Ukemi... questo termine usuale per chi pratica, viene solitamente tradotto con "caduta", ma in realtà ha un'etimologia più ampia. "Uke" deriva dal verbo "ukeru", ossia "ricevere", mentre "mi" è uno dei modi di dire "corpo"... ukemi quindi è "il corpo che riceve" (nel fotomontaggio a lato: Miles Kessler Sensei e l'autore... che non si sono mai allenati realmente sulle pendici del monte Fuji!).
Solitamente ricevendo una tecnica, si finisce al suolo... perciò ukemi ha largamente assunto il significato dell'atto di cadere; tuttavia il concetto di corpo che riceve è più profondo, poiché si rifà a tutte le occasioni in cui il fisico si adatta, cambia repentinamente per far fronte ad una situazione nuova ed inaspettata, senza opporsi direttamente alla medesima. Potremmo paragonare ukemi all'arte del surfista: egli aspetta la sua onda, e quindi la cavalca aggiustando i suoi equilibri in modo da non contrastare la sua forza (enormemente superiore), ma soprattutto, così da godersi fino in fondo e più a lungo possibile, la bellissima sensazione dell'essere UNO con il mare.
I principiante solitamente trovano nelle cadute uno dei principali scogli della loro pratica: un Aikidoka però passa circa il 50% del suo tempo a cadere sul tatami e a rialzarsi per poi rendere il favore al suo compagno... quindi è fondamentale per gli insegnanti insistere molto sul continuo allenamento delle cadute. Ma perchè tanta osticità ad apprenderle?!
Fin da piccoli ci è stato ripetuto che "non si sta per terra", che "per terra è sporco", che "quando uno cade a terra rischia di farsi male"... tutti questi condizionamenti non aiutano certo a prendere una confidenza immediata con il suolo: ci vuole tempo... tempo per apprendere nuovamente il piacere e la fiducia di rapportarci con ciò che ci sostiene.
Anche la società nella quale viviamo manda chiari messaggi: in basso ci sarebbero le "cose" sporche e rozze (i piedi, i vermi, anche l'Infermo è stato spesso rappresentato come sotterraneo), mentre in alto troverebbero posto solo le "cose" importanti, pure, belle, meritevoli (la testa, lo sguardo, il cervello - spesso confuso con la mente -, le farfalle... dio stesso, che dimorerebbe "nell'alto dei cieli"). Anche questo fatto non aiuta a convincerci che si può stare bene, al sicuro... ci si può addirittura divertire a piedi in su e testa in giù.
L'Aikido però chiede spesso di cambiare prospettiva nell'approccio alle realtà solite: ukemi è sicuramente un clamoroso esempio di questo.
La capacità di adattare velocemente la postura del proprio corpo al fine di minimizzare o annullare il danno subito a causa delle circostanze (in kaeshi waza, addirittura, di ribaltare la situazione a proprio favore) è estremamente importante nelle arti marziali.
Ma c'è un'altro ambito nel quale pare che ukemi venga simbolicamente a dare il suo prezioso contributo...
Parliamo di quelle situazioni nelle quali la resistenza che ci viene opposta è molto maggiore di quella che noi stessi possediamo, di quando veniamo "sbattuti a terra", ossia "abbattuti" da un'inaspettata presa di posizione degli eventi: questo ambito si potrebbe chiamare vita.
L'Aikido ci insegna a non opporre eccessiva resistenza, ad "accettare" di essere sbilanciati, fino anche a cadere al suolo. Insegna però anche come farlo nel modo più innocuo, nel rispetto cioè di chi subisce l'evento... ed, oltre tutto, a rialzarsi repentinamente in piedi dopo di esso e tornare ad agire.
E' un'immagine curiosa se paragonata a quella delle paure di insuccesso che ciascuno di noi prova nelle azioni che compie: l'Aikidoka attacca ed a seguito di questo finisce al suolo, ma non molla... cade in modo spettacolare e subito si rialza e ritorna nel suo intento. Solo la stanchezza lo ferma, non la possibilità di fallire o di farsi male.
Che nella vita ci siano delle "cadute" è implicito, nessuno ne è immune: il valore aggiunto potrebbe essere quindi quello di cercare di capire come farsi meno male possibile e ritornare a tentare un'altra volta... anzichè evitare che accada. Entri in un Dojo chi vuol avere materiale ed esempi in abbondanza su cui riflettere e da integrare nel proprio vissuto.
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