo bene che il Fondatore visse personalmente l'Aikido come un percorso spirituale: magari ciò non interessa a tutti i praticanti, ma credo importante si possa fare luce anche su questa prospettiva, così da comprendere almeno se interessa a noi...

Non è semplice comprendere la società, la tradizione ed il sistema di credenze di un uomo giapponese del secolo scorso, e nato nel secolo ancora precedente (ma sarebbe necessario approfondire, per possedere un punto di vista adeguato)... tuttavia mi limiterò ad alcune riflessioni che possono risuonare un po' di più a noi occidentali, specie noi italiani, nati sotto i campanili di Santa Romana Chiesa.

Benché lo Shinto sia ufficialmente la religione di stato, il Giappone era (ed è ancora) frazionato in una varietà innumerevole di movimenti religiosi diversi, che si occupano di aspetti differenti della vita e che richiedono ai loro fedeli approcci differenti alla preghiera, alla divinazione, ed al rapporto con ciò che è trascendente.

Qui dalle nostre parti le cose sono meno variegate, ed un filino più chiare... e considero questo - al contempo - sia un ottimo pregio, che un bel limite.

Tuttavia ad ogni latitudine del pianeta esiste una differenza ben delineabile fra "religione" e "spiritualità": iniziamo quindi a fare più chiarezza possibile su questo.

La religione - che ha lo stesso etimo di "rilegatura" - ha il compito di offrire buone pratiche per scoprire, curare e far evolvere il proprio rapporto con il divino, indipendentemente dal nome, dalla forma che gli si attribuiscono.

Sta cosa dell'UNO & TRINO - per fare un esempio piuttosto famoso - deve essere un aspetto/principio così importante che ve n'è traccia ad ogni latitudine: ciascuno la interpreta un po' secondo i propri dogmi e le contestualizza secondo proprio credo, ma vi assicuro che NON esiste una forma di religiosità significativa che non contempli un'origine trinitaria della propria deità.

Le religioni (tutte) hanno l'intento di fare da apripista, e tutela del rapporto che ciascuno può avere appunto con la trascendenza: questo viene fatto tramite precetti, dogmi, liturgie, preghiere, buone pratiche ed intermediari (il clero). La religione inoltre ha la caratteristica di essere sempre "strutturata" in qualche modo.

É piuttosto comune che un "fedele" venga considerato FUORI dalle linee del suo credo, se non lo accetta in pieno. Ovvero, come diceva sempre il mio parroco: "la religione non è una pasticceria", nella quale si può prendere solo quello che uno desidera o che piace di più.

Ed in questo prendere le cose "in toto" si manifesta necessariamente un "atto di fede" (altre parole chiave), tramite il quale ciascuno si sente di accettare anche ciò che non comprende... o che giudica addirittura sbagliato.

L'atto di fede è necessario nel momento in cui uno decide di aderire ad un credo specifico.

Un neofita, che calca per le prime volte un tatami, fa sicuramente un "atto di fiducia" (se non di fede), poiché si sottopone ad una disciplina che non conosce e della quale non comprende la maggioranza delle usanze e delle pratiche.

Anche il neofita si sottopone a TUTTA la disciplina, e non gli è dato scegliere solo gli aspetti che più lo aggradano, e nikyare su quelli che trova più scomodi.

Esistono delle figure di riferimento che accompagnano il fedele durante il suo cammino, appunto "di fede", gli danno la possibilità di interrogarsi, di verificarsi, di tornare sui suoi passi e/o redimersi (ove il credo contempli ciò che in occidente chiamiamo "peccato"): queste figure fanno da intermediari fra il piano divino e quello umano.

La spiritualità può essere definita invece il percorso personale e quindi il rapporto di carattere esperienziale che ciascuno può avere con la trascendenza. Non sono necessari né dogmi, né intermediari, né alcun tipo di strutturazione... poiché tutto è assolutamente sperimentabile in PRIMA PERSONA.

Ai miei occhi, la religione rappresenta un po' il kihon della spiritualità, così come quest'ultima rappresenta i principi della religione.

Ci sarà quindi un tot di religione densa di spiritualità e ci sarà un tot di religione solo frutto della speculazione umana... esattamente come ci sono tecniche animate dai principi, e tecniche "vuote", ma formalmente quasi perfette.

E ci sarà un tot di spiritualità che ha trovato una perfetta collocazione all'interno dei dogmi religiosi, così come invece ce ne sarà un tot che non ha alcun bisogno di essere rinchiusa in dogmi per essere esperibile in modo diretto e immediato (non-mediato, da nessuno).

Le tecniche hanno bisogno dei principi, ma i principi stanno in piedi anche senza le tecniche... almeno questo è quello che si dovrebbe toccare con mano nella pratica dell'Aikido!

O' Sensei ebbe un approccio inizialmente RELIGIOSO all'Aikido, in quanto frutto delle sue esperienze nello Shinto, nel Buddismo Shingon e nell'Ōmoto Kyo: non costrinse però mai nessuno ad abbracciare uno specifico credo religioso per praticare Aikido... limitandosi a rimandare come questa strada fosse COMPATIBILE con essi.

Quindi camminò sulle SUE gambe, e ritengo abbia mutato parecchio il suo approccio, da religioso a spirituale, e la differenza non è poca o banale.

In questo senso, ritengo che l'Aikido debba avere un approccio che nel breve periodo può essere "religiosistico", ma nel lungo periodo divenga "spiritualistico": ovvero che inizialmente debba richiedere di aderire ad un certo numero di norme, chiedendo fiducia su ciò che ancora non comprendiamo... ma sia un percorso che alla lunga debba essere esperito in prima persona, senza dipendenza da chi ci dice cosa sia giusto e cosa non lo sia.

Il Dojo, il Maestro, i compagni sono - bene o male - tutti intermediari... perché ATTRAVERSO di essi esperiamo il nostro percorso nella disciplina: difficile farne senza, almeno per la prima 20ntina di anni di pratica.

Ma essi - ad un certo punto - diventano qualcosa di cui è possibile fare a meno, SENZA dover abbandonare il proprio percorso: credo che continuerei ad essere uno studioso ed un ricercatore di Aikido anche se non mettessi mai più piede su un tatami, infatti.

La vita è diventata un grande Dojo e ciò che mi accade un Sensei, le persone che incontro sono i miei compagni di pratica... e tutto ciò è molto indipendente da un eventuale tesseramento in FIJLKAM o meno.

Alla fine i conti devono tornare a ME e se ci fosse sempre e solo un Sensei che mi dice: "Tu allenati, che vedrai che un giorno comprenderai/riuscirai"... gli girerei un tot alla larga. Un approccio spirituale non ha bisogno di promesse: fa quello che fa perché crede sia la cosa migliore da fare, non per il risultato che può ottenerci attraverso.

Sotto questo punto di vista, SE la vostra pratica non è agli esordi, PRETENDETE da voi stessi che i CONTI vi TORNINO, a tutti i livelli: quello tecnico, fisico, intellettuale, filosofico, spirituale.

Se anche una sola di queste aree risultano traballanti, NON state decenni fermi nella titubanza: chiedetevi cosa non torna, e pretendete da voi stessi di trovare una quadra che vi convinca, almeno momentaneamente.

Questo - di fatto - taglierebbe le gambe a tutti i venditori di fumo: tutti quelli che, ad esempio, dicono che con questo o quel metodo è possibile arrivare alle vette alle quali giunse il Fondatore dell'Aikido.

La domanda è: "Ma tu che mi vendi questo metodo... ci sei arrivato a quelle vette?" e se la risposta non fosse si: "Come fai a dirmi che in questo modo si raggiunge qualcosa che non hai ancora raggiunto nemmeno tu?".

I conti alla spiritualità devono tornare ben al di là di qualsiasi santone o gran sacerdote affermi di parlare per nome o per conto di O' Sensei: se così non fosse inizieremmo a fare un atto di fiducia che sprofonderebbe nell'esigenza di una fede cieca, come quella che si fa nelle peggiori sette della formica gigante o del babbuino tisico della Papuasia...

Risulta ovvio che sia l'approccio "religioso", che quello "spirituale" hanno delle zone d'ombra e dei pericoli in agguato del quali è bene essere consapevoli:

- la religione scopre talvolta il fianco alla manipolabilità dell'individuo; è sufficiente avere fiducia (o, peggio, fede) nelle persone sbagliate, per creare con loro un senso di dipendenza, che risulta l'opposto di una spiritualità matura. In cambio di ciò è sempre possibile incolpare qualcun altro di averci fregato: non importa che sia un essere umano o una divinità... "Mi trovo in queste condizioni perché mi sono fidato di te... e tu guarda in che condizione mi hai condotto!".

Non è un caso che le religioni parlino di "pastore" e di "gregge": dobbiamo infatti ricordarci che talvolta il pastore è una figura saggia, che ha cura del suo bestiame, da loro supporto e cura... altre volte (la maggioranza, ad essere onesti) è anche colui che lo conduce al macello. Il fatto di avere degli intermediari tra sé e dio consente di poter ricevere da loro supporto... ed anche ad alcuni di crearsi una professione, basata sulla credulità altrui.

Non accade diversamente in Aikido, quando poniamo TUTTA la nostra fiducia in un Maestro, un gruppo, una Scuola, un Ente... "Te lo dicono loro come dovrebbe essere l'Aikido!", salvo poi cascare dal pero e farsi male, senza nemmeno accorgerci che vi eravamo saliti!

- la spiritualità, di contro, ha il problema duale ed opposto: se sono da solo e me la canto e me la suono, devo anche mettere in conto la possibilità che mi auto-saboti o che mi prenda in giro da solo, senza nemmeno rendermene conto. Una religione - in qualche modo - può farti da specchio, e farti vedere se o quanto devi da un percorso prestabilito... ma se fai tutto da solo, chi te lo dice che sei sulla strada migliore per te?

Questo porta all'autoreferenzialità... e se uno vuole evitare la manipolazioni degli altri, dovrebbe anche trovare il modo di evitare le manipolazioni da parte di se stesso.

In Aikido vale proprio la stessa cosa: "Siccome tutto è un'esperienza personale, allora faccio quello che mi va, tanto io sono l'unica fonte autorevole da ascoltare"...questo non solo genera mostri, ma anche persone veramente incapaci, che si convincono di essere i nipoti segreti di Ueshiba, quando non sanno distinguere ancora un omote da un ura.

Cosa fare quindi: spiritualità o religione? A questo dilemma la risposta trovatevela da soli, visto che questo è fuori tema per queste pagine!

Invece sull'approccio "religiosistico" (1) piuttosto che "spiritualistico" (2) all'Aikido io una mezza idea ce l'avrei anche...

All'inizio (e per gli anni subito a seguire) non si può che partire dalla prospettiva (1): serve crearsi dei riferimenti concreti, solidi e stabili... e questi ve li da qualcun altro; un buon Ente, un buon Dojo, un buon Docente, un buon gruppo di pari con i quali studiare. Non credo che si possa prescindere da tutto questo, se devo essere sincero.

Se avete l'ardore di proseguire sul vostro Do, tuttavia, questa cosa deve - ad un certo punto - però poter virare nella prospettiva (2)... ovvero in consapevolezze più prese da dentro, che da fuori.

Fate dell'Aikido, innanzi tutto, un'esperienza personale, da giudicare con parametri VOSTRI, che sicuramente possono migliorare o affinarsi con il tempo... ma che se non convincono voi, non devono convincere nessuno d'altro. Ad esempio...

- Credete che dio non esista?

Ottimo, fate Aikido come se dio non esistesse... e poi guardate cosa accade

- Credete che dio esista?

In questo caso, fate Aikido come se esistesse... e poi guardate cosa accade

- Vuoi vivere il tuo credo religioso nella pratica?

Fallo! (non in senso genitale) ... e poi guardate cosa accade

- Vuoi lasciare il tuo credo religioso fuori dalla porta?

Fallo! (sempre non in senso genitale) ... e poi guardate cosa accade

Siate gli sperimentatori, l'esperimento ed il laboratorio in cui esso avviene!

Se ascoltate me - almeno nell'Aikidosmettete di delegare a terzi la qualità del vostro percorso (persino alle divinità!), iniziando ad assumervi piena responsabilità su di esso... credo questo possa fare una certa differenza, almeno per me è stato così.... ma, dopodiché, liberi tutti!

Marco Rubatto



lunedì 25 novembre 2024

Il Meditante - intervista a Gianclaudio Vianzone

Con estremo piacere quest'oggi Aikime recensisce per voi un altro libro sull'Aikido, tratto dalla collana "I dialoghi Aiki", editi da The Ran Network, a cura dell'amico Simone Chierchini Sensei.

Il piacere poi è doppio, visto che da qualche tempo Gianclaudio si sta allenando anche nel nostro Dojo, quindi ho avuto modo di conoscerlo meglio e scambiare con lui numerosi pensieri sulla nostra disciplina, su come viene vissuta ai nostri giorni ed anche organizzata a livello dei vari Enti.

Il suo libro parla di molto di tutto ciò, ma da subito tengo a precisare che il mio interesse per il suo scritto NON è influenzato dalla mia frequentazione ed amicizia con Gianclaudio.

Sono molto attento su quanto compare nel panorama editoriale, poiché finalmente qualcosa si sta muovendo anche per l'Aikido... anche se non tutto ciò che risulta nuovo è anche bello... e non tutto ciò che è bello risulta anche nuovo.

In questo caso, invece, abbiamo uno scritto maneggevole, chiaro... ma al contempo anche COLTO, nel senso di "mai banale" e che strizza l'occhio ad una ricerca significativa, ad approfondimenti che non tutti i praticanti (purtroppo) fanno.

La visione delle Arti Marziali tradizionali giapponesi di Gianclaudio è sicuramente stata influenzata dall'incontro avvenuto in gioventù con il Maestro Shoji Sugiyama, inizialmente per lo studio del Karate... ma in seguito anche per l'Aikijutsu. E quando uno parte con l'eccellenza, è complicato poi accontentarsi facilmente dei sottoprodotti occidentalmente politically correct...

Credo che questa circostanza abbia reso Gianclaudio (praticante anche di Aikido, Iaido e Kendo, studioso di lingua giapponese e Docente di tradizione giapponese presso l'Università popolare di Torino) una persona che desidera approfondire... sia con la pratica, ma anche con lo studio e la ricerca di quelle che sono le tradizioni e le filosofie che stanno dietro ad un gesto o ad una pratica di tipo fisico.

Il suo approccio quindi è anche di tipo intellettuale... ma è necessario ricordarci che O' Sensei stesso affermava che la pratica dell'Aikido consiste nel coltivare 3 differenti aspetti, ovvero:

- la pratica fisica

- la pratica del Ki

- la pratica intellettuale

Di quest'ultima - purtroppo - abbiamo avuto modo di discutere da poco (QUI) quanta carenza sembri esserci nel nostro mondo... quindi è ottimo che scritti come quello di Gianclaudio mettano la pulce all'orecchio rispetto ad una serie di domande e riflessioni che sempre più persone dovrebbero porsi... se hanno piacere che la loro pratica spicchi veramente il volo.

Entrando nel merito, il testo tocca alcuni punti interessanti sulla pratica, il suo insegnamento e lo spirito che dovrebbe caratterizzare entrambi questi aspetti...

Si parla di "mente imperturbabile", che però deve essere qualcosa di più che un concetto filosofico: un modo di essere e di vivere quello che si fa... e sappiamo bene quanti praticanti (e Docenti!) hanno una mente piuttosto "perturbata", per essere benevoli con le parole!

Si parla di "Vivere nel Ki" e della "Realtà del Ki"... come di un fenomeno o una dinamica che deve poter diventare TANGIBILE, e come questo "Ki" non possa più essere considerato ai nostri giorni una fantasia a mandorla, da tirare fuori SOLO nei discorsi filosofici, spesso utilizzati per imbambolare gli allievi dinnanzi a presunte imprese mirabolanti di questo o quel Sensei del nostro passato.

Il "Ki" come pratica da COLTIVARE quotidianamente, che ci si trovi sul tatami o che ci si occupi di altre contingenze.

Si parla di "Evitare le Maschere" dell'ego, soprattuto quando ci si riferisce a percorsi come l'Aikido... che possono ANCHE essere di tipo spirituale. In fondo coloro che si immergono in percorsi di tipo spirituale cadono spesso vittime delle trappole del loro ego, che li fanno ritenere "migliori degli altri", se non addirittura "i migliori di tutti".

Ancora mi risuonano nelle orecchie i discorsi negli spogliatoi o di quei Sensei devianti che continuano a far passare agli allievi la dottrina "noi siamo i migliori di tutti": l'Iwama Ryu da cui provengo era ZEPPO di questi imbarazzanti deliri dell'ego.

In fondo: se uno fosse davvero "il migliore di tutti", a cosa serve ribadirlo ogni 2x3?

Lo si è e basta, si tratterebbe di un dato di fatto difficilmente controvertibile... Invece questa continua presunta perfezione, sbattuta in faccia ogni 10 minuti, spesso nasconde una profonda insicurezza, - o meglio - il concreto dubbio che non si sia poi sto granché!

E ancora... il libro di Gianclaudio esplora la differenza che può passare fra la cosiddetta "Armonia light", un po' come la Cocoa Cola o la Philadelphia senza zuccheri o grassi aggiunti... che oggi sembrerebbe andare molto di moda fra gli Aikidoka... ed il concetto SINERGICO di Armonia, così come forse lo interpretava O' Sensei, o  in generale i Budoka "vecchia scuola".

Si tratta di un'armonia che si raggiunge dopo un considerevole ammontare di dedizione e sacrificio... non qualcosa che si può comprare al fast food del Budo: una condizione che richiede - ad esempio - la capacità di sopportare anche una certa quantità di frustrazione e di dolore.... e mette a dura prova la nostra determinazione.

A pro di questo, Gianclaudio ci ricorda l'importanza estrema insita nel "Reishiki" (avevamo già recensito una sua opera precedente sull'argomento, che troverete QUI), "l'etichetta"... ovvero un insieme di buone norme pensate per accompagnare il praticante nel suo percorso marziale: non un semplice elenco di cose da fare o da evitare una volta sul tatami, ma uno spirito da comprendere e fare proprio nel quotidiano.

In fondo ci si lamenta abbastanza tutti che le persone non sembrano più attratte dal nostro tipo di disciplina... perché ha tempi di apprendimento lunghi, richiede impegno, la capacità di superare molte difficoltà... e così via.

Tuttavia NON siamo i PRIMI ad incamminarci in un percorso estremamente richiedente, anche perché altrettanto profondo e trasformativo... se vissuto nel modo migliore: il "reishiki" è appunto il modo migliore di viverlo in modo significativo, null'altro.

Nel libro, interessante anche proprio per questo, Gianclaudio si toglie diversi sassolini nella scarpa alla luce del suoi trascorsi non banali nello studio delle Arti marziali e delle filosofie orientali (che lui insegna con regolarità): non desidera sentirsi o definirsi un Maestro, ma posso testimoniare essere in lui presente un autentico spirito da ricercatore... disposto a mettere in discussione metodologie e stilismi, al fine di comprendere meglio e di più il Do... vissuto come prospettiva concreta e quotidiana.

Non spoilero altro, ma vi assicuro che "Il Meditante" è un testo di 120 pagine che si legge tutto d'un fiato!

Per acquistarlo (11,99 €) è sufficiente seguire questo LINK, oppure cercarlo sui principali Store on-line.


Ne approfitto per ringraziare di vero cuore Gianclaudio per le interessanti disamine che ci propone nelle sue opere, così come delle piacevoli conversazioni che facciamo di fronte ad un cappuccino, dopo l'asakeiko 2 volte a settimana... e non per ultimo, per l'importante valore aggiunto che costituisce averlo con noi sul tatami!

Buona lettura!


Marco Rubatto


PS: il ricavato della vendita dei libri di Gianclaudio va tutto in beneficenza, un altra buona ragione per acquistarli!



lunedì 18 novembre 2024

Aikido: profondità o contingenza. Quali sono le tue priorità?

Più che in passato, sta accadendo che io venga contattato da persone (sia giovani, che più mature) che desiderano intraprendere la pratica dell'Aikido: e questo parrebbe un buon segno!

Purtroppo - da bravi neofiti assoluti - non leggeranno questo Post, e nemmeno sapranno che esiste il Blog... ma condividere questa esperienza potrà spero invece aiutare i molti che invece lo seguono... e che stanno vivendo esperienze analoghe.

Si percepisce una certa "esigenza" di fondo di fare qualcosa di positivo per se stessi... dedicarsi del tempo forse, riappropriarsi di una dimensione personale che se non stiamo ben attenti la nostra quotidianità ci sottrae, a forza di impegni di varia natura (nemmeno sempre così utili o edificanti).

Noto però anche un approccio che rischia di far partire con il piede sbagliato chi vuole fare il primo passo verso la disciplina... ovvero quello di mettere al primo posto innanzi tutto la CONTINGENZA.

Ovvio che cerchiamo una "palestra" vicina a casa, ovvio che controlliamo che abbia orari compatibili a quelli che abbiamo liberi... ovvio anche che cerchiamo un luogo che abbia quote sostenibili dal nostro portafoglio...

Tuttavia non abbiamo che pensato alla sola e mera CONTINGENZA per il momento.

Stiamo però cercando qualcosa di importante per noi, qualche attività tramite le quali stare meglio con noi stessi e forse pure con gli altri; cerchiamo qualcosa che ci faccia stare in forma, che ci supporti nel processo di unificazione mente-corpo... che ci faccia mettere in discussione fuori dalla nostra zona di comfort: questa però NON è mera contingenza... sono tutte esigenze legate ad una certa profondità, non trovate?

Paradossale quindi che i principianti (ma vedremo non solo loro) si occupino quasi SOLO di risolvere problemi di tipo pratico.

Molto raro che qualcuno mi chieda cosa sia l'Aikido o cosa differenzi questa disciplina da un'altra disciplina marziale giapponese o cinese... che si interessi in merito a quali dovrebbero essere i vari livelli di ingaggio o i risultati che potrebbero essere raggiunti attraverso una pratica costante.

Meno che mai ci si interessa a stili e Scuole e didattiche differenti: segno che queste cose interessano SOLO a noi che pratichiamo già.

Si vede che tutte questa cose le leggeranno su Wikipedia... o non si porranno nemmeno le questioni relative: però tutti a cercare il luogo più vicino, quello che costa meno, quello che possono andarci anche se faccio i turni.

Da un lato è comprensibile, dall'altro invece è un fenomeno che da da pensare (almeno a me)!

Qualche settimana fa, mi ha contattato un signore, non interessato ad un corso di Aikido (ma di Tai Ji Quan, che viene svolto comunque nel nostro Dojo), tuttavia risulta in ogni caso significativo il suo atteggiamento, per le questioni che mi ha posto.

Premetto che questo signore era già venuto a fare una prova del corso e sembrava esserne rimasto letteralmente entusiasta, affascinato ed ispirato...

Il nocciolo della questione era il seguente: mi chiedeva perché avrebbe dovuto pagare l'iscrizione annuale alla nostra A.S.D. (Associazione Sportiva Dilettantistica) pur non essendo ancora sicuro di frequentare il corso per un anno intero.

Questo signore ovviamente NON sapeva che essere assicurati presso un Ente è OBBLIGATORIO per la legge italiana sullo Sport e che quindi noi DOBBIAMO pretendere che il tesseramento avvenga (e la formula ANNUALE è l'unica esistente), in più siamo obbligati a richiedere un certificato medico in corso di validità (mi obbiettava che quelli sarebbero stati altri soldi da spendere a suo carico), sempre per ragioni legati all'assicurazione.

Inoltre sembravano esserci ulteriori problemi legati al suo abitare LONTANO dal Dojo e quindi una scomodità (e dei costi di trasporto) da aggiungere in caso avesse optato per la frequenza.

Tutte argomentazioni (quasi) ragionevoli, TUTTAVIA...

Gli ho fatto presente che avrebbe dovuto mettere in conto anche altri fattori, ad esempio:

- come si è trovato quando ha fatto la prova

- in che tipo di ambiente è stato accolto

- che preparazione aveva l'Insegnante che si è occupato di lui

- che tipo di rapporto avrebbe potuto intessere con l'Insegnante ed i suoi compagni

- quanto tiene allo studio del Tai Ji Quan

... giusto per elencare elementi ulteriori oltre a quelli che mi ha fatto presente lui.

Gli ho perciò posto anche questioni di SOSTANZA, oltre che relative a sistemarsi nel modo più comodo possibile un nuovo hobby.

Quanto Tai Ji Quan può imparare un neofita che NON pratica nemmeno per un anno consecutivo?

Quanto Aikido potrebbe imparare una persona se non si allenasse nemmeno un anno?

Ha senso inscriversi ad un corso di Aikido se si ha già la sua data di scadenza fissata?

(e sarebbe identico per qualsiasi altra disciplina)

A questo il neofita non pensa molto, mentre cerca la cosa che gli faccia fare la svolta nella vita a 3,50 €/mese, sotto casa e con un Insegnante che gli faccia lezione privata quando lui è più libero!!!

C'è uno stimato Maestro di Judo del Lazio che spesso ripete: "É chi ha sete che deve andare alla fonte a bere".

Molti cercano di fare di tutto per convincere la fonte a venire da loro... o sono disposti a bere in qualsiasi pozzanghera che trovano: sempre mentre sono alla ricerca della bottiglia di Vodka Billionaire (3,7 milioni di dollari a bottiglia).

Non pare un briciolo incoerente volere TUTTO ed essere disposti a dare quasi nulla di sé in cambio?

Non affermo che BISOGNA per forza pagare caro, essere scomodi per sedi ed orari... quanto che è necessario ANCHE pensare che il percorso ci richiederà di fare qualche sacrificio, se vogliamo sperare che per noi faccia la differenza, no?

E questi sono neofiti... e ce li prendiamo come vengono... ma siamo certi che sia poi tanto diverso per chi invece pratica già da un po'?

C'è gente che viene al Dojo ogni 3 settimane per 1 ora: si lamenta però poi che "sto Aikido però non riesce proprio per niente a decollare" come loro vorrebbero...

Meno male: altrimenti chi lo fa tutti i giorni sarebbe proprio un deficiente se bastasse praticare 4 ore a bimestre per ottenere un qualche risultato notevole! Non trovate?

Ed attenzione: anche quelli che vengono quasi sempre hanno un lavoro, una famiglia, le loro contingenze da mettere in quadro PRIMA di dedicarsi al loro hobby. Solo che questi ce la fanno ugualmente ad allenarsi: sono forse dotati di super poteri per dilatare il tempo?

O semplicemente sono anche disposti a qualche sacrificio PUR di mantenere una certa costanza?

Saranno persone che pensano alla loro CONTINGENZA, ma anche a ciò che per loro possiede una qualche forma di PROFONDITÀ, allo stesso tempo.

Ho allievi che quando sentono che c'è un evento importante in calendario - magari 1 al quale partecipare in 1 anno intero di pratica - vengono a dirmi: "Vorrei tanto venire, ma quel giorno festeggiamo il compleanno di mia suocera...".

Allora ricordati poi di andare a chiedere a tua suocera anche il prossimo passaggio di grado, sempre per coerenza: è qualcosa di paradossale non esserci mai per una disciplina, che vorresti sempre che ci fosse però per te, quando ne hai voglia tu!

Vediamola da un altro punto di vista: perché è così importante partecipare al proprio matrimonio, o al proprio funerale?

Forse perché non è possibile mandare nessun figurante al nostro posto: dobbiamo proprio esserci noi...

Ecco: è la stessa cosa anche con i doveri che ci siamo assunti nei confronti di noi stessi, ad esempio quelli della costanza negli allenamenti in un'attività che è BASATA sull'auto disciplina.

Se mia suocera compie gli anni nell'UNICO giorno all'anno nel quale ho l'opportunità di crescere nella disciplina che ho scelto PER CRESCERE... dite che si inalbererà molto se andrò a festeggiarla il giorno precedente o quello successivo?

É forse solo questione di comprendere quali sono le proprie priorità: non voglio suggerire che l'Aikido debba venire sempre prima della suocera... però che ciascuno di noi venga prima per se stesso rispetto a tutti gli altri SI!

Con gli Insegnanti non è che il discorso cambi tremendamente (purtroppo)...

Mutano forse le CONTINGENZE... diventano forse avere più allievi, il grado più altisonante, la palestra più bella e spaziosa: tutte cose sacrosante, ma siamo certi di stare lavorando (ancora) in direzione della nostra PROFONDITÀ?

Anche perché se smettiamo di farlo, ci trasformiamo nel peggiore degli allievi irresponsabili o in quei principianti che si arrendono già prima ancora di avere fatto qualche passo in avanti in ciò che interessa loro.

Infondo, se siamo in cerca di una SCUSA, finiremo per trovarla... e ciò sia da neofiti assoluti, che da praticanti consumati. Basta esserne però consapevoli e non lagnarci poi delle conseguenze della nostra scelta.

E - se ho inteso bene - la disciplina non farà altro che SPECCHIARCI chi siamo, piuttosto che ciò che desideriamo da essa.
Basta quindi dare all'Aikido la responsabilità delle nostri passioni tiepide e tristi: è perfido prenderci in giro in questo modo!


Marco Rubatto