Le calzature infradito tradizionali giapponesi più note alle nostre latitudini si chiamano zōri: sono una sorta di sandalo infradito che spesso si utilizza per raggiungere il tatami dagli spogliatoi del Dojo/Palestra presso il/la quale pratichiamo Aikido.
Non se ne sa molto in merito, e ciò è evidente dal comportamento incurante con il quale i praticanti lasciano in disordine le loro calzature quando mettono piede sul tatami: ne approfittiamo quindi per riprendere l'argomento e fare un po' di chiarezza.
Innanzi tutto, in un luogo davvero tradizionale in cui si pratica Aikido NON c'è bisogno di utilizzare alcun tipo di calzatura, giacché dalla soglia del Dojo in poi si cammina scalzi in OGNI ambiente, fatta eccezione per la toilette (che ha apposite ciabatte comunitarie a disposizione per chi deve farne uso).
Diventa - oggi come in passato - però importante farne utilizzo quando è necessario attraversare luoghi freddi, aperti, piastrellati in ceramica, marmo: in Giappone l'utilizzo degli zōri divenne frequente per queste ragioni in un Dojo, ma gli zōri sono anche utilizzati come calzature con le quali camminare per strada nella vita quotidiana.
Ma torniamo alle tradizioni legate alle arti marziali, e quindi all'Aikido...
Esiste uno specifico modo di disporre le proprie calzature a bordo del tatami (ove non vi siano specifici porta-scarpe per accoglierli), ovvero con il tacco verso la materassina e la punta verso la via che ci ha permesso di raggiungerla.
Non è semplice lasciare i propri zōri in questa posizione, in quanto il tatami è un luogo da rispettare, sul quale è necessario fare un inchino non appena saliti... ed al quale soprattutto NON è consentito girare la schiena.
NON è quindi corretto per l'etichetta fare una sorta di "retromarcia" con le ciabatte, fino a quando il tacco non tocca il bordo del tatami, permettendoci di liberare i piedi, perché in questo modo accederemmo di fatto DI SCHIENA al luogo di pratica: quanti ne abbiamo visti fare così!
Si arriva con gli zōri che puntano il tatami, si sfilano i piedi e si sale sulle materassine facendo il saluto, QUINDI si sistemano gli zōri con le punte che escano dal luogo di pratica, stando attenti a NON dare le spalle al tokonoma/kamiza.
Un manovra piuttosto articolata e complessa per togliersi della ciabatte, non trovate?!
Comprendendo bene che per la cultura nipponica sia un problema dare le spalle a ciò che si stima ed onora, cerchiamo allora di capire perché sia così importante lasciare gli zōri orientati con il tacco verso il tatami e la punta verso una via di fuga.
Un tempo moltissime strutture - fra cui i Dojo - in Giappone erano fatte di legno (tradizione che dura ancora oggi!): due dei principali nemici quindi di queste costruzioni erano quindi il FUOCO e i SISMI.
Il Giappone è una delle nazioni a più alto livello sismico del pianeta, e viene registrato circa 1 terremoto ogni 2 minuti e mezzo... benché molti terremoti siano al di sotto della soglia di percezione umana.
Sta di fatto che questo popolo ha da sempre avuto a che fare con eventi più o meno forti, che richiedono alle loro case e costruzioni di essere flessibili e pronte ad assorbire le oscillazioni dei terremoti di ogni tipo.
Ancora oggi, molte case e templi - ad esempio - non sono ancorate e terra, ma sono solo appoggiate su delle sorti di pali di cemento... in modo tale che un terremoto "sposti" le strutture, senza distruggere gli elementi strutturali.
Anche l'Aiki Jinja è fatto in questo modo, lo sapevate?
Dal Dojo si doveva poter scappare piuttosto rapidamente ed all'improvviso... e anche qualcuno di noi ci ha raccontato l'esperienza personale di un paio di sismi notevoli, vissuti proprio all'Honbu Dojo di Tokyo e all'Ibaraki Shibu Dojo di Iwama.
Gli zōri - messi nella direzione di poter essere calzati al volo in caso in cui fosse necessario sgomberare i locali in fretta e fura - regalano alcuni istanti preziosi di tempo nelle situazioni di emergenza.
Il fuoco poteva devastare un locale nel giro di pochi minuti, sia per avvenimenti naturali (un fulmine...), sia per incidenti di tipo domestico, sia per attacchi di clan rivali... che spesso venivano preannunciati dal sibilo di frecce infuocate sui tetti di paglia delle abitazioni.
Dal tatami bisognava dunque poter venire via parecchio in fretta, insomma!
Cosa che ne facciamo noi di tutta questa esigenza legata a pericoli che non si possono più verificare oggi, specie alle nostre latitudini?
È possibile trarre qualche insegnamento importante da essa?
Secondo noi si: allenarsi con la prospettiva della precarietà di ciò che stiamo facendo, nella continua possibilità che le cose possano cambiare (anche in peggio) nel giro di un istante... offre molti spunti di apprendimento per un Aikidoka!
Noi ci alleniamo a prevenire pericoli immaginari per abituare la mente ad essere flessibile, una sorta di specchio del tanto famoso "qui ed ora".
Fare attenzione ai piccoli particolari (il modo più corretto di disporre i propri zōri a bordo del tatami, per esempio) si sposa ottimamente con quella disciplina di vivere ogni attimo nel modo più completo e profondo possibile.
La strategia di non lasciare niente al caso, ben consci di non poter tenere sotto controllo praticamente nulla di essenziale... è una delle strade che rendono più significativa la pratica dell'Aikido e di molte altre arti marziali ai nostri giorni!
Rifletteteci: un gesto antico, intriso di significati tutt'altro che banali... se vissuto in modo conscio (e non cioè come un automatismo) è uno degli "insegnanti" migliori che possiamo incontrare sul nostro cammino...
Nessun commento:
Posta un commento