lunedì 30 giugno 2014

Quando i piaceri e i doveri dell'Aikido sono al bivio

Chi si iscrive ad un corso di Aikido è convinto che ciò sia meglio che non farlo... altrimenti non avrebbe investito i propri soldi: lo considera forse una sorta di investimento!

Le motivazioni possono essere le più disparate, lo abbiamo detto molte volte: mantenersi in forma, imparare a difendersi, abbracciare una disciplina spirituale, filosofica, un'attività sociale... ce n'è per tutti...

... ma il risultato non cambia: se uno lo fa è convinto che sia meglio così!

La bilancia fra ciò che si spera di poter ottenere ed i sacrifici che sarà necessario fare propende sicuramente per la prima area che abbiamo menzionato.

Poi uno inizia ad allenarsi, e si accorge che le cose pian piano cambiano...

Non potevamo sapere QUANTA passione, sudore, costanza ed intensità ci sarebbero state richieste, prima di provarlo sulla nostra pelle...

In questi casi torniamo a chiederci se abbiamo fatto la cosa giusta ad iniziare a praticare, siamo cioè disposti a mettere in discussione le nostre stesse scelte.

Ciò che avverrà di seguito è solo funzione di quanto ci sentiamo realizzati nell'ordinarietà dalla pratica!

Intendiamo dire: ovvio che con il tempo adeguato e molta costanza potremo giungere a tappe importanti del nostro percorso Aikidoistico, ma quanto è importante sentirsi semplicemente sulla giusta strada giorno per giorno?

La vita dell'Aikidoka è fatta di alti e bassi - come quella di tutti - ma sempre di più abbiamo occasione di constatare come la frustrazione ripetuta semplicemente al oltranza sia una degli elementi che maggiormente fanno abbandonare il tatami: è come se molte persone ad un certo punto sentissero semplicemente che la strada intrapresa non appartiene più loro...

Non è sempre questione di mancanza di voglia o costanza: è proprio qualcosa di legato all'intimo, esattamente come quella scintilla che ci ha fatto iniziare ad allenarci.

È una cosa buona provare PIACERE dalla pratica dell'Aikido?
(non intendiamo nulla di zozzo, intendiamoci bene  ^__-)

Sentirci REALIZZATI nel "qui ed ora" durante e dopo un qualsiasi allenamento dovrebbe essere qualcosa di possibile o bisognerà sempre attendere "quel giorno in cui riscopriremo che tutto aveva un suo senso"?

Molti si perdono perché svanisce in loro il SENSO di quello che fanno e non sono più disposti a percorrere una strada che non sentono più confacente a loro stessi.

L'Aikido richiede molto: disciplina, determinazione, passione, disponibilità a mettersi in gioco.... ma questi sono tutti elementi che siamo disposti a mettere in campo se intuiamo che ha un SENSO giocare questa partita!

Prendiamo ad esempio i seminar o raduni: ci sono eventi ai quali un allievo è invitato a partecipare... altri ai quali egli è SUPPLICATO dal proprio Insegnante di frequentare ed altri ai quali - talvolta - è OBBLIGATO ad esserci.

I motivi potrebbero essere quanto mai vari anche per questo: 

1) se i praticanti non vengono, non riescono a comprendere il valore di frequentare situazioni al di fuori dell'ordinarietà del loro Dojo;

2) se i praticanti non vengono, il Sensei non riesce a coprire le spese dell'organizzazione dell'evento;

3) se i praticanti non vengono, non fanno la marchetta necessaria con il Mega-Sensei XY, che poi gliela farà pagare agli esami...

Tutta roba nota e talvolta pure buona, ma l'interrogativo ora è: "Quand'è che le persone frequentano un seminario perché si RENDONO semplicemente CONTO che esserci per loro è meglio di non esserci?"

Questo fatto è determinante, perché se accade è segno che la gente una volta uscita dalla porta riconosce che ha fatto bene ad entrarci!

Vediamo invece sempre più seminari che non "parlano" più ai presenti... che sono fatti "perché si devono fare", perché lo richiedono i programmi tecnici, perché sono stati resi obbligatori da qualcuno... ma non ci rendiamo conto che gli unici obblighi che ci possiamo imporre vengono dal di dentro di ciascuno di noi... non di certo da qualche Maestro o da qualche Ente!

"Vuoi che veniamo al tuo seminario? Vedi di fare una cosa che abbia senso e che ci faccia sentire che ne è valsa la pena, altrimenti ci freghi una volta sola!"

Sempre più gente ragiona così - e per le lezioni regolari nel Dojo vale la stessa cosa - e forse questo è tutt'altro che un male.

Un tempo bisognava stare ai dettami del Maestro, in quanto egli era un'autorità indiscutibile: ora sempre più se facciamo bene INSIEME, è perché siamo veramente INSIEME in tutto ciò che facciamo, non 'è più chi dispone solo e chi accetta supinamente!

Se i praticanti non riescono a sposare - giorno per giorno - piacere, realizzazione e ingaggio necessario alla pratica SMETTONO, dobbiamo farcene una giusta ragione!

Questo è un autentico segno di evoluzione della disciplina, se ci pensiamo: l'Aikido non prevede un "io" ed un "tu", ma solo un "noi"... invece per anni c'e stato un "io Maestro" ed un "voi cacche di allievi... che devono fare una marea di strada prima di essere fughi come me".

Non ovunque è stato così, ma spesso lo è stato...

Non che oggi tutti sappiano cosa è meglio per loro, intendiamoci: solo che questo matrimonio alchemico fra esterno ed interno, fra diversi ruoli ed aspetti della disciplina è qualcosa di inedito... che sta potentemente modificando il modo in cui ciascuno vive l'Aikido, il tatami, il Dojo.

Chi non si uniforma a questo nuovo paradigma (intendiamo ora i Maestri "vecchio stampo", che sanno loro cos'è meglio per le giovani reclute, o gli allievi anarchici di ultima generazione) si trova fuori gioco in poco tempo: chi è capace di "fare Aiki", lo deve poi fare sul serio... sia con se stesso che con gli altri!

La realizzazione di un percorso e la fatica che richiede il percorrerlo sono infatti due fenomeni interconnessi, quindi desiderare solo l'una cosa a discapito dell'altra inizia ad essere evidentemente contro natura.

I corsi quindi sono pieni da quei Sensei che riescono a far rimanere viva la motivazione interna dei propri allievi, e non a chi li massacra di pipe mentali su quanto loro siano ancora inadeguati nei movimenti delle falangi delle dita durante ikkyo ura... o su quanto ancora serve lavorare per raggiungere i loro buddici livelli.

Chi si sente realizzato è disposto a lottare con se stesso per esserlo ancora di più: è disposto al "sacrificio" di cosa non gli è comodo perché sa sperimentalmente che in esso vi è un senso ed un significato... che - DA SOLO - può dare valore alle esperienza!

Chi si sente realizzato è in grado di attendere in momenti di sconforto poiché ha sperimentato come è inappagabile quando poi il proprio goal viene raggiunto, è disposto ad affrontare e superare crisi per ciò in cui crede, proprio perché CREDE ancora in qualcosa...

Ma allora vogliamo far si che gli Aikidoka credano ancora nel lavoro che sono in grado di compiere con loro stessi ATTRAVERSO la pratica dell'Aikido, o li vogliamo decelerati e "spenti" burattini al servizio di qualche Sensei feudatario, che li "amministra" come si faceva un tempo con la bassa plebe?

Sta molte volte agli Insegnanti questa ardua scelta: ardua perché poi - una volta scelto - devono accettare le conseguenze di ciò che arriva:

1) vuoi "amministrare" le cose secondo i vecchi paradigmi ("io sono la luce, non avrai altro Maestro al di fuori di me... ti dico io cosa è meglio per te e se non ti sta bene te lo impongo"...)?

Ok, allora estinguiti, così come stanno facendo i lungimiranti tuoi colleghi!

2) vuoi cooperare alla costruzione compartecipata di una comunità Aikidoistica sana e numerosa?

Ok, allora devi essere disposto realmente a continuare a metterti in discussione, così come chiedi ai tuoi studenti... devi a tua volta avere in equilibrio la tua realizzazione personale ed il tuo piacere di fare ciò che fai con i doveri che ciò comporta!

In questo caso ci sentiamo di essere categorici: una terza via ci sa di compromesso o edulcorazione di una scelta veramente radicale nei confronti di se stessi... in quanto se talvolta le parole ATTIRANO... l'esempio di sicuro SPINGE!

In attesa quindi di vedere più senso nelle competenze, nelle lezioni e nei seminari di chi ha più responsabilità che ciò avvenga, ci auguriamo che l'Aikidoka medio (che brutto termine: per noi nessun Aikidoka è medio, ma è sempre superlativo!) senta più rapporto diretto ed integrazione fra quello che gli viene chiesto di fare per l'Aikido ed il nutrimento personale - di qualsiasi natura esso sia - che riceve man mano dalla disciplina che pratica.

1 commento:

Nino Dellisanti ha detto...

Caro Marco, tutto troppo complesso. la realtà è che come tutte le cose ci sono inizi e fini (nel senso del terminare). Il ruolo di un insegnante è quello di costruire una esperienza positiva che resti nella memoria delle persone quando sarà costoro saranno andate oltre a questa esperienza. Cinismo? no relativismo, per noi quello che faccimo è la più bella cosa del mondo ... per altri un episodio e va bene che sia così. Tutti costoro ci permettono di alimentare la nostra passione e vanno ringraziati... se si ricorderanno dell'esperienza fatta l'obiettio è stato raggiunto. il resto non conta.