"Al divino non piace essere relegato in un edificio. Al divino piace essere all'aperto. È proprio qui in questo corpo. Ognuno di noi è un universo in miniatura, un santuario vivente"
[Morihei Ueshiba]
Sappiamo bene che il Fondatore visse personalmente l'Aikido come un percorso spirituale: magari ciò non interessa a tutti i praticanti, ma credo importante si possa fare luce anche su questa prospettiva, così da comprendere almeno se interessa a noi...
Non è semplice comprendere la società, la tradizione ed il sistema di credenze di un uomo giapponese del secolo scorso, e nato nel secolo ancora precedente (ma sarebbe necessario approfondire, per possedere un punto di vista adeguato)... tuttavia mi limiterò ad alcune riflessioni che possono risuonare un po' di più a noi occidentali, specie noi italiani, nati sotto i campanili di Santa Romana Chiesa.
Benché lo Shinto sia ufficialmente la religione di stato, il Giappone era (ed è ancora) frazionato in una varietà innumerevole di movimenti religiosi diversi, che si occupano di aspetti differenti della vita e che richiedono ai loro fedeli approcci differenti alla preghiera, alla divinazione, ed al rapporto con ciò che è trascendente.Qui dalle nostre parti le cose sono meno variegate, ed un filino più chiare... e considero questo - al contempo - sia un ottimo pregio, che un bel limite.
Tuttavia ad ogni latitudine del pianeta esiste una differenza ben delineabile fra "religione" e "spiritualità": iniziamo quindi a fare più chiarezza possibile su questo.
La religione - che ha lo stesso etimo di "rilegatura" - ha il compito di offrire buone pratiche per scoprire, curare e far evolvere il proprio rapporto con il divino, indipendentemente dal nome, dalla forma che gli si attribuiscono.
Sta cosa dell'UNO & TRINO - per fare un esempio piuttosto famoso - deve essere un aspetto/principio così importante che ve n'è traccia ad ogni latitudine: ciascuno la interpreta un po' secondo i propri dogmi e le contestualizza secondo proprio credo, ma vi assicuro che NON esiste una forma di religiosità significativa che non contempli un'origine trinitaria della propria deità.Le religioni (tutte) hanno l'intento di fare da apripista, e tutela del rapporto che ciascuno può avere appunto con la trascendenza: questo viene fatto tramite precetti, dogmi, liturgie, preghiere, buone pratiche ed intermediari (il clero). La religione inoltre ha la caratteristica di essere sempre "strutturata" in qualche modo.
É piuttosto comune che un "fedele" venga considerato FUORI dalle linee del suo credo, se non lo accetta in pieno. Ovvero, come diceva sempre il mio parroco: "la religione non è una pasticceria", nella quale si può prendere solo quello che uno desidera o che piace di più.Ed in questo prendere le cose "in toto" si manifesta necessariamente un "atto di fede" (altre parole chiave), tramite il quale ciascuno si sente di accettare anche ciò che non comprende... o che giudica addirittura sbagliato.
L'atto di fede è necessario nel momento in cui uno decide di aderire ad un credo specifico.
Un neofita, che calca per le prime volte un tatami, fa sicuramente un "atto di fiducia" (se non di fede), poiché si sottopone ad una disciplina che non conosce e della quale non comprende la maggioranza delle usanze e delle pratiche.
Esistono delle figure di riferimento che accompagnano il fedele durante il suo cammino, appunto "di fede", gli danno la possibilità di interrogarsi, di verificarsi, di tornare sui suoi passi e/o redimersi (ove il credo contempli ciò che in occidente chiamiamo "peccato"): queste figure fanno da intermediari fra il piano divino e quello umano.
La spiritualità può essere definita invece il percorso personale e quindi il rapporto di carattere esperienziale che ciascuno può avere con la trascendenza. Non sono necessari né dogmi, né intermediari, né alcun tipo di strutturazione... poiché tutto è assolutamente sperimentabile in PRIMA PERSONA.
Ai miei occhi, la religione rappresenta un po' il kihon della spiritualità, così come quest'ultima rappresenta i principi della religione.Ci sarà quindi un tot di religione densa di spiritualità e ci sarà un tot di religione solo frutto della speculazione umana... esattamente come ci sono tecniche animate dai principi, e tecniche "vuote", ma formalmente quasi perfette.
E ci sarà un tot di spiritualità che ha trovato una perfetta collocazione all'interno dei dogmi religiosi, così come invece ce ne sarà un tot che non ha alcun bisogno di essere rinchiusa in dogmi per essere esperibile in modo diretto e immediato (non-mediato, da nessuno).
Le tecniche hanno bisogno dei principi, ma i principi stanno in piedi anche senza le tecniche... almeno questo è quello che si dovrebbe toccare con mano nella pratica dell'Aikido!
O' Sensei ebbe un approccio inizialmente RELIGIOSO all'Aikido, in quanto frutto delle sue esperienze nello Shinto, nel Buddismo Shingon e nell'Ōmoto Kyo: non costrinse però mai nessuno ad abbracciare uno specifico credo religioso per praticare Aikido... limitandosi a rimandare come questa strada fosse COMPATIBILE con essi.
Quindi camminò sulle SUE gambe, e ritengo abbia mutato parecchio il suo approccio, da religioso a spirituale, e la differenza non è poca o banale.
In questo senso, ritengo che l'Aikido debba avere un approccio che nel breve periodo può essere "religiosistico", ma nel lungo periodo divenga "spiritualistico": ovvero che inizialmente debba richiedere di aderire ad un certo numero di norme, chiedendo fiducia su ciò che ancora non comprendiamo... ma sia un percorso che alla lunga debba essere esperito in prima persona, senza dipendenza da chi ci dice cosa sia giusto e cosa non lo sia.
Il Dojo, il Maestro, i compagni sono - bene o male - tutti intermediari... perché ATTRAVERSO di essi esperiamo il nostro percorso nella disciplina: difficile farne senza, almeno per la prima 20ntina di anni di pratica.Ma essi - ad un certo punto - diventano qualcosa di cui è possibile fare a meno, SENZA dover abbandonare il proprio percorso: credo che continuerei ad essere uno studioso ed un ricercatore di Aikido anche se non mettessi mai più piede su un tatami, infatti.
La vita è diventata un grande Dojo e ciò che mi accade un Sensei, le persone che incontro sono i miei compagni di pratica... e tutto ciò è molto indipendente da un eventuale tesseramento in FIJLKAM o meno.
Alla fine i conti devono tornare a ME e se ci fosse sempre e solo un Sensei che mi dice: "Tu allenati, che vedrai che un giorno comprenderai/riuscirai"... gli girerei un tot alla larga. Un approccio spirituale non ha bisogno di promesse: fa quello che fa perché crede sia la cosa migliore da fare, non per il risultato che può ottenerci attraverso.
Sotto questo punto di vista, SE la vostra pratica non è agli esordi, PRETENDETE da voi stessi che i CONTI vi TORNINO, a tutti i livelli: quello tecnico, fisico, intellettuale, filosofico, spirituale.
Se anche una sola di queste aree risultano traballanti, NON state decenni fermi nella titubanza: chiedetevi cosa non torna, e pretendete da voi stessi di trovare una quadra che vi convinca, almeno momentaneamente.
Questo - di fatto - taglierebbe le gambe a tutti i venditori di fumo: tutti quelli che, ad esempio, dicono che con questo o quel metodo è possibile arrivare alle vette alle quali giunse il Fondatore dell'Aikido.La domanda è: "Ma tu che mi vendi questo metodo... ci sei arrivato a quelle vette?" e se la risposta non fosse si: "Come fai a dirmi che in questo modo si raggiunge qualcosa che non hai ancora raggiunto nemmeno tu?".
I conti alla spiritualità devono tornare ben al di là di qualsiasi santone o gran sacerdote affermi di parlare per nome o per conto di O' Sensei: se così non fosse inizieremmo a fare un atto di fiducia che sprofonderebbe nell'esigenza di una fede cieca, come quella che si fa nelle peggiori sette della formica gigante o del babbuino tisico della Papuasia...
Risulta ovvio che sia l'approccio "religioso", che quello "spirituale" hanno delle zone d'ombra e dei pericoli in agguato del quali è bene essere consapevoli:
- la religione scopre talvolta il fianco alla manipolabilità dell'individuo; è sufficiente avere fiducia (o, peggio, fede) nelle persone sbagliate, per creare con loro un senso di dipendenza, che risulta l'opposto di una spiritualità matura. In cambio di ciò è sempre possibile incolpare qualcun altro di averci fregato: non importa che sia un essere umano o una divinità... "Mi trovo in queste condizioni perché mi sono fidato di te... e tu guarda in che condizione mi hai condotto!".
Non è un caso che le religioni parlino di "pastore" e di "gregge": dobbiamo infatti ricordarci che talvolta il pastore è una figura saggia, che ha cura del suo bestiame, da loro supporto e cura... altre volte (la maggioranza, ad essere onesti) è anche colui che lo conduce al macello. Il fatto di avere degli intermediari tra sé e dio consente di poter ricevere da loro supporto... ed anche ad alcuni di crearsi una professione, basata sulla credulità altrui.
Non accade diversamente in Aikido, quando poniamo TUTTA la nostra fiducia in un Maestro, un gruppo, una Scuola, un Ente... "Te lo dicono loro come dovrebbe essere l'Aikido!", salvo poi cascare dal pero e farsi male, senza nemmeno accorgerci che vi eravamo saliti!- la spiritualità, di contro, ha il problema duale ed opposto: se sono da solo e me la canto e me la suono, devo anche mettere in conto la possibilità che mi auto-saboti o che mi prenda in giro da solo, senza nemmeno rendermene conto. Una religione - in qualche modo - può farti da specchio, e farti vedere se o quanto devi da un percorso prestabilito... ma se fai tutto da solo, chi te lo dice che sei sulla strada migliore per te?
Questo porta all'autoreferenzialità... e se uno vuole evitare la manipolazioni degli altri, dovrebbe anche trovare il modo di evitare le manipolazioni da parte di se stesso.
In Aikido vale proprio la stessa cosa: "Siccome tutto è un'esperienza personale, allora faccio quello che mi va, tanto io sono l'unica fonte autorevole da ascoltare"...questo non solo genera mostri, ma anche persone veramente incapaci, che si convincono di essere i nipoti segreti di Ueshiba, quando non sanno distinguere ancora un omote da un ura.Cosa fare quindi: spiritualità o religione? A questo dilemma la risposta trovatevela da soli, visto che questo è fuori tema per queste pagine!
Invece sull'approccio "religiosistico" (1) piuttosto che "spiritualistico" (2) all'Aikido io una mezza idea ce l'avrei anche...
All'inizio (e per gli anni subito a seguire) non si può che partire dalla prospettiva (1): serve crearsi dei riferimenti concreti, solidi e stabili... e questi ve li da qualcun altro; un buon Ente, un buon Dojo, un buon Docente, un buon gruppo di pari con i quali studiare. Non credo che si possa prescindere da tutto questo, se devo essere sincero.
Se avete l'ardore di proseguire sul vostro Do, tuttavia, questa cosa deve - ad un certo punto - però poter virare nella prospettiva (2)... ovvero in consapevolezze più prese da dentro, che da fuori.
Fate dell'Aikido, innanzi tutto, un'esperienza personale, da giudicare con parametri VOSTRI, che sicuramente possono migliorare o affinarsi con il tempo... ma che se non convincono voi, non devono convincere nessuno d'altro. Ad esempio...
- Credete che dio non esista?Ottimo, fate Aikido come se dio non esistesse... e poi guardate cosa accade
- Credete che dio esista?
In questo caso, fate Aikido come se esistesse... e poi guardate cosa accade
- Vuoi vivere il tuo credo religioso nella pratica?
Fallo! (non in senso genitale) ... e poi guardate cosa accade
- Vuoi lasciare il tuo credo religioso fuori dalla porta?
Fallo! (sempre non in senso genitale) ... e poi guardate cosa accade
Siate gli sperimentatori, l'esperimento ed il laboratorio in cui esso avviene!
Se ascoltate me - almeno nell'Aikido - smettete di delegare a terzi la qualità del vostro percorso (persino alle divinità!), iniziando ad assumervi piena responsabilità su di esso... credo questo possa fare una certa differenza, almeno per me è stato così.... ma, dopodiché, liberi tutti!Marco Rubatto