lunedì 21 febbraio 2022

Programmi d'esame: come nascono, perché sono diversi fra loro?

É interessante andare a ripescare un articolo del lontano 15/09/2008 (quasi 14 anni fa!) che pubblicammo con una ricerca abbastanza inedita sui programmi tecnici d'esame per kyu e dan.

Ed è il momento di raccontare la storia su questa ricerca.

Come alcuni di voi sapranno, nel 2008 ho pubblicato il mio primo libro sull'Aikido, che è diventato il volume nº 23 della collana scientifica federale, con il titolo "Aikido - didattica e pratica".

Bene: per la pubblicazione di questo testo mi ero anche interessato alla ragione per la quale ogni Scuole e stile di Aikido avesse un propio percorso tecnico da indicare ai suoi praticanti, dai requisiti talvolta MOOOLTO eterogenei fra loro.

Ho esaminato circa una decina di Scuole nazionali ed all'incirca altrettanti realtà internazionali, andando a sovrapporre i requisiti richiesti per sostenere un esame kyu o dan, rendendomi appunto conto che le competenze tecniche richieste a ciascun candidato erano (e SONO tutt'ora) funzione del luogo in cui ciascuno ha scelto di praticare.

C'è chi studia armi sin da subito, chi approccia il loro utilizzo da cintura nera... chi basa la progressione su 10 gradi kyu, chi su 6... chi richiede il randori solo da un certo grado in poi, chi ne fa qualcosa di essenziale sin dall'inizio.

La mia intenzione era di pubblicare questo studio per far riflettere su cosa abbia spinto le mani che hanno scritto questi programmi tecnici a farli in un modo anziché in un altro, poiché ciascuno di essi presenta dei lati luminosi e dei lati in ombra.

Si trattava di capire "il codice" di cosa si vuole ottenere dagli allievi facendoli studiare le cose in un determinato ordine, o cosa spinga a far studiare una cosa in un modo anziché in un altro.

Un piccolo esempio: per l'Aikikai di Tokyo (e d'Italia e di Francia) la presa katate dori aihanmi è fondamentale, si trova ovunque sin da subito e molte delle tecniche d'esame dei primi gradi partono proprio da questa forma d'attacco.

Nell'Iwama Ryu non è per nulla così: si da subito compare ovunque katate dori gyaku hanmi e katate dori aihanmi arriva solo da 2º kyu e per una tecnica sola (kotegaeshi).

Anche le nomenclature sono differenti: nell'Iwama usiamo "katate dori" (e basta, senza aggiungere altre parole) quando intendiamo "katate dori gyaku hanmi", mentre usiamo il termine "kosa dori" o "hantai katate dori" ("presa alla mano opposta") quando intendiamo usare "katate dori aihanmi". Ma del resto è sensato: inutile specificare sempre fra 2 opzioni se di solito se ne verifica solo 1 di esse, ci basterà specificare "l'altro modo" quando da 2º kyu vogliamo fare kotegaeshi!

Immaginate ora uno che fa Aikido da 2 mesi, che si trova coinvolto in un allenamento di una di queste due Scuole, ma appartiene all'altra: il casino gli arriverebbe non solo per COME vengono fatte le cose, ma pure per COSA si fa e per COME lo si chiama.

Quindi risultava particolarmente interessante fare questo studio comparativo per comprendere che i programmi tecnici hanno molte declinazioni nelle quali essere letti... e che possono esistere modalità di apprendimento anche molto differenti da quelle alle quali ci hanno abituato nella Scuola che frequentiamo abitualmente.

Per tutte queste ragioni, questo studio era stato inizialmente incluso nel volume "Aikido - didattica e pratica", ma prima della pubblicazione, i responsabili di allora mi chiesero di toglierlo, poiché a dire loro "pubblicizzava l'Aikido della concorrenza", mentre sul volume avrebbe dovuto comparire SOLO ciò che riguardava l'Aikido Federale (segno che non ebbero capito un tubo del valore di questo studio comparato, fra l'altro!).

Allora feci l'unica cosa che al tempo mi era possibile: obbedii, ma resi scaricabile questo studio comparato nella sezione DOWNLOAD di questo blog, e se andate a guardare... è ancora li! 

(scaricatevelo se non lo avere fatto 14 anni fa ^__^)

Ora questo studio risulta vetusto e molte cose sono cambiate in tantissimi ambiti (in Federazione per primo, nella quale ora si fa un po' più di fatica a dirmi cosa devo o non devo pubblicare), ma ciò che non è per nulla cambiato è come gli Aikidoka sono ancora abituati a non capirsi per il fatto di avere scelto dei modi differenti (spesso analoghi, spesso complementari) di apprendere.

Dall'esperienza diretta sul tatami ho sempre più chiara la differenza fra la didattica e la pratica (e ringrazio quindi sempre di più il Mº De Compadri che mi aiutò a trovare il titolo migliore per rio mio testo!) e che certe scelte operative (come quella di mettere una tecnica in una lista, anziché in un altra) sono questioni metodologiche legate a 1000 variabili differenti:

- facilità/difficoltà di esecuzione

- possibilità di legarsi più o meno bene al resto del programma proposto

- significato attribuito a determinate pratiche

- ordine di importanza percepito dall'Insegnante

- tendenze generali della Scuola/Stile al quale l'Insegnante appartiene

- necessità di omogeneità rispetto ad altri ambiti collegati all'Insegnante di riferimento

- ...

Ed è anche vero che queste liste di solito NON sono scritte dal Dojo Cho in basso a destra, ma direttamente dai capi Scuola, ovvero da persone che un minimo di 3 decadi di Aikido sulla gobba cele hanno di sicuro. Certe scelte quindi vengono fatte alla luce della loro esperienza.

Tuttavia è anche vero che un approccio non esclude la bontà di un altro: semplicemente nessuno investe una cicca nel "tradurre" il senso ed il valore delle metodologie altrui, facendo percepire ad allievi e praticanti che l'Aikido possiede una molteplicità di interpretazioni che può risultare ad essi molto utile... oltre che sono dannosa o fuorviante.

Se uno diventa cuoco diplomandosi ad una Scuola di cucina tailandese avrà certe competenze, ad una Scuola italiana si insegna altro... ed in una messicana altro ancora: ma nessuno impara ad avvelenare i propri futuri clienti. Mi pare piuttosto ovvio, no?

Anzi, a livelli più alti, ciascun cuoco cerca volontariamente delle CONTAMINAZIONI con altri stili, altre scuole, altre materie prime e modalità di preparazione del cibo: una volta che possiede basi chiare, è infatti possibile uscire dal recinto della propria esperienza ordinaria ed andare ad esplorare i mondi che sono differenti, ma sempre inerenti al cibo ed alla sua preparazione gourmet.

Ci avviciniamo quindi alla questione cardine del problema: di solito l'Aikido è studiato così poco e male che il praticante medio si perde nell'apprendere l'alfabeto (ed in tutte le differenti modalità nel quale ciò può essere fatto), anziché imparare ad utilizzarlo per iniziare a comunicare.

Viene passato un botto di tempo per raggiungere una "tecnica corretta", senza mai fare menzione che ciò che è "corretto" per la nostra Scuola potrebbe risultare piuttosto parziale (se non addirittura fuorviante) da chi ha un approccio differente dal nostro.

Quindi manco tempo impiegato ad ottenere una tecnica "veramente corretta", ma solo "localmente" tale, secondo un approccio specifico, secondo un Sensei che segue una corrente peculiare: vi rendete conto di quanto non si vada da nessuna parte continuando a impostare le cose in questo modo?

Non dovremmo affrancarci da questa complicazione e iniziare a masticare l'alfabeto dell'Aikido per divenire il prima possibile in grado di utilizzarlo a nostro beneficio?

Come dicevo, la maggioranza dei praticanti invece nasce e muore nel pallido tentativo di imitare questo o quel movimento, ritenuto OGGETTIVAMENTE figo da possedere... ma solo per via della propria limitatissima visuale sopra il territorio della disciplina che pratica.

Come superare questo pericoloso ed inutile impasse?

Magari un tempo esso non era ovviabile, ma oggi esistono numerosi strumenti e metodi che consentono a chi lo desidera di imparare una lingua tramite un'App: certo, non sarà comparabile ad un madrelingua, ma potrà iniziare a viaggiare in autonomia, ingrandendo strada facendo il proprio bagaglio lessicale tramite l'esperienza diretta.

É esattamente cosa si può fare anche con l'Aikido: non utilizzando un'App, ma tramite un metodo d'insegnamento snello e basato sui principi della disciplina, anziché ponendo tutte le sue energie su un particolarissimo modo di intenderla. Serve cioè creare Aikidoka in possesso di quella Stele di Rosetta che permette di muoversi liberamente all'interno di OGNI declinazione specifica della pratica, ricordando che ciascuna di esse è un'occasione di arricchimento, non di freno o di esilio.

Non è possibile?

Si che lo è: lo si constata senza problemi osservando quali sono i gruppi di pratica che tendono a morire (quelli iper focalizzati in un dialetto unico dell'Aikido) rispetto a quelli che si ingrandiscono sempre di più (perché stanno imparando ad utilizzare la pratica come "lingua di comunicazione" verso il resto dell'Aiki-mondo).

La Federazione (parlo di questo ambiente perché me ne occupo direttamente ed ho quindi un'esperienza diretta e persona di ciò che dico) sta ricevendo un botto di richieste di ingresso da parte di Insegnanti e Società Sportive proprio perché ha trovato il modo di abbattere queste barriere metodologiche e didattiche, concentrando tutti gli sforzi sul promuovere la disciplina e fregandosene un po' di più del metodo con il quale i praticanti decidono di apprenderla.

Certo, è necessario fissare alcuni capisaldi comuni, ma essi non vengono bloccati da quale presa impariamo il kotegaeshi o da quale metodologia (statica, dinamica, marziale, salutista, filosofica...)  utilizzato per farlo!

Ci sono POCHI paletti comuni e così facendo è possibile lasciare completamente libera l'espressione delle varie correnti... che così fra l'altro imparano a conoscersi, collaborare, fare scambi... a costruire le reciproche tavole di traduzione di ciò che inizialmente non comprendevano degli approcci terzi alla disciplina.

I programmi tecnici quindi sono importanti, è vero, ma dobbiamo ricordarci che sono STRUMENTI e non FINI... e come tali quindi dobbiamo imparare a trattarli.


Marco Rubatto






1 commento:

Unknown ha detto...

Saggio interessante, rilevante. Grazie per il lavoro fatto e pubblicato.