Egli tende a prendere decisioni che impattano direttamente nelle vite di altre persone: se è il Maestro di un Dojetto in basso a destra, avrà poco impatto sulla quotidianità di pochi allievi (5 o 6, che frequentano un paio di volte a settimana)...
Ma se si è il leader di una Community Aikidoistica, le proprie decisioni vengono a piovere su molteplici persone, sia quelle che frequentano il Dojo in modo diretto (che tendono ad essere parecchie), sia su quelle che ruotano comunque intorno al suo Aikido (allievi, vicini e lontani, frequentatori dei suoi eventi, etc).
Insomma, se Christian Tissier Sensei decidesse - per qualche ragione - decidesse di escludere ikkyo dal suo programma tecnico, qualche migliaio di persone nel mondo si metterebbero le mani nei capelli... ne segue che le decisioni di un Sensei sono spesso qualcosa di parecchio complesso, che ha differenti implicazioni e conseguenze.Qualcosa che vale la pena esplorare, già che sono molti i Sensei che ogni settimana leggono queste pagine.
Quando ho iniziato ad insegnare (e per diversi anni a seguire) ho fatto molta fatica ad identificarmi con la figura del "Sensei": sentivo di non meritarmelo, ero molto giovane, avevo un'esperienza ed un grado parecchio acerbi... quindi ho iniziato ad insegnare come una sorta di "fratello maggiore" di quelli che erano - fino a poco prima - i miei semplici compagni di corso.
Ero il Senpai, ma non mi consideravo nulla di più: questo mi permetteva di prendere decisioni per ciò che credevo essere "il bene" del gruppo che stavo portando avanti e cercando di far crescere.
Non conoscevo certe dinamiche, comprendevo quanto la pratica fosse centrale, quindi mi davo completamente a quella e facevo si che anche gli altri potessero fare la stessa cosa. Le prime decisioni importanti che mi sono trovato a prendere sono state generate da una sorta di "sfratto" dal tatami che utilizzavamo al tempo. Bisognava trovare una nuova sede per il gruppo.
Cercai di fare le cose più democraticamente possibile, sentendo le opinioni ed esigenze di tutti... ed iniziai a constatare quanto fosse particolarmente difficile accontentare chiunque. Ciò che pensavo io al tempo credevo non avesse particolare rilevanza: l'importante era continuare a praticare con i ragazzi!Ma qualche scelta fui costretto a prenderla, giacché nessun altro si muoveva... e li iniziarono le grane: malcontenti, sparizioni dal gruppo, etc. Avevo provato ad agire nell'interesse collettivo ed avevo finito per disgregare una piccola realtà di meno di una decina di persone.
Questa cosa mi ferì parecchio, ma mi insegnò ad iniziare ad assumermi la responsabilità e le conseguenze delle mie azioni.
Ora - circa 25 anni più tardi - sono in una posizione completamente diversa: un giorno si ed un giorno anche sono chiamato a prendere decisioni destinate a toccare forse un po' meno persone di quanto farebbe Christian Tissier Sensei, ma comunque non proprio così poche. Ed ogni volta è chiaro che una scelta privilegerà una prospettiva specifica della disciplina, tralasciandone un'altra... agevolando alcune persone e svantaggiandone delle altre.
Lo spirito forse è sempre quello di favorire la maturazione personale attraverso la pratica, che propongo al Dojo, in Federazione, ai Seminar... ma la domanda crucciale è: le persone sanno cosa fa loro bene per crescere e maturare? O forse credono solo di saperlo?Non si può ovviamente generalizzare, ma ciò che dovrebbe distinguere un Sensei da un suo allievo NON è tanto il potere di decidere/influire sul prossimo, quanto la consapevolezza di ciò che fa: il Sensei ne dovrebbe possedere di più, perché è più tempo che pratica (con se stesso e con gli altri).
Non sono di certo arrivato a possedere tutta la consapevolezza di questo mondo, ma è un dato di fatto che ho le idee sempre più chiare su ciò che mi serve e credo serva pure a chi percorre il DO insieme a me.
Questo mi sta richiedendo di prende sempre più spesso decisioni importanti e scomode al contempo: scelte che potrebbero condurre alcuni a "sbocciare", ed altri ad allontanarsi da me, dal Dojo, dalla Federazione, dalla pratica dell'Aikido. Paradossalmente, questa cosa mi pesa sempre di meno, man mano che mi si chiariscono le idee.
Decidere l'ordine di un programma tecnico, il luogo e/o l'orario dei keiko, quali quote di frequenza richiedere per un corso, per la partecipazione ad uno stage... sono cose piccole, ma da esse può dipendere la buona riuscita e la fortuna di un corso, di un Dojo, la possibilità di una community di formarsi... oppure sono elementi che possono mandare tutto al macero, se non scelti con oculatezza.
Ed ho sempre più chiaro che la "democraticità" non centra proprio nulla con il prendere decisioni sagge, la maggior parte delle persone è piuttosto lontana dalla saggezza: ne segue che talvolta decido in completa autonomia, o comunque lo faccio dopo avere richiesto i pareri di chi mi pare più oculato sentire... ma comunque assumendomi sempre la paternità e responsabilità di ciò che scelgo.
In questo senso, un Sensei tende ad essere "solo" nelle sue decisioni: non può cioè delegare ad altri le responsabilità che si assume con il suo schierarsi ed agire. E sarebbe limitativo pensare che le sue responsabilità si fermino a se stesso ed ai suoi allievi. I Sensei hanno di solito delle famiglie, vivono con qualcuno, che non è detto che abbia scelto - al pari suo o con la stessa intensità - il cammino dell'Aikido.
Si parla di persone che devono avere accettato - più o meno obtorto collo - di vederlo/a ben poco di sera durante la settimana... o che spesso durante i week end lo/la vedano sparire, per frequentare i Seminar nei quali insegna o frequenta come allievo per continuare a formarsi.Ciò significa non solo rinunce, ma spesso conflitti e scese a compromessi, per far quagliare al meglio le sue prospettive con la società nella quale vive, sia a livello domestico privato, sia - più in generale - con le persone che incontra.
Talvolta i Sensei si ammalano, ad esempio... ed il medico prescrive loro assoluto riposo: già, ma chi farà lezione se il Maestro non dovesse essere al suo posto sul tatami quando arrivano gli allievi?
Un Dojo grande ha di solito diversi allievi esperti al proprio interno, che possono - almeno temporaneamente - sostituire il Sensei malato, ma cosa può accadere in un gruppo di praticanti più piccolino?
Ve lo dico io, perché ci sono passato...
Accade che, dopo avere dato l'anima perché le persone comprendessero quanto è importante la continuità degli allenamenti, ci si senta una merdaccia secca ad essere la causa delle loro discontinuità per le proprie indisposizioni e défaillance: temi che tutto il tuo duro lavoro possa venire compromesso da unos sciocco incidente di percorso...Quindi magari il Sensei va a lezione con la febbre, con acciacchi muscolari di ogni tipo... impasticcandosi per essere all'altezza dei movimenti che dovrà fare, per poi tornare a casa a collassare nel letto.
Talvolta si ha l'impressione che essere congruenti con le proprie scelte imponga di affrontare paradossi non semplicissimi, tipo: "É meglio far si che gli allievi si allenino o è meglio badare alla propria salute?".
Ci ho messo circa 25 anni a comprendere come fare in questi casi, e in molti altri devo ancora capire parecchie cose. Ora so che accettare i miei limiti è molto importante, ma mi ci è voluto qualche decennio per esserne pienamente consapevole.
Una cosa è certa: un Sensei è pressoché costretto a prendere decisioni di continuo... Ci sono allievi da incoraggiare ed allievi da frenare, ci sono svolte delicate che possono mettere a dura prova la carovana che lo segue. Impossibile evitare di sbagliare o di soffrire, ma sicuramente si tratta di qualcosa che lo fa crescere parecchio, poiché apprende l'importanza dell'auto-determinazione, che dovrà poi - con pazienza - trasmettere a chi studia al suo fianco.
Un consiglio che do a me stesso (e di conseguenza a voi tutti) è quello di provare a guardare sempre DIETRO alle scelte e decisioni che prende il vostro Sensei: potreste trovarci una persona che sta facendo del suo meglio, che rischia sulla sua pelle... qualcuno da stimare anche solo per il coraggio che mostra nel testimoniare le sue prospettive, offrendo loro tutto se stesso.Marco Rubatto
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