martedì 27 luglio 2010

Trasformati dalla pratica


Oggi investighiamo su quale possa essere uno dei fini ultimi della pratica.

Ci sono varie risposte possibili, tutte plausibili e talvolta profonde.
Di esse vogliamo sottolineare quella che vede il cambiamento quale valore aggiunto del nostro stare sul tatami.

Perché affermiamo questo?!

Perché è ovvio che un neofita che si avvicina per la prima volta ad un Dojo ed all'Aikido sia intenzionato ad "imparare" qualcosa che crede di non sapere.
Crede che così facendo sarà migliore, forse più in forma, probabilmente più capace a difendere la propria incolumità fisica... va a sapere... tante possono essere le ragioni che spingono ad intraprendere un percorso.

Ma cosa accade a tutti coloro che nel percorso ci sono ormai da parecchio tempo?

Loro sanno cosa gli aspetta...
sanno come è strutturata una lezione, quali difficoltà si possono incontrare... il loro percorso è molto più definito;

Perché continuare ad allenarsi? Sicuramente è possibile puntare ad una maggiore abilità: con gli anni dovrebbe crescere ovviamente.

Pochi però, secondo noi, prendono in seria considerazione cosa può realmente accadere praticando.
La pratica può cambiarci, in modo profondo.
Così che, pur ripetendo all'infinito un movimento, ciascuna volta si possa essere arricchiti da qualcosa di nuovo all'interno di esso.

I timidi possono diventare più arditi, gli aggressivi più tranquilli... i faciloni più precisi, i maniacali più permissivi...
Queste sono cose che vanno ben al di là della tecnica, anche se essa può fungere da ponte in questo processo.

Così, negli anni, ci si può sentire completamente trasformati dalla pratica.
A nostro avviso ciò è un gran bene che accada.

E quanto dura questo processo?
Quando finisce?

La maggior parte degli Aikidoka è costituito da allievi, che frequenta un corso proprio nella speranza di avere una qualche sorta di evoluzione, come conseguenza, come premio dei proprio sforzo ed impegno.

E gli Insegnanti?

Valgono ancora per essi le stesse dinamiche, o loro sono quelli che hanno finito di imparare ed ora hanno "solo più" il compito di tramandare ad altri le loro conoscenze?

Se il lavoro è stato serio non ci dovrebbero essere moltissime differenze tecniche tra un 5º ed un 6º Dan che fanno kotegaeshi...
Per entrambi la tecnica dovrebbe funzionare più che bene!

Dov'è allora il valore aggiunto, cosa li distingue?

E' curioso, in tal senso, studiare le parole stesse del Fondatore, che non solo non si è mai incensato a fonte di verità assoluta, ma ha spesso tenuto a sottolineare quanto egli fosse ancora un allievo che aveva ancora tante cose da imparare.

Fra le sue ultime parole: "Vado a praticare Aikido altrove"... non "Vado ad insegnare Aikido altrove"!

Ed ancora, sempre da O' Sensei... "Impara e dimentica, impara e dimentica".

Era pazzo? Cosa serve imparare se poi si dimentica il lavoro svolto!?

Probabilmente egli aveva molto chiaro che lo stesso processo di apprendimento e di cancellazione di quanto appreso è un vero e proprio strumento di crescita ed evoluzione spontanea.

Il continuare a cambiare punto di vista rispetto ad una medesima realtà, impli
ca il coraggio di essere sempre nuovi davanti alla stessa, sempre autentici.
Non poter mai dire: "Lo so fare ormai!"

Non è tanto ciò che si realizza, l'abilità che si acquisisce, quanto il fatto che ci si lega profondamente ad un processo in grado di costruire e demolire le nostre stesse frontiere, talvolta rinsaldano, talvolta demolendo le nostre certezze... proprio come accade in quella dinamica che tutti "i babbani" non Aikidoka chiamano "vita".

E così non siamo tanto noi a fare Aikido, quanto anche lui ha fare progressivamente noi... così che lo strumento (il praticante) diventi il materiale grezzo, che si credeva invece essere la disciplina da apprendere.

Le persone che vivono la pratica così cercheranno quindi di allenarsi sempre più, perché comprendono che fanno un piacere a loro stesse nel farlo, possono compiere riguardevoli passi avanti nel conoscere loro stessi, essere più consci delle dinamiche proprie... e così si comincia a fare Aikido ed a viverlo SOPRATTUTTO al di fuori del Dojo!

Lasciatevi trasformare dalla vostra stessa pratica...

Durante i passaggi di grado, ciò che, a nostro parere, dovrebbe essere cambiato, non è tanto la miglioria tecnica (certo che si, ma questa è più una conseguenza che un fine!), quanto il modo stesso di praticare.

Sapere 20 tecniche in più, ma non avere fatto evolvere la qualità di quelle già precedentemente proprie, significa aver aggiunto schedari al nostro archivio, non aver fatto un click in più nell'Aikido...

Fa tai no henko un 1º Kyu, lo fa un 5º Dan...
anche se il movimento fosse identico, nel secondo caso si dovrebbe poter percepire un romanzo, che nel primo caso sarebbe a malapena una storiella (con tutto il rispetto per le storielle e per i 1º Kyu!).

Se l'Aikido serve a cambiare, ad evolvere, ha molto più senso praticarlo oggi che ai tempi in cui la nostra incolumità fisica era messa in più serio pericolo. Diventa uno strumento potentissimo per cercare cosa di noi non ci piace ed abbandonarlo, così come per acquisire le caratteristiche che avremmo sempre desiderato avere.

Muoversi fuori fa muovere dentro: lasciatevi trasformare dalla pratica...

Se vi accorgete che tanto sudore vi porta a ripetere sempre un po' le stesse cose, fate sempre gli stessi errori... questo potrebbe essere un importante campanello di allarme da prendere in considerazione.
Cercate nuovi spunti, punti di vista diversi... errori inediti!

Diffidate dei Maestri che spiegano sempre allo stesso modo... da ANNI...
hanno scelto forse rimanere ancora Aikidoka, ma non sono più disposti ad imparare cose nuove...
ad essere allievi insomma... come potrebbero ispirare voi a farlo!

In Aikido NON si vive di rendita, si RENDE vivendolo piuttosto.


Le potenzialità personali evolutive insite nell'Aikido sono veramente grandi, a nostro dire, e più che mai attuali ed interessanti.
Vi lasciamo con le parole di un Sensei nostro amico, già comparso nelle pagine di Aikime, che ha sposato da anni questo concetto e che da qualche tempo porta avanti il progetto internazionale denominato proprio "Evolutionary Aikido"

"l'Aikido è una scoperta, una realizzazione di sentirsi liberi anche sotto pressione.
Non più sentirsi vittime delle esperienze della vita.

Noi alla fine possiamo invitare in noi la vita,
dare il benvenuto all'energia, così da poter creare, essere creativi ed essere ri-creati nuovamente.

Le nostre armi sono la curiosità, la gioia e la disponibilità.
[...]
Le nostre tecniche sono la spontaneità e l'ascolto.
L'intenzionalità è il nostro terreno e l'evoluzione è la nostra direzione.

Incontriamo gli altri, allineati con la Vita, capaci di rispondere a quanto è sconosciuto.
Rimaniamo veri con noi stessi e con il sistema che ci contiene e così... evolviamo".

[Patrick Cassidy]

3 commenti:

Ordnascrazy!!! ha detto...

Ciao!
Un altro bel post, complimenti! Mi è piaciuto parecchio il discorso sul imparare e dimenticare, e sul fatto che bisogna farsi influenzare, mettersi in dubbio e non dimenticarsi mai d'essere sempre un allievo.

Questa lettura mi ha suscitato dei pensieri. Parto un attimo da lontano.
La teoria evoluzionistica di Darwin (evoluzione = mutazioni + selezione naturale) è stata una delle più innovative e suggestive idee che siano mai state partorite. Ormai viene applicata anche in contesti ben distanti da quello originario (meccanica quantistica, antropologia, sociologia, linguistica, biochimica, scienze cognitive, intelligenza artificiale, ecc..).
Uno degli aspetti interessanti della teoria di Darwin è proprio data dalla competizione reciproca tra due entità che sfruttano le medesime risorse (ad es., due lingue nel medesimo paese si possono contrastare sul numero di rispettivi parlanti).

Ora, tornando all'Aikido, quel "impara e dimentica, impara e dimentica" sommato al discorso di "cambiare punto di vista rispetto ad una medesima realtà" non fa altro che ricordarmi l'evoluzione di Darwin.

Basta fare le seguenti identificazioni:
- mutazioni <--> cambiamento p.to di vista
- selezione naturale <--> applicazione del punto di vista
Che fondamentalmente sono:
- mutazioni <--> "impara"
- selez. natur. <--> "dimentica"

Mi spiego meglio. Imparare nuove idee (siano esse tecniche sul medesimo attacco, o atteggiamenti generali applicabili a qualsiasi tecnica) fa sì che nella nostra mente si sommino degli schemi nuovi a schemi vecchi (già imparati e consolidati).

E qui avviene la "magia". Le vecchie idee non vengono dimenticate facilmente. Anzi, persistono, anche se in forma latente. Quando poi impariamo qualche nuova idea è inevitabile che, di fronte alla medesima situazione, ci sia un confronto tra i due approcci.
E' capitato a tutti gli Aikidoki di trovarsi per le mani una nuova tecnica al medesimo attacco e di dire: "Wow! Questa è veloce e potente!" oppure "Mmm... questa proprio non mi convince".
Questa è la selezione naturale.

Ora, prendendo per buono questa visione darwiniana dell'evoluzione mentale dell'Aikidoka, si può suffragare proprio l'ipotesi seguente:
più stili si apprendono, più si cerca di applicare i medesimi, più questi interagiscono (nella nostra mente) tra di loro e, talvolta possono essere scartati, talvolta possono essere sintetizzati in approcci innovativi.

Ciao!

Sandro (Musubi Dojo)

Carlo ha detto...

ottimo!

Anonimo ha detto...

VISTO CHE SI PARLA DI EVOLUZIONISMO, DARWIN ETC... CONSIGLIO DI LEGGERE GLI SCRITTI DI GIUSEPPE SERMONTI A RIGUARDO, GIUSTO PER AVERE UN ALTRO PUNTO DI VISTA.

CIAO