
In giapponese, il termine significa "targhetta/etichetta sospesa" e si riferisce ad un gruppo di tavolette di legno appese ai muri della sala di allenamento riservata alle arti marziali e ad altre discipline tradizionali (ad es: [茶道,] il Chadō, ovvero la Cerimonia del Tè), con sopra scritti i nomi degli allievi/membri ed anche i loro ranghi.

In un Dojo dove vengono mostrati i gradi, la targhetta di una persona è posta più in alto in base al rango d'appartenenza.
I nafudakake sono anche usati negli santuari shinto, per mostrare i nomi dei benefattori... qualcosa di simile alle targhette che compaiono sui banchi di alcune chiese cristiane.
Ad esempio, Morihei Ueshiba compare nel nafudakake del tempio di Kami Shirataki, che egli stesso ha contribuito a costruire... nei pressi del villaggio di Shirataki, in Hokkaido.
Non è che uno non possa praticare senza avere il nome appeso ad un muro, ma è bene entrare un po' di più nelle motivazioni della tradizione, per comprenderne meglio l'utilità.
Ogni disciplina giapponese, così come ogni movimento religioso/spirituale, richiede da sempre un ingaggio diretto e personale... qualcosa quindi che ciascuno è ingrato di fare SOLO in prima persona.
E di solito viene richiesto che questo ingaggio sia piuttosto completo, non una cosa tanto light!

Iscriversi in un Dojo era (ed è!) come essere accettati in un "clan" - una community diremmo forse oggi - che ha la sua etica e, di conseguenza, le sue regole di comportamento al suo interno.
Un Dojo (ma anche un santuario) è un luogo meritocratico - nel senso più positivo del termine -, ovvero maggiore è l'adesione e l'ingaggio alle attività, maggiori sono i riconoscimenti.
I kohai saranno docili ai suggerimenti dei loro senpai... mentre questi ultimi avranno il compito di prendersi cura dei nuovi arrivati, etc, etc.
Nel nostro Dojo abbiamo da poco deciso di costruire il nostro nafudakake!

Un Dojo è una macchina piuttosto complessa da far funzionare: NON è una palestra, quindi non c'è l'impresa di pulizie a provvedere a mantenere puliti i locali... sono gli allievi stessi a farlo.

Ad esempio, prima di un seminario importante, un Dojo di solito è tirato a lucido... e questo richiede turni di pulizia al di fuori delle normali ore di lezione, magari anche durante i momenti di riposo del week end.

Noi la chiamiamo "impegno" e "dedizione", che suscitano un profondo rispetto e che meritano di essere resi visibili... soprattutto agli occhi di chi arriva, paga e si sente per questo sollevato da qualsiasi altra responsabilità!

Ciascuno ha il compito di appendere la propria targhetta nominale, che gli verrà riconsegnata qualora il suo percorso nel Dojo dovesse - per qualsiasi ragione - terminare.
Appese quindi ci sono le tavolette di coloro che hanno scelto di "esserci veramente" e per tutto il gruppo esse rappresentano un esempio da imitare, così come per il singolo risultano essere una manifestazione piuttosto leggibile dell'impegno che si è scelto di assumersi (o meno, se la propria tavoletta non c'è!).

Il nafudakake è per la tradizione giapponese un "reminder" di coloro che hanno scelto di non restare nell'ombra e di metterci invece sia il nome, che la faccia... perché hanno compreso che questo è un modo sicuro per crescere, sia a livello individuale, che collettivo.

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