Molti crediamo... di cosa si tratta?
L'ideogramma"決" letto [けつ] "ketsu" significa "decisione", "votazione"... il verbo "kimeru" [決める] significa "decidere, "scegliere", "determinare", "costruire/ricomporre la propria mente o il proprio cuore a riguardo di qualcosa", "risolvere", "stabilire", "impostare", "nominare"...

Avere kime nelle proprie azioni, metterci kime... quindi può effettivamente fare la differenza!!!
Ma quando esattamente nella pratica questa differenza diviene evidente?

Ma che gusto ed utilità risiedono nello schivare automobili che non stanno per investirci, pugni che potrebbero anche non colpirci?
Ben diverso invece accade quando siamo il centro dell'interesse di qualcun altro - di uke in questo caso - ed egli ha deciso CONSAPEVOLMENTE di metterci al centro della sua attenzione e dell'energia che ci invia.
Nelle arti marziali questa energia ha di solito un compito apparentemente distruttivo, cioè lui ci attacca per ferirci, danneggiarci, lederci (fisicamente, emotivamente, etc)... ma la cosa più importante è che questo impeto nei nostri confronti ha un ruolo trasformativo e non può essere ignorato.

L'intenzione di un attaccante (o di un attaccato) è fondamentale perché è in grado di "parlarci di lui", di conoscere il suo sistema di valori e di credenze, mostra il suo carattere e temperamento... ci mostra "chi è" sul serio, insomma.

"Parla come mangi!" si dice dalle nostre parti... quindi il proprio kime è una sorta di biglietto da visita unico e quindi preziosissimo: ricevere il kime, la decisione, la scelta di qualcuno che mette tutto se stesso in ciò che fa dovrebbe essere quindi un onore immenso, oltre che ad una grande responsabilità!

Indissolubilmente legato al concetto di agire con determinazione c'è infatti il proprio senso di responsabilità per ciò che si fa: cosa ne sarebbe di un principiante attaccato con tutto il furore e l'autenticità che un esperto è in grado di conferire ai suoi attacchi?
Una frustrazione inutile da vivere, dalla quale non risulta semplice apprendere qualcosa di significativo: potremmo parlare di sovrastima degli stimoli rispetto alle proprie possibilità di viverli costruttivamente...
Ma anche il contrario è deleterio: un esperto non attaccato con il kime che proporzionalmente gli si addice vivrebbe l'esatto contrario... ossia una sottostima delle sue possibilità di azione e quindi un mancato apprendimento legato ad un ingaggio inutile, per via di uno stimolo di qualità troppo povera o scadente.
Chi agisce, chi attacca - quindi - non lo deve fare soltanto legando qualcosa di autentico di sé dentro al proprio atto... ma anche tenendo in considerazione di chi è l'altro e di cosa egli abbia bisogno per evolvere nel suo studio Aikidoistico/marziale.
Iniziamo a intravvedere come il concetto di kime abbia connotazioni "relazionali", oltre che personali!

Abbiamo per ora e per semplicità parlato del kime dell'attaccante, ma le cose stanno in modo diverso se parliamo di tori... ossia di colui che deve "amministrare" il kime di uke?
NO, anzi!
Diremmo proprio di

... in questo è già presente molto kime!
Nel giro di pochi istanti però tori dovrà fare i conti con la propria intenzione ed anche con quella del proprio attaccante: due punti di vista differenti e conflittuali fin dalla carta.
A quel punto l'Aikido entra a gamba tesa su qualsiasi altra pratica marziale, nel senso che si differenza da esse per la volontà esplicita di ARMONIZZARE il proprio kime con quello dell'avversario... e non quindi far prevalere il proprio su quello dell'opponente al solo fine di evitare che avvenga il contrario.

Se la volontà del nostro avversario volesse condurci da Milano a Napoli, mentre la nostra decisione fosse di recarci altrove, dovremmo chiederci se la cosa più proficua è opporci a prescindere alla sua azione (NO Napoli!) o trovare a nostra volta un luogo "comune" nel quale dirigerci, che in qualche modo sia rispettoso di entrambi gli atti di volontà (what about Roma?).
Non si recede del tutto dai propri intenti, così come non si persegue del tutto in essi... affinché - grazie al nostro avversario - si possa venire a manifestare quella famosa "terza via" in grado di cambiarci e farci evolvere.

In questo il kime dev'essere più che mai chiaro e denso nella nostra azione...
Nell'Aikiken - ad esempio - esistono 2 modalità distinte di ricevere un colpo da parte di uchi tachi (colui che attacca con la spada): il primo si chiama "ukeru ken" (il ken che riceve), mentre il secondo è "kimeru ken" (ossia il ken che decide).
Un video è in grado di chiarire il concetto più di mille parole: vediamo qui rappresentati i kumi tachi (combattimenti codificati) della Scuola di Iwama... e notiamo che ogni esercizio parte con una serie di ricezioni che consentono all'attaccante di proseguire la propria azione, sino all'ultimo movimento (appunto il kimeru ken) nel quale la distanza si stringe e gli viene tolta la possibilità di proseguire oltre negli attacchi.
Vedrete il kimeru ken ai minuti:

- 1:33, 1:49 (ni no tachi)
- 2:10, 2:15 (san no tachi)
- 2:40, 2:51 (yon no tachi)
- 3:28, 3:46 (go no tachi)
- 4:09, 4:26, 4:39 (ki musubi no tachi)
È importante qui notare come la DECISIONE (il kimeru ken) di NON proseguire con il duello (che è ciò che desidera l'attaccante, cioè) e quindi di terminarlo NON genera conseguenze a discapito di uchi tachi.
Essere focalizzati, determinati ed intraprendenti non è quindi sinonimo di aggressività o imposizione sul prossimo!
Il kime che si esprime attraverso un'arma, attraverso un'azione è quindi un ottimo biglietto da visita di se stessi e delle proprie prospettive: in Aikido - ad esempio - la spada è stata trasformata in "katsujin ken", cioè la spada della saggezza... che dà la vita, anziché toglierla... offre nuove opportunità di espressione future per entrambi oltre che essere risolutiva.
Non è diverso nella vita, a patto che:
- le nostre azioni lascino trasparire chi siamo, siano cioè ricche del nostro kime;
- le nostre azioni siano la manifestazione dei nostri ideali più alti.

Chi di noi ha intenzione di ANDARE FINO IL FONDO con se stesso?
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