martedì 13 aprile 2010
Aikido, responsabilità e la coscienza di Zeno
Crescita, apprendimento, efficacia…
Poniamo nuovamente lo sguardo sull'immagine del "perdente" presente sull'articolo di Bruce Baker pubblicato da Aikido Journal e la cui traduzione troverete pubblicata qui su Aikime.
Da un lato la figura del "perdente" ci fornisce per opposto l'immagine di un atleta marziale (consideriamo un Aikidoka, ma il discorso può essere esteso ai praticanti in generale) che con la sua esperienza ed allenamento arriva al punto di ridefinire se stesso, abbandonando una mentalità egocentrica e impostata sul conflitto.
Per definizione il "perdente" è un individuo che riceve molte sconfitte nella vita. Considerando che la vera sconfitta si ottiene nel momento in cui “si smette di provare”, deduciamo che “perdente” e “rassegnato” descrivono condizioni non poi così diverse.
La pratica dell'Aikido ci insegna ad accettare ed essere cedevoli; la cedevolezza però che cos’è esattamente? È restare passivi e inermi dinnanzi alla vita ed ai suoi problemi?
Questo pensiero si porrebbe in antitesi con gli insegnamenti di un'Arte che vede più la cedevolezza come l'assenza di inutili contrazioni muscolari che causano un ostacolo alla libertà di movimento.
Estendendo il concetto, ci viene da affermare che da una mentalità impostata sul principio della cedevolezza scaturirà la possibilità di affrontare i problemi con la lucidità propria della rilassatezza, superando gli ostacoli che ci si auto-sbarra al raggiungimento dei propri obbiettivi.
A tal proposito ci viene in mente "La coscienza di Zeno", il romanzo di Svevo nel quale il protagonista sostiene che la sua mediocrità e incapacità è attribuibile alla dipendenza dal fumo; senza di essa Zeno riuscirebbe ad esprimere se stesso, facendo emergere le sue potenzialità.
Zeno ha però paura di smettere di fumare, perchè questo significherebbe mettersi in gioco e scoprire che il fumo non è nient'altro che una giustificazione ai suoi fallimenti. Il protagonista non esce così dalla sua condizione di perdente lasciandosi catturare/dominare dall'ostacolo.
Il personaggio presentato può mostrare come le nostre contrazioni interiori possano limitare o impedire un auto-miglioramento.
È possibile incontrare sui tatami persone che conservano le medesime problematiche negli anni; questo forse può accadere più facilmente se l'individuo in questione pratica non costantemente o se si sente un "arrivato".
Ogni tipo di allenamento probabilmente è buono nella misura nella quale il praticante si sente realizzato, ma l'Aikido, così come ogni Via Marziale e non, per essere padroneggiato ad un livello soddisfacente e dare buoni risultati, deve essere forse affrontato quasi quotidianamente o comunque con un certo impegno, per dischiudere i suoi tesori…
Spesso i praticanti si domandano se quello che stanno facendo è veramente efficacie o funziona in caso di aggressione o pericolo imminente. È una delle domande più vecchie del mondo sul tatami!
Quello che si dimentica è che l'apprendimento non è qualcosa di passivo che per forza entra in noi e si presenta autonomamente quando ne abbiamo bisogno (es. pericolo di un’aggressione fisica); siamo NOI che attraverso i NOSTRI allenamenti estendiamo la NOSTRA consapevolezza rendendo le nostre azioni efficaci... tramite il lavoro e la tempra che facciamo su noi stessi.
Non sarà probabilmente qualcun altro a farci migliorare o a renderci gli\le uomini\donne che desideriamo essere; è più probabilmente un processo che inizia, continua e forse finisce in noi.
Quindi più verosimilmente, sarebbe più consono affermare: “Oggi riesco ad abbattere/controllare un attaccante che ieri non riuscivo ad abbattere/controllare”, anziché “Oggi imparo una cosa che poi batte tutti”!
Nel caso in cui le azioni, quindi gli allenamenti non fossero mossi dalla consapevolezza del proprio io, non si sarebbe forse tanto diversi da burattini in una giostra… che, destinata a percorrere una traiettoria circolare, ci potrebbe far RI-cadere negli stessi sbagli senza possibilità di miglioramento.
Perché questo discorso…
... è una riflessione a voce alta, probabilmente che ben s’adatta ad ogni disciplina marziale, Aikido incluso, volta a risvegliare il senso di responsabilità di ciascun praticante in ciò che vive e compie sul tatami.
È ancora grande la credenza che “qualcosa di importante” possa essere in qualche modo importato/ottenuto dall’esterno (la tecnica, i gradi… le consapevolezze) e non affermiamo che ciò sia necessariamente falso: ci è solo sempre più chiaro come ciò sia necessario ma non sufficiente per fare poi la differenza con se stessi e gli altri.
In passato come oggi, “quelli bravi” erano e sono coloro che risultano estremamente presenti e partecipi alle loro esperienze, aperti al rischio di mettersi profondamente in gioco e noncuranti di raggiungere gli scopi prefissati dando ogni cosa di sé.
Pensiamo quindi alla crescita (marziale), all’apprendimento (marziale), all’efficacia (marziale)… senza dimenticare di mettere sotto analoga osservazione la nostra capacità di crescita, apprendimento ed efficacia nei confronti di noi stessi in ciò che facciamo, perché facilmente i due aspetti andranno un po’ sotto braccetto!
Forse O’ Sensei pensava anche un po’ a Zeno quando affermava che il migliore avversario da vincere si trova celato in ciascuno di noi!
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2 commenti:
Quindi in fondo il fallimento o il successo sono due lati della stessa medaglia sempre presenti in potentia in ogni esperienza che viviamo in ogni momento della nostra vita... e si tratta solo di determinare da quale parte stiamo. Tipo bicchiere vuoto, bicchiere pieno.
E` vero anche pero` che entrambi le strade possono portare ad una conoscenza di se stessi, e che la semplice formulazione di un intento che mira al 'successo' non costituisce di per se` una vittoria su se stessi, com'e` vero che il 'successo' e la 'sconfitta' sono nessi semantici che attraggono entrambi un nugolo di pregiudizi ed illusioni, sia in noi stessi che negli altri.
Quindi trovo il dilemma di Zeno veramente interessante, e il collegamento con l'aikido veramente azzeccato: Zeno non ha il coraggio di smettere di fumare perche` non vuole scoprire che il fumo non e` il motivo della propria sconfitta esistenziale, oppure perche` e` consapevole del fatto che anche lo scoprire che il fumo non e` il motivo della propria sconfitta esistenziale (il primo passo verso una presa di coscienza, per l'appunto) lo conduce semplicemente verso un'altra falsificazione semantica, seppure molto migliore della prima?
Bellissimo post,
in tutti questi anni di Aikido e di ricerca del budo ho cercato e cerco di forgiare il mio spirito e la domanda (scaturita da molti avvenimenti) che mi pongo più spesso è, il male e il bene quale serve più dei due?
Sejbei
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