lunedì 14 febbraio 2022

Nage no jo: quello che non si studia, resta da studiare

Quest'oggi mi occupo di dare un primo veloce rimando su una pratica considerata "avanzata"... ovvero gli ultimi 5 kumi jo.

Per chi non lo sapesse, i kumi jo codificati nell'Aiki jo sono 10, e gli ultimi 5 vengono chiamati "nage no jo" perché prevedono un finale che proietta al suolo il partner.

Vediamo innanzi tutto di cosa stiamo parlando nei video breve che segue...



Al di là della complessità di memorizzazione delle varie sequenze, vediamo che la difficoltà grossa che emerge è lo sconfino nel tai jutsu, che avviene proiettando uchi jo (quello che di solito chiameremmo "uke") al suolo.

Chi viene proiettato, cade per via di un contatto e di uno sbilanciamento ottenuto fra sé e l'arma di uke jo... inoltre cade portando la propria arma con sé nella proiezione.

Questi elementi preoccupano e impauriscono entrambi i praticanti (non solo chi cade)!

Forse per questa ragione viene considerata una pratica "avanzata"... ovvero da fare quando il livello degli Aikidoka è elevato, ma non sono mai stato del tutto d'accordo con questa visione, ed ora vi motivo il perché.

La possibilità di giungere ad un risultato notevole NON avviene didatticamente facendo "prima le cose facili e poi quelle difficili": questo è l'approccio occidentale... ma non è quello dal quale provengono le discipline che pratichiamo.

Se pensate a tai no henko, morote dori kokyu ho non avete esattamente dinnanzi esercizi "facili", anzi! Sono complessi e completi... poiché contengono una grande quantità di elementi sui quali porre l'attenzione.

Ci si mette spesso decenni a comprenderli in modo sufficientemente completo, segno che in oriente non si inizia dal "facile", ma al contrario, si inizia dal "complesso" e dal "completo" per avere più tempo per smazzarsi ciò che dobbiamo imparare.

Sotto questo punto di vista, nage no jo deve essere qualcosa di proposto anche ai principianti... ovviamente tenendo conto delle loro (limitate) capacità di ukemi, per esempio.

Il contatto "mio jo" con i polsi o i gomiti del mio compagno risulta all'inizio più "sordo", meno sensibile di quello che avrei se usassi le mani: per questa ragione uke jo teme di fare male al compagno, perché non ha ancora avuto modo di sviluppare una percezione ed una capacità di connessione che si crea solo FACENDO gli esercizi. Non c'è un'altro modo per ottenerla.

Dall'altra parte chi cade avverte l'handicap, l'ostacolo di cadere insieme ad un'arma che - da un lato - costringe le mani a non essere libere di arrivare sul tatami e - dall'altro - crea il timore di cadere SOPRA il jo e quindi di farsi male.

Diversamente da quando queste cose le studiavo io, oggi esistono una moltitudine considerevole di esercizi educativi per cadere, quindi è possibile rinunciare momentaneamente ai tobi ukemi (cadute alte), ma imparare a cadere lo stesso insieme alla propria arma ed in modo del tutto confortevole e sicuro.

Nuovamente: si tratta di un percorso che prima inizia... e prima ci porterà a qualche forma di risultato notevole. Se ci accostiamo ad esso quando siamo già cinture nere, è logico che ci vorranno anni per arrivare dove qualsiasi kyu si sente già a proprio agio, iniziando fin da subito a porsi degli obbiettivi precisi.

A me le "pratiche avanzate" hanno sempre saputo di qualcosa che non si è mangiato il giorno prima e che quindi finisce nel frigorifero, in attesa di essere riproposto a tavola: non esattamente di una primizia, quindi!

Possiamo piuttosto dire che sarà differente vedere esercizi simili eseguiti da due principianti, rispetto a quanto saranno in grado di esprimere due allievi più esperti... ma cambia il livello, la precisione, la velocità, la potenza, la fluidità... non la possibilità di praticare!

Ogni volta che ti dicono che una cosa è difficile, pensa cosa potrebbe perdere chi te lo dice se tu invece riuscissi a farla. Di solito perderebbe in necessità di sua mediazione e quindi di dipendenza!

Ovvio che si può andare per gradi... ma mi fece sempre riflettere l'essere messo a conoscenza di come Saito Sensei organizzasse la didattica nel suo Dojo ad Iwama.

Ero stato abituato a studiare "per livelli", ovvero con persone dall'esperienza comparabile alla mia, con le quali eseguire esercizi di interesse comune ad un traguardo/livello simile.

Bene, ad Iwama (patria della didattica che utilizzo da quasi 30 anni) ci si muoveva in modo completamente diverso: un neofita per le prime lezioni (10-15) veniva affiancato da un senpai, che aveva il compito di introdurlo alla pratica, specie alle cadute... quindi TUTTI insieme a fare TUTTO.

10-15 lezioni in un Dojo tradizionale significano 10-15 GIORNI di tempo, non 6 mesi!

Dopodiché il 5º kyu si poteva trovare a praticare un esercizio con un 5º dan, e poteva accadere che la tecnica fosse per un programma di base, o per uno avanzato: tutti facevano ordinariamente tutto con tutti, quindi cambiava l'intensità, il livello di sensibilità e di consapevolezza... ma non la fattibilità, come dicevo anche prima.

Questa cosa ha fatto svoltare sia me, sia il mio Dojo, nel quale (a parte alcuni momenti specifici dedicati ai vari livelli, che perciò lavorano SEPARATI), di solito la normalità prevede che TUTTI possano mischiarsi e lavorare con TUTTI su qualsiasi genere di pratica e di difficoltà.

Per questa ragione, il consiglio spassionato è quello di iniziare PRESTO con i nage no jo: così da maturare fin da subito una maneggevolezza estesa a tutti, che non potrà poi che risultare di beneficio anche quando si vorrà alzare un po' l'asticella della difficoltà.


Marco Rubatto




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