lunedì 25 marzo 2024

[以心伝心] I shin den shin: il rapporto Maestro-Allievo

Non è per nulla banale descrivere con un minimo di compiutezza il complesso rapporto che esiste fra un Maestro ed un Allievo... ma il fatto che non sia facile, non ci impedisce però comunque di provarci.

Posso sperare di poter cogliere qualcosa di questo rapporto, perché lo vivo da entrambe le prospettive: sono un Maestro di un numero sempre crescente di persone, ma sono contemporaneamente anche un Allievo... e così ho ancora intenzione di rimanere, fino a quando la strada non mi suggerirà qualcos'altro.

Qui in occidente facciamo i corsi di qualsiasi cosa perché pensiamo di imparare delle nozioni specifiche, magari di acquisire delle skills particolari... ma secondo la tradizione in oriente - dove la nostra disciplina è nata - i corsi si frequentavano ben in altro modo e per ben altre ragioni.

Il "Sensei"/mentore è colui che è "arrivato prima" sulla Via che anche noi stiamo percorrendo, quindi ci AFFIDIAMO a lui, perché ci guidi lungo il cammino...

Si, ma quale cammino?

Il SUO o il NOSTRO?

Utilizza il SUO cammino, per aiutarci a percorrere il NOSTRO: se facesse altro, starebbe manipolando il suo allievo/apprendista.

Cosa ci guadagna il Sensei a fare il Maestro?

È un filantropo, che compie la sua opera di insegnamento per motivi esclusivamente altruistici? Manco per il kakkyo!

Un modo che ha il "Maestro" per migliorarsi è quella di SPECCHIARSI nei suoi allievi e - dando se stesso completamente a loro - fa spazio perché qualcosa di nuovo in sé possa nascere e crescere.

Egli si dona, ma ha un suo tornaconto nel farlo... anche se questo tornaconto non lo deve chiedere agli allievi in modo diretto o indiretto, sotto forma di gratitudine, o di qualche forma di riconoscenza.

Ho detto che non lo deve pretendere, non che sia sbagliato che gli allievi provino gratitudine e riconoscenza per il loro Sensei: quando questo avviene in modo spontaneo è qualcosa di nutriente e piacevole, non deve però diventare un nutrimento che viene preteso o dato per scontato.

Ogni tanto accade: diciamo che 2-3 allievi su 10 tendono ad essere spontaneamente riconoscenti, statisticamente parlando.

Il Maestro quindi fa il Maestro perché questo è il modo grazie al quale evolvere.

L'Allievo - d'altra parte - è sulla Via perché ritiene che starci sopra sia per lui meglio che non farlo: anch'egli crede che quello sia il suo modo di evolvere, di fare il prossimo passo nei confronti di se stesso. Di solito si approccia al suo cammino perché vuole risolvere alcuni suoi problemi contingenti e crede che fare un determinato percorso glielo consentirà.

Solo che è un novellino ed è alla ricerca di un mentore che gli possa dare supporto in un cammino denso di parecchio potenziale... ma anche irto di insidie, pericoli e trappole.

L'Allievo quindi comprende che affidarsi ad un mentore diventa una sorta di scorciatoia, che gli consente di non perdere troppo tempo ad imparare dai propri errori... ma facendo tesoro degli errori che ha già fatto qualcun altro prima di lui. In questo modo si sancisce una DOPPIA forma di interesse di queste due figure ad entrare in relazione:

- il Maestro per evolvere ulteriormente GRAZIE al rapporto con i suoi allievi;

- gli allievi per evolvere più rapidamente di quanto sarebbero capaci di fare sono contando sulle proprie forze.

Da ciò che si evince che Maestro ed Allievo si utilizzano a vicenda per ottenere in fondo la stessa cosa... anche se a livelli differenti di consapevolezza e di profondità.

Dovrebbe essere quindi un rapporto WIN/WIN, più che una relazione di origine parassitaria, nella quale l'uno scrocca qualcosa dall'altro...

Trovare un bravo Maestro quindi è qualcosa di molto importante perché il nostro cammino sia proficuo... tant'è che in oriente si dice: "Tre anni spesi a cercare il proprio Maestro, non sono tre anni sprecati".

Quindi ora mi declino nelle DUE prospettive specifiche, per provare a delinearne i tratti.


IO ALLIEVO

Quando sono con il mio Maestro, mi trovo in una dimensione molto particolare, poiché sento di "funzionare" spontaneamente in modo molto più potente di quello normale. In sua compagnia le intuizioni che arrivano sono continue, come in uno stato di "iper stimolazione" della mia intuitività; è come se "mi accendesse"...

Spesso sono anche il suo traduttore (perché parla inglese) e questo mi consente di andare quasi in consonanza di pensiero, in qualche modo di percepire la sua intenzione comunicativa ancora prima di sentire i fonemi che pronuncia. È uno stadio di comunione personale molto intenso ed energicamente molto dispendioso da mantenere per periodi prolungati.

Quando viene a trovarmi per 3 giorni, poi me che ne vanno 10 per riprendermi dalla fatica (che in questo caso è anche organizzativa degli eventi, oltre che psico-fisica): però sono giorni densi, che possono poi essere "spacchettati" per i mesi seguenti... quasi che il nutrimento che ricevo in poche ore poi possa essere materiale sul quale lavorare per un tempo molto più lungo, quando poi saremo di nuovo lontani.

Il mio Maestro abita in Svizzera, quindi di solito ci vendiamo circa 3 volte all'anno, per un totale di 10-12 giorni in tutto. Poi ci sentiamo spesso e restiamo sempre in contatto... ma ogni incontro è qualcosa di particolarmente denso e significativo, qualcosa che "lascia il segno".

Essendo egli deputato ad indicarmi anche i possibili sbagli che sto commettendo, le trappole e le perdite di tempo nelle quali posso perdermi, non è sempre piacevole stare in compagni del mio Maestro, specie quando egli - per suo stesso mandato - deve correggermi e magari rimandarmi le pecche che vede in me.

In passato lo pativo un po', perché prendevo le sue indicazioni, ed anche alcuni suoi rimproveri, come qualcosa di molto personale... qualcosa che avrei desiderato finisse il prima possibile.

Dopo ANNI di rapportazione però ora le cose sono cambiate, ed inizio a comprendere in modo sperimentale l'importanza di quel "i shin den shin" (comunicare da cuore a cuore) che la tradizione giapponese rimanda come ESSENZIALE.

L'unione deve essere pressoché totale, pur entrambi consci di essere due persone differenti, talvolta con idee anche molto distanti fra loro (anche in contrasto, in alcuni ambiti): ma non è una questione di essere "uguali", ma di essere "insieme" nel modo più intimo ed autentico in una relazione di mutuo supporto ed evoluzione.

Prendermi cura del mio Sensei è qualcosa che mi onora, ma che mi viene naturale anche se questi non me lo richiedesse: se lui sta bene, sta bene la mia fonte di evoluzione... non è altruismo per me metterlo a suo agio, forse è più sano egoismo, perché potrò evolvere di più e più velocemente!

Non c'è spazio per nessuna forma di "servilismo" dovuto al mio status di allievo, nei confronti di una figura ritenuta "superiore": questo è un equivoco molto comune, ma il Maestro non è per niente superiore all'Allievo... è solo ad un altro stadio dello stesso processo, ma in fin dei conti anch'egli continua ad essere un allievo (di qualcun altro, o per sua stessa attitudine rispetto alla vita).

C'è una forma di paradosso molto complesso da comprendere: è un rapporto alla pari fra due figure molto diverse fra loro... qualcosa che la mente razionale fa fatica a spiegare, ed è forse proprio per questo che nella tradizione si parla di comunicazione "da cuore a cuore".

Qualcosa che va sentito e vissuto emotivamente, ben al di là della logica o del mero livello mentale; ma quante persone al giorno d'oggi si lasciano trasportare in una relazione interpersonale così intensa, profonda e complessa?

Una relazione nella quale l'entanglement (direbbero i fisici) è praticamente assoluto: non per nulla un tempo gli allievi VIVEVANO insieme al Maestro, lo supportavano nelle faccende di casa, come fossero familiari consanguinei. Non c'era una frequenza bisettimanale per un paio d'ore... il coinvolgimento personale era (ed è ancora nelle Scuole tradizionali) molto intenso, ovvio che ci si conoscesse tutti ad un livello molto profondo, condividendo ogni giorno e per anni momenti legati alla pratica e momenti di normale vita quotidiana.


IO MAESTRO

A differenza di un tempo, non ho alcun timore a definirmi "Maestro", mentre per molti anni in passato mi è parso che questo termine fosse un po' ridondante o altisonante per me. E questo cambiamento NON è avvenuto perché una Federazione Nazionale mi ha fornito un foglio di pergamena sul quale c'era scritto "Maestro"... ma quando ho compreso di essere giunto ad una qualche livello di "maestria" di ciò che faccio... non di tutto e non sempre, ovviamente.

Il fatto di essere "Maestri" infatti è tutt'altro sinonimo di essere perfetti o infallibili, anzi: abbiamo visto poc'anzi che il Sensei è egli stesso in un processo evolutivo costante... quindi destinato a cambiare in continuazione, nella speranza di migliorarsi.

Il rapporto con i miei allievi di solito è abbastanza sereno, ma non sono mancate (e non mancheranno) i momenti di tensione e le difficoltà da superare.

Quello che è palese ai miei occhi è che pur riversando notevole impegno del dare supporto a tutti loro, ci sono alcuni più capaci di altri di fare tesoro di ciò. Alcuni sembrano impermeabili a qualsiasi tipo di rimando che serva loro a crescere. Stanno li, un po' come soprammobili, che sembra abbiano intenzione - un giorno - di rendere operative le informazioni che hanno ricevuto...

Siccome pretendo abbastanza da me stesso, tendo a pretendere molto anche da loro... e non è sempre semplice per me a livello emotivo costatare quanto la loro voglia di apprendere sia spesso solo una frazione di quella che mi sarei atteso che avessero.

Sto imparando - dopo anni - a non prendere troppo sul personale la delusione delle MIE aspettative, ricordandomi appunto che erano le MIE e che come tali potevano essere solo delle proiezioni illusorie sugli allievi, distaccate dalla realtà dei fatti.

Alcuni - pochissimi in realtà sul numero totale - noto che provano a mettersi nei miei panni e non pre-giudicano le mie azioni senza prima avere compiuto l'inestimabile tentativo di "comprendermi".

Ho ben chiaro come talvolta risulti quasi insopportabile per diversi allievi, e ciò mi spiace... ma vorrei dire loro che anche in questo non vi è nulla di personale contro di loro, se non il desiderio di offrire più supporto possibile.

Il difficile è aiutare con la stessa lingua con la quale si desidera essere aiutati però: molti di loro non sanno ancora nemmeno ciò di cui necessitano sul serio, quindi è naturale che mi vivano come un rompiballe quando smonto i loro castelli in aria, nel tentativo di farli aderire di più alla (loro) realtà.

Il mio ruolo è sempre border-line, perché un aiuto in meno è poco ed un aiuto in più può rivelarsi troppo: l'arte sta nel crescere con loro, ma attendendo che ciascuno impieghi il proprio tempo per farlo. E ciò è complicato da realizzare e vivere ogni giorno.

In passato sono stato sicuramente un cattivo Maestro, perché ora mi rendo conto di avere fatto moltissimi errori, sia con me stesso, che con i miei allievi: non so se ora sono meglio, ma sicuramente cerco di utilizzare le mie esperienze (anche quelle più fallimentari) per calzare il ruolo meglio che posso.

Alla fine, anche in questo, Maestro ed Allievi sono simili: fanno tutti "meglio che possono", anche quando sembra che ciò non sia sufficiente all'una o all'altra categoria.

Essere Maestro mi sta insegnando molto sulla pazienza e sulla lungimiranza, e sul paradosso del rimanere libero e lasciare liberi gli altri.

Impegnarsi in una disciplina come missione nella vita lascia poco spazio ad eventuali ripensamenti o cambi di rotta, poiché tutto è finalizzato in un'unica direzione, che per me è l'Aikido.

Non posso però certo pretendere che - siccome ho fatto questa scelta - la debbano fare pure i miei allievi: in questo senso è come se pretendessi da me tutto e dagli altri solo ciò che ritengono sano offrire alla disciplina.

Questo insegna parecchio sulla gratuità del dare, o perlomeno (siccome abbiamo visto che anche il Sensei ha un suo tornaconto) sul dare senza voler tenere sotto controllo come, cosa e quando le cose potrebbero tornare indietro. É un esercizio di fiducia in sé e nella strada che ciascuno ha scelto di percorrere.

Questo trovo che sia un esempio vivo, concreto e potenzialmente molto ispirante da offrire al prossimo... anche senza pronunciare una sola parola.

Un Allievo cerca nel rapporto con il suo Maestro una Via per riconnettersi a se stesso, ma forse un Maestro fa altrettanto con l'allievo, pur in modo più consapevole: ne segue che l'allievo alle prime armi forse vorrebbe fagocitare il proprio Sensei... vorrebbe spremerlo come un limone, per poi magari buttarlo via quando non gli sembra più utile.

Un Maestro invece sa che ci va rispetto sempre e con tutti, provando a continuare a rispettarsi, mentre prova a rispettare anche tutti coloro che camminano dietro a lui, o al suo fianco.

Un ultimo pensiero lo dedico a quei miei allievi che, in qualche modo, hanno scelto a loro volta la via dell'insegnamento: sono già parecchi ormai, e con loro il rapporto è particolarmente significativo, anche se non sempre semplice.

Non sono più solo Allievi, ma ai miei occhi non sono ancora diventati veramente Maestri: sono in una terza inedita posizione, qualcuno da non chiamare più "neofita", ma da non poter chiamare ancora del tutto "collega".

Con loro cerco di collaborare più come fratello maggiore che come "Sensei che fa piovere le cose dall'alto" (in realtà questa è una cosa che cerco di evitare pure coi neofiti!), eppure anche in questo caso non è sempre facile comunicare... perché alcuni di essi non si rendono conto di quanto già potrebbero fare ANCHE senza il mio aiuto, mentre altri non si rendono ancora conto quanto POCO potrebbero in realtà fare senza il mio aiuto.

Alcuni si credono 6º kyu, anche quando sono 2º dan, altri si credono 8º dan anche se sono 2º dan: cosa fare in questo casi?

Provo a metterci il cuore ed a ricordarmi quando ero io al loro posto: alcune volte ci incontriamo proprio a livello del cuore, con il BENE che ci vogliamo a vicenda e che ci consente di farci tralasciare cosa ci divide, per farci apprezzare cosa di inestimabile ci unisce.

Insomma, è proprio vero che la tradizione ha avuto tempo di vederci chiaro e bene: pensavo che il cuore fosse solo una pompetta per il riciclo del sangue... invece sto riscoprendo essere un importantissimo connettore fra i destini delle persone... i shin den shin.


Marco Rubatto




lunedì 18 marzo 2024

[杖形] Jo kata: la ricerca infinita, attraverso movimenti definiti

Continuiamo la nostra esplorazione della "forma" attraverso  lo studio dei kata di jo che ci ha lasciato il nostro Fondatore.

Per certo sappiamo che essi sono solo 2... due e mezzo se contiamo la breve forma ciclica contenuta dentro ad uno dei due: si tratta di...

- 31 no jo kata

- 13 no jo kata

( e 6 no jo kata, contenuto dentro 31 no jo kata)

Questi sono i cosiddetti kata [開祖直伝] "Kaiso jikiden", ovvero trasmessi direttamente da Morihei Ueshiba a Morihiro Saito Sensei, forse unico suo Deshi stabile al tempo dello studio ed approfondimento dell'Aiki jo ad Iwama.

Molti sono però i suoi allievi che hanno studiato queste forme e diversi fra loro hanno poi codificato una serie piuttosto vasta di visioni personali dei kata di jo.

Quest'oggi però ci soffermiamo sul SOLO lavoro del Fondatore, che consideriamo particolarmente importante per cogliere alcuni aspetti che erano preminenti per la pratica di quest'ultimo.

Iniziamo dal 1º kata, ovvero "31 no jo kata"...

É una forma bella lunga, che ha visto numerose modifiche e variazioni prima di essere "chiusa" come oggi noi la conosciamo.

Questo ci da una prima enorme ed importante informazione: Morihei Ueshiba era in un percorso evolutivo, perché continuava a cambiare nel tempo... quindi e vogliamo fare ciò che ha fatto lui, dobbiamo darci lo stesso permesso.

Lo dico perché ci sono alcuni puristi che vorrebbero che tutti si LIMITASSERO a scimiottare SOLO i movimenti col il jo che faceva il Fondatore, o - al limite - Saito Sensei, di fatto estromettendosi da uno degli aspetti più importanti di una disciplina tradizionale... ovvero la sua mutevolezza nel tempo.

NO, se vogliamo fare come fece O' Sensei, dobbiamo darci l'opportunità di cambiare nel tempo, come fece lui stesso, sperando ovviamente di diventare meglio di ciò che eravamo in passato (non di certo peggio!)



Nel video precedente vengono esaminati:

- movimenti rispetto ad un sistema di riferimento fisso;

- ricorrenze dei movimenti all'interno della forma;

- respirazione durante l'esecuzione della forma;

- cambiamento della forma quando la si pratica in modo veloce.

Per i più curiosi, ecco una clip che mostra questo kata nel 1964, ovvero quando era ancora in fase di evoluzione, contava 32 movimenti, anziché 31... ed aveva un inizio ed un finale leggermente differenti...



Ecco invece 6 no jo kata, ovvero la forma ciclica, contenuta in 31 no jo kata (dal movimento 13 al movimento 18)...



Si tratta di un esercizio particolarmente adatto per i principianti, poiché riesce a connettere fra loro 2 suburi di base (tsuki jodan gaeshi uchi e menuchi gedan gaeshi) e può essere agilmente utilizzato per mostrare come respirare dentro alle sequenze preordinate di movimenti, utilizzando il fatto che questa forma risulta "simmetrica", con 3 movimenti di affondo (espirazione) e 3 movimenti di preparazione a tali affondi (inspirazione).

Naturalmente, per comprendere a fondo 31 no jo kata è necessario studiare anche il suo "bunkai", ovvero la sua applicazione a coppia, praticando 31 no kumi jo... ma ci torneremo presto in un futuro Post...

Veniamo invece al 2º kata vero e proprio, ovvero 13 no jo kata...



Anche in questo caso, nel video precedente possiamo vedere:

- movimenti rispetto ad un sistema di riferimento fisso;

- ricorrenze dei movimenti all'interno della forma;

- respirazione durante l'esecuzione della forma;

- cambiamento della forma quando la si pratica in modo veloce.

Si tratta di una forma molto più corta della precedente, ma in alcuni suoi elementi addirittura più complessa... Iniziamo col dire che è un lavoro lasciato INCOMPIUTO da Fondatore, poiché alla sua morte non aveva ancora assunto una forma stabile e definitiva (al contrario di 31 no jo kata).

Cosa avrebbe potuto sviluppare oltre il 13º movimento Morihei Ueshiba è qualcosa che non sapremo mai con certezza. I primi 13 movimenti però erano divenuti stabili, ed è per questo che Morihiro Saito Sensei ha tramandato SOLO quelli.

Immaginate, infatti, di comparire nel Giappone del secolo scorso, intorno al 1965-1968, e dover tramandare ciò che vedete fare al vostro Maestro, senza avere più di tanto strumenti fotografici o video per immortalare i suoi movimenti. Prima di YouTube c'era la MEMORIA personale dei praticanti ed il tentativo di tramandare ciò che avevano visto e capito (che poteva essere pure molto differente da ciò che il Sensei tentava di comunicare loro!)

Tradizionalmente, 13 no jo kata si studia anche a coppie, ma in modo differente rispetto a 31 no jo kata: mentre infatti per quest'ultimo esiste una vera e propria applicazione a coppia... per il primo esiste una forma di armonizzazione a blocchi, chiamata 13 no jo awase.

Più recentemente (anni 1990 - 2000) è stata sviluppata anche una forma di kumijo simile a quella che si utilizza nel 31 no ho kata, ma io non l'ho mai vista spiegare, né praticare da Morihiro Saito... quindi tendo a pensare che sia una forma più elaborata dai suoi allievi, che ereditata direttamente dal Fondatore.

Come detto, però, di tutto ciò che è applicativo ed a coppie ci occuperemo presto altrove...

OGNI kata ha elementi comuni: movimenti di parata e movimenti di attacco ad avversari immaginari (che possono rendersi fisici nel lavoro applicativo a coppia) e cambi di direzione di 180º, ad indicare l'intenzione di fare fronte a più avversari che attaccano in contemporanea (o entro un breve lasso di tempo, ma), provenienti da direzioni opposte.

A titolo puramente storiografico, riportiamo di seguito un kata desueto, composto da circa 18 movimenti, che veniva praticato dal Fondatore intorno al 1964: noteremo che anche questa forma ha le stesse caratteristiche delle 2 più famose e giunte a noi oggi.


Non so dirvi molto su quest'ultimo kata, proprio perché l'ho scoperto solo durante la pandemia, quando ho avuto il tempo di esaminare in modo più approfondito alcuni filmati storici: ecco però un altro brillante esempio del fatto che Morihei Ueshiba cambiava ed evolveva in continuazione... già che questa forma è stata poi abbandonata (da essa però si vede come siano stati presi diversi movimenti, che sono poi stati codificati nei jo suburi, come gli hasso gaeshi go hon e i nagare gaeshi go hon).

Attraverso la ripetizione di alcune forme - come spesso avviene nella cultura giapponese - si cerca di sviluppare alcune particolari e specifiche skills: velocità, equilibrio, potenza, prontezza, mente libera, rilassatezza, determinazione, precisione... etc.

E ciò può avvenire INDIPENDENTEMENTE dalla forma che si utilizza: in ciò trovano giustificazione secondo me chi utilizza anche forme differenti da quelle che ho mostrato poc'anzi.

E di kata di jo c'è solo l'imbarazzo della scelta: per stare ad Aikidoka famosi, Koichi Tohei Sensei, Hiroshi Tada Sensei e Hirokazu Kobayashi Sensei... sono 3 Maestri che hanno dato il LORO apporto personale allo studio ed allo sviluppo di nuovi kata, che si vedono essere "imparentati" con quelli di O' Sensei, pur divergendo da essi in più movimenti.

Se poi andiamo a cercare jo kata nelle Scuole di Scherma tradizionale e di Jodo credo ci sia solo l'imbarazzo della scelta!

Il mio interesse a LIMITARMI allo studio di ciò che ha elaborato il Fondatore non vuole essere una forma di chiusura ad ulteriori interpretazioni del suo lavoro... ma proviene da 2 differenti constatazioni:

- la mia curiosità ed intenzione di tentare di conoscerlo ATTRAVERSO le sue opere, un po' come si tenta di conoscere uno scrittore leggendo i suoi libri, o un vasaio... esaminando nel dettaglio i vasi che ha realizzato;

- il mio notare che lo studio continuativo di 2 soli kata (31 e 13 no jo kata), con le loro numerose applicazioni a coppie mi ha richiesto oltre 25 anni di pratica ininterrotta, e continuo tutt'ora a trovare sacche di nuovo ed inesplorato al loro interno.

Per questa ragione mi limito a questo lavoro: non perché schifi il resto, ma perché sento che per me c'è ancora tantissimo da studiare e comprendere in queste SOLE 2 forme. Se ne facessi altre, amplierei la vastità del mio repertorio, ma ridurrei la profondità delle mie conoscenze specifiche.

É come scegliere di fare un cratere largo 2 chilometri, ma profondo 1 metro... oppure fare un buco di 1 metro, ma profondo 2 chilometri: sono scelte personali.

Per questa ragione ho titolato il Post "una ricerca infinita, attraverso movimenti definiti": per me è questo che sono i jo kata... e continuare tutt'ora a scoprire quanto essi siano imbibiti di elementi e principi di Aiki ken e taijutsu rende questa ricerca ancora più completa ed avvincente.

Vi lascio con un prezioso reperto video storico, ovvero Morihiro Saito Sensei che nel 1979 (soli 10 anni dopo la morte del Fondatore) da un'ampia dimostrazione del buki waza di base di fronte all''Aiki Jinja. Buona visione!



Marco Rubatto



lunedì 11 marzo 2024

Il furbetto da tatami: come rovinarsi la pratica da soli

Siamo parte di una società nella quale pare che "vincano sempre i più furbi"... e che quindi ogni mezzo sia lecito per ottenere ciò che desideriamo. Specie qui in Italia...

Beh, la pratica dell'Aikido ha regole un po' differenti da ciò, quindi quest'oggi vi mostriamo cosa può accadere a fare troppo "il furbetto da tatami".

Essi sono una categoria molto ampia di persone, in funzione della loro esperienza di pratica, di quanto tempo hanno avuto per comprendere che tentare di fregare qualcun altro è - infondo - un modo egregio di fregare se stessi.

Partiamo dal caso più semplice, ovvero la persona che vorrebbe praticare, ma non spende altrettanto volentieri i suoi soldi per farlo... quindi cerca in tutti i modi di non pagare o tardare i suoi pagamenti.

Parliamo di persone che farebbero lezioni di prova libera (e quindi pure gratuita) un po' in tutti i corsi che incontrano... perché così nel frattempo "praticano senza pagare". Peccato che una lezione di prova è una lezione di prova, non è parte di un percorso strutturato.

Non sarei riuscito a diventare 5º dan con un numero molto alto di lezioni di prova: prima o poi bisogna scegliere DOVE praticare, ed ahimè quello coincide anche con il momento nel quale bisogna incominciare a PAGARE per farlo.

Ma il furbetto da tatami, anche in quel caso, cerca di dilazionare il più possibile i suoi contributi... ad esempio dimenticandosi di saldare mensili/trimestrali, etc.

Di solito,  il Sensei ed i compagni - credendolo in buona fede - lo lasciano partecipare ugualmente alle lezioni, quindi questi trova nuovamente spazio per "marciarci un po' su".

Ma ogni atteggiamento manipolativo è pure un po' suicida in Aikido, come già si rammentava...

Se tutti facessero così, il corso non troverebbe più i fondi per esistere (pagare i locali, le utenze, l'insegnante) e sarebbe inevitabilmente destinato a chiudere: quindi si troverebbe all'improvviso "senza casa" pure il furbetto da tatami, senza nemmeno rendersi conto del motivo!

Un altro tipo di "furbetto da tatami" è quello che si sottopone agli allenamenti SOLO fino a quando gli si chiede di fare ciò che gli PIACE.

- É bella la filosofia... ma non voglio sudare;

- É bello sudare... ma non mi piace la filosofia;

- É bello buttare a terra gli altri... ma non mi piace che gli altri buttino a terra me;

- É bello quando mi buttano a terra... ma non mi piace quando devo fare qualcosa io;

- É bello l'omote... ma non mi piace l'ura;

- É bello ciò che dice il Sensei... ma io posso fare poi quello che voglio e quando lo voglio;

In questi casi si tratta più di una persona che utilizza una disciplina, senza sottoporsi mai del tutto ad essa: si lascia delle porte aperte a fare ciò che vuole, anche se di difficilmente ciò potrebbe tornargli utile.

Già qui... lo capite la dinamica quanto è boomerang?

Quando ci si sottopone ad una disciplina e si sceglie una guida... è perché DA SOLI non si sarebbe in grado di compiere lo stesso processo di crescita che è invece possibile fare in un buon gruppo di pari e sotto la supervisione del proprio mentore.

É solo questione di tempo che ciò ci richieda di andare a fronteggiare ciò che più ci spaventa, ci scomoda... ciò che vorremmo negare perché non ci riteniamo pronti ad guardare diritto negli occhi. Questi sono appunto i casi nei quali il gruppo di Aikidoka ed il Sensei ci aiuta a tenere il timone diritto in mezzo alla tempesta... anche se noi torneremmo volentieri nel porto di partenza della nostra nave.

Mi è capitato spesso (e credo mi capiterà ancora) che gli allievi NON si trattino fra loro al meglio delle loro capacità quando non sentono il mio fiato sul collo.

Quando mi allontano da certe coppie, quello è esattamente il momento nel quale i praticanti si mettono a parlare, escono dal mandato dell'esercizio, si fanno l'un l'altro delle forme di imposizione, se non proprio di nonnismo, etc...

Tutti piccoli "furbetti da tatami"... topi che ballano quando non c'è il gatto, ma non si accorgono che quella danza danneggia innanzi tutto loro stessi. Se infatti si comportano "bene" solo quando sono sotto i miei riflettori... è segno che non hanno ancora compreso il valore di comportarsi in un certo modo, innanzi tutto nei confronti di loro stessi.

Mi frega assai che "mi facciano contento", che assecondino le mia aspettative mettendo la maschera dell'allievo modello... quando poi di fatto dentro covano mostri di ogni tipo: meglio VEDERE una persona per quello che è, ma sono ancora tante le persone che si atteggiano come pensano mi piacerebbe che loro facessero.

Vedo tutti costoro come "furbetti da tatami" più sciocchi, che furbetti, in realtà: persone ancora intrappolate dalle aspettative di apparire e non spinte dalla necessità di essere coerenti con loro stesse.

Ma questa giostra finisce, purtroppo o meno male per loro: l'Aikido - la vita in generale - ti fa sempre specchiare in ciò che sei, non in cosa PENSI di essere o cosa tenti di convincere gli altri di essere... quindi prima o poi i giochi di questi "furbetti da tatami" vengono a galla.

Ed è meglio che lo facciano mentre l'esperienza è ancora modesta, così da vivere una maturità marziale più sana: pensate invece quando un "furbetto da tatami" CRESCE senza cambiare/maturare... e diventa a sua volta un Sensei!

Io ne incontro parecchi pure di questo tipo "evoluto": sono persone che hanno manipolato loro stesse ed il prossimo per tutta la vita: diventa quindi sempre più complicato per loro cambiare rotta ed ammettere a loro stessi che hanno puntato tutto sul nulla cosmico.

Negli anni ho incontrato...

- docenti che hanno dichiarato di avere i prerequisiti per sostenere un esame, quando sapevano bene invece di non averli;

- docenti che hanno dichiarato di avere lasciato a casa documenti importanti, che si erano invece scordati di produrre;

- docenti che tenevano seminar in città diverse dalla propria per poter incontrare l'amante, lontani dalla possibile interferenza del proprio coniuge;

- docenti che tesseravano nel proprio gruppo la mamma la zia, la cugina, il panettiere ed il giornalaio per dimostrare di "avere i numeri" sul tatami, che ovviamente poi si rivelavano solo fake;

- docenti che utilizzavano la propria posizione di rilievo in seno ad un'Organizzazione di Aikido per "schiacciare" coloro che ritenevano pericolosi per la stessa loro posizione;

- docenti che si sono dichiarati malati (producendo tanto di certificato medico) per non sottoporsi alla formazione, salvo poi essere immortalati sul proprio profilo Social mentre praticano ed insegnano Aikido altrove...

... giusto per fare i primi esempi eclatanti che mi vengono in mente.

Allora - dico io, ad esempio - un cosiddetto "maestro" (la minuscola è una scelta) che per non impegnarsi si dà per malato, cosa può insegnare di positivo con l'esempio ai propri allievi?

Beh, non lo so... ma sicuramente chi lo ha fatto per qualche istante si è sentito "furbetto", ed ha pensato: "Adesso li frego io!!!".

In Federazione ne abbiamo da tempo scovato uno così...  e gli abbiamo dato una "pettinata", porello...

Siccome da anni ci mandava una giustificazione medica (che potrebbe anche essere del tutto autentica, intendiamoci) per avere la scusa di non farsi mai vedere quando era ora di fare formazione... ma dirigeva Seminar per un EPS al contempo... abbiamo iniziato a metterlo fuori quadro, togliendogli di fatto la possibilità di fare il Docente per la FIJLKAM, tanto le cose sono 2:

- se sta male sul serio, non potrebbe né praticare, né insegnare, quindi avere una qualifica d'insegnamento non gli servirebbe a nulla;

- se non sta male sul serio, può comunque continuare ad insegnare per un EPS come ha fatto fino ad ora...

... ma ciò che è certo è che adesso va a fare il furbetto ALTROVE!

Non è che però uno debba fare una guerra santa contro i furbetti... poiché, come già detto, essi si qualificano e si giustiziano da soli.

Ciò che è triste è che possono anche non capirlo, e quindi passare una vita cercando di fregare, in qualche modo, il prossimo... pure praticando una disciplina che afferma che "il prossimo altro non è se non un aspetto di te stesso".

Allora questo Post non intende svelare nulla di nuovo rispetto a quanto anche voi stessi abbiate visto accadere nei contesti nei quali vi muovete: sicuramente qualcuno di voi avrà incontrato qualche "furbetto da tatami" nella propria esperienza.

E attenzione, perché se non ne aveste mai incontrato nemmeno uno, o è perché siete estremamente fortunati, oppure è perché quel furbetto... potreste essere proprio VOI!


Marco Rubatto




lunedì 4 marzo 2024

Saito dame... gli errori del Sensei e le piaghe d'Egitto

La scorsa settimana è accaduta una cosa molto particolare, della quale approfitto per fare insieme qualche riflessione: in un momento di assoluto cazzeggio serale, la mia attenzione è caduta su un video, l'ennesimo clip di Morihiro Saito Sensei che insegna in qualche Seminar in giro per il mondo.

Fortunatamente per noi tutti, i possessori di questi video ormai divenuti storici, talvolta li condividono sui loro canali Social, rendendoli visibili e fruibili a tutto il resto della Community.

Solo TALVOLTA però!

In questo caso, il video proveniva da un seminar tenuto nel 1990 a Nidda, in Germania: si vedeva Saito Sensei eseguire 31 no kumijo, abilmente supportato da Paolo Corallini Sensei, nel ruolo di uchijo.

Beh... fino a qui tutto piuttosto regolare. Tuttavia qualcosa di strano mi era saltato all'occhio, senza che mi rendessi nemmeno conto di cosa fosse.

Ad una seconda visione però... TAAC! Eccolo li: Saito Sensei aveva eseguito tutta la sequenza DIMENTICANDO però la trance di movimenti che va da 13 a 17 (jusan kara - jushichi made, per i nippofili). Possibile... Saito che sbaglia???

SI... proprio lui, famoso per i suoi [駄目] "dame" ("non buono/utile") se ne sarebbe meritato uno a sto giro?

SI, ma può capitare... dalle nostre parti si dice che "sbaglia pure il Papa a dire messa", quindi qualche imperfezione può sicuramente essere accaduta anche a lui.

Ed anche a CHIUNQUE altro, se ci pensiamo, da O' Sensei a Gesù Cristo... perché questi, ben prima di essere divinità viventi (sempre che lo siano state davvero) erano certamente UOMINI.

La natura umana stessa è imperfetta, e ciò non avviene a caso... perché la perfezione ha in sé l'impossibilità di "fare meglio", quindi diventerebbe del tutto improficuo essere qui a migliorare noi stessi, se non potessimo più farlo perché siamo già il top in tutto.

Saito Sensei, per distrazione, fretta... o vai a sapere per quale altro misterioso motivo, tralasciò la sequenza 13-17 nel 31 no kumijo: e allora?

NIENTE, questo ovviamente non sposta di un capello la sua grandezza, la sua competenza ed il suo valore o il senso di gratitudine ed ammirazione che possiamo provare nei suoi confronti per la monumentale opera didattica e divulgativa che ha svolto... tuttavia ho segnalato sotto il profilo di Andreas Wiemann questa stranezza, visto che il video lo aveva postato lui.

La stranezza successiva che mi è accaduta però è stata quella di vedermi BANNATO da questa fonte, dopo avermi reso indisponibili i suoi contenuti Web. Perché? Non lo so, ma ci ha messo veramente non più di 5 minuti a farlo.

Forse ha creduto gli stessi rovinando un mito d'infallibilità?

Non lo so e forse non lo saprò mai... ma per me è molto interessante notare come questo tipo di dinamiche sia del tutto comune nel nostro mondo.

Ho visto sbagliare - dal vivo - molto grandi Maestri, ma di raro ho visto loro ammettere cosa era successo.

Non è il caso di Morihiro Saito Sensei (ce non ho mai visto sbagliare vistosamente dal vivo), ma vi assicuro che ho visto tanta gente cercare di aggiustare il tiro, facendo finta di nulla... anziché ridere della propria imperfezione.

La cosa peggiore che mi è accaduta sul tatami, in merito a ciò, è stata a Lignano Sabbiadoro, nel 2006: mi ricordo ancora la sessione di pratica, ero la con un mio allievo ed amico... il tema della sessione era "ken awase" (manco a farlo apposta, ne parlavamo sul questo Blog proprio la scorsa settimana!).

Ad un certo punto il Sensei mostrò la pratica di ogni esercizio nella modalità "dankai teki ni" e quindi quella "awase"... ma lo fece solo per go no awase e per shichi no awase. Fra di essi, però, ci aveva fatto praticare anche roku no awase... ma questo direttamente nella modalità di armonizzazione dinamica.

Alla fine della sessione, egli chiese agli astanti se ci fossero delle domande: il mio amico quindi gli chiese perché avevamo fatto roku no awase direttamente in dinamica, saltando la forma dankai teki ni.

Il Sensei, dopo avere sentito la domanda (l'unica che gli pervenne, fra l'altro), la ignorò... e disse che siccome non c'erano domande allora la sessione era terminata.

NO, una domanda c'era stata, invece!

Probabilmente per questioni di tempo (far stare tutto il programma nelle ore disponibili)... o per una semplice dimenticanza (che ci sta pure!) era stata saltata quella specifica modalità di pratica, ma il Sensei NON volle rispondere ad una domanda che forse gli era suonata come "critica" al suo operato, mentre in realtà era stata rivolta solo per sapere se c'era stato un motivo specifico o didattico per le modalità di pratica che ci aveva proposto... o se fosse stata una semplice dimenticanza.

Nada: le domande PERCEPITE come scomode, impertinenti, o fuori luogo sembrava NON meritare una risposta. Quella fu una delle numerose occasioni che mi suggerirono che il mio Aikido in futuro avrebbe preso delle strade alternative a quella che stavo percorrendo allora.

Da Aikidoka ero ancora sufficientemente inesperto per poter giudicare l'operato di un Sensei di così grande abilità e preparazione, ma da Educatore già sapevo quanto fosse pericoloso, disfunzionale ed incongruente mostrarsi aperto a rispondere a delle domande, se poi di fatto non si ha l'intenzione / il coraggio di farlo sul serio e fino in fondo.

La piccolezza li mi è parsa più dell'uomo, che del ruolo del Sensei o del tecnico: la tendenza diffusa di prendere abbastanza le cose SUL PERSONALE, a mio avviso è veramente un segno di pochezza... mi spiace di doverlo ammettere, ma è ciò che ho provato... augurando certo di sbagliarmi.

Anche questo episodio - da solo - non credo significhi che quel Sensei sia un cattivo insegnante, intendiamoci... è però lo stesso mood di Andreas Wiemann... che ai miei occhi non funziona, ovvero se un allievo riesce a vedere un potenziale errore del suo docente, anziché essere lodato da questi per il suo occhio attento, viene un po' marginalizzato, preso per irrispettoso.

Ma perché, gli Insegnanti possono ancora sbagliarsi?

Ma CERTO che possono, anzi... se non lo facessero più mi preoccuperei parecchio fossi in loro, perché è segno che non sono più in grado di progredire ed evolvere a loro volta... e si troverebbero il fiato sul collo dei loro allievi in un batter d'occhio.

Un paio di errori al giorno, di quelli belli memorabili ed imbarazzanti da ammettere a me stesso ed agli altri, io vedo di farli... a mo di terapia contro l'ipertrofia dell'ego.

Dal mio punto di vista ha poco senso invocare le piaghe d'Egitto contro gli infedeli che dovessero accorgersi che non è tutto perfetto: è come tentare di coprire un letto matrimoniale con un asciugamano... se tiri di qui, scopri di là, e rendi ciò che potrebbe essere visibile ancora più evidente.

Forse è altrettanto vero che in certi ambienti (e l'Iwama Ryu è di certo solo uno fra essi) è poco ammissibile che un Sensei possa essere sorpreso a commettere errori, ed è ancora meno ammissibile che sia un allievo qualsiasi a sottolineare la cosa: cosa si fomenta però in questi casi...

Richieste di cecità selettiva? Quando il Sensei fa meraviglie applaudi forte, mentre quando ne combina una meno felice, fa finta di nulla?

Costruzione di falsi miti viventi? Persone che avrebbero rinunciato alla loro limitatezza umana e percorrerebbero le vie polverose del mondo per indicarci la strada redentrice? C'è gente che ha ancora così tanto bisogno di credere alle favole, per quanto la realtà fa loro paura?

C'è più volontà di costruire "facciate" o autenticità, noi Aikidoka cosa desideriamo per il nostro futuro?

Forse c'è più l'esigenza di mantenere una sorta di controllo sui eventuali dissidenti, un po' come fa il nostro Governo ora con chi manifesta per fermare la carneficina in corso a Gaza... L'Insegnante che dovesse essere sorpreso da un allievo a sbagliare potrebbe vedersi abbassare le sue quotazioni e la sua credibilità... 

Niente di più idiota e falso: l'Insegnante che ha creato allievi IN GRADO di accorgersi di una sua lacuna (per quanto momentanea ed occasionale), ha la riprova che questi sono attenti, presenti e preparati... altrimenti nemmeno sarebbero in grado di riconoscere il lapsus.

Ed anziché temere di poter essere accantonato o superato da essi... egli DOVREBBE dare tutto se stesso perché ciò un giorno possa effettivamente avvenire, poiché il compito di un Sensei è lanciare nel futuro persone migliori di lui, più preparate ancora di quanto egli non sia ora.

Un certo Leonardo da Vinci, in tempi Aikidoisticamente non sospetti, scriveva infatti: "Tristo è quel discepolo che non avanza il suo Maestro" (nel senso di "triste è quell'allievo che non arriva più avanti del suo Maestro").

Ma non siamo ancora giunti a comprendere questa saggezza del 1500, a dimostrazione di quanto Da Vinci Sensei fosse avanti coi tempi... o di quanto noi siamo rimasti indietro rispetto alle nostre possibilità!

Quindi come ci comportiamo?

Non rispondiamo alle domande scomode, banniamo le persone che si permettono di far notare una pecca al nostro Sensei beniamino o mitico: tutto va nella direzione OPPOSTA al DIALOGO ed al CONFRONTO... ovvero a ciò che fa crescere sul serio.

Tutti atteggiamenti di chi lo teme invece il confronto, forse per paura di non aver argomenti particolarmente convincenti da mettere sul piatto, non lo so... ma ci meravigliamo che in generale il nostro movimento faccia fatica a decollare, se ancora pregno di dinamiche simili?

Ci meritiamo ampiamente il nostro parziale insuccesso collettivo, almeno fino a quando saremo succubi di simili atteggiamenti malati del neolitico.

L'unico sbaglio davvero grosso che facciamo e non avere ancora imparato nulla dagli errori in generale... e dagli sbagli che abbiamo fatto fino ad ora in particolare.

L'Aikido è un'altra cosa, e tanti cari saluti ad Andreas Wiemann! 


Marco Rubatto