lunedì 26 novembre 2012

Modi decenti di addobbarsi, evitando l'Aiki-truzzismo da tatami

Siamo quasi a Natale...

... e tutti iniziano a tirare fuori i festoni per abbellire le loro creazioni... ma c'è un popolo molto attivo in tal senso, in ogni momento dell'anno: gli Aikidoka!

E' vero che con la differenziazione di stili e Scuole si è anche assistito ad una parziale disomogeneità di abitudini sul tatami, ma a volte la voglia di apparire unici - o semplicemente l'ignoranza delle più banali nozioni di cultura giapponese - ci fanno rasentare il ridicolo...

Vediamo di seguito alcuni delle fondamentali norme inerenti l'abbigliamento destinato alla pratica, mischiate alle più frequenti aberrazioni nostrane.

L'uniforme con la quale si pratica Aikido si chiama [稽古着] KEIKOGI ("uniforme d'allenamento"), anche detta talvolta [合気道着] AIKIDOGI ("uniforme della Via Aiki"), più semplicemente [道着] DOGI ("uniforme della Via"... scegliete voi quale, ma piazze, corsi e vicoli sono esclusi!). La pronuncia in italiano è keikoGHI.

E' formata da un paio di pantaloni BIANCHI [ズボン zubon] e da una giacca BIANCA [上着 uwaji] chiusa in vita da una cintura (BIANCA o NERA) che si chiama [帯] OBI.

Quello che utilizziamo in Aikido - si frantumeranno le certezze di molti - non si chiama ASSOLUTAMENTE [着物] kimono (che letteralmente significa "cosa che si indossa"... e che quindi sotto un punto di vista semantico parecchio generico... ci potrebbe anche stare!).

Il kimono è tutt'altro, poiché è si un'abito giapponese, ma piuttosto riservato alle cerimonie importanti (battesimi, nozze, funerali, etc...) e che alla pratica su un tatami si sgualcirebbe all'istante (e costa piuttosto caro!) e - per giunta - ogni giapponese ci prenderebbe parecchio in giro (o tergiverserebbe, pensando quanto siamo impreparati) se ci sentisse dire che lo usiamo per le Arti Marziali! 

Quindi non affermare "prendiamo il kimono e andiamo in palestra", ma "prendiamo il keikogi ed andiamo al Dojo" potrebbe denotare che siamo già sulla buona strada!

Quando al negozio di articoli sportivi andate a chiede se vi vendono un kimono, protestate fin che non vi danno qualcosa di simile a questo:



e soprattutto dopo che lo avete indossato (ci sono anche quelli da uomo!) - circa un'ora di lavoro... - provate a farvi fare shihonage senza che la manica rimanga al partner!

E se tutti dicono kimono?

Se credete siano così fessi da non poter imparare il nome corretto del vestito che magari utilizzano da anni, chiamatelo così per farvi capire, ma sappiate che NESSUNO in Aikido si allena in kimono!

OK: sgomberato il campo da questo equivoco, iniziamo a parlare della CINTURA!!!

In Aikido esistono solo DUE colori possibili per la cintura. il BIANCO (usato per tutti i gradi kyu) ed il NERO (usato per tutti i gradi dan).

Le cinture colorate - ormai lo saprete già da soli - sono state un'abile invenzione tutta occidentale, dei fortunati tempi (anni '80) nei quali le "palestre" in Europa ed in America erano zeppe di centinaia di aspiranti Bruce Lee o Ralph Macchio (Karate Kid, chi ricorda?) e quindi i "poveri" Insegnanti (che proprio tali forse non erano) si trovavano davanti persone che non conoscevano nemmeno per nome e che dovevano poter classificare con un colpo d'occhio in base agli indumenti che portavano.

"Sei cintura gialla, allora non posso massacrarti di mazzate"... questo in breve era l'utilità di poter capire al volo quale fosse la "storia marziale" di chi si aveva di fronte!

Poi la cosa è rimasta, anche perché l'usanza delle cinture colorate è stata navigata parecchio (ed ancora lo è) nel Karate, nel Judo e così via...

... ma sta di fatto che in Aikido, Morihei Ueshiba non ha mai insegnato a persone che si vestivano così: o tutti "pigiami bianchi" o gente con il "gonnellone" (l'hakama, della quale vi invitiamo a leggere un dettagliato report fatto ai tempi ai seguenti link: 1, 2, 3).

Discorso a pare meriterebbe la didattica per i più piccoli: potersi contraddistinguere per colore, raggiungimento di obiettivi, potrà continuare ad essere importante... ma ciò non ha nulla a che fare con l'atteggiamento degli adulti (del resto il Fondatore non ha mai nemmeno tenuto corsi specifici per bambini!).

E quelli ADULTI che ancora continuano ad indossare nei loro corsi cinture colorate?
Buon per loro e per gli Insegnanti che utilizzano questo metodo, dovranno fare meno fatica con gli allievi forse!

Non diciamo che non si possa fare (F.I.J.L.K.A.M. ad esempio, a cui i ns. Dojo appartengono non utilizza neppure i gradi kyu per contraddistinguere gli allievi, ma proprio i colori "giallo", "arancio", "verde", "blu" e "marrone"... si tratta però più che altro di un'ignoranza dei costumi dell'Aikido anziché una trovata geniale!), ma se fosse la cosa più corretta allora dovrebbero spiegarci come mai - in occasione di seminari internazionali di Aikido - a tutti i gradi kyu viene richiesto di indossare la cintura BIANCA...

Non è che semplicemente quello dovrebbe essere il loro modo normale di abbigliarsi?

Che senso ha vestirsi in un modo nel proprio Dojo e in un'altro in trasferta?

Si perde qualcosa ad avanzare di grado, mantenendo la cintura bianca ai fianchi?

Un adulto normo-dotato ha psicologicamente bisogno di vedere qualcosa che si scurisce ma mano che gli anni passano per rendersi conto che diventiamo sempre più bravi?

"Essù, lasciateci almeno la soddisfazione delle cinture colorate!!!" Il blu sul bianco, per esempio, sfina un casino!

E sia: "tieniti stretta sta cintura arcobaleno"... ma ti prego, quando te la togli, non farla su come l'avvolgibile delle tapparelle!!!
Si: questa è una pratica insensata veramente diffusa fra gli Aikidoka!

Gli OBI vanno piegati sempre a metà, sin che la lunghezza residua non consente di essere riposta in borsa formano una sorta di "asticella" semi-rigida... ma come imparare questo se le pubblicità delle cinture sono come quella qui a fianco?

A proposito - apriamo e chiudiamo velocemente una parentesi - c'è ancora oggi chi conferisce ai propri allievi dei gradi dan cosiddetti "di palestra"...

A parte che dovrebbero essere chiamati di Dojo (per le ragioni di cui sopra), ma chiediamoci che senso abbia questa usanza, sempre che ne abbia ancora uno...

Che senso ha essere riconosciuti yudansha (possessori di gradi dan, indossare l'hakama e bla, bla, bla...) a casa propria e tornare semplici kyu (mudansha, cioè senza gradi dan) con il pigiama e la cintura bianchi nel caso di stage fuori porta...

... a nostro dire è una bella svalutazione: o si è una cosa o si è l'altra e non cambiano i nostri connotati o le nostre competenze quando ci spostiamo!

Questo stratagemma era un tempo (ancora oggi?) adottato da tutti quegli Insegnanti che non avevano il permesso di conferire direttamente gradi dan, e che quindi aggiravano l'ostacolo rimandando agli allievi che erano stati promossi "dan inter nos"...

Ciascuno si senta libero di studiare con chi vuole e come vuole: a noi piacerebbe avere un Insegnante che se ci conferisce un grado, poi non se lo deve rimangiare in presenza dei suoi superiori o di occasioni formali di scambio con l'Aiki-società!!!

... ma parentesi chiusa qui e torniamo alle cose "serie", si fa per dire...

Un elemento che spesso non si conosce è rappresentato dal fatto che il JI è l'equivalente giapponese della biancheria intima (mutande e canottiera), e questa era la ragione per la quale O' Sensei voleva tutti sin da subito con l'hakama: per mere questioni di PUDICIZIA, oltre che per l'ineluttabile valore simbolico di quest'ultimo indumento...

Per questa ragione, a rigor di logica, non bisognerebbe indossare NULLA sotto il keikogi: né magliette della salute, né tute "sauna" per far dimagrire, etc, etc, etc.

Anche sotto questo punto, gli Aikidoka appaiono oggi più che mai estremamente fantasiosi!

Le femminucce, solitamente per questione di comodità e pudore, indossano una maglietta sotto la giacca del JI, che spesso si apre sul più bello (o brutto)... lasciando tutti un po' pentiti ed arrossati per la tecnica che stavano eseguendo... ma questa è un'esigenza specifica e comprensibilissima, non la norma...

Sarebbe in realtà sufficiente cucire due fettucce di stoffa sul mune (kesa) della giacca, per far si che questa non si apra durante la pratica e così anche le Aikidokesse potrebbero indossarla senza altri indumenti sotto (magari il reggiseno si!)... ma si vede veramente di tutto, anche fra i maschietti che hanno meno problemi di mammella!!!

"I love Gigi d'Alessio", "Iron Maiden" e "l'Orso Yogi"... ecchediamine! Stiamo praticando Arti Marziali!
Magari se proprio si deve mettere qualcosa, scegliamo una maglietta bianca ed anonima, no?!

Consigliamo ai maschietti di indossare qualcosa di un po' contenitivo tipo mutanda, boxer o slip... in quanto certi tipi di "frullati di zebedei" non fanno certo piacere... ma sicuramente non è questo capo intimo a farsi notare!

Chi è influenzato è forse meglio che non emuli le gesta di Tarzan e si copra di più, evitando così di saltare un allenamento, anche se la sua divisa non è impeccabile: ma è sempre una questione di equilibrio che fa capire quando si ha davanti un'eccezione e quando un obbrobrio marziale!

... è che spesso gli Insegnanti sono i primi a lasciare correre questo tipo di cose, perché i primi a non conoscerle e/o rispettarle.

Altro punto dolente: i monili, gioielli, anelli, orecchini, piercing, collane, braccialetti... tutte cose stupende, ma che possono risultare assai pericolose durante la pratica... così come lo è una gomma da masticare!

Se l'ingoiamo improvvisamente, ci si soffoca (è già successo più di un caso di decesso!)... ma se rimaniamo impigliati nella catenina o nel collier di brillanti 120 carati del nostro partner, come minimo gliela rompiamo... al massimo ci tagliamo o lo impicchiamo senza volere!

Non possiamo semplicemente toglierci tutto PRIMA di salire sul tatami?

"Ma la fede no, io l'amo!" "Lo/la ami, ma adesso te la togli e poi la rimetti quando hai finito e continuate la vostra luna di miele!"... si avrà mica paura un "lontan dagli occhi, lontan dal cuore" per la durata di una lezione di Aikido!!!

A volte ci va veramente poco per evitare incidenti, o al contrario per causarne per una distrazione che può apparire insignificante...

OK, prossima strigliata: il keikogi e l'hakama andrebbero il più possibile preservati da scritte e loghi appariscenti e fuori luogo. Cosa dice la tradizione?

Scritte sulla parte sinistra della giacca del JI (solitamente sulla parte esterna della manica - il nome in katakana per esempio -) e sulla natica destra dell'hakama.
Evitiamo quindi anche in questo caso le strisce sulle spalle dell'ADIDAS, il logo "Via Michelin", "COBRA DOJO", e triplice croce uncinata a condimento della nostra miss marziale, dite che ce la si può fare?

The nest one... l'IGIENE!

... e si, la doccia almeno una volta all'anno conviene farla se si vuole stare in una qualsiasi società... se poi vogliamo anche che il prossimo abbia il coraggio di toccarci, allora è bene infittire la frequenza!

Una buona norma dice che sarebbe bene lavarsi PRIMA dell'allenamento, in modo tale che il sudore che si produrrà (per lo più urea, quindi ammoniaca) andrà ad incontrare solo pelle PULITA e vestiti PULITI, quindi non puzzerà per nulla, né risulterà sgradevole.

Facendo così non è nemmeno necessario un lavaggio frequente della tenuta d'allenamento, che risulta profumata (o inodore) più a lungo.

Diverso è se chiudiamo le nostre giornate da maniscalco con un bell'allenamento di Aikido, indossando il keikogi che sosta nel nostro bagagliaio da qualche mese - da un keiko al successivo -... in questo caso si può essere giudicati per crimini contro l'umanità e per utilizzo di armi batteriologiche!

I piedi normalmente stanno dentro le scarpe tutta la giornata e gli allenamenti sono mediamente alla sera: vorremo lavarceli prima di salire sul tatami, o intendiamo far assaporare a tutti i presenti il nostro plantare ai 4 formaggi?

Sono piccole norme dettate dal buon senso, che forse nemmeno andrebbero dette, ma quante volte ci è capitato di essere in difficoltà ed imbarazzo nel praticare con un compagno maleodorante?

Speriamo poche, ma sempre più di quelle che ci sarebbero piaciute!
E' un attimo rimandare con il proprio comportamento il rispetto che la nostra disciplina vorrebbe rappresentare nel profondo: non dimentichiamocelo e non perdiamoci in simili sciocchezze!

Indossare i [足袋] tabi (le calzature infradito che sono in grado di utilizzare a loro volta gli infradito [草履] zoori) sul tatami è generalmente consentito, anche se la nostra Arte si praticherà sempre preferibilmente scalzi.

Talvolta essi aiutano a non prendere freddo o a proteggere i propri compagni di pratica da micosi o piccole infezioni ai piedi. Come si può notare, anche in questo caso si parla di ECCEZIONALITA', ben motivata, ma pur sempre una deviazione da una divisa convenzionale.

Ultimo punto di oggi: il colore dell'hakama non era un tempo così discriminante, poiché nel Giappone del DopoGuerra era già tanto riuscire a procurarsene una...

... ma tant'è vero che in Aikido si è poi radicata l'usanza di indossarla nera oppure blu. Talvolta O' Sensei è comparso in vecchi filmati e foto con l'hakama bianca - molto utilizzata anche odiernamente in altre Arti Marziali - e forse proprio da allora viene considerato un po' altisonante indossarne una parimenti bianca... sa da: "Mi sono montato/a la testa, e credo di essere diventato come il Fondatore".



Questa è una forma di discriminazione bella e buona, anche perché le capacità di una persona non risiedono sicuramente nel sua abito... è però altrettanto vero che la nostra disciplina è un fenomeno sociale e la pratichiamo in compagnia di altre persone, inserite in un sistema di norme - più o meno sensate -...

Se decidiamo di personalizzare eccessivamente, o addirittura di stravolgere, queste norme non aspettiamoci poi approvazione istantanea da parte di tutti coloro che vi si sono invece uniformati!

E' una questione di intelligenza e sensibilità, fra l'altro, riconoscere che se ci è giunta storicamente una modalità di abbigliamento, probabilmente ciò è dovuto ad una storia e ad una tradizione che sarebbe bene comprendere... ben prima di provare a cambiare.

Quindi tutti uniformati... sempre?
Forse conviene prendere distanza dagli assoluti, ma soprattutto se si decide di apportare modifiche sarebbe bene avere il cervello acceso, ed una certa consapevolezza del significato e delle conseguenze di ciò che si fa...

Del resto ciascuno può essere un ottimo Aikidoka anche in jeans e T-shirt... l'Aikido ce lo portiamo dentro e ci piacerebbe veramente che fosse indipendente da come ci addobbiamo: ma perché allora indossare un keikogi ed un'hakama quando ci si allena?

Non sarebbe più coerente che ciascuna Scuola o corso scegliessero una loro uniforme?


Forse "se l'abito non fa il monaco", non fa nemmeno l'Aikidoka...

Ce chi la pensa effettivamente così... noi invece riteniamo più saggio - e siamo in buona compagnia - adottare in blocco una metodologia ed una filosofia che hanno avuto insieme i loro natali... in modo tale da non considerare la nostra disciplina una sorta di "pasticceria", dalla quale prendere solo quello che ci piace!

Per oggi il caziatone è durato pure troppo e quindi finisce qui: vi preghiamo di non considerarci però troppo fondamentalisti... il nostro era più un tentativo di informare e far riflettere, dettato dal fatto che girando per svariati tatami ne vediamo veramente di cotte e di crude!

Diteci anche voi... di quella volta che avete praticato con la salopette da lavoro...
noi - per coerenza ed autodenuncia - lo abbiamo fatto vestiti in modo qualsiasi (dal cappotto al costume da bagno) nei luoghi più impensabili (garage, giardino, spiaggia, rifugio montano, sacrestia...)!

Tanto per ritornare a parlare di Aiki-truzzismo... O FAMO STRANO?

lunedì 19 novembre 2012

Gli "orbitanti" dell'Aikido: fenomeni sociologici da Dojo


Solitamente un Post di Aikime è sviluppato secondo la struttura classica di un testo argomentativo.

L’obbiettivo in genere non è fornire risposte ad interrogativi irrisolti: più che altro condividiamo pensieri al fine di riflettere e offrire spunti.
Questa settimana non verrà seguita una struttura classica; la trattazione si articolerà per punti in modo amichevole/informale.

L’obiettivo resta comunque invariato. Essendo il tema trattato un fenomeno comune a tutti i gruppi di Aikido, ci piacerebbe che i lettori rimandassero il più possibile le loro esperienze in merito ad esso.

Possiamo distinguere nei Dojo due categorie di praticanti.

I primi sono quelli che formano lo zoccolo duro del gruppo allenandosi costantemente e partecipando il più possibile a tutte le attività interne: la loro presenza è veramente una risorsa per il Dojo e fa sì che esso non muoia.
I secondi sono coloro che orbitano intorno ad esso. In questo Post tratteremo di questa seconda categoria ben consci che la generalizzazione porta in sé i suoi limiti.

Chi sono questi “ORBITANTI”?

Primo punto.
Ci sono le persone che si avvicinano all’Aikido e, qualunque sia la motivazione, se ne allontanano dopo un breve lasso di tempo.
Si tratta di un comportamento legittimo: ci si affaccia alla pratica per sapere di cosa si tratta e poi magari si decide che la cosa non interessa più di tanto.

All’interno di questo punto troviamo un genere tutto particolare di persone. Parliamo degli ultra-entusiasti.
Sono le persone che partono con una voglia matta di praticare l’Aikido e che sembrano volerne fare lo scopo della loro esistenza. Sveglierebbero il loro Sensei alle tre di notte pur di ricevere ulteriori insegnamenti. Purtroppo però tutta questa carica si sgonfia come un palloncino allo scadere di poche settimane.

Al secondo punto inseriamo gli irregolari.
Sono i praticanti che si allenano di tanto in tanto prestandosi molto poco alle attività del Dojo.

Premettiamo che siamo convinti che l’Aikido vada praticato nella misura in cui l’individuo si senta soddisfatto. Ognuno vive come crede. Di contro diventa difficile per il gruppo fare affidamento su un praticante che si presenta quattro volte no e la quinta pure.
Questo non è particolarmente positivo quando si vuole portare avanti un discorso comune che richiede costanza.

Non è positivo neppure il caso in cui il sopracitato abbia la presunzione di conoscere a fondo quello di cui si sta parlando solo perché l’ha visto un paio di volte.

Può succedere infatti che esso, praticando con un kohai (che magari si allena dieci volte lui), cominci a dispensare correzioni errate (e quindi controproducenti) facendo abbassare senza alcun motivo la testa al compagno solo perché il grado della cintura è più alto.

Ci sono quelli che “un giorno di questi torno al Dojo a praticare”.
Sono persone che per un motivo o per l’altro hanno abbandonato la loro carriera da Aikidoka, ma che pensano di ricominciare.

A volte per lavoro, altre volte per ragioni famigliari, o più semplicemente perché magari volevano dedicarsi ad altro. Non hanno però abbastanza spinta né per allenarsi al Dojo (se l’hanno lasciato una ragione ci doveva pur essere) né per dedicarsi ad altro.

Quando li incontri per strada ti ripetono solamente che un giorno torneranno... a volte per circostanza, altre volte perché ci credono sul serio. Per quanto ci riguarda non siamo soliti credere al ritorno di nessuno finché non lo vediamo sul tatami.

Categoria simile per i “guarda, vorrei tornare ma ora proprio non posso”.
Ugualmente a sopra: come non c’è bisogno di rassicurare nessuno su un fantasmagorico ritorno che poi regolarmente non avviene, non è neanche necessario giustificare la propria assenza.

Il quarto punto è dedicato agli infortunati. Ecco, questo è un punto delicato.

La pratica di un infortunato è temporaneamente in stand-by nell’attesa di recuperare la salute.
Il praticante deciderà quando è il momento più opportuno per tornare ad allenarsi. Questo processo non va forzato e a volte è necessario molto tempo prima di ricominciare.

E’ anche da queste situazioni che si vede la forza di spirito e la determinazione di un individuo. La nostra esperienza ci ha insegnato a non considerare la salute come l’antitesi della malattia, ma come la capacità di convivere con essa: la comprensione di questo concetto ci ha aiutato a superare alcune difficoltà legate a problematiche fisiche.

Inseriamo tra i punti anche tutti quelli che vorrebbero praticare Aikido, ma a cui risulta impossibile per ragioni economiche.

Questo è un argomento più attuale che mai. In una situazione di crisi economica si rinuncia prima di tutto a ciò che è considerato superfluo. Per noi l’Aikido non è superfluo, ma ovviamente chi non ha mai iniziato non può saperlo.

In effetti al giorno d’oggi in Italia l’Aikido è per i benestanti.
La quota annuale di un corso con 2-3 lezioni settimanali è mediamente di 400-500 €.
Maggiormente esosa se il Dojo risiede in un centro specializzato.

La spesa diventa più ingente con la partecipazione alle iniziative del proprio Dojo e della propria federazione.
Non parliamo poi se uno vuole frequentare seminar di altri insegnanti o federazioni.

In definitiva quote troppo alte possono rendere la pratica proibitiva a chi desidererebbe frequentare i corsi.
In questa condizione vediamo spesso dei ragazzi/e che, per non pesare eccessivamente sulle spalle di una famiglia già oberata dalle spese, abbandonano l’idea di cimentarsi nel percorso e si dedicano ad altro.

Questa non vuole essere una critica nei confronti di nessuno: non diciamo che i prezzi dovrebbero essere stracciati.... E’ giusto che un bravo Maestro sia ricompensato del buon lavoro che fa.

Se i costi sono così alti, talvolta è causa delle spese da affrontare per tenere in piedi un Dojo.
Discorso un po’ a parte per i seminar.

Molto spesso viene la voglia di partecipare ad un evento del calendario Aikidoistico. L’entusiasmo è poi frenato quando l’occhio cade sul nostro portafogli.
Risulta infatti difficile partecipare a seminar il cui costo arriva sino ai 200 €. A meno che, come detto prima, non si sia particolarmente benestanti.

Potrebbe essere il titolo di un prossimo post: “Ma l’Aikido è per ricchi?”.

Qui termina la nostra rassegna di punti.
Non ci viene in mente altro ma ricordiamo che sarebbe interessante ricevere feedback dai lettori. Scrivete quindi numerosi nella sezione commenti!

Aggiungiamo inoltre che se abbiamo banalizzato qualche aspetto sui praticanti “ORBITANTI” è stato più per gioco che per altro.

Abbiamo assoluto rispetto anche per tutti coloro che non percepiscono la pratica così come la percepiamo noi, o per gli eventuali motivi che non gli consentono una pratica regolare.

A volte alcuni praticanti compiono molti sacrifici anche per quel poco che li vediamo al Dojo.

Aikime "lost&found"

Per la prima volta utilizziamo questo spazio pubblico per offrire un servizio di "lost&found".
Lo scorso week end abbiamo partecipato allo stage con il Mº Tissier al lido di Ostia, presso il PalaFIJLKAM.

Qualcuno ha dimenticato negli spogliatoi un'hakama Aikikai ISAMI blu: non siamo ad oggi riusciti a trovare il suo proprietario... quindi chi dovesse avere sue notizie, lo preghi di contattare la ns. Redazione.

Ovvio che speriamo di trovarne solo uno e quello autentico (leggi "occhio all'Aiki-furbetto!"), per fargli riavere un oggetto che solitamente è un "piezz e core" per un praticante!

lunedì 12 novembre 2012

No Aikido? Kohaihaihaih! (La mia storia di neofita)


Su Aikime ogni differente esperienza è considerata un prezioso elemento di arricchimento per tutti: quest'oggi siamo orgogliosi di dare il benvenuto a due nuovi amici nella Redazione: Sara ed Andrea.

Loro hanno iniziato recentemente la loro avventura sul tatami, ma proprio per questo sono stati stimolati da noi a rimandare da subito una loro impressione della piccola idea che si sono fatti dell'Aikido...

Non è sempre necessario passare due decadi a prendere botte prima di iniziare a capirci qualcosa!
Il loro contributo ci auguriamo possa essere di aiuto a molti altri principianti, che forse sono più interessati ad un'impressione di un collega "alla pari"... che dal Maestrone quindicesimo dan di turno...

Quindi a loro va il nostro più caloroso benvenuto e il rinnovato invito a far sentire nuovamente presto la loro voce sulle nostre pagine: vai Andrea... vai Sara!!!

[la Redazione]

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Anni fa, il proprietario di una palestra con cui ero entrato in confidenza, mi raccontava che ogniqualvolta trasmettessero alla TV “Karate Kid”e “Il ragazzo dal kimono d’oro”, entro pochi giorni la sua palestra poteva contare numerosi nuovi iscritti.

Ammetto di essere stato anch’io uno dei tanti che si identificavano nello stereotipo del “bravo-ragazzino-un-po’-indifeso-che-prima-se-le-prende-poi-grazie-a-un-sensei-risolve-i-suoi-problemi-e-diventa-figo-tutto-d’un-colpo”.

Nel Dojo vicino a casa c’era una forte tradizione di Karate e per quattro anni l’ho praticato, sognando segretamente di poter fare un giorno le mirabolanti spaccate aeree di Jean Claude Van Damme (riproposte ora da Scott Adkins) e di diventare gonfio di muscoli e invincibile.

Fortunatamente, gli impegni scolastici hanno deciso per me che dovevo interrompere quell’esperienza che potrei sintetizzare così: molto tecnica, con un agonismo fine a se stesso, povera sotto il profilo umano e relazionale.

Certo non è “colpa” del Karate, che è una disciplina molto ricca – si potrebbe dire di qualsiasi attività svolta con Sensei o Istruttori attenti più al lato formale che ad un approccio educativo dell’arte che si studia.

Per anni (ora vado per i 36, più del doppio rispetto a quando ho lasciato), l’unica conoscenza delle Arti Marziali è stata la mia esperienza personale, quello che mi raccontavano gli amici e, immancabilmente, la cinematografia.

Perché ho scelto, quest’anno, di iniziare la strada dell’Aikido?

Steven Seagal - che perlomeno è un Aikidoka - stavolta non c’entra.

Quello che sapevo dell’Aikido era davvero poco, quel poco che anni prima vedevo nel Dojo e quel poco che avevo visto in alcune manifestazioni.
Sapevo anche che da alcuni era un’arte denigrata perché considerata per nulla combattiva. Niente calci alla Van Damme stando in sospensione come in Matrix, per intendersi.

Allora perché?

Forse, anzi, sicuramente possiamo dire qual è stato il “perché” di una scelta guardando indietro nella nostra vita e rivisitando i sentieri che le nostre scelte ci hanno fatto percorrere fino al giorno presente.

Non sarebbe onesto, da parte mia, dare un “perché”a pochi mesi dal mio ritorno sul tatami.

Penso però di poter condividere con voi le sensazioni che questa mia scelta porta con sé e sono sensazioni di assoluta libertà.
Libertà intanto dall’orologio e da una vita disordinata.

E’ vero che lo si può dire di qualsiasi impegno preso con cadenza costante, ma le ore consacrate ad un’arte da apprendere sono diverse rispetto a quelle dedicate ad una generica attività fisica.

Libertà di poter fare un percorso di apprendimento di un’arte in cui è chiaro fin dall’inizio che le tecniche base in cui cerca disperatamente di orientarsi un neofita come me per capirle, sono le medesime tecniche in cui un Aikidoka esperto dovrebbe cercare disperatamente di orientarsi per non finirne prigioniero. 

Non sono ingenuo e se esistono kyu e dan è perché una certa gradualità esiste, eccome, ed è giusto.
Ma percepisco con forza che si tratta di una gradualità che ha più a che fare con l’intensità e la consapevolezza dell’arte che si va imparando che con la scalata di un “semplice” per quanto lungo elenco di tecniche.

In questo sta la sensazione di libertà che provo ogni volta che salgo sul tatami.
E’ la stessa libertà di fare una passeggiata per prati senza prefissarsi un traguardo che non sia il godimento della passeggiata stessa.

E’ chiaro che, per quanta immaginazione uno possa avere, non può rivestire con le proprie sensazioni un oggetto (il Dojo, il Sensei, i compagni, insomma la pratica dell’Aikido) se questo non le fa scaturire.

Questo per dire che l’arte è uno strumento in mano all’artista e sta allo scalpello del Sensei far trasparire l’arte dai blocchi di marmo che ha di fronte (nel mio caso, io sono ancora alla fase del “blocco”, sul marmo se ne riparlerà).

E, come qualsiasi arte, questa è trasmessa, comunicata, insegnata.

Bene o male, questo dipende da entrambe le parti coinvolte, ma di certo c’è che un conto è insegnare un tecnicismo, altra storia è trasmetterne l’essenza, altra cosa ancora è trasmetterne l’essenza perché appassionati dell’Aikido e dunque sinceramente interessati al kohai che hai di fronte.

Inizio a percepire che si tratta di un rapporto di “maieutica”, di far emergere la forma che il nostro essere prende attraverso la strada dell’Aikido, senza la pretesa di creare sovrastrutture rispetto a quanto, culturalmente, spiritualmente e fisicamente fa già parte di un bagaglio assodato dell’Aikidoka.

E anche qui, si tratta di una libertà infinitamente superiore rispetto alla semplice e riduttiva (e forse costrittiva) “formazione”, che in qualche modo ridurrebbe il praticante ad un clone del Sensei, accettato e lodato solo se ripete pedissequamente gesti, frasi, tecniche, pensieri e opinioni.

Insomma, mi auguro di poter continuare questa mia passeggiata nell’Aikido a lungo.

Che poi è una passeggiata a due, perché ho il privilegio di condividere questo cammino con mia moglie ed è fantastico poter condividere un percorso di crescita iniziato insieme e scoprire nuove cose in una persona di cui credevi di conoscere tutto.

[Andrea]

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Alla bellezza dei 30 anni inizio questa nuova “avventura marziale” con mio marito.

Posso dire di aver praticato molti sport nella mia vita: dal nuoto alla danza, dal tennis allo sci, dal basket alla pallavolo… ma mai avrei pensato di praticare un giorno una qualche Arte Marziale.

L’ho considerata da sempre come una disciplina maschile, dura e violenta.

Grazie all’Aikido ho scoperto la bellezza, la delicatezza e la profondità di quest’Arte Marziale.
Arte nel vero senso della parola! 

Vedere uomini e donne cintura nera fare le varie tecniche di Aikido è uno spettacolo meraviglioso: forza e delicatezza si uniscono creando un’armonia perfetta.

Il mio obiettivo è riuscire a controllare meglio il mio corpo e i miei istinti, riuscire a mantenere calma e fermezza anche nelle situazioni più difficili e in cui la rabbia può prendere il sopravvento accecando la mente e liberando gli impulsi violenti.

Spesso con la difesa si tende ad attaccare a nostra volta, possibilmente con ancora più violenza dell’offesa iniziale.

L’Aikido insegna a difendersi senza far male all’avversario.
L’importante è uscire dalla situazione di pericolo e trovare la posizione di controllo su di lui.

Questa idea di “non violenza” in un’Arte Marziale è stata una vera sorpresa per me.

Sono fortunata perché ho trovato un bravo Maestro di Aikido, capace non solo di insegnare bene le tecniche ma anche di far gustare l’essenza e la cultura su cui si fonda ed è nata questa disciplina.

Ogni momento vissuto nel Dojo è per me un viaggio stupendo, ricco di esperienze nuove dalle quali poter trarre insegnamento.
Non vedo l’ora di partire per la prossima tappa di questo percorso!

[Sara]

lunedì 5 novembre 2012

Ninin dori, ovvero mettere assieme esigenze diverse

Certe cose... si sa... andrebbero fatte solo quando se ne hanno le vere capacità!

Ma quand'è che qualcuno ci viene ad avvisare che queste famigerate capacità solo finalmente alla nostra portata?

Mai forse: non è che ce ne dobbiamo quindi accorgere da soli?

Quest'oggi vi parliamo di "ni nin dori", ossia la presa contemporanea di due uke, un esercizio molto famoso all'interno delle Scuole di Aikido tutte, ed in particolar modo studiato e didatticamente curato all'interno della Scuola di Iwama dalla quale noi proveniamo.

Qual è il punto nodale di questa pratica?

Generalmente ci dobbiamo relazionare con il centro corporeo del nostro attaccante: un centro corporeo suo, connesso e pilotato da quello nostro.
Se siamo bravi siamo in rapporto 1:1 potrebbe anche darsi che le cose più o meno... ci riescano.

Ma cosa accade quando i centri corporei degli attaccanti sono 2... e simultanei?
Che a rigor di logica la connessione fra il nostro centro addominale ed il loro andrebbe assicurata comunque, con la formula:

"movimento del hara di tori" = "movimento del centro addominale degli N attaccanti"

Facile da capire, ma difficile da realizzare!

Proprio per questo forse, ni nin dori è stato schematizzato così tanto e reso didatticamente importante, per capire come fare quest'alchimia di mettere insieme persone diverse in un unico movimento, un solo flusso...

Sfiga vostra poi vuole che una sera ci siamo trovati al Dojo in 4...

L'Insegnante con una telecamera (veniva da un brutto intrallazzo coreografico con un Insegnante di Tai Ji Quan ed uno di Capoeira... a lui piacciono queste orribili promiscuità!)...

... ed abbiamo quindi incominciato a filmarci per divertimento, cercando di mettere "nero su bianco" (in Aikido si dice così, no?) tutto ciò che di base si potrebbe descrivere di questa pratica.

Ecco che cosa ne è risultato...




Uno dei problemi principali che si manifestano subito è che i baricentri, quindi i pesi da gestire, sono molteplici e spesso più indipendenti di quanto desidereremmo: c'è il nostro - sempre più fuori asse del desiderato - ... poi quelli dei due uke, che sono solitamente di corporatura e attitudine differente (c'è chi è più rigido, chi più morbido... più tenace, etc)

Ni nin dori insegna ad imparare ad essere bravi "mediatori", poiché ciò che interessa non è scompensare il sistema creato dalle tre persone, quando riequilibrarlo: è come se il più morbido potesse ricevere la rigidità che magari l'altro attaccante ha in eccesso... e viceversa ovviamente.

E se la persona al centro (tori) riesce a fare da specchio pulito delle forze che si scaricano su di lui, allora è quasi come se riuscisse a farle combattere fra loro!




Molto più frequentemente invece accade che tori inizi a percepire una certa impossibilità di muoversi, soprattutto se si sente bloccato da prese veramente solide... e di DUE persone!

Ed allora, qual è la reazione più naturale che solitamente accade a noi tutti? PROVIAMO A COMPENSARE CON LA FORZA fisica!

Si, perché i principi dell'Aikido sono chiari a tutti... in teoria, ma allora come mai che quando il livello di difficoltà di ciò che facciamo si innalza, incominciamo a scordarcene e tendiamo a voler riaggiustare tutto con una sana botta di bicipite?

Ni nin dori, secondo noi, aiuta proprio a "studiarsi" in questa situazione: ci si mette in difficoltà per vedere se si tenderà a continuare a mantenere la calma ed utilizzare "soluzioni tecniche", o se torneremo cavernicoli puzzolenti e pelosi... desiderosi solo di sbattere giù le nostre fastidiose zavorre!

"Sale la carogna" quando ci si sente in difficoltà, tutti lo sanno!

E' altrettanto vero però che rilassandoci proprio nel top del momento di stress si aprono anche nuovi orizzonti dinnanzi: ad esempio si ha la sensazione di poter fare confluire le due inerzie corporee dei partner in un UNICA MASSA, con un UNICO BARICENTRO, creato dalla "somma" dei nostri uke...

in questo modo siamo tornati nel rapporto 1:1... cioè 1 (tori) :1 ("somma di uke")

"Annodare le energie", che a noi arrivano separatamente: ki no musubi!

Ma allora non è che abbiamo compreso un'aspetto molto importante di quelli rimandati dal Fondatore?

"Usa il solo per sconfiggere i molti..." (Doka 71 & 72), che potrebbe in questo caso essere interpretato: "Se i nemici sono tanti, pensali come un'unico nemico"...

Ni nin dori potrebbe quindi essere la pratica che ci permette di cimentarci con l'abilità di unire "cose" differenti per farne un tutt'uno può gestibile, magari addirittura proficuo!

Non lo sappiamo, ma fortunatamente non dobbiamo scoprire tutto noi: dateci anche voi i rimandi del vostro lavoro in merito, saremo contenti di farne tesoro e di condividerli!


PS: al solito, i ns. video non mirano a mostrare perizia tecnica o ad insegnare qualcosa (poi ci piacerebbe conoscere chi è in grado di imparare realmente da un video!), ma vengono registrati e montati nell'ottica di lasciare traccia di una metodologia - in gran parte ancora assente sul Web, e per stimolare domande e riflessioni... come nel Post in oggetto.