lunedì 29 aprile 2013

Perché l'Aikido non può essere competitivo?

Recentemente siamo stati - forzatamente - coinvolti nella partecipazione ad un torneo per valorizzare la pratica delle Arti Marziali dei più giovani.

Gli "atleti" erano costituiti da schiere urlanti di bambini dai 4 ai 14 anni circa.

Uno dei Dojo in cui collaboriamo ha organizzato il primo "torneo" per agevolare l'incontro e lo scambio fra le discipline di tutti i praticanti più giovani in età: erano presenti Karate, Kung Fu (Hung Gar), Taekwondo... ed anche all'Aikido è stata chiesta una sua qualche forma di partecipazione.

Gli altri hanno fatto gare, categorie, punteggi, arbitraggi... kata, kumite... noi non potevamo fare nulla di simile: abbiamo optato per una sorta di piccola dimostrazione che potesse mostrare ai parenti accorsi ed agli altri giovani partecipanti cosa facciamo normalmente durante le lezioni.

Mezz'oretta tranquilla di ukemi, tecniche e giochi per i più piccini!

Boh... vabbé facciamo questa cosa!

Per la cronaca... l'Aikido è stato considerato quasi all'unanimità dagli Insegnanti di altre discipline presenti come il migliore rappresentante di marzialità ed etichetta che si vogliono evidenziare in un Dojo... quindi gli è stata assegnata la vincita del Trofeo in palio per l'evento!

"L'Aikido vince, perché non compete contro nulla"... diceva un omino con gli occhi a mandorla del secolo scorso!

Ma adesso non attacchiamoci alla coppa: interessante però è stata la sensazione nell'osservare le "gare altrui" e provare a scambiare alcune considerazioni con i presenti.

I ragazzini hanno teso ad eseguire esercizi da soli (forme) o in gruppo, oppure piccoli incontri - spesso imbardati di protezioni - con alcuni compagni delle stesse categorie.

Quello che era evidente è come non ci fosse quasi mai contatto fisico fra i partecipanti: se di tocco doveva trattarsi, esso doveva avvenire nel modo più veloce e fulmineo possibile, in modo da "fare punto", senza scoprirsi troppo la guardia.

L'immagine era quella di un guerriero che si barrica in una fortezza... quindi, di tanto in tanto, apre una piccola finestrella sulla muraglia, scaglia velocemente fuori una freccia, e quindi si rinchiude al sicuro della massicciata!

Il senso dell'io viene chiaramente a rinforzarsi con questo genere di pratica, poiché molta dell'attenzione è appunto rivolta alla protezione di quei confini che crediamo ci definiscano: al di dentro ci siamo "noi", al di fuori... il nemico.

Nell'Aikido le tecniche durano di più... e possiamo eseguirle proprio perché l'avversario tenta di toccarci o di prenderci: più l'attacco sarà totale, più per noi sarà facile mandarlo a vuoto e minare l'equilibrio altrui (in qualche modo, auto-compromesso proprio dalla grande enfasi nell'attacco)... ma a volte durano così tanto che "gli altri" dicono essere inefficaci.

La questione è: ma noi ci vogliamo stare con gli altri, o vogliamo solo toccarli di sfuggita con un nostro pugno o giudizio?

Perché nel caso 2, giacché desideriamo la solitudine, potremmo anche astenerci da un giudizio che riguarda qualcun altro e per giunta non comprovato dalla propria esperienza... o da un "pugnetto" che ha lo scopo di "fare punto", anziché male!

Nella competizione ci sarà sempre un "io" contro un "tu"... magari utile a migliorare la propria definizione di sé, l'autocontrollo fisico ed emotivo, ma di una pratica piuttosto autistica, o perlomeno solitaria... se non vogliamo attribuirle connotazioni negative.

In Aikido non è proprio così: c'è un "io" ed un "tu" che quando si incontrano diventano un "noi"... che dura per qualche istante... proprio quegli attimi che sono più difficili da gestire, in quanto non è semplice creare un contesto nel quale CONTEMPORANEAMENTE due individualità possano coesistere rispettandosi vicendevolmente, senza per questo perdere parte della propria individuale personalità!

Quindi più durano le tecniche, più questa "convivenza" verrà messa alla prova: "casualmente" le tecniche di base durano molto di più di quelle più avanzate, ci avevate mai fatto caso?!

Se l'Aikido fosse quindi reso competitivo, la creazione di questo "noi" si sacrificherebbe a vantaggio dell'"io" o del "tu"... e magari questo era un fattore del quale O' Sensei poteva essere a conoscenza.

Ci sono sicuramente stati alcuni tentativi di rendere agonistico l'Aikido, ricordiamo uno fra tutti quello dello Shodokan Aikido... creato da Kenji Tomiki (che fu sia allievo del Fondatore del Judo, che di quello dell'Aikido), che però non ha mai preso piede più di tanto, rimanendo confinato ad una sorta di nicchia (nikya, si dovrebbe forse dire...) ancora oggi.

Come mai?

Perché forse la nostra disciplina non è tanto di crescita personale grazie alla presenza dell'altro... quanto di maturazione attraverso la COLLABORAZIONE con esso?

"Allora non è più marziale!" (abbiamo subito sentito nell'etere alzarsi questo coro!)

Non sappiamo: certo è che "collaborare" non significa "agevolare a priori"... prendiamo il caso di un qualsiasi rapporto di coppia...

Ci si conosce, ci si piace... si esce... si sta magari anche bene insieme, ma se ciascuno volesse continuare a farlo GRAZIE all'altro, la coppia avrebbe già i giorni contati!

Anche stare bene NONOSTANTE l'altro non è una grande idea, per quanto ancora una pratica parecchio diffusa...

Se invece si collabora, si giungerà inevitabilmente ad alcuni compromessi che permetteranno all'"io" ed al "tu" di smussarsi quel tanto che basta a rendere possibile la nascita di un "noi", nel quale tutti si ritroveranno un po'... nonostante esso sia qualcosa di diverso dalla mera somma dei costituenti.

Il NOI è potente, perché è una sorta di evoluzione delle parti che lo costituiscono: è un "nuove essere" che nasce dall'armonizzazione di "io" e "tu"... ma per far questo c'è necessità di parecchio contatto... e di qualità, non sicuramente di qualcosa di furtivo, fulmineo e troppo incentrato su di sé!

Forse è per questo che in Aikido non chiamiamo "avversario", il nostro compagno: forse abbiamo capito che egli è una parte fondamentale del sistema che ci porta ad evolverci, quindi nasce per esso una  specie di ringraziamento e rispetto implicito, che ci richiede di avere particolare cura di lui anche se ci vuole attaccare con tutta l'irruenza di cui è capace.

Senza di lui, niente Aikido!
E non ci sono coppe con le quali "contraddistinguerci" dagli altri (nuovamente separazione), solo occasioni di incontro, per continuare il processo di crescita COMUNE.

Si, forse la competizione è sana... ma non è il processo preferenziale attraverso il quale ciò possa agevolmente avvenire.

Poi la mancanza di competizione crea anche danni talvolta, come quando alcuni personaggi dell'Aikido iniziano a pontificare rispetto alla loro papale infallibilità... proprio perché non hanno mai dovuto confrontarci con qualcuno che non è d'accordo con loro...

... tuttavia questi ci sembrano elementi importanti che spiegherebbero la naturale tendenza ad estraniarsi dal mondo della competitività esplicita sul tatami.

Voi cosa ne pensate?

Quali sono le vostre esperienze in merito?

6 commenti:

marocu ha detto...

Le giuste considerazioni dell'articolo nascono da un'esperienza parziale.
Parziale perché nell'esibizione mancavano molte discipline, tra le quali il Judo, che hanno al loro interno una solida componente competitiva, ma che svolgono egregiamente (anche attraverso di essa)il loro ruolo formativo di costruzione del "noi".

Anonimo ha detto...

Bella riflessione che condivido.
Alessandro
p.s.: ho solo un appunto su una breve frase usata come esempio e che credo scritta assolutamente in buona fede e senza nessun intento "cattivo" ma senza la conoscenza. Lasciamo stare l'autismo e soprattutto il connotarlo come "negativo"; dovrei forse considerare così mio figlio? Senza rancore... :0)

Nota per l'autore del blog, non ho problemi se il mio commento viene pubblicato senza il "p.s."

Shurendo ha detto...

Grazie Alessandro per il tuo commento: è doverosa anche da parte mia, autore del Post una precisazione.
Nell'articolo il termine "autismo" è utilizzato per indicare uno stato nel quale non è facile una rapportazione con il mondo circostante, cioè qualcosa di assolutamente attinente alla patologia nominata.
Ho un'esperienza decennale in qualità di educatore di ragazzi autistici, 8 dei quali sono attualmente miei allievi in un corso di Aikido specificamente dedicato alla disabilità intellettiva, quindi ho utilizzato questo termine nell'esempio con una conoscenza piuttosto approfondita di ciò che facevo.
Questo non significa che esso debba essere vissuto in termini negativi - per me non lo è -, e se qualcuno così lo intende sarà una sua responsabilità... ed ignoranza.
Fra persone interessate da sindrome autistica si annoverano ancora oggi due dei miei migliori amici, persone quindi che stimo tantissimo nella loro diversità ed unicità, esattamente come loro accettano e supportano me nella mia.
Ho creduto bene puntualizzare, poiché non c'è nulla di male ad essere autistici, anzi... ma trovo particolarmente grave per un normodotato "fare finta" di esserlo con i propri atteggiamenti nella pratica dell'Aikido,anche quando non siamo interessati da questo genere di serissima e rispettabile condizione.
A presto!

Anonimo ha detto...

Ringrazio per la precisazione. Avevo compreso lo scopo dell'utilizzo del termine "Autistico" e ho sollevato un appunto senza alcuno intento polimico. Temevo solo che alcuni, per "ignoranza" (non cattiveria) associassero quella parola a "negativo" ma come dici bene tu sarebbe responsabilità loro.
Mi devo scusare per averti pensato "non-conoscente" delle problematiche relative ma vedo anzi che sei addirittura un educatore. Mi piacerebbe che anche mio figlio praticasse Aikido ma qui in zona ci dobbiamo "accontentare" dello Judo(scherzo ovviamente), dove ci sono maestri preparati per i ragazzi non-normodotati.
Adesso basta altrimenti usciamo dall'argomento del Post :0)
Spero di incontrarti a qualche Stage o Seminario.
Alessandro

Anonimo ha detto...

Buonasera,

le arti marziali competitive ben vengano se rafforzano il proprio "IO" è più che giusto ognuno deve formarsi una identità solida con una sua spina dorsale.Il mio pensiero che ognuno ha il suo percorso se ad un ragazzo gli piace imparare l'Aikido bene altrimenti opterà per un altro tipo di arte marziale competitiva o non,anche perchè alla maggioranza delle persone non interessano discorsi tipo IO e TU e diventiamo un NOI.Le persone che si iscrivono ad un dojo di Aikido lo fanno per provare se gli piace e se gli convince come arte marziale di autodifesa......se è un arte marziale che piace e convince allora si passa anche a dire: ok alleniamoci e progrediamo,altrimenti si prende un altra strada.A questo punto la responsabilità è sempre del Maestro e al suo grado di conoscenza dell'arte marziale.Sicuramente un Maestro deve essere sicuro di quello che insegna e aver un buon metodo per far capire che l'Aikido funziona veramente........Forse quando i Maestr incominceranno fin dalla cintura bianca a insegnare le difese da calci, credo proprio che molte persone(ragazzi ragazze uomini e donne) rimarranno di più nei dojo.Ma questa è un altra storia.

Anonimo ha detto...

Il discorso vhe fai con la dinamica di relazione tra mia e altrui identitá nella dinamica dei waza è molto simile alle sensazioni e esperienze che si hanno con il kendo

Ti invito a riflettere sul fatto che il contatto può non essere solo il fisico toccarsi e afferrarsi