lunedì 29 ottobre 2012
Aikido e il sistema dei meriti e delle gratificazioni
Quanto sudore, impegno e costanza!
... ma alla fine, speriamo veramente di farcela di, "diventare BRAVI"... e di ottenere che ciò venga universalmente riconosciuto: "finalmente la cintura GIALLA!".
Questo discorso è quanto mai frequente ed attuale per Aikidoka di ogni latitudine, ma... lo abbiamo trascritto esattamente come è stato pronunciato da un bimbo di 5 anni, qualche mese fa.
Ma gli adulti pensano allo stesso modo, dicono le stesse cose?
Spesso SI, assolutamente SI!
Le gratificazioni sono importanti per tutti: il raggiungimento della mitica "cintura nera", un "bravo" detto dal nostro Maestro...
Ciò che talvolta non si conosce o considera però a sufficienza è il potere di una scelta e la capacità di vivere in modo più costruttivo possibile le conseguenze che ne giungeranno...
Cosa intendiamo dire?
Che l'Aikido, così come parecchie arti similari non sono state forse coniate tanto per elargire e misurare gratificazioni e frustrazioni, quanto per cimentarci un percorso di tipo individuale (pur in mezzo ad un gruppo) e gestire in modo proficuo i frutti che da ciò seguiranno.
Più in generale, nessuno ha mai asserito che il frequentare una disciplina orientale avesse necessariamente un fine ultimo: e questo perché?
Forse perché, saggiamente, i nostri cari compagni di strada a mandorla avevano compreso quanto il sistema delle aspettative ("gratificazione/frustrazione/scopo") potesse essere fuorviante o fraintendibile... e potesse portare ad un certo punto addirittura fuori strada rispetto ai propri obiettivi.
Perché pratichiamo?!
Per far contento qualcuno (il Maestro, i famigliari, il partner, i compagni...)?
Per ricevere gratificazione, rispetto e credito da qualcuno (i compagni di pratica, la società...)?
Forse anche... in modo collaterale, sicuramente questi aspetti hanno un loro peso.
Il comune modo di pensare, ad esempio, è che una "cintura nera" sia un "esperto"... o peggio, ad un "maestro" di Arti Marziali.
Nulla di più falso nell'ottica della tradizione nipponica: il livello "shodan" era (e dovrebbe ancora attualmente essere, giacché pratichiamo un'arte orientale) il momento di ingresso ufficiale al vero apprendimento dell'Aikido, piuttosto che il raggiungimento di uno status di cui vantarsi.
I gradi "kyu" venivano più visti come quel periodo di tempo nel quale pensare seriamente se intraprendere lo studio "serio" dell'arte oppure no: la cintura nera quindi era "l'ingresso in società" fra quelli che avevano optato per il "SI".
Attualmente questo paradigma pare essersi stravolto: APPARIRE sembra essere prioritario ad ESSERE, quindi anche le gratificazioni esteriori hanno assunto un valore ed un peso molto più ampio di quanto è accaduto in passato.
Le cinture colorate per contraddistinguere i gradi "kyu" sono stati un primo segno evidente (tutto occidentale) di contraddistinguere anche chi sta ancora compiendo un percorso minimale all'interno di un'arte (Aikido, Judo o Karate che fosse...).
La ragione storica per la quale ciò avvenne è più che plausibile, ma attenzione se potesse spingere qualcuno ad affermare: "Io sono cintura BLU e ne so di più di te che sei cintura ARANCIONE!"
"TU NON SEI NIENTE", se non un ignorante arrogante che pretenderebbe di poter giudicare qualcun altro o se stesso prima ancora di aver compiuto che pochi iniziali passi all'interno di una profonda disciplina!
Riparliamone dopo vent'anni magari, di continuo, costante allenamento con se stessi e cercando di dare sempre il massimo di sé: già... ma chi ha più 20 anni di tempo - e VOGLIA - per fare una cosa simile?!?
TUTTO e SUBITO, quindi poniamo la domanda: "Sono stato bravo?"
La risposta ovvia: "Non sei in grado di capirlo da solo?!"
A cosa può portare tutto questo?
A non riuscire a fare meno del feedback altrui e non avere più la capacità di percepire quanto l'abilità che percepiamo internamente in noi rispecchi effettivamente quella che gli altri ci rimandano.
Quando ci dicono che "siamo bravi"... come si fa a capire se è vero oppure se è una lusinga?
Così, analogamente, se dovessero rimandarci che "non siamo ancora all'altezza", come comprendere se sia la verità o se si tratti invece di un giudizio errato o troppo superficiale?
Semplice: più siamo legati al sistema delle "gratificazioni/frustrazioni" o semplicemente "dei giudizi altrui", più ne diventiamo DIPENDENTI... questa è la ragione per la quale si era iniziato - saggiamente - a richiedere impegno senza dare troppo peso a quale sarebbe stata in seguito "la ricompensa" per ciò.
Se ciascuno fosse disposto a mettersi seriamente in discussione anche SENZA MOTIVO, figuriamoci poi quando scoprisse che un motivo ci può essere e che parecchi risultati potrebbero giungere!
Ma in questi termini, non nel loro "viceversa"...
E l'eventuale "la ricompensa" dobbiamo essere in grado di riconoscerla innanzi tutto da soli!
Praticare potrebbe essere innanzi tutto un mezzo per cambiare le cose dentro a noi (la percezione, l'abilità di gestione e rapportazione dello stress), processo del quale la manifestazione esterna è SEMPLICEMENTE una conseguenza ovvia e speculare.
Ma il processo si muove dall'esperienza soggettiva a quella oggettiva, mentre l'opposto è tutt'altro che scontato avvenga!
Quindi ci prepariamo per gli esami per ricevere un grado che crediamo di meritare, piuttosto perché "percepiamo essere quello che ci spetta".
La differenza potrà forse apparire piccola, ma a volte invece risulta abissale.
"Devo passare l'esame per potermi mettere l'hakama", altrimenti gli altri "non mi si filano": la corrispondenza "capacità interna/riconoscimento esteriore" ha ancora un rapporto proporzionale?
Chi se ne frega, importante è che "gli altri mi si filino"!
Si, anche quella sociale è in effetti una dimensione importante, ma che farsene se per conquistarla svalutiamo la nostra dignità e la disciplina che stiamo percorrendo per giungerci?
TROPPI ancora accettano questa svalutazione e questo compromesso, tanto che vorrebbero forse farlo passare per normale ed inevitabile, ma non è così.
E' evitabilissimo, se solo si tornasse ad una condizione naturale, nella quale si ha la capacità di percepire che essere è prioritario ad apparire!
E nell'Aikido questo pare essere molto di moda, giacché molti praticanti ed Insegnanti si ATTACCANO morbosamente ai gradi ed alle posizioni di potere, dimenticando che questo genere di cose richiede generalmente l'accettazione di maggiori RESPONSABILITA', prima ancora di contribuire all'aumento del prestigio personale.
Quest'ultima cosa è subordinata alla prima e richiede quindi una maggiore capacità di autodisciplina man mano che si "sale" nella scala dei meriti e riconoscimenti.
Spesso oggi si vorrebbe invece progredire nikyando (scusate la licenza poetica!) sulle proprie responsabilità, anziché prendendone coscienza!
Tutti ci meritiamo di sentirci dire "bravo", di passare di grado, di utilizzare l'hakama... a fronte dell'impegno investito: ma questo non è la priorità o il motore del nostro agire, quanto la naturale conseguenza!
A nostro dire, l'utilizzo di cinture colorate con i più piccoli risulta fondamentale... ma il farlo con i più grandicelli - anche impropriamente in questo caso chiamati ADULTI - potrebbe risultare un po' fuorviante.
Si pensi che la Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali le utilizza in modo ufficiale, anziché i più appropriati gradi "kyu": che bel messaggio educativo disfunzionale per promuovere la filosofia che ci sta dietro!!!
Chi spiega a questi ADULTI che quando si vengono ad allenare NON lo fanno solo per diventare più "bravi" e per fare il prossimo passo nella scalata "dell'Aiki classe sociale" con una cintura "più colorata"... ma soprattutto per fare un profondo piacere a loro stessi?
Per il GUSTO stesso che provano nel farlo... e per le possibilità che in ciò si possono dischiudere...
Lo può forse fare un Insegnante che a sua volta corre dietro a gradi e qualifiche?
Non fraintendiamoci: contraddistinguersi in livelli probabilmente è e continuerà ad essere fondamentale!
Non stiamo alludendo che i gradi non servano, ma che si possano rivelare un ulteriore pericoloso abbaglio per tutti coloro che sfortunatamente non hanno ancora realizzato che ottenerli senza un profondo merito risulta una delle più grandi svalutazioni di sé alle quali si può ambire in un Dojo.
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