lunedì 17 settembre 2012

Movimento opportuno ed incosciente


"Io ed il mio amico stavamo parlando ieri sera e lui mi ha riferito di questi ricercatori giapponesi che stavano lavorando su una tuta corporea con micromotori e sensori nel tessuto, che leggono l'attività elettrica nella zona cerebrale che corrisponde al movimento che si intende eseguire.

L'obiettivo era quello di aiutare le persone con il movimento ridotto [o impedito] a muoversi normalmente, con l'assistenza di questa tuta artificiale. Uno dei risultati è stato che i movimenti della tuta meccanica precedevano il movimento dei muscoli naturali nel corpo della persona.


Il mio amico, che è un esperto di arti marziali cinesi, ha sollevato questo argomento perché si discuteva la questione inerente la possibilità di ingaggiarsi in movimenti specifici senza un'intenzione cosciente. 



Questa ricerca ha fatto trovare conferma alla mia convinzione che un'intenzione specifica può essere percepito da qualcun altro, anche senza contatto fisico.
Il concetto di movimento intenzionale senza un [vero e proprio] intento cosciente corrisponde a dire che quando si è in un combattimento è troppo tardi, se si deve [anche] pensare a quello che fai.


Quando pratichiamo, parlo spesso dell'importanza di concentrarsi solo sulla natura dei propri movimenti, una volta che avete creato una connessione con l'attaccante.

Se si è creato un buon collegamento, in qualsiasi modo ci si sposti risulta appropriato nei confronti del partner.


Se [invece] abbiamo in mente cosa si ha intenzione di fare con l'altra persona, si sperimenta spesso che la tecnica non funziona in modo pulito, senza problemi... o addirittura non funziona per niente.

Noi pratichiamo le tecniche innumerevoli volte, al fine di formare i nostri corpi passando attraverso una sequenza di movimenti corretti, senza dover pensare a quello che stiamo facendo con il fisico.

In sostanza, stiamo allenando il nostro corpo per prepararci a movimenti specifici destinati all'assenza di intenzione cosciente.

Noi artificialmente separiamo "la mente" dal "corpo".

Dal nostro cuoio capelluto alle nostre dita, il nostro corpo è collegato tramite un circuito di neuroni. Questi neuroni sono maggiormente concentrati nel nostro cervello, una zona che riteniamo essere la "sede" della mente.

Molti dei movimenti che il nostro corpo fa, si verificano in un pre-conscio.


Quello che è veramente interessante, è che i nostri neuroni ricevono informazioni sui nostri movimenti prima di essere effettivamente coscienti del nostro stesso intento vigile.
Queste informazioni possono essere percepite anche dagli altri.

Si tratta di informazioni che noi semplicemente non vorremmo fornire a qualcuno con il quale dobbiamo combattere.


Più abbiamo successo a formare il nostro corpo al coinvolgimento in movimenti senza pensarci, più successo e reale vantaggio tattico guadagniamo in una lotta reale.

Questa settimana esploreremo come si può effettivamente sentire l'intenzione cosciente di un movimento, prima che esso possa avvenire.

Potremo poi [anche] studiare come allenarci a non fornire queste informazioni a qualcun altro.

La cosa interessante che possiamo scoprire dalla discussione è quando sia possibile effettivamente ingaggiarsi in movimento intenzionale senza un'intenzione cosciente, funzionando in un paradigma temporale diverso da quello dell'altra persona.
Ma questo è un altro argomento da esplorare in un Post futuro!"

[Marc Abrams Sensei]



Troverete qui il link all'articolo originale in inglese.

Quest'oggi abbiamo deciso di pubblicare il breve articolo che precede, poiché riteniamo che metta più o meno volontariamente il focus su un argomento piuttosto controverso dell'Aikido, ossia quello della capacità di affrontare una situazione più o meno imprevista di conflitto, a partire dallo studio di tecniche codificate... e - tutto sommato - fisse.

Ogni stile e Scuola si serve delle sue.
Ogni stile o Scuola ci sa spiegare come sarebbe bene mettere il dito sulla mano di uke, come egli possa o debba reagire alla tecnica di tori... e così via.

Così l'antica diatriba: "il mio kotegaeshi è più letale del tuo", "se ti afferro in questo modo, non riesci più ad uscirne"... e quante volte abbiamo assistito a queste zuffe virtuali nei commenti che seguono i video in rete, nei Forum e Blog!

Altra discussione ritrita: "ma tra un Karateka ed un Aikidoka, chi vince?"... "e tra un praticante di Capoeira che ha mangiato l'impepata di cozze ed uno di Kung Fu che si è fatto di bagna cauda?".

Solitamente i più inesperti si arrovellano il cervello con miriadi di questioni del genere!

La verità è che si parte da pensieri e da azioni di tipo convenzionale e stereotipato, da cliché per giudicare o prevenire l'esito di una situazione - per definizione - imprevedibile e fitta di variabili come uno scontro fisico... che può avvenire in un modo a caso, fra due persone a caso, in un momento a caso.

Allora quanta tecnica è bene "introiettare" se vogliamo essere in grado di gestire al meglio questa situazione inaspettata?

Forse l'articolo risponde parzialmente a questa domanda.
Forse la tecnica stessa potrebbe non servire tanto per dare la risposta adeguata al complesso e sempre differente problema del conflitto, quanto a fare corto circuito con noi stessi, in modo da farci utilizzare e quindi conoscere sempre meglio lo "strumento" che poi coinvolgiamo nel conflitto... cioè noi stessi di nuovo (il corpo, la mente, le emozioni...).

Chi ha fatto un movimento 1500 volte crea molteplicità di collegamenti fra le sinapsi, che non possiede chi lo ha fatto solo 3 volte.
In qualche modo ci si prepara all'ignoto attraverso la ripetizione del noto.

Ma questo processo deve essere portato avanti fino ad una sorta di superamento di una soglia: quella che separa l'inconscio dal conscio.

Cosa succede se ci si ferma prima?

Che l'individuo penserà di dover far fronte ad una situazione incredibilmente complessa "scimmiottando" gli esercizi che apprende al Dojo... e questo, manco a dirlo, sarà sempre un'esperienza disastrosa...

E' come voler coprire un letto matrimoniale con un fazzoletto: per tanto che lo si tiri da una parte, si scopre dall'altra!

Le tecniche risulteranno sempre innaturali ed inappropriate...  forzate insomma dalla piccola gabbia che ci siamo costruiti e che non siamo ancora riusciti a trascendere.

Se invece i movimenti - anche stereotipati - diventano la nostra quintessenza... smettiamo di esserne schiavi e si apre per noi la possibilità di rilassarci sotto stress ed utilizzarli al meglio quando serve, proprio perché non abbiamo più l'ansia di doverli utilizzare ad ogni costo!

O' Sensei aveva forse espresso questo paradosso nella sua celebre frase "impara e dimentica"...

Oggi le scuole sono piuttosto scisse e schierate: c'è chi fa SOLO ripetere un esercizio all'inverosimile, pontificando che poi al momento giusto si approderà alla spontaneità...

... e chi, sulla consapevolezza di quanto sia complesso e variabile un conflitto, vorrebbe far esercitare gli allievi SOLO in esercizi di connessione ed adattamento ad una realtà che continua a cambiare. Per costoro la FORMA è un limite, perché pensano che solo con educativi alla spontaneità potremmo evitare di perdere tutta quella preziosa spontaneità che si possiede da principianti.

Forse entrambi i modi di pensare hanno qualcosa di vero da portare avanti, una parte di ragione insomma, ed hanno il loro limite nell'esigenza di andare all'estremo di ciò che giudicano positivo.

Nella nostra esperienza, una crescita che ci pare più equilibrata avviene fra gli Aikidoka che CONTEMPORANEAMENTE si cimentano con lo studio della FORMA e della NON FORMA, in modo tale da avere una contropartita nella quale andarsi ad esercitare se si rendono conto:

- che la loro forma li rende troppo schiavi;
- che la loro spontaneità li rende liberi, ma poi non sanno cosa farsene di questa libertà.

Abbiamo ritenuto molto importante fermarci a riportare l'articolo su citato, sul movimento senza intenzione conscia, poiché lo crediamo intimamente legato all'integrazione di due polarità opposte... un argomento che è ora sotto i riflettori di molte Scuole di Aikido.

E voi cosa ne pensate?
Fateci avere la vostra personale esperienza ed opinione!

Buon lavoro di improvvisazione-pianificata o di pianificazione-improvvisa!!!

7 commenti:

marocu ha detto...

Non è tanto una questione di forma si o no, quanto di allenamento.
Più forme si apprendono, meno reazioni istintive si hanno.
Più ci si concentra su qualcosa, meno si ha la percezione del tutto.
Meno ci si allena in ambito non collaborativo, e meno si saprà reagire in quell'ambito.
Basterebbe guardare come ci si allena in sport da combattimento o nello sport in genere (naturalmente quello fatto bene) e riproporre le stesse metodiche in ambito aikidoistico. Questo se si vuole raggiungere l'obiettivo del post. Altrimenti qualsiasi altra forma d'allenamento può comunque essere valida , ma per altri obiettivi.

Anonimo ha detto...

Quello che spesso non è chiaro è che lo sport da combattimento è appunto uno SPORT. E' soggetto a forti limitazioni per sicurezza anche negli sport apparentemente più brutali. L'arte marziale risolve il conflitto in un'azione, non in 3 round. Gli esercizi che si imparano in allenamento non sono assolutamente fini a sè stessi e la loro validità marziale è apprezzabile nel tempo. In altre parole non è necessario modificare l'Aikido secondo le proprie idee, ma modificare sè stessi secondo l'Aikido. Questo se si ritiene che sso abbia qualcosa da insegnarci.

Tommaso

°§° JES's °§° ha detto...

siamo davvero sicuri che debba necessariamente esserci un "conflitto",un vincitore e un vinto?
Non basterebbe praticare per l'amore per cio che si apprende e lasciare che la tecnica fluisca da sola, indipendentemente dalla situazione che si crea all'occorenza?!? Studiare, imparare, e mettersi sempre in discussione per imparare e dimentcare... NON PENSARE TROPPO AL PERCHE' E PER COME insomma... Proprio come ci ha insegnato O'SENSEI!

marocu ha detto...

Non ho ben compreso cosa intendi dire Tommaso ti va di esplicitare meglio il tuo pensiero?
Come l'hai scritto sembra che SDC vs AM = Gioco vs Allenamento per sopravvivere.
Qui(nell'articolo) si parla di acquisire qualità quali velocità, colpo d'occhio, timing.
E ripetere forme oltretutto complesse, non è il miglior modo di acquisire queste qualità. Ma non lo dico io, lo trovi in qualsiasi studio di teoria d'allenamento.

marocu ha detto...

Elian il tuo è un punto di vista corretto(ma con qualche riserva) da allievo. Un insegnante ha il dovere di porsi certe domande, sperimentare e trovare soluzioni il più corrette possibili. Il NON pensare è dal momento che hai già acquisito più o meno una disciplina e hai passato tutti i livelli di critica e formazione...a quel punto puoi abbandonarti . Non capisco poi come fai a sapere cosa insegnava O Sensei, sei stato suo allievo?

Anonimo ha detto...

Esistono varie tipologie di allenamento e non penso che gli sport da combattimento siano un gioco. Ogni disciplina ha un suo specifico punto di vista e approfondimenti che magari altri studi non fanno. Penso però che proprio in funzione di questo non bisogni uniformare l'Aikido, che ha i suoi contenuti, ad allenamenti di altro tipo. Sviscerare ulteriolmente l'argomento su questo blog è compito della redazione di Aikime quindi non mi dilungherei oltre. Grazie.

Tommaso

marocu ha detto...

Non parlo di uniformare l'aikido ad altre discipline, ma di usare metodologie d'allenamento più performanti per raggiungere obiettivi fisici. La disciplina è una cosa le capacità "fisiche " sono altro.
Si può migliorare le proprie conoscenze della disciplina senza aver migliorato le "proprie " capacità fisiche.
Sono due piani di lavoro distinti. Possono coesistere solo se consapevolmente si lavora su entrambi. Riproporre movimenti migliaia di volte o, ancora peggio studiare migliaia di movimenti poche volte, non porta niente. Fare le stesse cose, ma consapevoli degli obiettivi da raggiungere, si chiama allenamento. Non capisco poi il non voler sviscerare, la redazione è una cosa, i contributi altro. Non credo che la redazione si offenda anche perchè chiaramente ha chiesto nell'articolo il contributo di chi legge.