lunedì 13 ottobre 2025

Aikido, la fisica classica ed un po' di quantistica

C'è un potente parallelo fra l'Aikido e la fisica che mi è sfuggito per moltissimo tempo... fino a quando, un giorno, mi è cascata l'Aiki-mela sulla testa... e c'è stato subito un New-Tone!

Mi auguro ricordiate dalle reminiscenze delle scuole medie, qualora non l'avete studiata in un percorso universitario, che la fisica ci veniva presentata come Newtoniana era parecchio deterministica, sia che si parlasse di statica (corpi in equilibrio fra loro), di cinematica (corpi in movimento, ma privi di massa), che di dinamica (corpi in movimento, dotati di massa).

Cosa significa questo?


Se Marco partisse per andare in bicicletta ad Iwama e Morihei Ueshiba da Iwama partisse sempre in bici alla volta di Torino... è possibile sapere con buona approssimazione dove e fra quanto si incontreranno, se si conoscono le velocità medie con le quali pedalano e la distanza che separa Torino da Iwama.

In questo problema non si tengono in considerazione numerosi fattori: le masse di Marco e di Morihei (volgarmente detti "i pesi"), il fatto che le velocità sono istantanee e non medie, l'attrito dell'aria e dei perni delle ruote delle biciclette, che la strada non sarebbe né un alinea geometrica perfetta, né sarebbe sempre in piano...

Il risultato quindi viene approssimativo, ma accettabile per fare due conti della serva.

Analogamente accadrebbe se chiedessi: "Con che velocità cade sul tatami Marco se fosse caricato sulla schiena di Morihei Ueshiba e venisse proiettato con un koshinage?"

La velocità di caduta libera nel vuoto è pari alla radice quadrata di 2 volte l'altezza (da cui si cade) per l'accelerazione di gravità (g = 9,81 m/s^2)... quindi avremo:

h Morihei = 1,53 m (era piuttosto nano!)

h koshinage = circa h Morihei/2 = 0,765 m

V Marco = (2 x 0,765 x 9,81)^0,5 = 3,88 m/s ≃ 4 m/s

Sotto questa luce, un fenomeno può essere rappresentato SEMPRE in modo compiuto se si conoscono le leggi matematiche con le quali lo si approssima... e la stessa cosa accade anche all'Aikido classico/tradizionale: ci si allena avendo tutti i dati del problema ancora prima di svolgerlo...

- come ci attacca uke

- quale tecnica deve fare tori/nage

Il risultato può comunque differire da quanto sperato perché uke non ha seguito esattamente il migliore o il più chiaro degli attacchi, e/o tori non si è mosso come e/o quando avrebbe dovuto... perciò la tecnica appare più muscolare, meno fluida, etc... Sembra il grado di approssimazione che avevamo in precedenza, non tenendo conto dell'attrito dell'aria, delle forze di inerzia e di tutte le altre variabili coinvolte.

Nel mondo della scienza però, ad un certo punto, si indagò sulle parti costituenti la materia, su scala atomica, poiché ci si rese conto che i costrutti della fisica classica non si mostravano adeguati nell'infinitamente piccolo.

La fisica Newtoniana presupponeva che gli atomi fossero "palline" in una sorta di orbita intorno al nucleo degli elementi e che le radiazioni invece fossero onde... ma la meccanica quantistica mostrò come la materia avesse una doppia natura, ovvero quella simultanea di "onda" e di "particella".

Da questo punto in poi la fisica smise di essere deterministica ed iniziò ad essere descrivibile solo tramite una "nuvola di probabilità", nella quale era possibile trovare un atomo in una certa regione dello spazio, secondo algoritmi probabilistici. Nacquero gli orbitali atomici, ovvero equazioni matematiche che potessero descrivere - in modo stocastico (che non è una parolaccia!) - il comportamento degli elettroni intorno al nucleo e quindi i legami che si conoscevano fra i vari atomi...

Ci è costato caro, sotto un certo punto di vista, voler indagare più a fondo sulla natura della materia... poiché - da allora - sappiamo di non poter cogliere del tutto in modo univoco un fenomeno, ma di poterne descrivere solo alcuni tratti... con un  determinato margine di errore, sotto il quale sembrerebbe impossibile scendere.

Beh, la stessa cosa accade pure in Aikido!

Durante un jiyu waza, o un randori, risulta del tutto impossibile determinare in modo univoco cosa accadrà, ma sembra più plausibile rimanere aperti affinché qualcosa possa accadere, pur non sapendo quando e sotto quale forma specifica.

La mente si "svuota", rilassa i pregiudizi e le aspettative e si prepara ad esplorare un ignoto legato a sé ed al comportamento imprevedibile dei nostri compagni di pratica: inutile preparare i randori decidendo a tavolino "chi-deve-fare-che-cosa"... queste cose risultano solo ridicole agli occhi di una persona consapevole di ciò che sta osservando.

Il jiyu waza è come predisposti ad una nuvola di probabilità che io ed il mio compagno - ad un certo punto, che è tutto meno che CERTO! - si divenga capaci di esprimere l'Aiki, in modo naturale, spontaneo... così naturale e spontaneo da stupire noi stessi che stiamo vivendo quei momenti.


Dall'esterno si coglie molto bene quando stiamo cercando di "tenere sotto controllo" ciò che facciamo e che ci accade, o se consentiamo che il flusso del ki ci avvolga ed includa!

Un buon jiyu waza/randori è come la meccanica quantistica: non può essere predetto al di sotto di una certo (ampio) margine di insicurezza; questa cosa appare di certo contro-intuitiva, poiché mi aspetto che se lancio in aria una pallina, essa dovrebbe prima o poi ricadere a terra non troppo lontano da dove è stata lanciata... e ci parrebbe strano che ricomparisse dall'altra parte del pianeta!

Ma qui vi è proprio il punto crucciale: sembra che la scala "macro", ovvero quella nella quale viviamo noi ed esiste anche la pallina funzioni in modo molto differenti dalla scala "micro", che però è anche quella che costituisce sia noi, che la pallina stessa... Un bel paradosso per la nostra mente!

Per traslato... abbiamo un Aikido che passa quasi la sua l'intera esistenza a determinare TUTTO dei suoi allenamenti (il Sensei mostra una tecnica a partire da un determinato attacco... e gli allievi lo copiano più fedelmente possibile), e poi - di tanto in tanto - ci si sottopone ad esercizi (come il jiyu waza e/o il randori) nel quali è impossibile cavarsela con gli stessi criteri e metodologie che abbiamo utilizzato per la maggiore durante le lezioni... è necessario sviluppare skills differenti, ad esempio quella di non essere troppo legati all'efficacia di cosa faremo (che risulta un altro bel paradosso marziale!).

Eppure converremo che le Arti Marziali sono fatte per essere in gradi di armonizzarsi con un pericolo ignoto ed improvviso: sarebbe ridicolo pensare che un ipotetico avversario concordi con noi sia il momento e sia le modalità del suo attacco!

Quindi - ad un certo punto, che è tutto meno che CERTO! - è necessario passare da "Aikidoka Classici" ad "Aikidoka Quantistici": ce l'ha fatta il Fondatore, alcuni Sensei che ho conosciuto, ci sono riuscito io ed anche parecchi dei miei allievi... quindi credo che sia qualcosa più o meno alla portata di tutti.

È necessario però fare un cambiamento di paradigma, un "salto quantico" verrebbe di dire... e smettere di recitare a memoria una poesia credendo che un giorno ciò da solo farà di noi dei poeti!

In ambito fisico poi, la "Teoria del Tutto (anche nota come TOE, ovvero "Theory of Everything"), è un'ipotetica teoria fisica che mira a spiegare tutte le interazioni fondamentali della natura e tutti i fenomeni conosciuti nell'universo, unificando le leggi fisiche in un unico quadro teorico. Si tratta di un concetto che affascina i fisici da decenni, ma che sembra rimane ancora un obiettivo da raggiungere.

Ci sono andati però molto vicino David Bohm e Juan Martín Maldacena, che hanno posto le basi della fisica olografica ed Erik Verlinde, che ha formalizzato un modello concettuale in grado di descrivere la gravità come una forza entropica. Roba di qualche anno fa... non del secolo scorso.

Anche in Aikido siamo ancora abbastanza occupati a comprendere come ridurre il gap fra un tipo di allenamento completamente prestabilito e formalizzabile ed una propensione più mirata allo sviluppo di una spontaneità ed espressività, che faticano a trovare un loro posto "accademico" all'interno del Budo giapponese, nonostante molti Maestri ne abbiano fatto e ne facciano ampio utilizzo.

Che sia la nostra la generazione in grado di trovare la POE, ovvero la "Practice of Everything"?

Me lo auguro sentitamente!


Marco Rubatto





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