martedì 1 marzo 2011

"Efficacia": tecnica o principi?


Puntiamo i riflettori su un argomento tanto caro a coloro che approcciano le Arti Marziali: torniamo a parlare di “efficacia”.

Allo scopo di una didattica più comprensibile, le Arti Marziali tradizionali adottano schemi che prevedono movimenti convenzionali e semplificati rispetto ad una situazione di reale pericolo per la propria incolumità.

Gli stessi movimenti possono infatti talvolta risultare macchinosi di fronte ad una reazione spontanea e improvvisa di un aggressore che non ha studiato con noi precedentemente al Dojo e che non intende permetterci l’applicazione di una qualsivoglia tecnica.

Egli vuole attaccare e arrivare a segno, non subire!

Questo discorso acquista particolare rilievo in Aikido dal momento che la pratica è incentrata sulla manipolazione di uke al fine di apprendere i movimenti che meglio ne determinano lo sbilanciamento.

Se non manteniamo un buon equilibrio tra schematizzazione del movimento e spontaneità di reazione, corriamo il rischio di recitare una parte in cui, indipendentemente da ciò che succede, uke è colui che deve cadere a terra mentre tori si mantiene in piedi.

Questo potrebbe anche funzionare a patto di restare all’interno della propria compagnia, nella quale ogni attore conosce a memoria il suo copione.

Non si pensi perciò che ogni tecnica di base, ki-hon o ki-no-nagare che sia, corrisponda ad una risposta efficace da usare in una situazione di attacco libero.

Al contrario, alcune di esse risulterebbero poco applicabili o semplicemente troppo lunghe per avere efficacia marziale; mancano infatti di immediatezza.

Perché allora le tecniche di base non vengono sostituite da qualcosa di più realisticamente applicabile, da un movimento più semplice e veloce?

Il ki-hon, così come il ki-no-nagare, costituisce un laboratorio dove poter incrementare le proprie capacità di equilibrio, sbilanciamento, potenza e controllo. E’ un metodo ottimale per far emergere i propri errori; ci abitua a integrare il movimento corporeo ed affinarne la coordinazione.

Analogamente, nello studio dei suburi, carichiamo il bokken fino a che esso non tocca i glutei.
Un colpo meno caricato sarebbe senz’altro più veloce, ma senza avere sufficiente coordinazione e conoscenza della decontrazione e contrazione muscolare, il colpo potrebbe risultare debole e inconsistente.

E’ quindi attraverso un allenamento di base di questo tipo che riusciamo a utilizzare all’occorrenza movimenti più piccoli ed rapidi senza però perdere d’efficacia.

Difendersi da un attacco non equivale ad eseguire tecniche standard, ma richiede di saper applicare i principi che abbiamo appreso negli anni dalla stessa pratica su cui continuiamo ad indagare ed approfondire.




In questo filmato vediamo uno dei maestri di Aikido più famosi di sempre, Koichi Tohei Sensei, messo alla prova da un giornalista Judoka.
Dove sono finite le forme e le proiezioni spettacolari di cui l’Aikido ci ha abituati a godere?

I movimenti sono più “sporchi”, ma si adattano bene ad un avversario che ha la volontà di avvicinarsi ed atterrare chi gli sta di fronte.

Il Maestro Tohei, dalla sua parte, neutralizza il Judoka togliendogli l’equilibrio senza l’uso della forza, ma soprattutto senza lederlo in alcun modo, nonostante egli fosse stato costantemente esposto all’uso di atemi.

E’ frequente trovare su Web video di Aikido commentati negativamente.

Le tematiche principali di questi commenti riguardano la mollezza e la lentezza degli attacchi che il nage di turno riceve; di conseguenza si giudica ciò che si è visto non pratico e inapplicabile. Altre volte è la situazione del randori ad essere considerata inverosimile.

In Aikido non esistono competizioni e quasi tutti i video riguardano dimostrazioni in cui viene sottolineata più la forma che la capacità effettiva di mettere al suolo un attaccante deciso; d’altra parte l’enbukai tradizionale non prevede questo tipo di confronto pubblico.

Il randori è un esercizio di zanshin in cui si impara a rimanere dinamici e reattivi sotto la pressione di più attacchi.
Più l’abilità dell’Aikidoka cresce, più egli diventa in grado di fronteggiare attacchi veloci e decisi.

Ciò che forse non viene molto spesso capito degli Aiki-video su Web è che maggiore è la velocità e la potenza di un attacco, maggiore diventa la preoccupazione di uke nel ricevere la tecnica.

Sono infatti necessarie buone capacità di ricezione per sapersi “lasciarsi andare”, farsi proiettare se serve… e rimanere illesi durante un’esecuzione molto veloce di una tecnica. Per questa ragione si preferisce molto spesso tenere un ritmo più basso, ma che consenta ai praticanti di non ferirsi durante gli allenamenti.

Concludiamo dicendo che probabilmente potrebbe essere opportuno non concentrarsi esclusivamente sull’efficacia durante la propria pratica, perché così facendo si può rischiare di perdere di vista tutti gli elementi che condurrebbero alla sua applicazione in modo naturale e spontaneo. Paradossalmente infatti, coloro che vogliono essere efficaci ancor prima di aver bene inteso i principi risultano rigidi.

In uno stato di rigidezza, il praticante necessita di impiegare la propria forza per atterrare l’avversario... finendo per stancarsi prima del dovuto e perdere d’efficacia innanzi un praticante più sciolto e quindi più veloce.

L'equilibrio fra ingredienti diversi e tutti ugualmente importanti è come sempre molto delicato, per questo molto interessante ed ambito!

Ci auguriamo che le attuali generazioni di Insegnanti sappiano cogliere l'esigenza di integrare gli aspetti della forma, con quelli della sostanza... quelli della didattica, con quelli della spontaneità...

... per offrire nuove prospettive ad un dilemma antico, ma coerente con un Arte Marziale: l'efficacia del proprio agire!

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