lunedì 1 novembre 2021

Tutti i Santi dell'Aikido

Oggi ricorre la festa di Ognissanti: nella tradizione cristiana celebra insieme la gloria e l'onore di tutti i santi, compresi quelli non canonizzati.

Ogni giorno dell'anno è dedicato ad uno specifico fra di essi, ovvero per quasi tutti noi ciò che rende possibile l'onomastico, ma oggi ricorre il tempo di una grande preghiera corale a TUTTA la comunità dei Santi, affinché, riconoscendone il valore, l'importanza ed il significato della loro testimonianza... essi possano, in qualche modo, illuminare e proteggere il nostro comminano attuale qui sulla terra.

Nello shintoismo, al quale molto spesso l'Aikido si rifà, non esiste una celebrazione esattamente uguale, ma sovente si utilizzano risorse per pregare i vari kami tutelari, che - pur avendo una natura differente dai nostri Santi - vengono pregati ed invocati per ragioni del tutto analoghe a quelle che abbiamo qui.

La sensazione comune alle tradizioni è che qualcuno di importante ci abbia preceduto ed affrontato ciò che ora noi stessi ci troviamo ad ad affrontare, quindi diviene naturale chiedere a questi lume sul modo migliore di vivere le nostre esperienze. Si tratta di riconoscenza profonda e richiesta di aiuto combinate insieme.

In Aikido, quindi, pure ciascuno di noi potremmo affermare abbia i suoi "Santi in paradiso": quel tal Maestro che ci ha iniziati alla pratica sul tatami, quel Maestrone del quale siamo andati a seguire numerosi stages molto importanti per la nostra formazione... O' Sensei stesso, che con la sua figura rassicurante ci piace prendere da esempio e desidereremmo ci guidasse nelle azioni future.

Veramente poco importa se ci riferiamo a persone già trapassate o ancora vive: ciascuno di noi ha i suoi piccoli "idoli" di riferimento, al quale viene spontaneo offrire venerazione e chiedere lumi, proprio come si fa nella festa di Ognissanti.

Quest'oggi è però altrettanto importante riflettere insieme sull'importanza che ciascuno di noi - inconsapevolmente o meno - da a questa pratica "devozionale" nei confronti di soggetti terzi, e lo diciamo senza voler offendere alcun credo religioso.

Cosa significa affermare che l'Aikido è prima di tutto una pratica PERSONALE?

Che il contesto relazionale, quindi quello anche legato ai soggetti terzi, NON può prescindere la dimensione esperienziale dell'individuo: ciascuno di noi è una sorta di "bolla", che fa cose all'interno di se stessa... immerso in un mare di altre bolle che fanno la stessa cosa.

Il fatto di essere INSIEME influenza di certo i processi interni di ciascuno e questi - parimenti -influenzano di certo ciò che possiamo fare INSIEME, ma... in assenza di questo processo che va "da noi a noi stessi", nulla di PERSONALE sarebbe veramente possibile.

Ed è un paradosso DOVER essere - in un certo senso - completamente SOLI a poter fare una cosa, pur stando in mezzo ad una moltitudine di persone intente a fare altrettanto.

In oriente spesso si utilizza il detto: "Il Maestro ti indica la via, quindi aspetta te a percorrerla", che forse rende bene l'idea.

Il Maestro si è curato di percorrere a sua volta quella stessa via per se stesso, quindi ti può agevolare tutta una serie di info utili se hai intenzione di fare la stessa cosa, ti può offrire supporto mentre la fai... ma NON può farla al posto tuo.

Molto di quanto agiamo è, talvolta, mosso dalla ispirazione e stima per quanto hanno saputo compiere le anime che ci hanno preceduto: in questo senso, il sentimento di stima, di apprezzamento e di ringraziamento verso costoro è naturalmente molto forte... ed è sano che sia così!

Però da qui a chiedere "aiuto" il passo è sia molto breve, sia può risultare altrettanto patologico... se abbiamo sul serio compreso cosa significa "esperienza "PERSONALE".

"Personale" presuppone una "solitudine inviolabile", un luogo nel quale nessun altro può avere accesso, se si vuole continuare ad utilizzare questo aggettivo qualificativo: quindi richiedere un aiuto è qualcosa di molto umano, ma assolutamente INUTILE un campo strettamente personale... perché è proprio questa "solitudine" che colora il valore della nostra esperienza.

Facciamo un esempio: noi tutti siamo pieni di ammirazione per Morihei Ueshiba... che, nato in un villaggio di pescatori, si è vissuto a 27 anni, in PRIMA persona, la colonizzazione dell'Hokkaido (fa freddo, ve lo assicuriamo!!!), al quale sono morti due figli in giovane età, si è vissuto il turbolento rapporto con il suo Maestro Takeda, gli Incidenti Ōmoto Jiken, del 1921e del 1935 (nei quali fu incriminato ed arrestato con l'accusa di essere un pericoloso rivoluzionario politico), le bombe della Seconda Guerra Mondiale, la fondazione ad Iwama di un tempio e di un Dojo, il duro lavoro nei campi... l'allenamento quotidiano estenuante, le pratiche ascetiche sui monti Kumano e sull'Atago San...

Tutte esperienze complicate, che avrebbero fiaccato e devastato la maggioranza delle persone: beh, lui se le è VISSUTE tutte in prima persona... non è apparsa Amaterasu Omikami a tirarlo fuori dal gabbio nel 1935: se gli fosse apparsa, magari lo avrà pure confortato... ma dagli arresti lo ha sottratto un suo allievo, per via del buon rapporto di fiducia che O' Sensei aveva precedentemente creato con lui.

Ovvero dall'esperienza non lo ha "salvato" nessuna forza spirituale: gli è toccato FARSELA, sia nei migliori, che nei peggiori dei casi... e questo ha contribuito a renderlo chi oggi tanto ammiriamo. Ovvio è che in tempo di crisi, il nostro credo interiore può fare assolutamente la differenza, preciò se ci aiuta pregare qualcuno o qualcosa sarebbe idiota non farlo.

Ma non perché ci aspettiamo che qualcuno o qualcosa possa venire a toglierci le castagne dal fuoco: detto male, pregare non può essere una "paraculata" per chiedere uno sconto a ciò che temiamo di vivere!

Sta nell'accettare o meno di viversi la nostra esperienza - SENZA interferenza esterna alcuna - la chiave di volta del senso che potremo trarre dall'esperienza stessa. Anche per questo forse il buon Confucio diceva: "Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita"!

Pescare è difficile, talvolta non si prende niente o quasi: non è un'attività dal risultato così garantito, e non è che pregare Capitan Findus ci riempirebbe la pancia in una di quelle "giornate no"... ci tocca perseverare o scoprire che mangia solo chi è capace di perseverare.

Allo stesso modo, forse in Aikido sarebbe il caso di continuare ad essere grati a chi ci ha preceduto, ma senza aggrapparsi ad essi come a degli oracoli in grado di togliere a noi qui ed ora le castagne dal nostro fuoco. Farlo sarebbe controproducente, perché tocca a noi viverci le nostre crisi, le nostre difficoltà e FORSE diventando, attraverso queste esperienze, qualcosa di più e di meglio di cosa e chi siamo ora.

Lo vedete chiaro nelle nostre community di quanto si rimanga imbrigliatili "dall'amarcord": quella volta "che il Maestro Tada mi ha sorriso", quella volta "che Tissier mi ha confidato il segreto del suo kotegaeshi"... quella volta che ho fatto uke ad Isoyama e sono addirittura sopravvissuto...

"Quella volta che ho sognato O' Sensei che mi ha rivelato che ero io il suo unico e legittimo successore"!

Tutta roba buona, ma poi cosa ce ne facciamo quando restiamo SOLI con noi stessi e con ciò che siamo chiamati a viverci... sul tatami, così come fuori da esso?

Spesso ce ne facciamo forse troppo poco, proprio perché ne diventiamo dipendenti... quindi andiamo (consciamente o meno) alla ricerca di nuovi "momenti wow" che coinvolgano altri, creati grazie ad altri... anziché crearci i nostri... quelli che si generano FORTUNATAMENTE solo se lo desideriamo sul serio noi e nessun altro oltre noi.


I "Santi dell'Aikido" continueranno ad esserci ed a servire molto quindi... così come i Santi, i Sufi, i Kami... di ogni tradizione religiosa, ma NON per alleggerirci il peso che portiamo: principale "personal trainer" dei nostri stessi muscoli sia fisici, che spirituali!

"Chi fa da sé, fa per 3" recita l'adagio... e questo numero in campo spirituale non sembrerebbe essere piazzato proprio li per caso, diciamo. 

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