È piuttosto risaputo che in Aikido un utilizzo troppo massiccio della forza fisica può essere sinonimo di cattiva comprensione dei suoi principi ed incapacità di trovare gli angoli migliori, a livello tecnico.
Questo non solo è vero per la nostra disciplina, ma lo è per le arti marziali in genere... in quanto una delle leggi comuni, sulla quali tutti concordano, è che un movimento "buono" è quello che ottimizza il rendimento fra risultato ed energia impiegata per ottenerlo.
La natura ottimizza ogni suo processo, cercando di minimizzare l'impiego di energia e massimizzando i risultati: più sappiamo essere "naturali" quindi... più il nostro Aikido saprà portare frutto.
Tuttavia il precedente assunto si presta ad essere interpretato anche in modalità più estrose ed apparentemente convenienti: sapete qual'è la più ricorrente?
"Non bisogna usare troppa forza" diventa "non bisogna fare troppa fatica"... che è una cosa molto differente invece!
Quando intraprendiamo il nostro percorso sul tatami forse non lo sappiamo, ma dobbiamo sicuramente essere molto distanti da quella "naturalezza" che tanto tutti agognano, nei gesti, nelle relazioni, nei movimenti.
Se così non fosse, saremmo già "l'Aikido" e non avremmo bisogno di alcun corso per studiare e migliorare.
Nessuno nasce già "imparato" insomma... e se veniamo al mondo in modo naturale (ma inconscio), spesso necessitiamo decadi di impegno per essere naturali in modo scelto e consapevole.
Quindi la naturalezza - che di per sé richiede di non usare più energia di quanta ne occorre - è appannaggio di coloro che si impegnano per ottenere un tale stato... non per i lavativi che lo fraintendono con "scegli sempre la strada di minima resistenza"!
Abbiamo notato più e più volte nel mondo degli Aikidoka una certa propensione ad accontentarsi facilmente e di risultati piuttosto mediocri: questo atteggiamento però non fa molto onore alla disciplina, perciò abbiamo deciso oggi di rifletterci un po' insieme.
Le gocce d'acqua quando cadono seguono il percorso di minima resistenza... Gli allievi, quando è ora di impegnarsi, sanno molto bene fare come l'acqua, ma questo non è un segno del fatto che hanno già raggiunto un elevato grado di naturalezza... bensì che sono immaturi.
Sovente vediamo in giro per l'Italia (ma anche all'estero) persone che si presentano agli esami "tentando la sorte"... nella speranza che venga suggellata loro una posizione di fronte alla comunità (con un grado, una qualifica), ma non perché essi SONO CERTI di meritare questi riconoscimenti.
Desiderano averli (e già ciò la dice lunga di come loro "non specchino" tali posizioni), ma non sono disposti ad affrontare il viaggio serio ed impegnativo che li porterebbe a MERITARLI senza ombra di dubbio per alcuno.
Un grado tecnico, infatti, presenta dei requisiti MINIMI, ma non dei requisiti MASSIMI: ergo, chiunque può presentarsi agli esami quando ha appiccicato "il minimo del minimo sindacale" come un post-it, o lavorare - magari anche di più di quanto richiedibile - ma per assicurarsi di essere ciò che ritiene di pretendere dagli altri come riconoscimento.
Non ci si può presentare ad uno shodan impreparati, su!
É molto triste iniziare il proprio percorso da yudansha con l'esaminatore che deve chiudere entrambi gli occhi come atto di misericordia per promuoverci, non credete?
Ma pazienza uno shodan, che non ha elementi preesistenti per valutare bene forse... giacché non ha mai sostenuto esami DAN, ma cosa dire di un 3º, un 4º, se non un 5º dan che ti dicono: "Io vorrei fare l'esame", e tu sai per certo che stanno SOPRAVVALUTANDO le loro consapevolezze?
Forse che l'abitudine a scegliere sempre la via facile ed in discesa è ciò che fa ritenere ad alcuni che sia idiota impegnarsi sul serio per ottenere ciò che uno desidera!
Ma non è così, purtroppo... o per fortuna.
In effetti, se ci impegnano a fondo ed un percorso ci costa vero ingaggio, passione e fatica... saranno anche molto più pregnanti e significativi i riconoscimenti che ne trarremo: se invece questi ci cascano dal pero, rischiamo di essere persone come prima, ma con un pezzo di carta giapponese in più appeso al muro.
Più che cresciuti, diventiamo pataccari, insomma.
E che dire di quegli allievi che magari si accostano a noi provenendo da altri percorsi, che sembrano molto entusiasti della via che hanno intrapreso - che magari consente loro di esplorare aspetti dell'Aikido che non erano compresi nel percorso precedente - ... ma che appena si accorgono che però questo costa fatica, dedizione ed impegno... fuggono via a gambe levate?
Raggiungere determinate abilità costa tempo, risorse, costanza... talvolta pure frustrazioni di varia natura: però che bello quando poi ci arriviamo in modo naturale e maturo.
Crescere sarà sempre un processo "faticoso", ma questo è ovvio: quando si studia chimica si sa bene che gli stati energetici degli atomi sono quantizzati. Ciò significa che per passare da un livello energetico al successivo è necessario aggiungere un surplus di energia capace da farci fare "un salto" di qualità.
Questo accade quando sei neofita assoluto, 4º dan o la reincarnazione stessa di O' Sensei!
Poi, una volta passato dallo stato "A" (quello prima dell'impegno ampio e costante) a quello "B" (quello dopo l'impegno ampio e costante)... è facile che riconosceremo che B sembra più naturale di A.
Ora forse lo riconosciamo, ma in A questa possibilità ci era negata e ciò che è stato necessario, ovvero "il costo" di questa consapevolezza è stato appunto una dose di impegno, costanza, dedizione e FATICA.
Per riscoprirsi di essere naturali è quindi necessario un momento nel quale ci appare di NON esserlo per niente, in quanto ogni centimetro di avanzamento ci sembra lungo e difficile come un chilometro!
In questo frangente ci potrebbe sembrare di fare un botto di fatica per ottenere risultati tutto sommato parecchio scarsi: cosa che pare CONTRARIA al principio che abbiamo enunciato in apertura.
Questo processo si chiama "apprendimento" e funziona nello stesso modo in tutte le discipline!
Per questa ragione abbiamo ritenuto importante scrivere queste righe, poiché i principi sono una cosa importantissima, ma la loro interpretazione dipende (purtroppo?) dal livello di consapevolezza di chi li osserva.
Siamo forse tutti in viaggio verso una condizione di maggiore naturalezza, spontaneità ed efficacia... ma questo viaggio non può esimersi dall'essere irto di insidie, ostacoli ed avversità: per paradosso il valore di ciò che otterremo sarà proporzionale alla quantità e qualità di insidie attraverso le quali decideremo di avventurarci.
"Be water, my friend" raccomandava Bruce Lee... e crediamo avesse ragione, però egli non ci pareva fosse uno che si accontentasse dei requisiti minimi per passare un esame!
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