lunedì 19 settembre 2016

決め Kime, il sale della pratica dell'Aikido

Quanti di voi hanno sentito pronunciare sul tatami la parola [決め] kime?

Molti crediamo... di cosa si tratta?


L'ideogramma"" letto [けつ] "ketsu" significa "decisione", "votazione"... il verbo "kimeru" [決める] significa "decidere, "scegliere", "determinare", "costruire/ricomporre la propria mente o il proprio cuore a riguardo di qualcosa", "risolvere", "stabilire", "impostare", "nominare"...

... un insieme piuttosto significativo di valori, potremmo dire, che però non finiscono qui: "kimeru" [決める] può anche significare "persistere nel fare", "ad andare fino in fondo", "determinare il risultato di una partita" (quindi in questo senso "vincere"), "effettuare con successo" (un movimento nello sport, una posa di danza, ecc)", "riuscire nel fare", "essere determinati ed avere un atteggiamento assoluto" (es: immobilizzare con una leva serrata e determinante nel Sumo, nel Judo, ecc).

Avere kime nelle proprie azioni, metterci kime... quindi può effettivamente fare la differenza!!!

Ma quando esattamente nella pratica questa differenza diviene evidente?

Un uke che attacca senza kime è di fatto una freccia che non ha scelto di essere scoccata nella direzione del bersaglio: è uno portatore inconscio di un'energia che viene chiesto a tori di accogliere, armonizzare, dirigere.

Ma che gusto ed utilità risiedono nello schivare automobili che non stanno per investirci, pugni che potrebbero anche non colpirci?

Ben diverso invece accade quando siamo il centro dell'interesse di qualcun altro - di uke in questo caso - ed egli ha deciso CONSAPEVOLMENTE di metterci al centro della sua attenzione e dell'energia che ci invia.

Nelle arti marziali questa energia ha di solito un compito apparentemente distruttivo, cioè lui ci attacca per ferirci, danneggiarci, lederci (fisicamente, emotivamente, etc)... ma la cosa più importante è che questo impeto nei nostri confronti ha un ruolo trasformativo e non può essere ignorato.

Un pugno ci arriva in pieno volto e ci trasforma la faccia in un insieme di lividi... ma proprio perché contiene il kime dell'attaccante, ossia la sua intenzione!

L'intenzione di un attaccante (o di un attaccato) è fondamentale perché è in grado di "parlarci di lui", di conoscere il suo sistema di valori e di credenze, mostra il suo carattere e temperamento... ci mostra "chi è" sul serio, insomma.

Questo è il primo elemento che fa realmente emergere l'importanza del kime: esso è una diretta emanazione di una SCELTA personale di MANIFESTARE le proprie intenzioni più autentiche e profonde, e non solo di apparire... potremmo dire che nel kime risiede lo spirito stesso di chi agisce, e quindi è un importantissimo strumento che tenta di coniugare il FARE all'ESSERE!!!

"Parla come mangi!" si dice dalle nostre parti... quindi il proprio kime è una sorta di biglietto da visita unico e quindi preziosissimo: ricevere il kime, la decisione, la scelta di qualcuno che mette tutto se stesso in ciò che fa dovrebbe essere quindi un onore immenso, oltre che ad una grande responsabilità!

Agire senza kime invece è come essere eternamente insignificanti, "tiepidi"... e giusto per capirci, le parole più dure del dio cristiano nella Bibbia sono ad esempio proprio riservate a coloro che agiscono in questo modus operandi: "Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca" [Apocalisse 3:16].

Indissolubilmente legato al concetto di agire con determinazione c'è infatti il proprio senso di responsabilità per ciò che si fa: cosa ne sarebbe di un principiante attaccato con tutto il furore e l'autenticità che un esperto è in grado di conferire ai suoi attacchi?

Una frustrazione inutile da vivere, dalla quale non risulta semplice apprendere qualcosa di significativo: potremmo parlare di sovrastima degli stimoli rispetto alle proprie possibilità di viverli costruttivamente...

Ma anche il contrario è deleterio: un esperto non attaccato con il kime che proporzionalmente gli si addice vivrebbe l'esatto contrario... ossia una sottostima delle sue possibilità di azione e quindi un mancato apprendimento legato ad un ingaggio inutile, per via di uno stimolo di qualità troppo povera o scadente.

Chi agisce, chi attacca - quindi - non lo deve fare soltanto legando qualcosa di autentico di sé dentro al proprio atto... ma anche tenendo in considerazione di chi è l'altro e di cosa egli abbia bisogno per evolvere nel suo studio Aikidoistico/marziale.

Iniziamo a intravvedere come il concetto di kime abbia connotazioni "relazionali", oltre che personali!

Sia "troppo", che "troppo poco" non sono segni di un buon kime: esso è piuttosto un mix complesso da trovare armonicamente nel qui ed ora, ossia in un luogo ed un tempo nei quali le ricette preconfezionate perdono tutte di senso e significato.

Abbiamo per ora e per semplicità parlato del kime dell'attaccante, ma le cose stanno in modo diverso se parliamo di tori... ossia di colui che deve "amministrare" il kime di uke?

NO, anzi!

Diremmo proprio di
Chi viene attaccato, si sta sottoponendo nelle arti marziali ad uno stress volontario per scoprire meglio se stesso, le sue capacità latenti e la sua attitudine ad agire consapevolmente in condizioni sfavorevoli...

... in questo è già presente molto kime!

Nel giro di pochi istanti però tori dovrà fare i conti con la propria intenzione ed anche con quella del proprio attaccante: due punti di vista differenti e conflittuali fin dalla carta.

A quel punto l'Aikido entra a gamba tesa su qualsiasi altra pratica marziale, nel senso che si differenza da esse per la volontà esplicita di ARMONIZZARE il proprio kime con quello dell'avversario... e non quindi far prevalere il proprio su quello dell'opponente al solo fine di evitare che avvenga il contrario.

Come si realizza tutto ciò?

Se la volontà del nostro avversario volesse condurci da Milano a Napoli, mentre la nostra decisione fosse di recarci altrove, dovremmo chiederci se la cosa più proficua è opporci a prescindere alla sua azione (NO Napoli!) o trovare a nostra volta un luogo "comune" nel quale dirigerci, che in qualche modo sia rispettoso di entrambi gli atti di volontà (what about Roma?).

Non si recede del tutto dai propri intenti, così come non si persegue del tutto in essi... affinché - grazie al nostro avversario - si possa venire a manifestare quella famosa "terza via" in grado di cambiarci e farci evolvere.

Non "lui", non "io"... ma NOI!

In questo il kime dev'essere più che mai chiaro e denso nella nostra azione...

Nell'Aikiken - ad esempio - esistono 2 modalità distinte di ricevere un colpo da parte di uchi tachi (colui che attacca con la spada): il primo si chiama "ukeru ken" (il ken che riceve), mentre il secondo è "kimeru ken" (ossia il ken che decide).

Un video è in grado di chiarire il concetto più di mille parole: vediamo qui rappresentati i kumi tachi (combattimenti codificati) della Scuola di Iwama... e notiamo che ogni esercizio parte con una serie di ricezioni che consentono all'attaccante di proseguire la propria azione, sino all'ultimo movimento (appunto il kimeru ken) nel quale la distanza si stringe e gli viene tolta la possibilità di proseguire oltre negli attacchi.



Vedrete il kimeru ken ai minuti:

- 0:46, 0:54 (ichi no tachi)
- 1:33, 1:49 (ni no tachi)
- 2:10, 2:15 (san no tachi)
- 2:40, 2:51 (yon no tachi)
- 3:28, 3:46 (go no tachi)
- 4:09, 4:26, 4:39 (ki musubi no tachi)

È importante qui notare come la DECISIONE (il kimeru ken) di NON proseguire con il duello (che è ciò che desidera l'attaccante, cioè) e quindi di terminarlo NON genera conseguenze a discapito di uchi tachi.

Essere focalizzati, determinati ed intraprendenti non è quindi sinonimo di aggressività o imposizione sul prossimo!

Il kime che si esprime attraverso un'arma, attraverso un'azione è quindi un ottimo biglietto da visita di se stessi e delle proprie prospettive: in Aikido - ad esempio - la spada è stata trasformata in "katsujin ken", cioè la spada della saggezza... che dà la vita, anziché toglierla... offre nuove opportunità di espressione future per entrambi oltre che essere risolutiva.

Non è diverso nella vita, a patto che:

- le nostre azioni lascino trasparire chi siamo, siano cioè ricche del nostro kime;
- le nostre azioni siano la manifestazione dei nostri ideali più alti.

Non è facile tutto ciò, perché non tutto ciò che ci appartiene è sempre conveniente, lodevole o facile da mettere in mostra. Ciascuno di noi ha un sacco di incompiutezze e lati in ombra, ma è proprio per questo che cerchiamo luoghi e situazione nei quali studiare il nostro kime!

Chi di noi ha intenzione di ANDARE FINO IL FONDO con se stesso?




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