Molte volte in queste pagine abbiamo parlato delle differenze che passano fra "tecniche", "principi" e "prospettive"... ovvero il "cosa", il "come" ed il "perché" mettiamo nella pratica: oggi si tratta di esplicitare i motivi di alcuni limiti che attualmente incontriamo, comprenderli a fondo... anche per avviarci a superarli, in un futuro speriamo non troppo lontano.
La mia esperienza, di studente prima e di studente e docente poi, ha messo in evidenza l'importanza di alcuni NON DETTI, sulla base dei quali tendiamo a basare le logiche delle nostre azioni.
Questi "non detti" sono di carattere molto personale e dipendono da cosa ciascuno sta cercando nel momento in cui approda all'Aikido (o a qualsiasi altra disciplina simile): abbiamo già visto che le prospettive sono tante e varie... e che non ce n'è una migliore di un'altra... c'è chi vuole studiare la tradizione marziale, chi vuole stare in forma, chi vuole imparare a difendersi, chi vuole trovare un gruppo di persone con le quali condividere un percorso, chi si sente attirato da una disciplina che ha molto da dare nel campo della relazione, anche se magari non è interessato di primo acchito ad aspetti così marziali.Ora si tratta di comprendere bene come alcuni assunti siano in grado di modificare - alla lunga - il nostro percorso, talvolta permettendoci di ottimizzarlo... ma molte più volte facendoci da zavorra auto-limitante.
Premetto che questo discorso, che per me è impegnativo da fare, è frutto di circa vent'anni passati ad osservare alcune dinamiche (non del tutto sane) tipiche di noi Aikidoka, inabituati al confronto non-mediato con ciò che è differente da noi, ad esempio tramite una competizione diretta, come fanno molte altre discipline marziali.Il confronto c'è, a volerlo... poiché chiunque è libero di frequentare qualsiasi Seminar, allenamento, raduno organizzato da correnti anche molto differenti dalla propria: ma è come andare, di religione in religione, a chiedere ad ogni credente, sacerdote o Papa quale sia il credo più autentico di tutti.
Tutti risponderebbero nello stesso modo: "IL MIO!".
Non credo che questo bias cognitivo possa rientrare introducendo l'agonismo in Aikido - sia chiaro fin d'ora - però è anche un dato di fatto che un Judoka o un Karateka sono più duttili ad accettare alcuni presupposti di base comuni a tutto il loro movimento, che consentono loro di confrontarsi durante le gare, ben al di là dei vari tecnicismi locali (che rappresentano appunto le singole "prospettive" delle loro discipline, accompagnati da tecnicismi e stili "locali").
Pensiamo ad esempio a tutti quegli Aikidoka che basano il loro allenamento su un movimento fluido continuo (come fanno all'Honbu Dojo) e che cozzano con stili più "statici" come l'Iwama Ryu o lo Yoshinkan... I primi sono molto più numerosi che i secondi, segno che la nostra società ha più bisogno di muoversi o trova più facilità a fare ciò, rispetto a trascorrere anni ferma a studiare i singoli angoli fra lo spostamento del nostro corpo e quello del nostro compagno di pratica. Entrambe le ipotesi possono essere contemporaneamente valide.
Io, che sono nato e cresciuto in un contesto di questi ultimi, però, ho da sempre sentito storie su quanto fossero "ballerini gli altri", quelli che dovevano muoversi per forza e fin da subito: erano critiche dure, aspre, come ad affermare che non si arriva da nessuna parte, se non ci si abitua ad attacchi un minimo energetici.Dall'altro canto, è anche evidente come l'Aikido maturo di O' Sensei (e di qualsiasi altro Maestro di un certo livello) si esprima INNANZI TUTTO nella dinamica, livello nel quale il maai (cioè lo spazio-tempo) diventa uno delle principali variabili della nostra azione.
Quindi kihon (base) o ki no nagare (fluidità)?
Questioni di prospettiva!
É reale che la quintessenza dell'Aikido sia dinamica (ki no nagare), ma è altrettanto vero che O' Sensei stesso affermasse che non sarebbe stato possibile comprendere questa essenza, se non si è in grado di liberarsi da una presa effettuata - ad esempio - con tutta la forza disponibile, poiché la dinamica aiuta, in tal senso... ma aiuta anche la copertura dei propri errori più piccoli (anche se significativi).
Girando parecchio, lo vedo proprio cosa accade a quei gruppi che sono abituati SOLO a muoversi e non hanno mai speso 3 allenamenti della loro vita marziale a comprendere gli angoli e le modalità di spostamento del corpo sotto una pressione PIENA: l'Aikikai dell'Honbu, quello d'Italia, il gruppo Tissier sono saturi di cose stupende, che però potrebbero non funzionare più altrettanto bene nel momento in cui il partner afferra sul serio con piena intenzione di tenere, ad esempio.
Presentano troppi movimenti parassiti dei quali non sono minimamente consapevoli, perché in quei contesti non si sono mai messi nella condizione di vederli (con un partner che fa un'ostruzione intelligente).Ma vedo anche tanti Iwamisti - per continuare con il parallelo - che intenti a studiare l'angolo perfetto per uscire da una presa forte, arrivano a 4º dan muovendosi come Robocop: lodevole il loro intento, ma hanno tralasciato che quella modalità di allenamento deve essere messa al servizio della dinamica, e non basta in se stessa a fare il famoso "Aikido di O' Sensei", che era sicuramente dinamico (e che poi non potrà mai più essere fatto, perché era quello suo e non il nostro!).
Quindi che cos'è giusto fare? Ciascuno parte da una prospettiva corretta, ma al contempo anche limitata: se portata a vanti nel tempo, restituisce un'immagine parziale dell'Aikido ed una demonizzazione di chi fa diversamente... perché siccome si percepisce il buono che si sta facendo, non è facilmente concepibile che ci sia anche del buono anche in chi fa il nostro esatto contrario.
Nell'affermare quindi per primo che "nessuno sta completamente sbagliando strada", e per secondo che "nessuno sta completamente onorando tutto il percorso"... si dicono - secondo me - due verità: ciascuno dovrebbe, anche solo per un istante, prendere la PROSPETTIVA dell'altro... così da comprendere i perché della sua pratica e verificare se questi "perché" non potrebbero essere agevolanti anche per la PROPRIA pratica!Il segreto è trasformare una "o" in una "e"... andare oltre ad una prospettiva duale della pratica... tutto fottutamente qui!
Prendiamo un altro ENORME dibattito: accompagniamo il nostro taijutsu con l'Aiki ken o con una Scuola di spada tradizionale giapponese?
Le Koryū (Scuole antiche) di spada giapponese affondano le loro radici in secoli di tradizione: il Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū è stata fondata nel 1447, il Kashima Shin Ryū all'inizio del 1500, ad esempio.
Difficile credere che costoro non abbiano proprio capito un tubo su come fare un fendente con il bokken, dopo oltre 500 anni di suburi... non credete!?L'Aiki ken invece è un'invenzione originale di Morihei Ueshiba, che presenza delle differenze SOSTANZIALI rispetto alle Scuole di spada più antiche: dunque a noi cosa conviene praticare?
Innanzi tutto da qui capiamo che ci conviene praticare da subito anche con il bokken, quindi se la nostra Scuola di Aikido non prevede questa cosa, possiamo già rilevare una sua lacuna importante...
Poi è bene ricordare le PROSPETTIVE con le quali ciascuno si è messo a fare ciò che ha poi fatto: le Koryū nacquero per uno studio della spada (e non solo!) finalizzato al combattimento in un duello, su un campo di battaglia; in questo contesto i movimenti devono risultare piccoli, veloci ed essenziali. Devono consentirci di scovare l'apertura nel nemico e non scoprirci a nostra volta troppo nell'attaccarlo con la nostra spada.
I caricamenti saranno tutti piccoli e ci guarderemo bene dall'essere sempre protetti dalla nostra arma, che nasce con l'intento di TAGLIARE, evitando di essere a nostra volta feribili dall'arma avversaria.
L'Aiki ken invece nasce attingendo a questa grande tradizione legata alle Koryū, ma con prospettive del tutto differenti.
O' Sensei iniziò a lavorare quotidianamente all'Aiki ken ed Aiki jo quando si trasferì ad Iwama, ovvero dal 1942 in poi. In quel periodo la guerra incombeva sul Giappone, gli allievi erano piuttosto scarsi nel Dojo di campagna: Morihei Ueshiba era nella fase MATURA della creazione della sua disciplina, molto più interessato a studiare ed armonizzare se stesso con il suo corpo, la sua mente ed il suo spirito... piuttosto che vincere uno scontro su un campo di battaglia.
Ne segue che egli concepì l'esercizio della spada come una pratica di allineamento (o ri-allineamento) fra sé, la natura ed i kami, oltre che con i suoi radi partner di allenamento. In questa prospettiva il bokken deve continuamente SPECCHIARE cosa accade nella hara (il centro addominale), quindi il modo di caricare la spada di legno e di sferrare i fendenti (che erano dichiaratamente pensati per PERCUOTERE e non per tagliare) mira a creare continue spirali, sia sul piano orizzontale, che su quello verticale, che partono dalle anche e giungono fino alla punta dell'arma.
In questo contesto, il bokken viene caricato completamente in fase di allenamento solitario (suburi), perché si vuole massimizzare la percezione del movimento dei Seika Tanden, facendo compiere il tragitto più lungo ed ampio possibile... considerato anche che NON c'è nessun avversario dal quale proteggerci mentre lo facciamo. In questa visione, il corpo PRECEDE la spada, poiché è dal centro del corpo che promana il movimento che deve giungere all'arma.In questi esercizi, la tsuka kashira (il termine dell'impugnatura della spada) deve essere sempre di fronte al nostro centro addominale, quasi come se fosse collegata con esso con una sorta di cordone ombelicale invisibile.
In presenza di un avversario (come nei kumitachi) tutto ciò diventa più piccolo ed essenziale, ma la prospettiva rimane quella di una "confronto fra 2 hara", entrambe impegnate a forgiare il movimento del relativo corpo... e non lo scontro di 2 individui, per la vita o la morte (che poi uketachi possa controllare il centro di uchitachi così facendo diventa una sorta di "effetto collaterale" dell'Aiki, e non l'unico intento dell'esercizio). Paradossalmente, inoltre, O' Sensei che si allenava spesso anche solo, ha ordito la sua pratica immaginando di essere sempre sotto l'attacco di avversari multipli, che colpiscono da tutte le direzioni.
Forse che qualcuno abbia sbagliato a caricare il minimo indispensabile la spada ed a muoverla prima ed in protezione del corpo (le Koryū ) o a caricare al massimo possibile il bokken e muovendo il corpo prima di esso (Morihei Ueshiba)?
Ciascuno ha fatto ciò che era FUNZIONALE alla prospettiva che stava seguendo in quel momento nel proprio allenamento, tutto qui.
Il problema però è il misunderstanding di queste accettabilissime prospettive differenti: c'è chi pratica le Koryū di spada e poi le unisce al lavoro del taijutsu, dicendo che è vero che parte del patrimonio tecnico deriva propio dal movimento della spada (che però era quello dell'Aiki ken)... e c'è chi crede sul serio che sarebbe in grado di usare uno shinken (spada affilata) nello stesso modo nel quale ad Iwama si insegnano i suburi o i kumitachi. Beh, costui non sarebbe in grado di tagliare nemmeno un paglione fermo e verrebbe ridotto a brandelli da qualsiasi spadaccino formatosi alle Koryū.
Nessuno ha completamente ragione, nessuno ha completamente torto: semplicemente non si è dato la possibilità di confrontarsi con prospettive differenti e con l'impatto diretto e notevole che esse hanno nella pratica dell'Aikido. Tutto fottutamente qui... again.Ultimo punto saliente, anche se potrei cintarne ancora decine... Qualche tempo fa alcuni nostri lettori ci hanno chiesto come mai - secondo noi -che le varie correnti di Aikido non sembrano in grado di unirsi sotto un'unica egida, che permetterebbe loro di avere molta più scambio interdisciplinare e voce e visibilità pubblica...
Questo è il momento di rispondere; ammetto che questa annosa domanda mi è frullata in testa per anni ed anni... Mi pareva sciocco ed immaturo un movimento che promuove armonia e risoluzione pacifica del conflitto che però non fosse in grado di coalizzarsi, per darsi supporto a raggiungere obiettivi comuni...
Risulta sempre per questioni di PROSPETTIVA: dal punto di vista del singolo praticante, è indubbio che farebbe la differenza sentirsi parte di un movimento nazionale (o internazionale) NON composto dalle sole 7 o 8 persone con le quali si pratica in Dojo, o da una sola delle varie Scuole presenti (Honbu Dojo, Kobayashi Ryu, Ki Aikido, Scuola Tissier, Iwama Ryu...) o, ancora, da uno solo dei vari Enti presenti (FIJLKAM, UISP, ACLI, CSEN, ACSI...).
Ovvio che più riuscissimo a consorziarci, più la società intera (a livello cittadino, regionale, nazionale, internazionale) avrebbe modo di conoscere maggiormente la nostra disciplina, per risonanza comune e finalità di intenti di tutti coloro che già la praticano... che unirebbero le forze per un fine condiviso, coordinando ed armonizzando gli apporti di ciascuno, in modo sistemico.Ma poi chi la GUIDA questa enorme massa di individui che praticano Aikido?
Ogni Scuola ed ogni Ente ha già previsto una sorta di Direttivo dei "4 gatti" (40 gatti, 400 gatti o 4000 gatti, molto poco importa) ai quali patrocina la pratica: se questo Direttivo dovesse diventare UNICO (anche solo a livello italiano) avreste idea di quante persone perderebbero la poltrona in un sol botto?
Quindi da un lato ci sono le PROSPETTIVE legate a ciò che farebbe bene al movimento, che dall'altro vanno in contrasto con le PROSPETTIVE del "feudatario locale" di quello stesso movimento... che spronerà "i suoi" ad essere il maggior numero possibile, ma SENZA osare di proporre di fondersi con altre realtà, perché altrimenti fra lui ed il feudatario locale dell'altra realtà... chi dovrebbe mantenere il trono e chi dovrebbe abdicare?Un chiaro conflitto di prospettive fra "io" e "noi", insomma.
E come si risolve?
Secondo me - almeno per il momento - NON si risolve, semplicemente per il fatto che c'è ancora troppo ego in coloro che giungono ai piani alti delle rispettive organizzazioni, ed il tentativo di controllo degli altri cozza proprio con la necessità di creare un ambiente nel quale ciascuno possa praticare senza perdere la propria identità, ma potendo condividere i propri punti di forza.Spero di essere riuscito a mostrarvi come una prospettiva è in grado di far apparire "un mostro" chi invece ne ha magari solo una differente dalla nostra: devo ammettere che questi problemi sono di solito propri solo in un gruppo di individui poco curiosi, poco intelligenti, poco lungimiranti e poco consapevoli... cosa che - da sola - mi farebbe voglia di cambiare mestiere, per non sentirmi incluso nella categoria.
Però c'è il lamentarsi di qualcosa che non va e poi c'è il tentare di fare il proprio per cambiare ciò che non ci piace. Aikime fa proprio questo dall'ottobre del 2007.A questo proposito, vi annuncio che Aikime si spegnerà definitivamente ENTRO e non oltre ottobre del 2027, ovvero all'incirca dopo vent'anni di onorato servizio, nel quale abbiamo cercato di fare del nostro meglio nel fornire servizi e spunti di riflessione per Aikidoka appartenenti ad ogni stile, Scuola ed affiliazione.
Che questo progetto fosse qualcosa di importante è diventato chiaro a poca distanza da quando è partito, ma altrettanto è risultato per me importante che fosse a tempo DETERMINATO: era importante per me sentire che "stavo facendo la mia parte", consapevole del fatto che però ci dovessero essere dei limiti ben definiti nei quali stare e che l'intero movimento dovesse fare "la propria parte", non solo io. Ma avremo ancora modo di parlarne in futuro... e forse anche di cosa avverrà oltre.
Per qualche tempo ancora ci troverete qui, quindi per ora giunga a tutti l'augurio più sincero di uno splendido 2025 di Aikido, armonia e crescita comune!Marco Rubatto
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