Le opinioni che si sentono in giro sono molteplici: c'è chi sostiene che una certa quota di dolore nelle tecniche sia inevitabile, in quanto il nostro uke non sa all'inizio bene come "ricevere al meglio" la nostra proposta... e quindi - fino a quando non impara - si farà anche un po' male proporzionalmente alla sua impreparazione.
Anche una sorta di incompetenza in tori può generare dolore nella tecnica per via della sua inesperienza...
C'era però anche chi rimarca come la pratica dovrebbe essere uno scambio nel quale il dolore sia il campanello d'allarme del fatto che qualcosa non sta funzionando a dovere: sia perché uke nell'attacco riesce a fare male al suo tori, sia perché questi per applicare una tecnica gli provoca una sensazione dolorosa.
Non crediamo che l'Aikido sia l'Arte di imporre qualcosa a qualcuno, anche se esso fosse il nostro avversario: se questo fosse il fine, anche le Arti Marziali del passato sarebbero riuscite particolarmente bene nell'intento ed avrebbero quindi reso inutile la nascita della nostra disciplina.
Che qualcosa di doloroso possa avvenire prima o poi, soprattutto se ci esercitiamo con il corpo, è sicuramente qualcosa da mettere in conto... esattamente come una sarta sa di potersi pungere con uno spillo, ed un falegname di tirarsi una martellata su un dito...
In genere più una persona sente di dover imporre una tecnica, una leva, una proiezione al partner, tanto più rivela forse di essere insicuro in essa e rimanda di non riuscire ad ottenere lo stesso risultato passando per una strada più naturale.
Di un Aikido nel quale uke cade al suolo con una smorfia di dolore, sicuramente preferiamo un altro... nel quale egli viene controllato con altrettanta efficacia, ma dove possa continuare a mantenere il sorriso sulle labbra.
Forse una condizione più difficile da realizzare a parità di "efficacia", ma lo abbiamo visto fare, quindi è possibile!
È però parte della natura umana la limitatezza di comprensione ed il fraintendimento, e noi non siamo sicuramente immuni da tutto ciò.
Nel nostro passato Aikidoistico abbiamo incontrato molti Insegnanti che imponevano le loro tecniche e la bravura nella loro esecuzione era proprio misurata nella quantità di dolore che poteva essere inflitto: "più fa male = più è efficace/è giusta".
Ai tempi di Takeda non abbiamo dubbi che questo potesse essere uno stereotipo piuttosto comune, ma noi siamo ancora li?
Ed in ogni caso, dove è che vogliamo essere? Come ci piacerebbe fossero impostati i nostri paradigmi della pratica?
Il DOLORE può essere un fortuito avvenimento durante la nostra pratica o preferiamo eleggerlo a fedele compagno?
Si intenda: il dolore proprio ed il dolore degli altri sono spesso fenomeni che si confondono fra loro.
Se fossimo neofiti che frequentano un corso di Aikido e provassimo dolore ad ogni tecnica ricevuta, presto impareremmo a non lamentarcene più ed a cercare di restituire analogo trattamento ai nostri compagni...
... ma non per cattiveria o superficialità, quanto semplicemente perché potremmo pensare che è così che SI FA!
Bene... sappia chi si vuole bene e soprattutto ci tiene a praticare a lungo ed in salute che le prime generazioni di Sensei ci hanno offerto un pessimo esempio di comprensione su quanto la nostra disciplina possa essere dannosa, se non frequentata con equilibrio ed attenzione.
Loro stessi erano tutti fisicamente (oltre che a volte mentalmente) distrutti dall'avere esagerato con una pratica dura e punitiva per decenni.
Cadere, cadere e cadere... è un'esigenza, può trasformarsi in un piacere, ma alla lunga creare anche traumi se ripetiamo un gesto non compreso a fondo e per giunta in una modalità poco fisiologica.
Leve portate sempre allo spasimo, tobi ukemi (proiezioni alte)... se ci facciamo imprigionare da questi stereotipi non dureremo a lungo come uke, e verremo presto scansati dagli altri anche come tori.
Tutto si PUO' fare, tutto si DEVE fare... ma con morigeratezza e comprensione su ciò che chiediamo a noi stessi e quindi agli altri.
Dal nostro punto di vista, un Aikido sano è quello che dura a lungo, che può essere quotidiano senza che ciò crei traumi o problematiche di tipo psicofisico... ma anzi, che "curi", che apra il nostro sistema... che porti beneficio e benessere.
Ciò non è contrario all'efficacia, è solo da INTEGRARE con essa, per far si che questi aspetti salutistici non siano più antinomici a quelli marziali... ma polarità diverse e complementari di un tutto armonico.
Gozo Shioda Sensei - solo per fare un esempio famoso - è stato sicuramente un grande marzialista, le sue tecniche sono diventate famose per esplosività e potenza... ma sta di fatto che allo Yoshinkan Honbu Dojo sono tutti rotti (e lo abbiamo visto con i nostri occhi!): ginocchiere, polsiere, fasce di ogni tipo, tutori articolari... era questo ciò che O' Sensei intendeva con Arte dell'armonia?
Sospendiamo il giudizio e ci permettiamo solo di agevolare la riflessione, anche perché un dolore giustificato dal fatto che da esso si possa apprendere qualcosa... forse può non venire considerato del tutto INUTILE.
Lo è invece - secondo noi - quello che deriva dal fatto che "hanno fatto così con noi, ci hanno detto che si fa così, e quindi adesso noi lo rifacciamo agli altri": questo è davvero l'apoteosi della stupidaggine e della tendenza ad essere pecoroni.
Rispetto a ciò, crediamo che l'Aikido sia qualcos'altro...
Di un Aikido nel quale uke cade al suolo con una smorfia di dolore, sicuramente preferiamo un altro... nel quale egli viene controllato con altrettanta efficacia, ma dove possa continuare a mantenere il sorriso sulle labbra.
Forse una condizione più difficile da realizzare a parità di "efficacia", ma lo abbiamo visto fare, quindi è possibile!
È però parte della natura umana la limitatezza di comprensione ed il fraintendimento, e noi non siamo sicuramente immuni da tutto ciò.
Nel nostro passato Aikidoistico abbiamo incontrato molti Insegnanti che imponevano le loro tecniche e la bravura nella loro esecuzione era proprio misurata nella quantità di dolore che poteva essere inflitto: "più fa male = più è efficace/è giusta".
Ai tempi di Takeda non abbiamo dubbi che questo potesse essere uno stereotipo piuttosto comune, ma noi siamo ancora li?
Ed in ogni caso, dove è che vogliamo essere? Come ci piacerebbe fossero impostati i nostri paradigmi della pratica?
Il DOLORE può essere un fortuito avvenimento durante la nostra pratica o preferiamo eleggerlo a fedele compagno?
Si intenda: il dolore proprio ed il dolore degli altri sono spesso fenomeni che si confondono fra loro.
Se fossimo neofiti che frequentano un corso di Aikido e provassimo dolore ad ogni tecnica ricevuta, presto impareremmo a non lamentarcene più ed a cercare di restituire analogo trattamento ai nostri compagni...
... ma non per cattiveria o superficialità, quanto semplicemente perché potremmo pensare che è così che SI FA!
Bene... sappia chi si vuole bene e soprattutto ci tiene a praticare a lungo ed in salute che le prime generazioni di Sensei ci hanno offerto un pessimo esempio di comprensione su quanto la nostra disciplina possa essere dannosa, se non frequentata con equilibrio ed attenzione.
Loro stessi erano tutti fisicamente (oltre che a volte mentalmente) distrutti dall'avere esagerato con una pratica dura e punitiva per decenni.
Cadere, cadere e cadere... è un'esigenza, può trasformarsi in un piacere, ma alla lunga creare anche traumi se ripetiamo un gesto non compreso a fondo e per giunta in una modalità poco fisiologica.
Leve portate sempre allo spasimo, tobi ukemi (proiezioni alte)... se ci facciamo imprigionare da questi stereotipi non dureremo a lungo come uke, e verremo presto scansati dagli altri anche come tori.
Tutto si PUO' fare, tutto si DEVE fare... ma con morigeratezza e comprensione su ciò che chiediamo a noi stessi e quindi agli altri.
Dal nostro punto di vista, un Aikido sano è quello che dura a lungo, che può essere quotidiano senza che ciò crei traumi o problematiche di tipo psicofisico... ma anzi, che "curi", che apra il nostro sistema... che porti beneficio e benessere.
Ciò non è contrario all'efficacia, è solo da INTEGRARE con essa, per far si che questi aspetti salutistici non siano più antinomici a quelli marziali... ma polarità diverse e complementari di un tutto armonico.
Gozo Shioda Sensei - solo per fare un esempio famoso - è stato sicuramente un grande marzialista, le sue tecniche sono diventate famose per esplosività e potenza... ma sta di fatto che allo Yoshinkan Honbu Dojo sono tutti rotti (e lo abbiamo visto con i nostri occhi!): ginocchiere, polsiere, fasce di ogni tipo, tutori articolari... era questo ciò che O' Sensei intendeva con Arte dell'armonia?
Sospendiamo il giudizio e ci permettiamo solo di agevolare la riflessione, anche perché un dolore giustificato dal fatto che da esso si possa apprendere qualcosa... forse può non venire considerato del tutto INUTILE.
Lo è invece - secondo noi - quello che deriva dal fatto che "hanno fatto così con noi, ci hanno detto che si fa così, e quindi adesso noi lo rifacciamo agli altri": questo è davvero l'apoteosi della stupidaggine e della tendenza ad essere pecoroni.
Rispetto a ciò, crediamo che l'Aikido sia qualcos'altro...
1 commento:
"Allo Yoshinkan Dojo sono tutti rotti" grande analisi medica, vorrei ricordare ai "morbidi cascatori" Aikikai o Iwama Ryu (Scuola non riconosciuta in Giappone da anni ormai vorrei ricordare)che è grazie a tecniche dirette ed efficaci come quelle della scuola Yoshinkan o della scuola Yoseikan che l'Aikido viene ancora considerato un'arte marziale.. Io stesso ho avuto modo di vedere la reazione dei praticanti Karate o Yoshin Ryu Ju Jitsu quando ho fatto vedere un Katate Mochi Ikkajo Osae Ni e subito dopo ho fatto vedere il Katate Dori Ikkio Omote di Iwama (con tutti quei passaggi in più)... E non aggiungo altro
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