Per radicamento intendiamo l'atteggiamento con il quale abbassiamo il baricentro fino a renderci stabili, quasi incollati al suolo che calpestiamo: questa propensione è una sorta di "ricollegamento/ancoramento" che ci permette di sopportare notevoli sollecitazioni senza venire divelti da esse.
Il radicamento lavora lungo l'asse verticale, lo stesso sul quale agisce la forza di gravità terrestre...
... poi c'è l'estensione, ossia una sorta di indirizzamento dell'energia al di fuori del nostro corpo fisico, di solito nella direzione del nostro partner o sulla sua linea d'azione: questo atteggiamento agisce orizzontalmente, cioè su una linea parallela al suolo e quindi perpendicolare al radicamento (di cui sopra).
Perché vi parliamo di questo?
Queste due direzioni sono - di fatto - le principali con le quali fare i conti se vogliamo trasferire una forza da un soggetto A ad un soggetto B... ma sono anche le stesse che permettono a B di poter gestire ciò che gli giunge da A...
Più vi muovete lentamente, più l'influenza di queste due componenti della forza di un incontro/scontro divengono evidenti!
Ora fate caso ad ogni Maestro o praticante esperto: tutti hanno una particolare cura ad avere il baricentro basso ed a non farlo fluttuare troppo verticalmente durante l'azione... un po' come se il soffitto fosse così basso da poterci stare sotto senza sbatterci la testa solo piegando le ginocchia.
Notate bene che "radicarsi" significa scendere verticalmente, ma senza inclinare in avanti il busto, bensì continuando a mantenere la colonna ben diritta, quasi come se fossimo appesi ad un filo che sostiene la nuca sulla sua verticale.
Più siamo radicati, meno avremo mobilità, poiché la base di appoggio tenderà ad allargarsi... facendoci assumere una postura piramidale (che ha il baricentro ad 1/3 della sua altezza, partendo dal suolo): in Aikido dobbiamo muoverci parecchio, quindi l'eccesso di radicamento non giova di certo ad agevolare questa dinamicità.
In generale possiamo dire che il radicamento è inversamente proporzionale alla mobilità: il punto però è... quanto questo rapporto è influenzato dallo scambio di energia?
Se ci muoviamo liberi, e dobbiamo solo vincere l'attrito dell'aria, possiamo stare addirittura sulle punte dei piedi, come si fa nella danza classica... ma se dovessimo spingere un'auto in panne, saremmo costretti ad abbassare molto il nostro baricentro, per acquistare l'aderenza che ci consente di trasferire una grossa quantità di energia.
La quota di energia che vogliamo indirizzare "fuori" da noi è appunto rappresentata dall'estensione di cui parlavamo prima: essere mobili e/o stabili risulta facile quando siamo soli... più complesso quando dobbiamo inviare energia cinetica a qualcuno (quando siamo uke) o quando dobbiamo riceverne (quando ricopriamo il ruolo di tori).
Una carenza di estensione ci impedirà l'efficacia che ci eravamo prefissi; un'eccesso di estensione invece ci renderà instabili, sbilanciati verso la direzione in cui inviamo l'energia.
Nel primo caso saremo - in qualche modo - "collassati su noi stessi"... mentre nel secondo potremo rimanere in equilibrio solo grazie all'opposizione dell'energia altrui che annulla la nostra spinta, come avviene nei castelli di carte...
... ma cosa accade se questo appoggio venisse improvvisamente a mancare?!
Ne consegue che radicamento ed estensione sono sue attitudini strettamente correlate fra loro: in Aikido ce ne rendiamo conto in ogni azione ed in ogni scambio...
Diventa curioso riflettere sul fatto che queste 2 direzioni di lavoro, quella verso il centro della terra e quella verso il prossimo, presentano anche forti analogie con le 2 dimensioni della pratica dell'Aikido: quella interiore e quella esteriore.
Siamo consci che esistano queste due dimensioni, personale ed interpersonale, vero?!
Analogamente a quanto avviene nel difficile rapporto fra estensione e radicamento, crediamo ci possa essere un rapporto preciso anche fra il lavoro che facciamo fuori di noi e dentro noi stessi... - nuovamente - una sorta di proporzionalità...
... ci avevate mai pensato?
C'è gente che si impegna tantissimo ad avere risultati nel mondo, che da il massimo per risultare efficace nelle proprie azioni in relazione agli altri individui... che sono quindi sbilanciati nella direzione "dell'estensione", ma che non prestano altrettanta attenzione alla dimensione interiore, al "radicarsi" a qualcosa di più profondo, che permetta di affrontare senza tentennamenti le burrasche del quotidiano.
Parimenti, c'è chi preferisce vivere in un "suo" mondo, magari con un'interiorità ricca e variegata, nutrendosi intellettualmente in modo accurato e profondo, ma guardandosi bene dal manifestare nella società altrettanta capacità di relazionarsi con la realtà mondana.
Cosa è meglio: essere poco stabili su se stessi, troppo poco mobili, poco estesi verso il prossimo o troppo sbilanciati verso di esso?
Possiamo considerare un crimine riuscire ad equilibrare ed integrare queste due aree di lavoro, queste due direzioni in grado di descrivere praticamente la totalità delle nostre interazioni, sia quelle fisiche ed oggettive, che quelle personali ed interiori?
Crediamo proprio di no...
Forse l'Aikido ha proprio il compito di farci esercitare nell'equilibrio di questi aspetti duali e complementari della realtà... e forse la consapevolezza che ne abbiamo può rappresentare la terza dimensione della nostra disciplina... quella estrusa, che trasforma le cartine di Google Maps in edifici in 3D!
La consapevolezza di quanto siamo centrati su noi stessi e di quanto - proporzionalmente - siamo partecipi del mondo potrebbe costituire proprio ciò che fa la differenza nella pratica... e forse anche ciò che distingue un praticante che trae profitto da ciò che fa, da uno che - pur frequentando un corso - si trova sempre allo stesso punto.
Abbiamo voglia di esaminare quanto ci radichiamo verso il suolo e dentro a noi stessi CONTEMPORANEAMENTE a quanto ci estendiamo verso il o i partner?
Siamo consci di quanto siamo presenti a questo difficile ma importante connubio?
Ciascuno di noi è chiamato a porsi l'interrogativo ed a rispondersi con l'intensità che più ritiene opportuna.
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