Esiste in Aikido la possibilità di accompagnare alla porta del Dojo un allievo, o essere accompagnati li dal proprio Insegnante?
Ma certo che esiste...
Ci sono però ragioni differenti che culminano in conseguenze così estreme e modi specifici per congedare o congedarsi. Quest'oggi desideriamo esplorare insieme le situazioni che portano a dover prendere decisioni di questa intensità.
Un occhio alla storia: non avendo l'Aikido una struttura democratica, la tradizione prevede che nel Dojo possano essere ben accolti le persone che il Sensei ritiene lo debbano essere, ed espulsi coloro che non gli sono graditi.
Certo, un Maestro che si rispetti non accompagnerebbe alla porta un suo allievo solo perché gli sta un po' antipatico... ma ci si aspetterebbe che dietro questo gesto estremo venissero celate riflessioni ben meno personali e molto più profonde.Però non tutti i Maestri sono "Maestri rispettabili", quindi talvolta accade che uno si trovi fuori dal giro solo perché ci si è permessi di discordare con proprio Sensei su un qualche aspetto, o - peggio - per una mera questione di antipatia a pelle. Lui è il big-boss, lui decide che non possiamo più stare li e ci chiede di andarcene.
Esistono anche i Maestri che vorrebbero essere rispettabili, ma non lo sono ancora del tutto, quindi quando un allievo specchia loro una propria ombra che non si è ancora disposti ad guardare diritta negli occhi... questi "maestri" preferiscono eliminare lo specchio, anziché utilizzarlo per guardare gli aspetti di sé che ancora non conoscono.
Talvolta uno viene allontanato dal Dojo perché scomodo al suo interno, in quanto non allineato e non allineabile con la forma mentis rigida che il Sensei desidera che permanga fra le sue mura. Ne abbiamo sentiti più di uno dia out-out di questo tipo, e ci fu un tempo nel quale questa cosa toccò da vicino pure noi.Poco male: essere allontananti da un luogo che non è capace di sviluppare comprensione (si badi bene, abbiamo detto "comprensione", non "approvazione"!) può risultare alla lunga un bell'investimento di tempo, poiché nel luogo sbagliato avremmo continuato a perdere il nostro di tempo.
Poi le persone (fortunatamente) cambiano nel tempo, perciò un luogo che sembrava essere all'inizio molto adatto all'allievo XYZ , potrebbe non esserlo più dopo alcuni anni. Non è mai un dramma accorgersi che qualcuno è nel luogo sbagliato sul nostro tatami (se si è l'Insegnante) o che noi siamo nel luogo sbagliato (se siamo allievi): basta sapere come dirselo e come uscire da tale impasse.Infatti NON è sempre per una mancanza/piccolezza del Docente che ci può venire chiesto di andarcene... o di avere noi per primi la voglia di farlo. Facciamo alcuni esempi pratici.
Il Sensei si accorge che un allievo non sta progredendo: prova a farglielo presente in ogni modo in cui egli è capace, comprese nuove modalità che impara ad uopo per comunicare con "il soggetto difficile", se servisse; prova a motivarlo, a spronarlo...
L'allievo però NIENTE... sta li, accartocciato su se stesso, come se venire sul tatami fosse più un'abitudine che qualcosa di utile a sé ed al gruppo di cui fa parte. A questo punto parte il count down: scaldare semplicemente il tatami è qualcosa che si rivela dannoso, oltre che non proficuo ad un certo punto... ed ecco che il Docente potrebbe a ragione chiedere di non rinnovare la propria iscrizione al Dojo.
Caso peggiore: l'allievo si rivela una sorta di "infestante" per il gruppo, ovvero una persona disgregante, che spesso si comporta in modo non affine ai principi della disciplina ed al reishiki di un tatami. In questi casi, senza nulla di personale nei confronti dell'interessato... accompagnarlo alla porta diventa un preciso dovere e responsabilità del Sensei, a costo di apparire antipatico agli occhi di qualcuno.
Possiamo fare molto con l'Aikido, compreso lavorare sui nostri limiti e sulle parti in ombra di noi stessi... ma è impossibile imporre di avere seria e fattiva intenzione di realizzare tutto ciò; è possibile essere frenati da sabotatori interni ed esterni, ma ad un certo punto - se l'intenzione è reale - dobbiamo poter fare una differenza.
Ogni allievo di solito ha intenzioni più che ottime dentro di sé: altra cosa è poi la sua determinazione nel renderle qualcosa di concreto e manifesto per sé e per i suoi compagni. E ci sono quindi casi nei quali attendere che ciò si verifichi NON è più un opzione, specie se di pazienza se n'è già avuta tanta.Ad un certo punto scatta il "Ok, grazie ma stop qui!". Risulta molto sano per tutti sapere che il proprio margine di "gioco con se stessi" in alcuni ambienti è limitato, altrimenti si sbrodola in qualcosa che ha dell'assistenzialismo di qualche caso patologico, ma saremmo in una dinamica malata e fuori mandato.
I casi "patologici" (leggi quelli che dicono "scusa, non lo faccio più"... però poi ci ricascano) ci sono in qualsiasi assembramento umano, ma in Aikido la concentrazione è del tutto considerevole, visto che le persone di solito intraprendono una disciplina anche per lasciarsi alle spalle dinamiche simili.
Allora è il caso di essere seri... e rimandare a chi non sta facendo un buon lavoro che smetta o le conseguenze saranno evidenti per questi in primis.Non crediamo che sia lecito bandire per sempre una persona dalla pratica, anche se ci trovassimo difronte ad un pazzo killer dalla personalità multipla: quello che è importante è fargli arrivare il messaggio "Così basta!"... oppure "Ora ci diciamo ciao, fatti rivedere SE qualcosa in te sarà cambiato".
In questo modo nessuno si sente svalutato per ciò che è, ma responsabilizzato per ciò che fa.
Se in futuro qualcosa dovesse maturare e le condizioni dovessero essere differenti, potremmo forse rivalutare il caso di riammettere al corso chi abbiamo accompagnato alla porta... ma è bene sapere che i gruppi di persone che lavorano insieme NON devono diventare cloache nelle quali ciascuno scarica un po' della propria immondizia personale.
Per questo è sacrosanto allontanare o venire allontanati dal luogo della pratica, quando perde di senso stare in un gruppo solo perché ci si era annessi ad esso illo tempore.
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