
Il tema che scelsi di condividere è "il ponte che collega la tradizione tecnica (di tai jutsu e buki waza) con la dimensione della pratica spontanea" ed al di fuori da ogni lineage tecnico.
Questo perché sento prioritario che possa essere stabilito un legame forte e stabile fra la didattica tecnica e la saggezza contenuta nella tradizione dell'Aikido... e le nuove frontiere dell'esplorazione di quest'affascinante disciplina, che stanno ai nostri giorni anche studiando ed affinando una "didattica della libertà".

Allenare un kata risulta molto importante...

Questo tipo di allenamento in giapponese si chiama "keiko" [稽古] il cui etimo significa "pensare/riflettere/meditare sul passato, su ciò che è già stato": si tratta quindi di un RITO, che in qualche modo vuole rinvivire un'esperienza precedente tramite la sua ripetizione consapevole.

Si tratta di uno studio di analisi, basato sulla razionalità e sulla capacità di "forzarci" ad uno schema prestabilito (non è il termine migliore che userei, ma è giusto per risultare più comprensibili).
In questo contesto esistono "giusto" e "sbagliato"... ed è fondamentale la finalizzazione del proprio agire: "so cosa voglio ottenere e provo ad ottenerlo".

L'allenamento è basato sulla capacità di cogliere le differenze fra quello che facciamo ed un modello ideale di riferimento... mostrato dal proprio Insegnante, di solito.
Per fare questo, risulta fondamentale sviluppare ed affinare le proprie capacità di giudizio e di critica.

Una cosa storicamente interessante è che O' Sensei crebbe SOLO con queste modalità di apprendimento dai suoi Maestri e credo che esse siano state anche il piatto forte degli insegnamenti che siede - a sua volta - ai suoi allievi.

Oggi però non siamo nel 1900 e non siamo (tutti) in Giappone: anche questo è un altro dato di realtà.
Per questa ragione con l'Evolutionary Aikido Community da numerosi anni abbiamo iniziato a studiare una sorta di "didattica della spontaneità"... e nella mia demo quindi l'ultima parte è dedicata proprio ad essa.
Innanzi tutto abbiamo una pratica che, polarmente al contrario di quella tecnica:
- non è basata sulla ripetizione, ma sull'unicità di un movimento;
- non è basata sul copiare un movimento di qualcuno, quanto sull'interpretare in modo emotivo il momento che si vive;

- non è basato su una forma di giudizio critico, quanto mantenere ascolto e presenza durante ogni istante del movimento... sia quando si è soli, sia quando si è in contatto con il partner;
- non è basato sul senso del dovere nel miglioramento, ma sul piacere di ciò che si vive istante per istante.
I parametri sono quindi molto diversi rispetto al keiko tradizionale: sono proprio polari ed opposti!
Questo tipo di allenamento porta il praticante alla capacità di fare contatto con il proprio mondo interiore, spesso attraversato da emozioni difficili da comprendere in modo razionale... e far esperire come questo "mondo interno" abbia un impatto molto profondo con ciò che avviene "fuori".

Questo approccio - inizialmente - risulta ben poco marziale e molto più simile ad una danza... quindi ovviamente tutti i detrattori di ciò che non è tradizionale non indugiano un secondo a definirla "merda" (ho cercato di essere più aulico possibile!)... però - a livello collettivo - risulta qualcosa di completamente diverso e piuttosto interessante...

Il video quindi fa oltre 1500 visualizzazioni in una settimana... e gli apprezzamenti sono circa in rapporto 6 a 1 rispetto a chi disdegna il lavoro (dato rilevato il 5/02/2020, 7 gg dopo la messa on-line del video).

Dicevamo, che a livello storico si è visto che O' Sensei giunse al livello della creativa spontaneità nella disciplina dopo decadi di studio severo e minuzioso della forma: come mai che ciò accadde?
Ovvero: perché lo studio della "forma" può un giorno dischiuderci i reami della "non-forma" e della spontaneità?
Semplice: perché apparteniamo ad un sistema apparentemente duale, ma in realtà non-scisso... quindi quando si punta verso EST ad un certo punto proseguendo ci si trova inevitabilmente ad OVEST, ovvero all'opposto della direzione in cui si presumeva di arrivare.
Così quando mettiamo le mani nella neve, esse si "bruciano": andiamo verso il freddo QUINDI il principio del caldo si fa vivo.
Ci viene la febbre, la temperatura del corpo sale, ma ci vengono i brividi di freddo: andiamo verso il caldo, QUINDI il principio del freddo si manifesta.
Sotto questo punto di vista perciò è corretto: se digeriamo quintali e quintali di forma, un giorno dovremmo in effetti risultare completamente liberi da essa... tuttavia come mai che la quasi totalità di chi in Aikido sta agendo in questo modo NON addiviene a questo stato di Takemusu Aiki?
Cosa differenzia i praticanti odierni da O' Sensei?
Molte cose e non solo legate alle capacità personali: il momento storico, la cultura in cui ciò si ambienta... ma banalmente anche il TEMPO che si ha a disposizione per dedicarsi all'Aikido - che nel caso di O' Sensei era H24 - mentre per un praticante occidentale medio se sono 3 ore alla settimana spariamo fischi e mortaretti!

Possiamo da SUBITO studiare la forma, come tradizione vuole... ma altrettanto da SUBITO possiamo studiare le caratteristiche e la dinamiche che ha la spontaneità e studiare i principi anche SENZA che essi siano per forza contenuti in un pattern tecnico.
Così facendo, anziché dalla base andare verso la cima della piramide... è come se fossimo a metà della piramide e ci dirigessimo contemporaneamente sia verso la base, che verso la cima.

Fare Aikido per storcere il polso ad un rapinatore risulta piuttosto semplicistico, rispetto ad utilizzarlo per affrontare le paure che si anno (del rapinatore, come di qualsiasi altra cosa ce ne faccia).

In seguito mi ha chiesto di fondere, bilanciare ed integrare yin e yo... e di manifestare il principio della "leadership": non è che ci sia un modo specifico di fare una cosa del genere mentre ti attaccano in 3, però è possibile fare contatto con le proprie sensazioni, emozioni ed idee sul tema... e provare a trasdurli in movimento.
Il risultato lo potete vedere nel video seguente:
- minuti 0 -> 14 FORMA
- minuti 14 -> 23 SPONTANEITÀ

Non è tanto per il 5º dan: ero già 5º dan da alcuni anni per la FIJLKAM... questo però è il MIO modo di essere di praticare ed insegnare Aikido... cosa che spesso in un'istituzione come la Federazione non è possibile fare completamente emergere, per svariate ragioni.

Allo stesso tempo, mi sento fortunato di poter condividere questo momento con voi tutti: nella tradizione i vari gradi "dan" hanno un significato ben preciso:
- 1º dan: grado "dell'allievo che cerca la via";
- 2º dan: grado "dell'allievo all'inizio della via";
- 3º dan: grado "degli allievi riconosciuti";
- 4º dan: grado "degli esperti tecnici".
Con la cintura nera, da "mudansha" [無段者] si diventa "yudansha" [有段者] (il "guerriero"): il 5º dan risulta il grado "della conoscenza", nel quale si più acquisire il tutolo di "renshi" [錬士] ("persona che forgia") e si accede di diritto alla categoria dei "kodansha" [古段者], ovvero alla "maestria spirituale".

- se anziché "godan", scriviamo "god han"... in anglo-giapponese diciamo "semi-dio" [神半];
- se anziché "godan", scriviamo "gohan"... in giapponese può significare sia "cattivo giudizio/erronea valutazione" [誤判], sia "pranzo" [午飯];
- se anziché "godan" diciamo "gadan"... in piemontese il significato risulta ulteriormente molto differente, "babbeo, tonto" [ガダン]!
Voglio quindi pensare che godan non sia per nulla un traguardo, ma la partenza di un viaggio che si preannuncia essere sempre più entusiasmante... consapevole che da "semi-dio" a "babbeo" la distanza può essere letteralmente piccola!
Marco Rubatto
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