lunedì 26 settembre 2011

Voglio il mio UKE!!!

Concediamoci oggi il lusso di esaminare l'interessantissima tendenza di non pochi Aikidoka... fra i quali si enumerano sia praticanti che Maestri... di considerare proprietà privata alcuni compagni di tatami, sia durante le lezioni, che durante i seminari.

Non è raro che due amici/amiche si iscrivano insieme ad un corso di Aikido... inizino così la loro avventura insieme e tendano quindi a voler collaborare solo fra loro, appiccicati come cozze allo scoglio, forse intimiditi di andarsi a mischiare con il resto del gruppo di praticanti... forse considerati più "avanti" nel percorso... più "pericolosi"... o semplicemente per la difficoltà di inserirsi e famigliarizzare in un ambiente sconosciuto.

Si tratta pur sempre di principianti, le cui dinamiche sono note ai più attempati, quindi non sarà difficile favorirne lo scioglimento, facendo loro comprendere la ricchezza di poter praticare con tutte le persone con le quali si condivide il l'esperienza del Dojo.

La molteplicità e l'eterogeneità è senza dubbio un valore aggiunto, poiché ci permette di capire se la bontà della nostra pratica è indipendente o meno dall'individuo con la quale essa si attua.

Ma le cose non sono sempre così piane... e spesso a "volere il loro uke" non sono solo i novizi...

In molti Dojo c'è un po' la tendenza a decidere a priori che alcune cose vanno fatte solo con alcuni soggetti, mentre altri "non sono" adatti.
Anche questo può essere logico: più la pratica si fa di alto livello, più i nostri partners hanno bisogno di essere altrettanto capaci di ricezione, reattività ed esperienza... in modo che chiunque possa tenere un ritmo alto, senza che nessuno venga ferito.

Non parliamo oggi tuttavia nemmeno di questa eventualità: ci riferiamo piuttosto a quelle "scelte di comodo" che spesso un allievo può compiere nei confronti dei suoi compagni, poiché egli sente di "trovarsi meglio" con una, due persone rispetto a tutte quelle che formano il gruppo... e quindi scelga loro nelle situazioni che contano per "avere un buon uke".

A quanti sarà capitato di fare così, o di vedere questa dinamica!

Cosa c'è di male in essa?!

Forse nulla, perché è molto naturale e umana... ma forse è comunque bene tenerla sotto controllo, poiché è in grado di insinuare un certo numero di spiacevoli "non detti", con i quali un giorno potrebbe essere duro venire a confronto diretto.
Sul tatami è bene cercare la propria comodità? E' bene mettersi in discussione?

Forse entrambi questi aspetti hanno una loro rilevanza: lavorare con chi ci facilità è saggio se stiamo facendo una cosa che non troviamo già facile di nostro. L'aiuto dell'altro va ad agevolare lo scioglimento di una sorta di resistenza interna che è importante per il nostro progresso. W quindi l'uke "comodo", "amico" ed accondiscendente!

Sarebbe però forse anche dannoso convincersi di avere maturato capacità che sono tali solo fino a quando pratichiamo con il nostro amico del cuore, o con il migliore cascatore del Dojo... con l'uke ideale, buono, leale e che si dona completamente.

I caratteri delle persone sono differenti ed anche le loro capacità e competenze: se si accetta la sfide di provare ad includere TUTTI nella nostra pratica, si vedrà subito che lo spirito di adattamento all'altro dovrà prendere un suo posto molto importante vicino alle nostre certezze...

Il goal non sarà quindi fare al meglio una tecnica o un'esercizio, quanto riuscire a farlo "relativamente" bene con chiunque ci capiti innanzi... compreso il legnoso e burbero compagno che non vuole nessuno, o il fregnone pappamolla che tutti evitano!

In questo caso il livello del praticante si innalza subito e necessariamente, poiché egli riuscirà a ritrovare un po' di se stesso nell'interazione con il prossimo, quasi indipendentemente con chi esso sia.
Le preferenza rimarranno sempre e ciò è umanamente molto comprensibile, ma il sotterfugio di non mettersi realmente in discussione spesso... questo no, tenderà a sparire.

"Non c'è il MIO uke questa sera!"... "Non importa, non esiste un MIO uke... le persone non sono come un posacenere o uno spazzolini da denti, che si posseggono: ci sono persone con cui posso egregiamente provare a lavorare!"

Agli esami quindi!!!
... Ehhhh si... agli esami però "voglio il mio uke! ... quello che mi fa fare bella figura!"

E' indiscusso che ai test, essendo la nostra esigenza quella di esibire una forma codificata, il più possibile chiara e pulita... e che questo può essere enormemente agevolato dal richiedere la collaborazione del nostro "migliore" compagno di pratica...

Ma che cosa è un'esame?!? E' fare "bene" la tecnica? Solo questo?

Crediamo che se il/i Sensei che ci scrutinano fossero veramente tali, un test non dovrebbe solo essere occasione di forme esteticamente belle: esistono anche i principi nella nostra Arte!

Ci saranno parti che avremo giustamente piacere di mostrare al meglio delle nostre capacità... maturate con il "NOSTRO" uke e accentuabili solo quindi con il suo aiuto, ma esiste anche la possibilità di dover mostrare quanto siamo diventati capaci ad adattarci: in questo caso non c'è bisogno dell'amichetto, anzi, più i partner saranno sconosciuti, più la nostra capacità di vivere i principi (e non solo le forme) saranno messe a seria prova!


E se la tecnica non viene perfetta?
Pazienza, l'obiettivo non era quello ed i membri della commissione giudicante ne terrà sicuramente conto! Quanti però fanno gli esami così?

Solo poche volte ci è capitato, in Svizzera, di presenziare ad esami dan in cui erano gli esaminatori a poter chiamare chi volessero dei presenti come partner dei candidati: un vero spettacolo, nel quale ciò che rimaneva era applicazione della forma, anziché una sua esibizione magari pulita ma altrettanto vuota.

Questo è segno che l'argomento "partner preferito" affonda le sue radici profondamente nella pratica, e non è difficile scoprirne il perché: come si comportano in tal senso i Maestri (cioè gli allievi di ieri)?

Un sacco di seminari vengono condotti da Insegnanti che lavorano esclusivamente con una/due persone prese da tutto il gruppo, poiché con esse risulta più facile mostrare in modo chiaro ed efficace la proposta di pratica con la quale gli Aikidoka sono chiamati a cimentarsi.

Molti uke degli Insegnanti sono a loro volta gradi elevati, quindi persone che non hanno problemi con le cadute... che possono essere sbattacchiati a piacere: talvolta è di nuovo umano comprendere perché vengano scelti solo loro fra la massa dei presenti.

Però noi siamo anche cattivelli e malpensanti, perciò ci è sorto subito il seguente dubbio...

Quanti sono gli Insegnanti che riescono a far vedere le loro mirabolanti imprese SOLO perché lavorano con i LORO uke?

Abbiamo conosciuto pochissimi Maestri che mostrano una tecnica, un esercizio a mo di esempio a tutti, poi girano per il gruppo e dispensano insegnamenti e dettagli a TUTTI, quindi dovendo praticare sia con le persone a loro note, sia con l'ultimo Aikidoka in basso a destra, che non hanno mai visto.

Se sono Maestri per davvero non ci dovrebbe essere problema a far manifestare anche con il più rozzo degli anti-praticanti il movimento o il concetto che intendono mostrare... ma come mai che alcuni "esibiscono" con il loro cascatore di fiducia e poi vanno a sedersi vicino al kamiza?

Sono stanchi? A volte può accadere... ma non è invece che sono loro i primi a non essere in grado di adattarsi al prossimo?

Certo, con un principiante intimorito è difficile fare vedere grosse proiezioni, sempre però è indispensabile farlo per insegnare bene? Non crediamo.

Il problema è forse di casta?
"Fino a quando non sarai sandan non devi nemmeno sperare che il Maestro ponga su ti te il suo sguardo!!!"

Ci chiediamo, se ci dicessero così: ... "quello sarebbe un Maestro vero?"

A sandan dovremo aver già quasi imparato da soli come muoverci, mentre i neofiti saranno coloro che abbisognano più di collaborazione ed assistenza... altrimenti non lagniamoci che si iscrivano in coppia e poi stiano attaccati fra loro come le cozze allo scoglio!

Abbiamo visto parecchie volte l'Insegnante giungere addirittura con un suo allievo al seguito per aiutarlo a mostrare le tecniche in un ambiente nuovo, nel quale egli ovviamente ha il vantaggio di conoscere già dove il Sensei vuole andare a parare, a differenza di tutti gli altri.

Questo è un vero e proprio caso di seminar co-condotto... poiché anche se il Maestro fa la parte di quello "saputo", è grazie all'interazione con il SUO partner che può emergere ciò che egli ritiene importante.


Pochi sono però coloro che lo ricordano... e tutti guardano al Sensei come ad un kami (divinità scintoista), senza un grazie al poveraccio che ha fatto il lavoro sporco ed ha preso per giunta un sacco di botte!

Sono però così TUTTI i seminari? No... non ci sembra la norma.

Allora perché molti rinomati Maestri non si muovono senza portarsi appresso il LORO uke?

Forse perché le immaturità degli allievi denotano spesso le pecche di coloro che dovrebbero vegliare su di esse. Un allievo non si abituerà a voler entrare in relazione con tutti, se non riconoscerà che il suo Insegnante VIVE questa pratica prima ancora di chiedere a lui di farlo.

E si, cari lettori... molto attuali Maestri sono degli ottimi venditori di scatole tecnicamente pulite e chiare, ma un po' vuote!

A proposito, ci sovviene una toccante abitudine di alcuni dei più famosi insegnanti dell'Aikikai Honbu Dojo di Tokyo... nomi come Endo Shihan, Seki Shihan, Yasuno Shihan... per citarne alcuni.

Essi, durante le lezioni, mostrano le tecniche (magari anche con un partner fisso) però poi dividono il loro tatami in quattro o più aree e quindi vanno a lavorare con ciascun praticante presente in queste aree... finiti tutti gli Aikidoka in una zona, salutano (essi riprendono ad esercitarsi fra loro...) e si dirigono verso la prossima zona.

Così facendo, alla fine di un'ora di keiko, praticamente tutti hanno lavorato una o più volte direttamente con il Sensei: questi hanno dovuto adattarsi a TUTTI i presenti, non solo a quelli che cadono come piace a loro... e soprattutto sono riusciti ad allenarsi anche loro, anziché osservare la lezione in modo esclusivamente cattedratico.

Molti amano l'Honbu Dojo, altri sono presi da prurito solo a sentirlo nominare: non pariamo ora di bontà di tecnica, ma di intelligenza di impostazione di una lezione.... e sotto questo punto di vista lì abbiamo imparato una cosa importante.


L'Aikido è tendere alla perfezione, ma non scimmiottandola nelle nostre pratiche prendendoci in giro da soli: le tecniche con il più avverso praticante del Dojo non verranno così aggraziate come con il nostro uke preferito, ma avranno in sé un ben altro valore aggiunto.

Così da Insegnanti che dirigono un seminario: abituare alla chiarezza e riuscire a trasmettere con efficacia il nostro messaggio è molto importante, ma lo è forse altrettanto non ghettizzare nessuno (facendolo sentire "inadatto") ed accettare per primi la possibilità di sbavatura, di fallimento...

... poiché l'Aikido ideale è perfetto, ma quello reale è anche meglio, giacché sarà l'unico che veramente sia noi che i nostri allievi riusciremo a contattare nell'ordinarietà.

La perfezione anche nella vita non esiste, ma ciò non significa che il nostro quotidiano valga meno la pena di essere vissuto!   


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