lunedì 22 ottobre 2018

名札掛け Nafudakake, la firma di un Dojo

 Ci occupiamo quest'oggi di un oggetto molto tradizionale per un Dojo: [名札掛け] il nafudakake.

In giapponese, il termine significa "targhetta/etichetta sospesa" e si riferisce ad un gruppo di tavolette di legno appese ai muri della sala di allenamento riservata alle arti marziali e ad altre discipline tradizionali (ad es: [茶道,] il Chadō, ovvero la Cerimonia del Tè), con sopra scritti i nomi degli allievi/membri ed anche i loro ranghi.

Solitamente, ogni nome è scritto su una diversa placchetta di legno.

In un Dojo dove vengono mostrati i gradi, la targhetta di una persona è posta più in alto in base al rango d'appartenenza.

I nafudakake sono anche usati negli santuari shinto, per mostrare i nomi dei benefattori... qualcosa di simile alle targhette che compaiono sui banchi di alcune chiese cristiane.

Ad esempio, Morihei Ueshiba compare nel nafudakake del tempio di Kami Shirataki, che egli stesso ha contribuito a costruire... nei pressi del villaggio di Shirataki, in Hokkaido.

Non è che uno non possa praticare senza avere il nome appeso ad un muro, ma è bene entrare un po' di più nelle motivazioni della tradizione, per comprenderne meglio l'utilità.

Ogni disciplina giapponese, così come ogni movimento religioso/spirituale, richiede da sempre un ingaggio diretto e personale... qualcosa quindi che ciascuno è ingrato di fare SOLO in prima persona.

E di solito viene richiesto che questo ingaggio sia piuttosto completo, non una cosa tanto light!

Alle nostre latitudini verrebbe da pensare che al corso di Aikido ci andiamo quando ne abbiamo voglia, o abbiamo il tempo di farlo... ma altrove (e secoli addietro) ci si era resi conto che questa modalità (frequente oggi) risulta piuttosto limitativa... se si guardano ai risultati raggiungibili attraverso di essa.

Iscriversi in un Dojo era (ed è!) come essere accettati in un "clan" - una community diremmo forse oggi - che ha la sua etica e, di conseguenza, le sue regole di comportamento al suo interno.

Un Dojo (ma anche un santuario) è un luogo meritocratico - nel senso più positivo del termine -, ovvero maggiore è l'adesione e l'ingaggio alle attività, maggiori sono i riconoscimenti.

Conta poco essere i figli o le compagne del Sensei: tutti si è uguali dinnanzi alle responsabilità comuni, senza sconto alcuno... quindi ognuno partecipa in modo differente alla "vita sociale"... in funzione del ruolo che occupa.

I kohai saranno docili ai suggerimenti dei loro senpai... mentre questi ultimi avranno il compito di prendersi cura dei nuovi arrivati, etc, etc.

Nel nostro Dojo abbiamo da poco deciso di costruire il nostro nafudakake!

Esso non sarà qualcosa destinato ad interessare chiunque si affacci alla disciplina che pratichiamo, ma SOLO coloro che si sentono sufficientemente motivati ad entrare UFFICIALMENTE a far parte del Dojo: solo chi è disposto ad investire in modo diretto e personale sulle attività comuni... e che quindi ha il diritto di vedere il proprio nome svettare fra coloro che costituiscono il nucleo stesso del nostro gruppo.

Un Dojo è una macchina piuttosto complessa da far funzionare: NON è una palestra, quindi non c'è l'impresa di pulizie a provvedere a mantenere puliti i locali... sono gli allievi stessi a farlo.

Alla fine di ogni lezione, ciò richiede una decina di minuti riservati alle pulizie comunitarie, mentre si scherza allegramente con i propri compagni di corso... ma esistono lavori straordinari, che portano via molto più tempo.

Ad esempio, prima di un seminario importante, un Dojo di solito è tirato a lucido... e questo richiede turni di pulizia al di fuori delle normali ore di lezione, magari anche durante i momenti di riposo del week end.

Quindi una persona decide di alzare le chiappe dal proprio divano - nelle poche ore libere che possiede - e regalarne un paio ai suoi compagni di corso dell'Aikido, magari per pulire i servizi igienici o togliere le erbacce davanti all'uscio... e questi sia che nella vita faccia l'amministratore delegato di una società quotata in borsa, sia che faccia il giornalaio o il panettiere: voi come chiamate una cosa simile?


Noi la chiamiamo "impegno" e "dedizione", che suscitano un profondo rispetto e che meritano di essere resi visibili... soprattutto agli occhi di chi arriva, paga e si sente per questo sollevato da qualsiasi altra responsabilità!

Per queste ed altre ragioni, abbiamo creato il nostro nafudakake, ovviamente suddiviso in base ai diversi ranghi, come prevede la tradizione.

Ciascuno ha il compito di appendere la propria targhetta nominale, che gli verrà riconsegnata qualora il suo percorso nel Dojo dovesse - per qualsiasi ragione - terminare.

Appese quindi ci sono le tavolette di coloro che hanno scelto di "esserci veramente" e per tutto il gruppo esse rappresentano un esempio da imitare, così come per il singolo risultano essere una manifestazione piuttosto leggibile dell'impegno che si è scelto di assumersi (o meno, se la propria tavoletta non c'è!).

Viviamo in una società nella quale abbiamo spesso timore di fare il passo più lungo della gamba, e nella quale NON amiamo troppo assumerci pubblicamente responsabilità... che non sappiamo di poter poi onorare: solo che così facendo non si riesce a costruire un granché di stabile, lo comprendete bene.

Il nafudakake è per la tradizione giapponese un "reminder" di coloro che hanno scelto di non restare nell'ombra e di metterci invece sia il nome, che la faccia... perché hanno compreso che questo è un modo sicuro per crescere, sia a livello individuale, che collettivo.

Ringraziamo di cuore chi ha avuto il desiderio di affiggere il suo nome al nostro muro: sappiamo che gli dobbiamo molto... e se il nostro cammino è talvolta così piacevole, è anche molto merito suo!










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