Presentiamo un’indagine sia attuale che storica sulle tempistiche che vengono/venivano solitamente dedicate agli allenamenti nei Dojo.
L’Aikido, e praticamente ogni Arte Marziale, basa quasi del tutto la sua essenza, la possibilità di essere appresa e assimilata nell’allenamento… il keiko.
Di conseguenza ci siamo chiesti quale rapporto risulta esserci fra la pratica ai nostri giorni e quella che veniva svolta quando l’Arte è stata coniata… ossia ai tempi di O’ Sensei e dei suoi primi allievi, divenuti poi spesso Maestri di fama internazionale.
Il risultato ci ha lasciati realmente stupiti!
Di solito le lezioni di un corso di un Aikido in Italia prevedono un paio di allenamenti alla settimana (minimo uno, massimo tre… tranne rari Dojo professionali in cui si pratica 5 volte alla settimana), ed hanno una durata che va da una a due ore ciascuna.
Con buona approssimazione, nella maggioranza dei casi, ogni allievo ha modo di allenarsi circa 3 o 4 ore alla settimana (nel nostro Dojo, ci riteniamo particolarmente fortunati, ci incontriamo per circa 6 ore alla settimana).
Questi ritmi, tempistiche e coinvolgimenti, tuttavia, sono molto differenti da quelli pensati e vissuti da O’ Sensei con i suoi primi gruppi di allievi: gli allenamenti erano quotidiani, si snodavano in più keiko al giorno e non prevedevano pause particolari per il weekend, per le festività comandate o le vacanze estive.
Sottoporsi per cinque anni ad un tale allenamento significava aver trascorso all’incirca più di 4500 ore sul tatami (per sottostima).
Un corso che abbia due lezioni settimanali da un ora e mezza, che si fermi per il solo mese di agosto e che perda solo un paio di lezioni a causa delle festività nazionali sparse durante l’anno (se ne perdono normalmente molte di più, all’incirca l’equivalente di un altro mese di pratica), nello stesso tempo avrebbe avuto a disposizione 630 ore di keiko.
Per raggiungere 4500 ore, un corso dalle nostre parti impiegherebbe poco più di 36 anni!
Dopo trentasei dei nostri anni, si sarebbe lavorato come cinque degli anni di O’ Sensei!
Non è nostra intenzione ora insinuare che la quantità sia da paragonare direttamente alla qualità (che anche allora comunque non doveva essere pessima), ma piuttosto mettere in luce la profondità della trasformazione operata dalla nostra cultura nell’importare l’Arte del Fondatore.
Essendo cambiati il contesto storico, sociale e le latitudini alle quali viene praticato l’Aikido, pare abbastanza normale che siano avvenuti altrettanti cambiamenti nelle modalità e frequenze della pratica, solo si rifletta su quanto tali “inevitabili” cambiamenti influiscano sugli apporti benefici della disciplina stessa.
Che la storia abbia reso necessari alcuni cambiamenti è infatti una considerazione… ma che alcuni cambiamenti più di altri rischino di inficiare le potenzialità dell’Arte potrebbe infatti essere un altro discorso, non necessariamente conseguenza del precedente.
Se, ad esempio, un medico prescrive una farmaco ad un paziente, da somministrare regolarmente nel modo “X”… e la storia personale di quest’ultimo gli permette solo più di assumerla (altrettanto regolarmente) nel modo “Y” i benefici della medicina rimarrebbero forse inalterati, ma cambierebbero le tempistiche dei benefici attesi e/o della guarigione.
L’Aikido non necessariamente è da considerarsi un farmaco, ma ha sicuramente alcuni effetti su chi lo pratica… Se ai suoi albori veniva contattato con un’enfasi di un certo tipo, probabilmente anche gli effetti che avrà messo in luce saranno stati proporzionali a tale profondo ingaggio.
Se “il mondo che cambia” precludesse ai pazienti di assumere una terapia con regolarità, non ci si stupirebbe se essi non beneficiassero più degli effetti della cura.
Per analogia bisogna chiederci con onestà se e quanto la nostra naturale frequenza alle lezioni influisca sugli effetti che l’Arte giustamente promette ad ogni serio praticante.
Infatti, non solo dovremmo praticare 36 anni per accumulare lo stesso numero di “ore di volo” (pare azzeccata l’analogia!) ed esperienza che gli allievi di O’ Sensei ottenevano in soli 5 anni… ma è serio chiederci… quante volte solitamente un “Aikidoka medio” salta un allenamento settimanalmente?
Già… 36 anni solo per chi va sempre alle nostre lezioni nei nostri Dojo… ma la maggioranza degli allievi non è sempre presente: c’è chi si allena con costanza e profitto, chi manca solo quando è indispensabile farlo, chi contatta l’Arte con comodo, dimezzando il suo attivo sul tatami… e chi si vede al Dojo ogni due mesi, per poi sparire nuovamente per altrettanto tempo subito dopo!
Questo fa una differenza ancora più notevole, a pensarci, poiché non solo l’Arte è esperita con notevole differenza rispetto alle sue origini, ma è anche vissuta da Maestri ed allievi in modalità psicologicamente molto differenti.
Difficile per chi si allena tutti i giorni (in Giappone è ancora così ed anche in numerosi altre parti del mondo nei Dojo professionali, che in Italia stentano a prendere piede) “dimenticarsi” completamente di una pratica, un esercizio… anche dopo una breve assenza; più facile invece che ciò avvenga per un allievo poco diligente, che potrebbe appartenere ad un corso che pratica per poche ore settimanali, e che dopo ripetute assenze rischia di fare oggi un esercizio che avrà occasione di ripetere solo magari fra 5 o 6 anni. È molto più comprensibile che le lacune si creino anziché colmarsi!
Ma analogamente dicasi per gli Insegnanti: ce ne sono di ottimi, non c’è che dire… ma c’è anche una numerosa schiera di “maestri” (scritto appositamente con la M minuscola) che vivono l’Aikido come un hobby o poco più.
La nostra società ci fa giustamente e prioritariamente pensare alla carriera, la famiglia, le amicizie e le relazioni sociali, quindi noi contattiamo l’Arte in modo veramente distante da come ha fatto Koichi Tohei, Tadashi Abe, Morihiro Saito, Hiroshi Tada, Gozo Shioda…
Ciascuno dei grandi nomi citati (come tanti altri che hanno preso ad honorem posto nella storia) non si consideravano Aikidoka bisettimanali, poiché il loro ingaggio favoriva in loro una sorta di continuità, oltre che fisica, soprattutto mentale ed emotiva rispetto all’Aikido.
Potrebbe essere diverso per chi di noi pensa ogni giorno a moglie, figli, suocera, giornata lavorativa, pesce rosso, bollette da pagare e weekend con gli amici e… solo quando vuole/può… accende due volte alla settimana l’interruttore dell’Aikidoka, per spegnerlo un ora e mezza più tardi…
Non riteniamo essere né giusto, né sbagliato che ciò avvenga… capite bene, ma è sicuramente diverso da ciò che fu.
A nostro dire, è importante comprendere a fondo questo fatto, perché poi spesso accade che i praticanti, pur non consci dell’immenso abisso che li separa nell’impegno e nella dedizione dalle generazioni del passato, reclamino per loro dall’Arte i benefici che tardano o stentano a manifestarsi.
Molti dopo anni di tatami sono insicuri nelle cadute, molti non ricordano i kata e gli esercizi con le armi, molti si indispettiscono della propria incapacità di padroneggiare questa o quella tecnica, dopo ben 10 anni di Aikido!
Ma che 10 anni sono stati? È onesto chiederselo. Quanto erano differenti da analoghi 10 anni della vita quotidiana del Fondatore? Lui sapeva cadere e far cadere, si ricordava le pratiche con le armi e padroneggiava i principi contenuti nelle tecniche… ma aveva dedicato prima la vita a quest’Arte!
L’Aikido, e praticamente ogni Arte Marziale, basa quasi del tutto la sua essenza, la possibilità di essere appresa e assimilata nell’allenamento… il keiko.
Di conseguenza ci siamo chiesti quale rapporto risulta esserci fra la pratica ai nostri giorni e quella che veniva svolta quando l’Arte è stata coniata… ossia ai tempi di O’ Sensei e dei suoi primi allievi, divenuti poi spesso Maestri di fama internazionale.
Il risultato ci ha lasciati realmente stupiti!
Di solito le lezioni di un corso di un Aikido in Italia prevedono un paio di allenamenti alla settimana (minimo uno, massimo tre… tranne rari Dojo professionali in cui si pratica 5 volte alla settimana), ed hanno una durata che va da una a due ore ciascuna.
Con buona approssimazione, nella maggioranza dei casi, ogni allievo ha modo di allenarsi circa 3 o 4 ore alla settimana (nel nostro Dojo, ci riteniamo particolarmente fortunati, ci incontriamo per circa 6 ore alla settimana).
Questi ritmi, tempistiche e coinvolgimenti, tuttavia, sono molto differenti da quelli pensati e vissuti da O’ Sensei con i suoi primi gruppi di allievi: gli allenamenti erano quotidiani, si snodavano in più keiko al giorno e non prevedevano pause particolari per il weekend, per le festività comandate o le vacanze estive.
Sottoporsi per cinque anni ad un tale allenamento significava aver trascorso all’incirca più di 4500 ore sul tatami (per sottostima).
Un corso che abbia due lezioni settimanali da un ora e mezza, che si fermi per il solo mese di agosto e che perda solo un paio di lezioni a causa delle festività nazionali sparse durante l’anno (se ne perdono normalmente molte di più, all’incirca l’equivalente di un altro mese di pratica), nello stesso tempo avrebbe avuto a disposizione 630 ore di keiko.
Per raggiungere 4500 ore, un corso dalle nostre parti impiegherebbe poco più di 36 anni!
Dopo trentasei dei nostri anni, si sarebbe lavorato come cinque degli anni di O’ Sensei!
Non è nostra intenzione ora insinuare che la quantità sia da paragonare direttamente alla qualità (che anche allora comunque non doveva essere pessima), ma piuttosto mettere in luce la profondità della trasformazione operata dalla nostra cultura nell’importare l’Arte del Fondatore.
Essendo cambiati il contesto storico, sociale e le latitudini alle quali viene praticato l’Aikido, pare abbastanza normale che siano avvenuti altrettanti cambiamenti nelle modalità e frequenze della pratica, solo si rifletta su quanto tali “inevitabili” cambiamenti influiscano sugli apporti benefici della disciplina stessa.
Che la storia abbia reso necessari alcuni cambiamenti è infatti una considerazione… ma che alcuni cambiamenti più di altri rischino di inficiare le potenzialità dell’Arte potrebbe infatti essere un altro discorso, non necessariamente conseguenza del precedente.
Se, ad esempio, un medico prescrive una farmaco ad un paziente, da somministrare regolarmente nel modo “X”… e la storia personale di quest’ultimo gli permette solo più di assumerla (altrettanto regolarmente) nel modo “Y” i benefici della medicina rimarrebbero forse inalterati, ma cambierebbero le tempistiche dei benefici attesi e/o della guarigione.
L’Aikido non necessariamente è da considerarsi un farmaco, ma ha sicuramente alcuni effetti su chi lo pratica… Se ai suoi albori veniva contattato con un’enfasi di un certo tipo, probabilmente anche gli effetti che avrà messo in luce saranno stati proporzionali a tale profondo ingaggio.
Se “il mondo che cambia” precludesse ai pazienti di assumere una terapia con regolarità, non ci si stupirebbe se essi non beneficiassero più degli effetti della cura.
Per analogia bisogna chiederci con onestà se e quanto la nostra naturale frequenza alle lezioni influisca sugli effetti che l’Arte giustamente promette ad ogni serio praticante.
Infatti, non solo dovremmo praticare 36 anni per accumulare lo stesso numero di “ore di volo” (pare azzeccata l’analogia!) ed esperienza che gli allievi di O’ Sensei ottenevano in soli 5 anni… ma è serio chiederci… quante volte solitamente un “Aikidoka medio” salta un allenamento settimanalmente?
Già… 36 anni solo per chi va sempre alle nostre lezioni nei nostri Dojo… ma la maggioranza degli allievi non è sempre presente: c’è chi si allena con costanza e profitto, chi manca solo quando è indispensabile farlo, chi contatta l’Arte con comodo, dimezzando il suo attivo sul tatami… e chi si vede al Dojo ogni due mesi, per poi sparire nuovamente per altrettanto tempo subito dopo!
Questo fa una differenza ancora più notevole, a pensarci, poiché non solo l’Arte è esperita con notevole differenza rispetto alle sue origini, ma è anche vissuta da Maestri ed allievi in modalità psicologicamente molto differenti.
Difficile per chi si allena tutti i giorni (in Giappone è ancora così ed anche in numerosi altre parti del mondo nei Dojo professionali, che in Italia stentano a prendere piede) “dimenticarsi” completamente di una pratica, un esercizio… anche dopo una breve assenza; più facile invece che ciò avvenga per un allievo poco diligente, che potrebbe appartenere ad un corso che pratica per poche ore settimanali, e che dopo ripetute assenze rischia di fare oggi un esercizio che avrà occasione di ripetere solo magari fra 5 o 6 anni. È molto più comprensibile che le lacune si creino anziché colmarsi!
Ma analogamente dicasi per gli Insegnanti: ce ne sono di ottimi, non c’è che dire… ma c’è anche una numerosa schiera di “maestri” (scritto appositamente con la M minuscola) che vivono l’Aikido come un hobby o poco più.
La nostra società ci fa giustamente e prioritariamente pensare alla carriera, la famiglia, le amicizie e le relazioni sociali, quindi noi contattiamo l’Arte in modo veramente distante da come ha fatto Koichi Tohei, Tadashi Abe, Morihiro Saito, Hiroshi Tada, Gozo Shioda…
Ciascuno dei grandi nomi citati (come tanti altri che hanno preso ad honorem posto nella storia) non si consideravano Aikidoka bisettimanali, poiché il loro ingaggio favoriva in loro una sorta di continuità, oltre che fisica, soprattutto mentale ed emotiva rispetto all’Aikido.
Potrebbe essere diverso per chi di noi pensa ogni giorno a moglie, figli, suocera, giornata lavorativa, pesce rosso, bollette da pagare e weekend con gli amici e… solo quando vuole/può… accende due volte alla settimana l’interruttore dell’Aikidoka, per spegnerlo un ora e mezza più tardi…
Non riteniamo essere né giusto, né sbagliato che ciò avvenga… capite bene, ma è sicuramente diverso da ciò che fu.
A nostro dire, è importante comprendere a fondo questo fatto, perché poi spesso accade che i praticanti, pur non consci dell’immenso abisso che li separa nell’impegno e nella dedizione dalle generazioni del passato, reclamino per loro dall’Arte i benefici che tardano o stentano a manifestarsi.
Molti dopo anni di tatami sono insicuri nelle cadute, molti non ricordano i kata e gli esercizi con le armi, molti si indispettiscono della propria incapacità di padroneggiare questa o quella tecnica, dopo ben 10 anni di Aikido!
Ma che 10 anni sono stati? È onesto chiederselo. Quanto erano differenti da analoghi 10 anni della vita quotidiana del Fondatore? Lui sapeva cadere e far cadere, si ricordava le pratiche con le armi e padroneggiava i principi contenuti nelle tecniche… ma aveva dedicato prima la vita a quest’Arte!
Nel video seguente vediamo un anziano O’ Sensei lasciarsi atterrare mentre pratica con un bambino…
Ci sono cambiamenti che avvengono nella società nei confronti dei quali l’Aikido deve necessariamente essere “attualizzato”, ed altri che rischiano di depauperarlo delle sue caratteristiche peculiari: è necessario saper scegliere con accuratezza cosa è bene mantenere e cosa invece è legittimo cambiare.
Ma spingiamoci anche oltre…
Ci sono differenti approcci allo studio dell’Aikido, sappiamo esserci diverse scuole, stili e modi di considerare corretto un allenamento: quanto influisce il diradarsi dell’allenamento nelle filosofie d’apprendimento di queste scuole?
Noi portiamo come esempio la nostra esperienza personale, non necessariamente unica, ma a nostro parere significativa.
Originariamente proveniamo dall’Iwama Ryu o Takemusu Aiki (come spesso viene erroneamente chiamato questo filone di pratica, ma per capirsi è quello perpetrato da Morihiro Saito Sensei). Tra i dettami di questa scuola c’è la pratica delle tecniche di base ki hon fino al grado di terzo dan, c’è un’accurata didattica che divide tecniche ed esercizi per successivi livelli di difficoltà, sia nel tai jutsu, che nel buki waza. Come progressione nell’apprendimento, dobbiamo ammettere che ci è sempre parsa essere uno strumento razionale, sicuro ed affidabile, poiché è possibile sperimentare la bontà degli insegnamenti in prima persona.
Tuttavia, proprio in virtù della differenza che passa dal luogo in cui essa è stata coniata e il nostro contesto, ci è parso da un po’ chiaro che potesse avere potenzialmente in sé anche alcune “patologie” se la sua filosofia veniva portata all’estremo nel nostro Dojo.
Ad Iwama (ed in ogni altro luogo si pratichi quotidianamente) il grado shodan si raggiunge all’incirca in un anno (qui in 7 o 8 anni)… il sandan (a cui i dettami consiglierebbero di porre maggiore enfasi sulla fluidità che sulla potenza) richiede all’incirca 4 o 5 anni… mentre ci vogliono almeno una quindicina dalle nostre parti.
Sicuramente l’effetto sulla struttura fisica di 15 anni trascorsi a cercare la giusta angolazione in modo più statico sono molto differenti da quelli che si anno dopo appena cinque anni: vogliamo quindi meravigliarci se dopo tanta dedizione ci si sente praticamente “inchiodati” dinnanzi a una dinamica più accentuata? Se siamo stati quasi fermi per 15 anni, potremmo non essere entusiasti dei primi risultati del tentativo di muoverci! Potrebbe non essere facile cambiare “mentalità”, ci sarebbe cioè una sorta di modalità da sperimentare ex-novo.
Se così fosse, avremmo solo applicato una ricetta pensata per la pratica quotidiana ad un contesto in cui non è più tale, con i benefici e le difficoltà che ne seguono.
Noi non abbiamo abbandonato la nostra origine (non ne vediamo il motivo, ci piace!), ma per noi è stato necessario andare a recuperare quel aspetto flessibile e dinamico di altri stili per bilanciare la diversità del nostro modo di allenarci rispetto ai gloriosi trascorsi nipponici dell’Aikido.
Le riflessioni sopra esposte sono nate in noi a seguito di numerose ricerche approfondite e da altrettante situazioni di sconforto nelle quali ci siamo trovati, prima di comprendere meglio quale importante variabile fosse il keiko nello studio dell’Aikido: ci auguriamo, almeno per analogia, possano essere utili anche a chi ci legge.
Indipendentemente dall’Arte che ci vede coinvolti, infatti, in oriente si usa dire che “allenarsi è come remare contro corrente”… nel senso che una pratica costante può aiutare ad avanzare di qualche centimetro nella propria consapevolezza, ma stare fermi è sicuramente sinonimo di retrocedere di qualche metro!
Con questa attenzione sproniamo quindi noi stessi e chiunque altro a dare sempre il massimo nell’allenamento… non per inutile spirito di sacrificio, ma per gioire eventualmente prima dei meriti che ci guadagniamo letteralmente con il sudore della fronte.
L’allenamento è vita
Keiko wa enmei desu
稽古わ延命です
4 commenti:
riflessioni acute e - come sempre - condivisibili.
Grazie!
Sono riflessioni piuttosto interessanti, in effetti un allenamento di due volte a settimana è molto poco, almeno per me.
Allora ho trovato un modo per ovviare con simpatia al problema (non sono l'unico a farlo): mi alleno per conto mio quando posso, riprovo la mimica della tecnica, cerco di ripetere i passi come li ho fatti in dojo, rifletto sulle parole dell'insegnante. Il problema è poi quando sto riprovando un tai no henko e di botto nella stanza entra un mio collega...
Chakram
Chakram, è per questo che esistono le stanze con i servizi igienici che possono chiudersi a chiave...
;-)
fortunatamente il mio maestro a noi allievi ci ha consegnati la chiave del dojo e oltre alle lezioni andiamo quando vogliamo ad allenarci ..
Posta un commento