In Aikido lavoriamo necessariamente con un partner nella maggior parte degli esercizi.
Il nostro uke è colui che ci consente, in qualche modo, di crescere ed apprendere via via sempre più sulla disciplina che pratichiamo.
Esistono però molti differenti modi di lavorare insieme: quest'oggi vorremmo vocalizzarsi insieme in particolare su due atteggiamenti estremi - e come tali particolarmente infruttuosi - di interazione.
Il primo di essi è quello che giocosamente chiamiamo nei corsi junior "l'uke mozzarella"...

Chiamatela "paura di quello che potrebbe accadergli", chiamatela "eccesso di premura verso il suo compagno", l'uke mozzarella è di consistenza flaccida ed estremamente malleabile, sempre ed in ogni caso.
Casca, casca sempre... pure prima di ciò che servirebbe, forse per portarsi avanti con il lavoro!
Sta di fatto che a parte i primi 5 minuti in cui ciascuno si sente veramente un incrocio fra l'Incredibile HULK e ODINO nel lavorare con loro... poi comprende che il proprio contributo è minimale e quindi anche la possibilità di apprendere qualcosa da questa interazione.

A volte cadere NON perché le cose siano ben fatte da parte del compagno, ma perché lo si vuole MOTIVARE, risulta piuttosto utile ad indicargli una via, ad suggerirgli che ce la può fare a perseguire i suoi obiettivi: l'uke ora non può più essere definito solo "mozzarella", ma almeno "mozzarella per un nobile fine".
Certo che non siamo sul tatami per vendere o comperare illusioni, quindi agevolare il compagno o venire agevolati ha senso fino a quando non si diventi - via via - capaci di camminare con le proprie gambe ed a metterci qualcosa di nostro in ciò che facciamo.
Ma c'è anche la tendenza diametralmente opposta: l'uke non collaborativo a priori che si crede tale per farti un piacere...

Non si può dargli tutti i torti, in quanto se siamo nel Dojo per imparare, ciascuno dovrebbe avere sempre chiara la sua posizione di persona che deve ancora terminare di apprendere... e quindi la relativa sua possibilità di non arrivare subito a tutti i goal che vengono proposti nell'allenamento.
Tuttavia il non collaborativo a priori fa molto di più...
Egli ostacola sempre e comunque qualsiasi azione, pensando che "nella realtà" nessuno verrebbe a credere nell'Aikido di sua spontanea volontà, specie se riscoprisse il ruolo di chi deve cadere.

Non ci risulta però che in Aikido sia esattamente così.
L'ostruzionista a priori però, volendo far rivivere una situazione pseudo-realistica al proprio compagno, si impegna a fargli trovare più duro possibile l'allenamento con lui, sulla base del comuni pensiero: "Se ti riesce ora che è difficile, ti riuscirà anche quando sarà più facile".
Nemmeno questo di per sé sarebbe suo motivo di errore, secondo noi: il problema è non esagerare però!

Invece no: "più gli uke sono non collaborativi, più è segno che il nostro Aikido è figo"... ma chi lo ha detto?!
Ci andreste mai a ballare con una persona che ha già deciso di non ballare con voi?
Ed a cena con chi vi ha già manifestato la sua antipatia per tutto ciò che gli rappresentate?
Sarebbe un po' un comportamento da Tafazzi...

Se il vostro uke vi ostruisce a priori per darvi la possibilità di confermarvi che siete capaci ad affrontare quella frustrazione ed uscirne "vincitori"... è semplice segno che invece lui crede ancora che ci sia qualcosa che è bene dimostrare al mondo (o a se stessi) e che crede ancora nella dualità "vittoria/sconfitta"...
Ci spiace, ma in questo caso è un suo ENORME problema, che non ha il diritto di inficiare il nostro lavoro!

Capite bene che però il confine è piuttosto sottile: se si è troppo accondiscendenti si impedisce al compagni di lavorare seriamente, mentre se si è troppo "contro" è bene stare attenti di non farlo per qualche tarlo nella nostra testa, che poi volentieri chiamiamo "utile servizio che facciamo per il bene dei compagni"...
La proporzionalità e la coerenza dovrebbero essere i due principali temi di lavoro di ciascun uke: se cadiamo senza avere fatto lavorare al top delle sue potenzialità il nostro tori, non gli avremo reso merito... ed - in qualche modo - lo avremmo svalutato, agendo noi per lui.
Ma anche se continuiamo a voler essere per lui la prova del 9 della sue capacità... indipendentemente da chi egli sia, dalla sua esperienza, dal momento che sta attraversando.
Il nostro atteggiamento dovrebbe essere più commisurato a tutte queste variabili, piuttosto che ad uno stereotipo fisso... facciamo alcuni esempi:

- siamo ad un esame: uke abbia cura di far si che il proprio compagno possa esprimersi in tutta la padronanza che ha acquisito della sue capacità... se lo agevoliamo troppo, il Maestro o la Commissione vorranno cambiargli uke... se resistiamo troppo, potremmo inficiare (ad una Commissione distratta!!!) il risultato del test;
- siamo al Dojo e siamo i senpai: abbiamo spiegato 1000 volte al nostro compagno che la sua tecnica non funziona... ora è il momento di mostrarglielo con i fatti, non per svalutarlo, ma per fargli toccare con mano ciò che pare egli non voglia comprendere tramite consiglio;

E come si fa a capire quando è "il momento giusto di fare che cosa"?

In questo caso avremmo la possibilità di fare agli altri ciò che ci hanno fatto in passato, o decidere di comportarci con gli altri come avremmo voluto che si fossero comportati con noi: alla coscienza di ciascuno la scelta... l'esperienza indicherà a voi (ed ai vostri compagni!) qual è la scelta più appropriata.
Come uke agevoliamo i compagni perché con questa operazione li aiutiamo sul serio o solo perché non abbiamo voglia di serietà a nostra volta?
Come uke facciamo resistenza sempre e comunque perché ciò può aiutare il compagno a comprendere dove sbaglia o perché siamo incapaci di rimanere morbidi e ce la facciamo addosso di cadere con fluidità ed energia?

Una cosa è certa: "il troppo stroppia" si dice dalle nostre parti, e l'equilibrio e la coerenza non è di certo una caratteristica media di chi pratica Aikido... altrimenti che bisogno avrebbe di essersi immerso in questo studio di armonia ed equilibrio?
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