
Noi tante, tante, tante!
Solo che non si capisce bene perché talvolta nei Dojo il gentil sesso faccia proprio fatica a radicarsi e trovare una propria collocazione: ci sono corsi nei quali ogni nuova curiosa si sente praticamente "sbranare" dalle occhiate fameliche dei praticanti simil-cavernicoli, sudati e pelosi, che affollano il tatami... e talvolta i problemi sono addirittura più seri di questi...
Via: fuggi fuggi generale... e nessuna si ferma ad assaporare il gusto ed il valore che è capace di avere la nostra disciplina... come mai!?

Eravamo - solo - brutti, puzzolenti ed inospitali?
Il nostro percorso aveva allora un carattere spiccatamente marziale, e fin qui niente di male, essendo l'Aikido proprio un pezzo di tradizione marziale giapponese...
... ma non c'era nulla da fare: questa disciplina sembrava non interessare a nessuna bambina-ragazza-donna.
Ora le cose sono radicalmente cambiate e circa il 45-55% dei nostri corsi è tutto al femminile, il che vuol dire che nei gruppi siamo riusciti a raggiungere un considerevole equilibrio fra i sessi.

Al nostro Aikido di allora tutto ciò mancava!

... per tenere conto degli altri aspetti che citavamo poc'anzi: se un allievo si faceva male durante l'allenamento, la cosa era più vista come una sorta di "prova del dolore" in grado di rendere forti, una sorta di "iniziazione" per farsi vedere all'altezza di far parte del gruppo... che come una vera e propria distrazione ed errore di qualcuno che aveva portato al ferimento.
Qualche acciacco da allenamento era la riprova che il lavoro era stato serio: ora crediamo che ciò significhi soltanto che il lavoro serio era stato svolto in modo idiota...
Quando uno si prendeva una bastonata, osavamo scherzosamente affermare che "era l'Aikido che si voleva far strada dall'esterno per penetrare fino alle ossa"!

Le donne sono forse fisicamente più fragili dei loro compagni maschietti, ma sono anche strutturalmente più forti, se si tiene conto degli aspetti PSICO-corporei... e questa è forse la ragione per la quale la storia ha forse preferito sottomettere il sesso con il quale l'uomo sapeva bene a certi livelli di non avere speranze di competere.
Le donne hanno mediamente una soglia di sopportazione del dolore molto più elevata degli uomini, hanno una capacità di impegno costante e di focalizzazione dei propri sforzi nettamente superiore alla loro controparte maschile.

La donna ha capillari più delicati, specie negli arti inferiori e una leva portata con una intensità troppo elevata le causa subito dolorosi lividi sotto pelle... quindi la pratica "marziale" va forse adattata... ed il corpo femminile non può - e NON DEVE - essere trattato come quello maschile, ma fondamentalmente, là dove conta, le femmine sono più marziali dei maschi!

Con questi presupposti, le ragazze che non mollano l'Aikido sono destinate spesso a diventare più in gamba dei loro colleghi maschietti!
... lo avreste mai detto?
Quindi, tornando a bomba, talvolta accade che quando una donna si affaccia al mondo dell'Aikido non si senta semplicemente in risonanza con l'ambiente che l'accoglie... forse un'ambiente che le chiederebbe di forzare la sua natura, snaturare la sua femminilità.

Ma è questo he ad una ragazza deve essere chiesto? Trasformarsi in una sorta di uomo mal riuscito per tenere testa agli allenamenti degli uomini?
Non sarebbe forse più equilibrato che le donne apprendessero qualcosa dello yang, almeno quanto gli uomini sono chiamati ad apprendere dallo yin?
Se l'Aikido è un arricchimento, lo deve essere per tutti... facendo si che ciascuno completi la propria mappa del territorio, senza snaturare la propria essenza.

Quando vi notano della loro presenza, consideratelo un'enorme opportunità di crescita per tutto il gruppo, perché lo è!
3 commenti:
Cara scrittrice, tutto quello che vuoi.. D'accordissimo con te, però c'è un ma... Come hai specificato nell'articolo, da me letto con ardito interesse, c'è un segno +, polarità maschile o yang e cioé polarità femminile cioé yang. Quindi non devono essere soli i maschietti ad essere bipolari ma anche le femminucce indipendentemente da corporeità fisica. Però una cosa sono pienamente d'accordo, senza fare attacchi legati al sesso o alla brutalità di uno o l'altro sesso ci potrebbe essere una suddivisione di corsi in base non solo all'età ma in base al peso.
Questo è un argomento molto importante e sicuramente ciò che dice Silvio è pure da considerare. Ritengo che la parità cominci nel non essere considerati inferiori perché la "quota rosa" io se fossi donna la troverei umiliante (è come accettare di diventare una specie protetta!). Non so se riesco bene ad esprimere il concetto, anche io quando pratico mi faccio un check up (fisico e mentale) e soprattutto agli stage scelgo i miei tori con attenzione. Io pratico per crescere e non ha senso se quel giorno il polso duole, allenarmi con colui che ha il sadismo nel sangue quando si deve fare nikkyo ura!. Con lui mi allenerò quando sarò al 100% e ci scambieremo piacevoli legnate. Siamo davvero così sicuri che l'Aikido si debba "adattare" al praticante? L'Aikido siamo noi e come cerchiamo di esprimerlo. Se al dojo ci sono certi praticanti ci sarà un certo tipo di pratica, e ciò è la realtà ovunque sia andato.
Poi c'è un altro aspetto, ci sono dei praticanti che richiedono una pratica vigorosa (ma sempre sana, direi aerobica) ed altri che si concentrano su altri aspetti più sottili. Spesso questo è conseguenza dell'età del praticante, della sua "fame", della sua motivazione etc etcc.. e quando un dojo ha molti praticanti si può con serenità dire che tutti posso soddisfare i propri desideri anche se il praticante non dovrebbe mai scegliere cosa e come farlo ma obbedire al proprio sensei (se mi affido a lui devo farlo in piena fiducia altrimenti la mia "anima" non avrà la certezza interiore di essere sul "giusto" sentiero ed il mio apprendimento sarà solo formale e non da "cuore a cuore").
Dimenticavo che c'è anche l'anzianità in quanto gli yudansha cercheranno per lo più un certo tipo di pratica, i mudansha cercheranno altre cose e i kodansha altre ancora.
Con tanti praticanti la pratica è sana, fa bene allenarsi un poco con i kyu da cui si impara tanto e soprattutto hai un uke non condizionato, dagli yudansha impari quello che ritengo essere la "struttura" del waza mentre dai kodansha si apprendono i principi dell'Arte.
Ma cosa fare se nel dojo si è in pochi? Il kyu è destinato al macello. Senza se e senza ma. Non si può chiedere a chi pratica solo due volte la settimana in quelle due volte di andare al 20%. Io mi alleno poco e quel poco deve essere intenso, al massimo ti vengo incontro al 50% ma l'altro 50% ce lo devi mettere tu.
Lo stesso vale se mi alleno con sensei Rubatto. Se pratico con lui una volta l'anno per dieci minuti a lui sicuramente cambia poco, ma se fossimo solo io e lui nel dojo due volte la settimana per un'ora e mezzo allora ritengo che sensei mi chiederebbe (non a parole ne sono certo) di innalzare l'asticella della mia pratica.
Il problema è che culturalmente il Budo sta alla società occidentale come l'aceto con il latte. Siamo tutti consumatori e pretendiamo che pagando dovremmo avere un certo tipo di servizio.
L'equilibrio deve essere un incontro non una resa ed un appiattimento. Quando il corpo non mi permetterà più di praticare con vigore avrò sempre davanti gli occhi di quei kodansha che comunque salivano sul tatami ed aiutavano noi giovani a crescere anche se in cuor loro volevano essere ancora al centro della mischia.
Dobbiamo ascoltare il nostro corpo, i suoi limiti, e rispettare il ciclo della vita.
Solo così ci può essere vero rispetto per l'Arte senza sminuirla o degradarla ad uso e consumo nostro e del nostro capriccio.
Per colui che ha scritto queste parole dico quanto basta "O Sensei".
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