lunedì 27 dicembre 2010

Guida per sopravvivere in un Dojo tradizionale


Continuiamo casualmente a dibattere sul tema già trattato la scorsa settimana a seguito del ritrovamento on-line di un curioso e-book gratuito, intitolato "Guida per studenti per sopravvivere in un Dojo tradizionale" ("The Student’s Guide to Surviving a Traditional Dojo", scaricabile gratuitamente al seguente link).

Si tratta di un simpatico volume di 95 pagine a colori, non tanto pensato direttamente per Aikidoka, quanto per qualsiasi tipo di allievo che si appresti a frequentare un Dojo di tipo tradizionale, specie se le Arti Marziali in esso praticate sono di origine giapponese: le regole e le dinamiche infatti sono molto simili, infondo...

Vengono illustrate all'occhio di un profano alcuni elementi basilari inerenti le principali regole di comportamento da tenere in un simile luogo, come saper distinguere un Dojo fake, i rudimenti per indossare la propria uniforme, per avere cura del proprio abbigliamento ed igiene personale... i rituali di saluto con il Sensei e sul tatami, insieme con i primi rudimenti di etichetta marziale... alcune informazioni sui gradi... tutte cose molto interessanti ed attuali per un praticante, senza dubbio!

Agli occhi di praticanti un po' più navigati sembra abbastanza bizzarro o addirittura comico come talvolta vengono introdotti ai neofiti i concetti fondamentali del vissuto della propria disciplina marziale: ma noi siamo in occidente, non nella terra nella quale questa tradizione è fiorita ed ha prosperato.

Le basilari regole di attenzione, rispetto e pulizia che vengono richiesti in un Dojo di tipo tradizionale non sono molto distanti da quanto un praticante in Giappone avrebbe cura di fare in casa sua, in un tempio o per la strada!

Egli probabilmente parlerebbe con rispetto al suo Sensei, nello stesso reverenziale tono con cui ha per anni parlato a suo nonno (un esempio di Sensei domestico presente in ogni famiglia!) .

Ma qui, come si diceva, siamo in occidente: non che non si siano sviluppate tradizioni profonde legate al rispetto, ma è che determinate sottigliezze non vengono colte, nella maggioranza dei casi, non tanto per incapacità, ma per mancata abitudine a coglierle.

Ora il paradosso al quale spesso si va in contro: chi vuole seguire una determinata Via, talvolta sente la necessità di farlo senza farsi eccessivi "sconti sulla pena", cercando di andare ad affondare i suoi studi nelle radici stesse della disciplina che pratica.

In occidente questa cosa si chiama "serietà"... ed anche in oriente.
Solo che così facendo si iniziano a comprendere le ragioni per le quali l'etichetta in un Dojo è tradizionalmente considerata così importante: non tanto quanto imposta dall'esterno, quanto perché costituisce un vero e proprio supporto a procedere nella direzione scelta.

Se ci si allena a badare al minimo dettaglio, a prestare attenzione a tutto quanto ci circonda... sempre... non sarà poi diverso quando ci si dovesse accorgere che qualcuno sta progettando di aggredirci. Le avvisaglie possono essere poche o minuscole, ma non la portata delle loro conseguenze.

Lo vedremo arrivare prima ancora che egli inizi ad agire la sua intenzione, poiché saremmo abituati a notare tutto, anche le piccole cose che apparentemente non fanno molto rumore... ma che sono capaci di veicolare grandi messaggi!

Ma per fare questo occorre disciplina, sottoporcisi deliberatamente, non di certo in modo forzato... tempo e perseveranza, prima che qualche risultato inizi ad essere più apprezzabile.

In un Dojo tradizionale tutto questo è pane quotidiano, indipendentemente dall'Arte Marziale che vi si pratica: il rispetto verso il Kamiza, il Sensei, i compagni di allenamento... lo sforzo personale a dare sempre il massimo negli allenamenti e nel rapporto con gli altri... lo sprezzo della fatica e l'abitudine alla frugalità sono tutti elementi che aiutano a contattare in modo diretto l'essenza del nostro porci con noi stessi... e quindi con gli altri.

Certo, questa cosa sulla carta piace, perché bisogna essere ben sciocchi per non apprezzarne i valori profondi legati alla crescita personale di chi accetta di percorrere questa Via.

Quand'anche non si fosse nel frattempo appreso nessun micidiale metodo di difesa personale, ma si fosse riusciti a centrare l'obbiettivo di un maggior equilibrio e consapevolezza personali... si potrebbe forse dire che il goal sarebbe già stato fatto!

Poi, nel frattempo si tende ad imparare anche quello, allenandosi ogni giorno con costanza e dedizione. Le Arti Marziali tradizionali, sotto questo punto di vista, appaiono adatte ai cocciuti che agli atleti fenomeno...

Però il problema è che c'è enorme differenza tra sposare intellettualmente una Via e percorrerla umilmente ogni giorno con i propri piedi (scalzi, per giunta!).

Quindi quando un neofita giunge in un Dojo che possa ancora dirsi tale è spesso affascinato da tanta "orientalità" sconosciuta... ma ciò non implica che non farà una certa dose di resistenza ad entrare nei suoi panni per poi conseguire i risultati che essa promette.

C'è una sorta di ribellione occidentale al provare a calzare abiti orientali, anche se siamo noi che siamo andati nel negozio di abbigliamento!

Eppure è da sempre così: chi vuole imparare a fare la pizza buona, si informa di come la fanno a Napoli, anche se poi all'estero c'è chi ci mette il ketchup al posto del pomodoro.

Così i Dojo che tentano di fare un lavoro serio si trovano spesso a dover fare una scelta drastica: perseverare con il perseguire una Via, per quanto coscienti che sia riservata a pochi allievi... o essere più accondiscendenti ed "occidentalizzati" ed offrire le proprie attività ad un maggior numero di utenza... !?!

Forse la scelta migliore è e sarà sempre quella di rimanere equilibrati, cercando di comprendere cosa dell'antica tradizione può essere meglio contestualizzato nell'epoca e nelle latitudini nelle quali viviamo... e quali aspetti invece NON dovranno essere rimossi per quanto ostici o duri da digerire per il poltrone di turno che ci chiede di trasformarlo in un vero Samurai!

Anche noi, che stiamo cercando di costruire una Aiki-comunità ci siamo imbattuti in questo tipo di dilemma e ci troviamo spesso a dover valutare, volta per volta, cosa è bene ammorbidire per essere divulgativi e cosa è bene mantenere vivo per non sbragare come in una pizza al ketchup.

Un dato importante da tenere presente: chi si arrocca nella più rigida osservanza della tradizione sta oggi morendo, con le sue strutture... frequentati da pochi impallinati che non consentono di arrivare a pagare le spese a fine mese. Sotto questo punto di vista, pare non sia proprio più tempo di Dojo "tradizionalisti".

Però un altro elemento sicuramente da rilevare è quanto bisogno pare esserci di una cultura dell'attenzione del rispetto nella nostra società: cosa che ci farebbe invece propendere nell'investire su numerosi Dojo in grado di veicolare tali valori, se solo poi ci fosse la possibilità di farli frequentare da qualcuno.

Quindi stiamo lì nel mezzo, consci delle problematiche del far comprendere ad un occidentale alcune abitudini sane di un orientale (praticante di Arti Marziali in questo caso) e consapevoli delle opportunità di arricchimento che questo potrebbe offrirgli.

Una cosa è certa, la difficoltà di far conoscere ed apprezzare una certa "mentalità da tatami" anche dalle nostre parti è sicuramente proporzionale a quanto pare essere stimolante e di valore un tale pazzo progetto!!!

Buon 2011 a tutti!

1 commento:

Carlo ha detto...

ottimo spunto per le riflessioni di fine anno!