Richiede un po' di tempo decidere di agire nella vita, smettendo di "reagire" semplicemente, come farebbero delle cavie da laboratorio.
L'Aikido potrebbe essere quindi anche definita "l'arte di agire, smettendo di reagire".
Ma agire non è qualcosa di così semplicistico: è possibile farlo in modo parziale, fortuito, consapevole, immediato, riparatorio, frenato, totale, integrato...
Noi tutti abbiamo un corpo ed è sicuramente con quello che visibilmente agiamo sul tatami: anche il nostro corpo - tuttavia - tende ad agire in modo molto differente da quello che fa, ad esempio, il nostro Insegnante.
I suoi movimenti sono fluidi, eleganti, consapevoli, veloci, precisi... mentre i nostri appaiono invece più stentati e goffi di solito. É per questo che ci siamo iscritti ad un corso, per migliorare il nostro "modo di muoverci", sia nel Dojo che nei confronti di noi stessi.
Il movimento corporeo risulta un ottimo specchio del nostro mondo interiore e della fluidità con la quale ne entriamo in contatto: la materia ha, fra l'altro, il pregio di essere qualcosa di più misurabile ed oggettivo, rispetto al nostro mondo interiore... ed è infatti su un tatami fisico che si svolgono gli allenamenti!
Cosa vuol dire quindi "centralizzazione del movimento"?
Si parla di solito di un movimento che proviene dall'hara, dal centro addominale quindi, e che si propaga negli arti inferiori e superiori in modo naturale... rendendo l'azione veloce, efficace ed integrata.
Il nostro avversario in fondo non fa altro che testare e mettere continuamente alla prova il nostro grado di integrazione corporea nei movimenti che eseguiamo.
Più questi movimenti saranno "non locali", nel senso... "non solo realizzati da un braccio o da una gamba" - per esempio -, più essi risulteranno "efficaci" (altra brutta parola, che sarebbe bene sempre contestualizzare nei significati!).
Immaginate di avere una CPU che risiede 2 dita sotto l'ombelico, che detta gli ordini all'hardware composto da busto, testa, braccia e gambe: se tutte le parti del corpo sono collegate "in rete" fra loro ed è ben chiaro chi ha potere decisionale e chi ha compiti operativi... il "sistema" corpo si muoverà in modo appropriato alle circostanze, massimizzando le sue risorse interne.
Ma questo di solito non accade, specie se siamo principianti... specie se un mouse o una stampante volessero far funzionare un computer al posto della sua CPU, specie quindi quando la CPU fosse spenta e gli altri elementi fossero costretti goffamente a compensare alle sue mancanze.
In questo caso parliamo di "disconnessione" del corpo, nel senso che ogni nostro "componete" fa un po' da sé... non per forza con soddisfazione e profitto globale del sistema di cui fa parte!
La centralizzazione del movimento presuppone che non ci sia chi "fa di più" e chi "fa di meno", ma che ciascuno faccia ciò per cui è destinato, rimanendo rilassato quando ciò è utile ed attivandosi altrettanto al momento più opportuno...
... opportuno per sé e per il sistema integrato di cui fa parte: è necessario ragionare in termini associativi, anziché dissociativi quindi.
Cresciamo in una società in cui il meglio per noi è avvertito come sinonimo del male per qualcun altro (e viceversa): in Aikido impariamo che il bene nostro e degli altri sono qualcosa che può anche coincidere.
Si tratta di conoscere qual è il momento migliore perché un muscolo sia spettatore e quando è bene renderlo protagonista di ciò che vogliamo esprimere attraverso il movimento.
Questa cosa però è possibile SOLO se c'è un "direttore d'orchestra" attento ed intonato, ed una batteria di musicisti preparati che non hanno la mania o l'esigenza di emergere come "la prima donna".
A ciascuno il suo ed in modo rispettoso e sopportante di tutti gli altri elementi che mandano avanti lo spettacolo: nel nostro caso lo show è un conflitto, recitato in un luogo in cui l'aggressore ci permette di comprendere quale livello di complicità costruttiva regni nella nostra compagnia teatrale.
Le braccia troppo flosce, le gambe troppo tese... le anche troppo inattive: come nella società in cui viviamo, c'è chi fa troppo e chi fa troppo poco o nel momento meno opportuno.
Il movimento non è "centralizzato", così come non sarà necessariamente integrata la coscienza dell'individuo che firma in questo modo il suo muoversi.
Esiste una parte di noi che è predestinata al raziocinio, al know how, allo studio del dettaglio, alla scomposizione... questa parte - solitamente collocata nell'emisfero celebrale sinistro - muove (di solito) la parte destra del corpo umano; la parte sinistra del corpo invece viene mossa dal lobo destro, che tende ad un funzionamento più olistico, integrativo, irrazionale, empatico, emotivo... ad una visione globale del fenomeno che sta vivendo.
Nel muoverci, continuiamo a coinvolgere sia l'emisfero sinistro che quello destro: quando uno dei due predomina sull'altro - anziché cooperare con l'altro con le sue peculiari qualità - il movimento risulta parziale, disorganizzato, migliorabile nel rapporto risorse/risultati.
La centralizzazione del movimento è quindi quello strumento che ci permette di vedere chi siamo e come affrontiamo la vita, ma non si tratta di una funambolica teoria psicologica o di mera filosofia... si tratta di ore ed ore di tatami: diventiamo noi stessi l'esperimento e lo sperimentatore in contemporanea.
Chi è integrato nel movimento "fuori", non può essere disordinato, né banale "dentro": l'Aikido quindi si presta come uno strumento incredibilmente potente per chi ne sa intuire (lobo destro) la profondità e mettere a frutto (agire, lobo sinistro) gli insegnamenti ricevuti.
Vivere meglio nel quotidiano è possibile, ma per farlo è necessario ricavarci un luogo ed un tempo dedicati a noi, nel quale rilassare la tensione e/o irrobustire le lassezze che chiunque tende a portarsi dietro.
"Andare in CENTRO" quindi non è qualcosa che è possibile fare a passeggio solo durante i week end, è un luogo ed un tempo nel quale è possibile vivere... anche se abitiamo in periferia!
Non si tratta solo di portare la periferia in centro, ma di esprimere il centro in tutte le nostre periferie: un risultato non da poco, ma che in una quindicina di anni di allenamento chiunque crediamo possa incominciare a percepire.
La nostra coscienza è il pennello ed il movimento che creiamo con il corpo è l'esercizio calligrafico, lo shodo unico, momento per momento irripetibile ed immodificabile che specchia la sua armonia, conviene impegnarsi ad imbrattare con una certa grazia il tatami del nostro muoverci...
PS: 15 anni per percepire il risultato sono ok... forse però serve anche tutto il resto della vita per provare a raggiungerlo con una stabilità soddisfacente!
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