lunedì 24 settembre 2018

Prendersi cura di sé in modo congruente all'Aikido

Quest'oggi vi proponiamo la traduzione di uno scritto recente di Patrick Cassidy Sensei, 6º dan Aikikai... un docente professionista californiano che vive ed opera a Montreux, nella Svizzera francese.

Patrick è anche il Sensei di Marco e visita da decenni il nostro Dojo, ogni anno, agli inizi di marzo (QUI il link all'evento Facebook della sua prossima venuta): quest'oggi ci parla di un argomento che riteniamo molto importante, ovvero quello del "self-care" dei praticanti di Aikido (ed insegnanti) di lunga data.

Può l'Aikido essere una disciplina in grado di mantenere giovinezza, benessere e salute... o saremo destinati a dolori articolari ogni volta che cambia il tempo dopo qualche decade di pratica regolare?

Diciamo che i cosiddetti "esperti" non sono proprio sempre lo specchio della salute... quindi pare più che legittimo porci la domanda, e sentire cosa ne pensa una persona che ha dedicato la sua intera vita alla pratica ed all'insegnamento di questa straordinaria disciplina.

BUONA LETTURA!!!


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Sul nostro cammino e nelle nostre vite, come praticanti di Aikido di lungo termine, affrontiamo la domanda sempre attuale: "Come prenderci cura di noi stessi, mentre ci alleniamo?".

Uno dei presupposti errati più comuni della formazione tradizionale in Aikido sembra essere che -dopo molti anni di allenamento - una persona dovrebbe aspettarsi di soffrire di una serie di problemi fisici piuttosto importanti.

È frequente che i praticanti di lungo termine debbano subire interventi chirurgici per lesioni al ginocchio, per ridurre lesioni prodotte da uso eccessivo a livello delle spalle e del collo.

Operazioni alle anche per gli insegnanti non sono rari e quasi tutti hanno avuto varie lesioni ai polsi e alle caviglie durante il loro allenamento. Perché?
Ciò ci chiede di farci alcune domande su come abbiamo imparato ad allenarci e sulle incomprensioni ed abusi dietro questo approccio (errato) alla nostra pratica fisica.

Ma oggi desidero occuparmi di come prenderci cura del nostro corpo, mentre percorriamo il nostro cammino di Aikidoka.

Ci sono molti insegnanti (incluso me stesso, in un certo periodo del passato) che ritengono che insegnare Aikido sia sufficiente per mantenersi in forma. Che in qualche modo il solo mostrare alcune tecniche ed esercizi sia sufficiente per prenderci cura di noi stessi e continuare a rimanere ingaggiasti in questo processo.

Credo che molti di voi realizzino che questa idea sia falsa e generalmente conduca alla condizione/sindrome di "Sensei dall'aspetto poco sano", che non può più fare cadute, che dovrebbero perdere alcuni chili o forse che necessiterebbero anche di iscriversi in una palestra.

Questi insegnanti di Aikido non mostrano con il loro corpo la libertà, la vitalità e salute che l'Aikido sembra promettere. 

Oppure abbiamo i Sensei "sempre malconci", che tentano costantemente di mettere una pezza o di recuperare i danni che li hanno resi quasi menomati dalla loro frequentazione del tatami, e in qualche modo cercano di andare oltre le ferite mentre insegnano, essendo in grado di sopprimere il dolore o la debolezza per un paio d'ore di magia dell'Aikido, solo per zoppicare fuori dal tappeto dopo le lezioni, e che hanno bisogno di programmare la prossima sessione di allenamento del loro corpo in modo da poter dormire quella notte.

Questo insegnante di Aikido incarna i principi mentre insegna, ma non vive i principi durante il giorno e negozia costantemente i limiti del proprio corpo con il potere che lo attraversa.

Essi sono un paradosso: qualcuno che può muoversi come l'acqua, ma vive in uno stato costante di dolore quando non si sta allenando.


La sindrome finale è il "grande Sensei del pensiero", che vive nei concetti e nelle metafore dell'arte, può imitare le metafore e dimostrare i concetti ma non sta fisicamente accedendo all'energia vitale dell'arte in modo dinamico.
Queste persone tendono alle lunghe discussioni e fisicamente non sono consapevoli della vitalità dell'arte. Il corpo qui può essere senza lesioni ma è anche privo di "magia", in qualche modo.

Quindi, come allenarci in modo tale da accedere alla magia dell'arte... in modo vivo, e incarnare i principi nella nostra vita - sia dentro che fuori dal tatami -, in modo tale che l'arte dell'Aikido ci mantenga sani?

Per me questa risposta sta nel modo in cui ci alleniamo. E come ci prendiamo cura di noi stessi quando non ci alleniamo.

Questo scritto si concentra sulla seconda domanda: come ci prendiamo cura di noi stessi?

Ora non vorrei limitarmi a suggerirvi ricette diverse per bevande a base di erbe che riducano le infiammazioni (latte di curcuma), promuovere diversi approcci di lavoro corporeo che promuovano la guarigione (trager, rolfing) o - ancora - suggerire pratiche fisiche alternative, che possano integrare il nostro Aikido (yoga, tai chi , chi gung)... ma piuttosto vorrei parlare di come possiamo avvicinarci alla cura di sè in modo che diventi una buona e costante abitudine.

Nelle nostre vite usiamo così tanto la paura e l'ambizione come motivatori per il cambiamento o l'evoluzione.

Volendo migliorare le nostre vite, in qualche modo, cerchiamo spesso di fare fare a noi stessi un addestramento extra o attività di auto-cura, immaginando le nostre ricompense (un addome con la tartaruga) o temendo le possibilità di un fallimento (come una pancia che riflette il nostro amore per la birra...)

Questo approccio di volere i risultati positivi immaginati o di temere le conseguenze negative immaginate ha un impatto limitato: non possiamo sostenere una pratica di supporto alla cura di sé per la totalità della nostra vita, utilizzando solo l'ambizione e/o la paura.

In nessun caso ho visto che questa prospettiva si sia veramente rivelata funzionale e coerente.
Quindi non raccomando di usare la paura, l'ambizione, il senso di colpa o qualsiasi altro tipo di motivazione di questo tipo come supporto di base per la cura di sé.





Quindi, cosa ci rimane?

Naturalmente la paura o l'ambizione possono ancora esistere mentre proviamo un approccio diverso, ma ora sto suggerendo di essere mossi da un ispirazione differente come un modo per prenderci cura di noi stessi.

E quell'ispirazione è gioia, curiosità, scoperta ed evoluzione... Ma prima di tutto è gioia.

Negli ultimi cinque anni, mi sono fatto questa domanda in un modo tale da aver cambiato la mia vita.

Prima, sentivo di lavorare solo durante le lezioni che insegnavo, (oltre gli occasionali allenamenti privati), ma negli ultimi cinque anni ho lavorato regolarmente per 6-9 ore settimanali in più.
Ciò ha incluso lo yoga, l'allenamento con i pesi, il lavoro energetico e l'esplorazione generale mente/cuore /corpo.

L'unico elemento che ha sostenuto questo sforzo consapevole in questi ultimi cinque anni è stata la gioia. Fondamentalmente, facendo gli esercizi in modo che siano divertenti e piacevoli.

Prima di questo click, se avessi tentato di progettare un allenamento, avrei provato a creare una serie di esercizi ed a seguire un programma di un certo numero di ripetizioni e cicli.
Sentendomi bene con me stesso se fossi riuscito completato il programma.

Ma ciò non rendeva il processo "piacevole". In effetti, mi aspettavo che il lavoro programmato fosse "irrealizzabile" e pensavo che ciò fosse semplicemente la sua natura: "Allenarmi non mi fa sentire bene", era la mia ipotesi... Il "sentirsi bene" arriva DOPO il lavoro svolto.

Il motto di fondo era "nessun dolore, nessun guadagno". Ed, in qualche modo, mi sono avvicinato all'Aikido anche in questo modo.

Non ricordo quando questa nuova prospettiva mi ha colpito, ma ricordo come è successo.

Stavo facendo un push-up e mi sono chiesto: "Come potrei farlo in modo che mi possa piacere?".

Ho sentito il movimento, apprezzando tutte le sfumature del flusso e il mio corpo ha iniziato a riallinearsi con l'esercizio e ho sentito che veniva utilizzata un altro tipo di "intelligenza". Stavo fluendo attraverso il movimento, piuttosto che "spingendomi" attraverso di esso.

Ed è stato divertente, ma anche più impegnativo da fare.

Non potevo infatti fare tante ripetizioni come in passato, (facevo da 80 a 100 flessioni all'inizio del mio lavoro di esplorazione, e più tardi, mentre iniziavo a godermele, ne facevo solo più 20-30, ma le facevo anche più pienamente, fino in fondo, in modo che il mio naso tocchi il pavimento).

Ma mi ero gustato il movimento ed avevo apprezzato l'esperienza stessa.
Il push-up non era un mezzo per raggiungere un fine, ma l'obiettivo stesso.

Spostare il corpo è divertente, lo sforzo di fare sforzi è bello, esplorare i limiti è una meraviglia, e l'evoluzione si ripaga dell'esperienza stessa. La mente è impegnata, il cuore è tutto con l'esercizio e il corpo è nel flusso.

La gioia è nel poter fare il movimento, l'esplorazione ed i risultati sono immediati e auto-evidenti.
La vita è vibrante e gli esercizi ci permettono di entrare in risonanza con quella vivacità della vita.

Ma come farlo?
Per me è facile: non spingo... Autorizzo!

Quanti flessioni oggi?

Nessun requisito di partenza, nessuna aspettativa: basta farne 5 e divertirsi e vedere.
Wow, 5 mi è sembrato fantastico, ne faccio atre 5!
E quando ho finito, ne avevo poi fatte 30 di flessioni... ma molto apprezzate e profondamente consapevoli.
E sento di aver impegnato il mio intero sistema e tutto ha funzionato.

Anche la libertà nell'allenamento è importante, dando quindi una possibilità al sistema di sentirsi coinvolto in se stesso.

Dare spazio affinché il corpo si liberi spontaneamente dai dettami della conoscenza passata e di esplorare senza bisogno di sapere.

Alternando tra esercizi che sono nel mio repertorio esperienziale, (headstand, push-up, wheel pose, pranayama, ecc.) con stati di flusso aperti che portano a nuovi movimenti, stiramenti, processi di riorganizzazione dell'energia, ecc...

Il "work out" mi fa sentire il meglio di come mi sia mai sentito in precedenza e riallineato con il mio percorso.

Mi sento congruente con i principi della pratica dell'Aikido. Non sono più la vittima di uno stato fisico.
Ciò ha fatto un'enorme differenza nella mia vita. E la questione della cura-di-sé è sempre aperta, in quanto è un'esplorazione che si evolverà man mano che questo sistema continua a cambiare.

Quindi, qualunque sia la situazione, come insegnanti o praticanti di lungo termine, incoraggio entusiasticamente tutti voi a iniziare un processo di cura di sé e - quando lo fate - di iniziarlo con gioia.

Godetevi la vita, godetevi il movimento, godetevi lo sforzo, godetevi un nuovo territorio da esplorare, godetevi la scoperta e godetevi l'evoluzione...

Patrick Cassidy Sensei, 6º dan Aikikai



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