lunedì 25 novembre 2013

Come si impara ad insegnare Aikido?

Alla vigilia di alcune giornate di formazione che ci è stato chiesto di curare per aspiranti futuri Istruttori di Aikido, ci siamo dovuti seriamente porre il problema di come impostare, tramandare e verificare tutte qualità necessarie affinché l'insegnamento della nostra disciplina possedesse tutte le caratteristiche che riteniamo opportune.

Uno dei primi aspetti che però ci è sovvenuto è che nessuno ci ha di fatto "insegnato ad insegnare": è stato più un processo di "auto-formazione", che è avvenuto negli anni... e che ancora non cenna a terminare.

Quando ci si pone la domanda su come insegnante Aikido nel modo migliore... subito fa capo la necessità di definire cosa per noi l'Aikido significhi.

Già a questa domanda, come abbiamo osservato numerose vuole su queste pagine, vi è una grande diversità di opinioni (chi vede questa pratica esclusivamente come una via marziale, chi come una via spirituale... o tradizionale, e bla bla bla...): potremo quindi di seguito esporre cosa significhi per NOI insegnare, rinunciando alla pretesa di trovare tutti concordi con i nostri rimandi!

Innanzi tutto è fondamentale fare un distinguo di fondo, legato al fatto che l'Aikido è attualmente per noi una strada molto più utilizzata per far esprimere ciò che c'è nel profondo di ciascuno di noi, che per introiettare informazioni dall'esterno.

Etimologicamente "insegnare" significa "lasciare il segno", cioè dare perché altri ricevano e possano trovare profitto da questo lascito... come non avrebbero potuto fare senza.

In questo senso "insegnare" è qualcosa che si "agli altri" e per gli altri... DA FUORI di loro, per il loro "dentro".

Contrariamente a ciò, "educare", significa etimologicamente "tirare fuori"... ossia permettere una espressione libera che prima poteva essere ostacolata per via di alcuni freni da parte della persona stessa che non riusciva ad ESTERNARE alcune sue caratteristiche profonde.

Insegnare ed educare quindi vanno in due direzioni diametralmente opposte: la prima attività mira a "informare", nel senso di "dare una forma"... mentre la seconda porta ad esprimere ciò che già c'è, senza aggiungere, né togliere... né giudicare cosa VIENE FUORI da questa forma di espressione.

Un Sensei, dal nostro punto di vista, deve essere capace di utilizzare l'insegnamento al fine di educare, cioè agire dall'esterno verso l'interno dei suoi allievi per fornire loro quegli strumenti che consentano loro di TIRARE FUORI la loro parte più inespressa...

... quindi deve essere in grado di saperli aiutarli a gestire questa espressione, talvolta potente, emotiva... ed anche incontrollata... in modo tale da consegnare agli studenti stessi "le redini" della propria educazione.

Un educatore punta infatti paradossalmente a diventare inutile, altrimenti è segno che non ha compiuto a fondo la sua missione!

Un Insegnante può invece creare dipendenza, poiché può credere che ci sia sempre qualcosa di utile con la quale "lasciare il segno negli allievi"... decidendo di fatto l'impossibilità per essi di emanciparsi da lui.

Cosa serve quindi trattare a lezione per essere un buon Maestro?

"Maestro"... un termine che non avevamo ancora utilizzato (appositamente...), che etimologicamente significa "esperto, il maggiore fra altri in esperienza... che quindi la più indicare ad altri": è colui che indica una via, per far si che altri siano agevolati nel percorrerla.

E' un compito arduo, poiché egli non può percorrere il percorso per i suoi allievi, ma limitarsi ad indicarlo, renderlo più visibile possibile... ed attendere che questi siano disposti a compiere questo atto.

Una buona lezione tuttavia ha per noi delle caratteristiche ben specifiche, che passiamo ad elencare...

1) entrare nel Dojo e prendere coscienza di quanti e quali allievi sarà composta la lezione: a seconda del numero e, soprattutto, del tipo di persone che vi si parano davanti sarà possibile/auspicabile prendere un taglio più indicato, in funzione di quanto conoscete bene "i vostri polli"...

2) mettere TUTTE le persone presenti in condizioni psico-fisiche migliori per affrontare le tecniche e gli esercizi di coppia che verranno proposti all'interno della lezione: per questo a volte sarà necessario calcare più la mano sul riscaldamento... mentre altre volte sarà possibile soprassedere su questa pratica per passare subito nel vivo della lezione;
3) assicurarsi che OGNI lezione fornisca "nutrimento" sia a livello del fisico, che della psiche, che dello spirito di ciascun partecipante. Ciò comporta che un Maestro sappia già di suo qualcosa su queste 3 componenti dell'essere umano, ovvero sappia le differenza che intercorrono fra esse, così come amalgamarle al meglio nella lezione che proporrà;

4) una volta proposta una tecnica o un esercizio, il Maestro deve possedere gli strumenti per verificare se gli allievi presenti stanno seguendo le sue direttive: nel caso in cui ci si accorgesse che non è così, bisogna essere attenti a capire perché ciò avviene e se e come è il caso di intervenire per porre rimedio a tale situazione.

Non sempre correggere gli errori ed attitudini errate si rivela essere la scelta vincente per far si che i presenti comprendano l'importanza di quanto si era rimandato: talvolta è più utile che essi lo comprendano sulla propria pelle, anche attraverso qualche "nasata" personale, se non addirittura sul tatami!

5) il Maestro, durante tutto l'allenamento, deve tenere sotto controllo l'atmosfera che si crea nell'ambiente: siccome gli esercizi tenderanno a mettere in una leggera difficoltà chi si appresta ad eseguirli, è frequente che l'ambiente si carichi di una certa tensione... che è fondamentale quanto, a volte, anche fuorvierà di problematiche serie... se portata all'esasperazione.

Una valida guida è in grado di variare lo stato di tensione al quale è sottoposto l'intero gruppo, talvolta alleggerendo, talvolta infittendo le proprie richieste.

Il gruppo è li per essere messo in crisi ed imparare ad uscirne, quindi non serve a nulla lavorare al disotto di tale possibilità, così come al di sopra della reale capacità dei presenti di fare la differenza in un simile stato di tensione ed impegno.

6) la lezione dovrebbe evolversi secondo esigenze specifiche (tecniche, ad esempio... ma non solo) capaci però di tenere in conto dell'evoluzione naturale delle dinamiche degli individui presenti: nessuna cosa prefissata quindi risponde a queste caratteristiche... e l'esperienza di un Maestro consiste proprio nel mutare il fine che aveva in mente alla possibilità degli allievi presenti di raggiungerlo

7) è bene dare SEMPRE ai presenti la possibilità di offrire i loro feedback sul lavoro compiuto insieme, magari saltuariamente se non al termine di ogni allenamento... ma in modo tale che "il formatore" ed i "formati" possano dialogare, essere certi di parlare la stessa lingua, ed assicurarsi di avere ancora fini comuni.

Ogni Insegnante sa che l'allievo dovrà passare per esperienze specifiche per acquisire una certa padronanza di sé, della tecnica, così come dei principi dell'Aikido... ma non sempre è la stessa cosa dal punto di vista dell'allievo!

Ci sono esperienze che non vengono capite ed accettate fino a quando non sono state lungamente metabolizzate: in questo caso il Sensei deve chiedere pazienza all'allievo, facendogli però intendere che lo fa esclusivamente per il tornaconto di quest'ultimo... e non del suo...

All'opposto, ci sono atteggiamenti che non vengono capiti solo perché non sono stati espressi nel modo più consono: in questi casi l'allievo deve vere diritto di esprimere la sua problematica, in modo che il Maestro aggiusti il tiro e sgombri il campo da inutili incomprensioni in grado di minare anche attività future fatte insieme.

Nei nostri Dojo una certa conoscenza tecnica è data per pre-requisito fondamentale per poter affrontare discorsi più profondi e personali legati all'Aikido... quindi vengono costantemente riproposte lezioni tecniche per far si che i "nuovi acquisti" possano crescere sotto questo aspetto, così come le vecchie guardie non si arrugginiscano troppo...

... vengono però anche toccati discorsi, a nostro dire importanti, che riguardano una sfera più personale del modo di vivere la nostra disciplina... poiché secondo noi ciascuno "fa ciò che è".

Parlare insieme di inconscio, di paure, di spiritualità... di relazione conflittuale ci sembra fondamentale in un percorso Aikidoistico equilibrato, almeno quanto saper fare correttamente ikkyo e kotegaeshi...

... ma attenzione: si tratta di cose delicate!

Non è necessario per forza avere una laurea in psicologia, essere terapeuti, sciamani o religiosi per approcciarsi (e far approcciare altri) a questi temi, tuttavia è necessaria un po di preparazione a riguardo da parte del Maestro.

Nella nostra esperienza, siamo dovuti andare a cercarsi fuori dal tatami la formazione necessaria che adesso utilizziamo costantemente anche sopra di esso: avevamo incontrato validissimi tecnici dell'Aikido durante gli inizi del nostro apprendistato, ma nessuno che ci avesse spiegato cos'è e come "funziona" una coscienza... e come ciò potesse influire nell'apprendimento dell'Aikido.

Ora però vediamo quanto ci è stato utile fare questo "percorso parallelo" che si integra perfettamente con le proposte di lavoro che facciamo agli allievi nel Dojo. Senza queste esperienze, il nostro Aikido sarebbe attualmente ad uno stato molto più embrionale di quanto in effetti non sia, e così ci rimandano anche per le persone che studiano sotto la nostra supervisione.

Un buon Maestro dovrebbe quindi avere dei numeri tecnici notevoli, nel senso che meglio di tutti avrebbe dovuto avere il coraggio di entrare nei meriti e dettagli più approfonditi della tecnica che poi mostra ed insegna ad altri.

Ogni sua insicurezza o lacuna residua viene poi passata agli allievi accanto alle "nozioni buone" rimandate, e nella maggior parte dei casi essi non hanno la capacità di discernere fra le due cose, data la loro minore esperienza.
Ciò significa che un Maestro è RESPONSABILE degli errori dei suoi allievi, perché spesso essi coincidono con i SUOI... ossia con quelle lacune/ombre tecniche, etiche, filosofiche... personali sulle quali egli non ha ancora posto luce.

Non si può insegnare ciò che si sa, ma solo ciò che si E'!

Quindi un Maestro deve essere un tecnico esattamente nella misura nella quale un Insegnante di letteratura deve saper leggere e scrivere correttamente... poiché deve possedere per primo quegli strumenti che permetteranno poi ai propri studenti di acculturarsi adeguatamente con la lettura ed esprimersi creativamente nella scrittura.

Dovrebbe essere abbastanza sensibile da comprendere quando un'altra persona sta affrontando un processo di evoluzione e crescita, quando magari si tentenni in tale esperienza... quali crisi si debbano affrontare in essa, quali risultati mediamente attendersi una volta compiuta.

Nel nostro intendere, l'Aikido è una disciplina del tutto completa in sé, cioè che fornisce tutti quegli stimoli e strumenti che consentono ad un Aikidoka di capire chi è e che cosa vuole da sé... quindi che lo mettano in condizione di attualizzare il suo pieno potenziale tecnico, umano e relazionale.

Sempre dal nostro punto di vista quindi, un Maestro la persona che sa porsi in modo adeguato da "agevolatore" di questo processo, attingendo alle fonti che meglio crede per tenere fede al suo compito.

Dove si impara questo?

Con molto allenamento, lettura, formazione - soprattutto di natura umana, psicologica e relazionale - ma anche sul tatami... sulla propria pelle e sulla base del risultato degli esperimenti che ciascuno farà con gli allievi.

Si, pare brutto dirlo... ma un Maestro dovrebbe imparare ad essere tale anche sulla base dei fallimenti che incontrerà con il suo porsi...

... in un certo senso "sulla pelle degli allievi", benché egli stesso non lo voglia consciamente.

Si propone una direzione di lavoro e quindi si aggiusta il tiro sulla base di quanto si ottiene e si allarga la propria esperienza in materia.

Molti avranno avuto un periodo da praticanti "fanatici" della tecnica: continuando in quella direzione si ottengono allievi "cloni" di questo o quel modo di fare... ma nulla più.
Addirittura si può arrivare ad avere persone che fanno molto bene una cosa, senza sapere a cosa serve loro o perché sia importante farla bene!

Chi, per modificare questa dinamica, inizia a proporre agli allievi tematiche più relazionali e personali, va sicuramente nella direzione del loro completamento... 

... ma nuovamente, dopo un po'... se non sta attento, si troverà capostipite di un gruppo di "Aiki-filosofi" che sanno tutto dei massimi sistemi, ma che ha perso la gioia di sudare sul tatami...

Nuova inversione di rotta!

Un Maestro impara per integrazione successiva dei suoi errori e quindi insegna ai suoi allievi a sbagliare "bene", in modo che essi possano fare la stessa cosa... al livello che compete loro, ovviamente!

Il livello tecnico (quello delle "forme" e degli angoli e tempi migliori per realizzare le azioni), quello legato ai principi della nostra Arte (gli sbilanciamenti, le armonizzazioni, l'osservanza delle integrità...), e quello relativo alle prospettive dell'Aikido (le ragioni ed i perché che ci spingono alla pratica) sono aspetti che un buon Maestro deve saper integrare e fondere bene fra loro...

... così che ogni allievo non senta stacchi bruschi quando si passa da uno di questi aspetti ad un altro.

Non è facile, ma è semplice (nel senso di essenziale)... e del resto a nessuno è stato prescritto dal dottore di diventare Maestro di Aikido!

Ci auguriamo quindi che chiunque si appresti a ricoprire questa figura abbia chiaro di cosa si tratta... e cosa lo aspetti: lavoro profondo su di sé, almeno nella misura nella quale si pretende poi che lo facciano gli eventuali allievi!

Buona esperienza a tutti!

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