lunedì 28 ottobre 2024

Quando muore un Aikidoka: un lutto complesso da vivere

Quando si fa parte di un gruppo o di un movimento si è inseriti in un contesto sociale, non importa quando ampio... e come tale è naturale che in esso PRIMA o POI qualcuno venga a mancare.

Se siamo le persone che compiono il trapasso, tanto quanto dovremmo essere privilegiati e supportati nell'avere praticato una disciplina marziale, nella quale l'incontro con la morte (almeno fino a questo momento in modo figurato) dovrebbe essere all'ordine del giorno, o almeno del keiko.

Ma se siamo gli altri, quelli che restano?

Più la pratica sul tatami si allunga e più sarà facile incorrere nell'esperienza che qualche nostro compagno ci lasci per sempre, talvolta dando un congruo preavviso, e dandoci la possibilità in qualche modo di prepararci (come nel caso di una malattia più o meno degenerativa), talvolta invece all'improvviso (come accade negli incidenti o, peggio ancora, nei suicidi).

E, siccome la morte dalle nostre parti è ancora un gran tabù, veniamo colti alla sprovvista, sia se siamo dei compagni di pratica, sia se siamo gli Insegnanti, che devono farsi carico delle dinamiche umane del gruppo del quale sono membri o addirittura i responsabili.

Fin da ora è importante dividere questa difficoltà in 2 aspetti molto differenti fra loro:

- il bene sincero che vogliamo a chi se ne va ed il dispiacere - tutto umano - di non poterlo più incontrare, ed interagire; il vuoto che sentiamo nella nostra vita lasciato da chi non c'è più;

- la proiezione di noi che facciamo sull'evento funebre; la paura che noi stessi abbiamo di affrontare un momento che sappiamo prima o poi arriverà, ma che è fuori dal nostro controllo sapere come e quando.

É fondamentale, secondo me, scindere il problema (almeno) in questi 2 ambiti, perché essi tenderanno a mischiarsi ed aggrovigliarsi nel momento in cui viene a mancare un nostro compagno di pratica.

Tutti i contesti che prevedono un forte impatto emotivo sono capaci di farci provare sia il paradiso, che l'inferno qui in terra: pensiamo a quanto siamo al 7º cielo quando ci innamoriamo... così come quanto può essere forte il senso di colpa di avere maltrattato il nostro compagno che non c'è più l'ultima volta che lo abbiamo incontrato, senza avere ora la possibilità di chiedergli scusa, di rimediare in qualche modo.

Il primo aspetto lo possiamo mitigare considerando nel modo migliore le persone FINO A CHE CI SONO, sapendo bene che non abbiamo la possibilità di determinare quando finiremo di frequentarle. Provare dolore per la scomparsa di un amico è poi naturale, ma possiamo anche celebrare l'importanza della sua presenza quando c'è... senza rimandare ad accorgerci di tutto ciò solo quando questa viene a mancare.

Altrimenti diamo gli altri "per scontati" e ci accorgiamo che non lo sono affatto SOLO quando scompaiono dalle nostre vite.

Se ci abituiamo a questo paradigma saremo profondamente incoerenti, poiché incapaci di vivere appieno il momento presente... salvo poi disperarci (inutilmente) di tutti gli attimi di vita persi insieme, solo quando non è più possibile viverli.

Io secondo aspetto invece è mitigabile smettendola di rilegare la morte a qualcosa di poco plausibile, e - soprattutto - che accade sempre e solo a gli altri. Da un lato vogliamo allontanare da noi il pensiero di quando ci toccherà fare questo passaggio e non potremo mandare un nostro sostituto... dall'altro tutto ciò che evitiamo di affrontare tendiamo a specchiarlo negli altri.

Quindi NON ci dispiacerà SOLO perché il nostro compagno se n'è andato... ma soffriremo anche perché gli eventi tipo quelli che sono accaduti a lui ci fanno una paura FOTTUTA!

Conosco persone che non riescono nemmeno a nominare la morte, e si rifiutano anche solo di pensare all'idea della propria o altrui: ma la vita è GIUSTA ed impassibile di fronte a questi meccanismi di rimozione ossessivo-compulsivi... e di solito continua a metterci di fronte proprio a ciò che temiamo di più.

La separazione, così come l'unione... sono la madre ed il padre di tutti gli archetipi: in Aikido li utilizziamo in continuazione;

- uke ci attacca e da separato è costretto a toccarci, quindi ad unirsi a noi;

- possiamo diventare uno con lui e quindi separarci nuovamente, nel nage waza;

(oppure)

- possiamo diventare uno con lui e poi rimanere in questa condizione, nel katame waza;

La condizione di riunificazione viene prima di tutto, ma il nage waza è considerato meno basilare del katame waza... forse proprio perché riprendere distanza dall'altro è più complicato di quanto non s'immagini... specie quando siamo stati molto bene INSIEME.

In un certo senso, ed in una prospettiva più alta, essere separati sappiamo dentro a noi essere "innaturale"... essendo parte di un tutto armonico, che include noi ed il prossimo.

La sensazione - tutta e solo umana - che l'altro "vada via", "non ci sia più" non è solo errata, ma anche solo momentanea... poiché la viviamo SOLO fino a quando siamo inseriti in un contesto spazio-temporale. Però è proprio in questo contesto che siamo ORA!

La nostra anima o il nostro sé superiore sa benissimo che tutto ciò è mera apparenza, ma è necessario esperire tutto ciò a livello personale, non convincersene perché lo dico io o lo afferma qualcun altro.

E siccome scarseggiano individui in grado di percepire la propria immortalità in modo conscio, allora ci attacchiamo a tutto: agli altri, alla religione... a qualsiasi cosa ci faccia sentire meno soli e meno in pericolo in questi contesti di "frontiera". In una sola parola "reagiamo"... nonostante essere praticanti di una disciplina che va oltre il concetto dualistico di azione e reazione.

Questi impasse quindi colgono il 99% delle persone, praticamente mai pronte alla dipartita né propria, né altrui.

Accade anche che queste persone in difficoltà siano proprio gli Insegnanti di Aikido, ai quali non viene chiesto di studiare tanatologia o di fare un corso di preparazione alla dipartita durante il proprio apprendistato da docente. Di solito ci accontentiamo che non facciano ikkyo in modo troppo becero, per osare lanciarci in tematiche così "fuori dalla comune portata".

E qui sbagliamo di brutto!

Perché un Insegnate di Aikido - a mio dire ovviamente - dovrebbe prepararsi ad un evento come questo... che gli toccherà COMUNQUE vivere, se ha intenzione di frequentare per un tot di anni il tatami. Lo sanno bene tutti i docenti che hanno accomunato una certa esperienza: prima o poi accadrà che qualcuno del gruppo ci lasci. Allora cosa dire agli altri?

Come affrontare una tematica così delicata ed importante insieme al proprio gruppo?

Credete che basterà fare finta di niente?

Per un malore improvviso, ci sono persone che sono decedute propio al Dojo, per esempio... e se non si è capaci di affrontare al meglio l'evento (o non ci si fa aiutare da chi lo è) rischiamo che rimanga una ferita indelebile nei trascorsi di tutti coloro che erano presenti (e pure di quelli che fisicamente magari non erano li, ma che appartengono a quel gruppo).

Ci potrebbero essere persone che smettono di praticare per non vivere continuamente il ricordo di chi è scomparso, altri che smettono perché non vogliono frequentare un luogo nel quale hanno preso contatto con un aspetto della vita che fanno fatica ad affrontare in modo maturo e sereno.

É quindi MOLTO importante COME si pone un Insegnante in questi casi, e ve lo assicuro per pura esperienza personale. La capacità di offrire una chiave di lettura positiva ed integrante per chi resta credo sia fondamentale. Ma come fare, se il Maestro si rivela fra chi cade nel propio baratro...

Il "lasciare andare" che chiediamo a noi stessi in una buona ukemi è parente dello smettere di tenere tutto sotto controllo, compresa le durate delle vite (propria ed) altrui. L'accettazione dell'ignoto è tutto ciò che viviamo in un randori... perché così tanta fatica a vivere gli stessi principi, quando essi ci toccano in altri ambiti?

Paolo di Tarso ("San Paolo" per gli amici) afferma che Cristo, nella sua seconda venuta, metterà "tutti i nemici sotto i suoi piedi" (25) e, "come ultimo nemico, sconfiggerà infine anche la morte" (26). Ecco: non vorrei apparire un tantino blasfemo... ma non credo proprio che andrà così, o almeno non ho il tempo per attendere e verificare come andrà. Anche perché molti di noi devono fare pace con questo processo ORA, e non se o quando qualcuno verrà a toglierci le castagne dal fuoco.

La morte per me NON è nemmeno un nemico, a dirla tutta, ma una delle componenti ESSENZIALI della vita stessa... elemento che le conferisce senso, valore e significato... e della quale NON rappresenta per nulla il contrario (il contrario di "morte" è "nascita", infatti): essere in grado di armonizzarsi con la morte, quindi, a me suona come necessario per vivere una vita piena e gioiosa.

Attribuiamo un sacco di limiti e brutture alla morte SOLO perché il nostro corpo si disfa, perché in questa dimensione spazio-temporale perdiamo la capacità di comunicare con chi non è più fisicamente accanto a noi, perché ci appare come una soglia oltre la quale c'è un ignoto silenzioso... e che come tale ci spaventa. Ma pratichiamo per affrontare le nostre paure o per nasconderle sotto il tappeto, nella speranza di non accorgersi di averle?

Veramente crediamo che non esista tutto ciò che non siamo (ancora) in grado di percepire?

Allora, non solo la vita deve necessariamente finire con la morte, ma non esistono nemmeno gli SMS, le e-mail ed un sacco di frequenze elettromagnetiche e sonore... che siamo incapaci di rilevare senza devices (telefono, computer o dispositivi) specificamente crearti per mostrarci ciò che sarebbe celato ai nostri sensi ordinari.

Ho sempre vissuto male l'ipotesi di un ipotetico dio che ci obbliga ad iniziare il nostro viaggio con una festa, nella quale tutti sorridono e ci augurano il meglio... ed a terminarlo con un momento di tristezza generale, nel quale tutti si disperano per la nostra scomparsa: ci deve essere evidentemente qualcosa che non abbiamo colto - collettivamente parlando - dell'esperienza terrena della vita!

In generale, sono uno che si lascia il boccone più buono per la fine... che vuole terminare col botto, non di certo in modo addolorato.

Forse parlo così perché ho la fortuna (non è solo fortuna, è più forse una semplice abitudine) di guardarmi dentro da un tot di anni, ed andare a cercare risposte importanti nell'unico luogo nel quale - spesso - non hanno nemmeno più senso certe domande.

Però credo che un Insegnante di Aikido dovrebbe stimolare questo nei propri allievi: non "indottrinarli" con la propria religione preferita, ma spronarli a fare le LORO esperienze personali dirette ed immediate (non-mediate)... incoraggiandoli a farsi anche le domande più scomode e non mettere la testa sotto la sabbia quando incontrano qualcosa che fa loro timore o genera sofferenza. Sono convinto che questo sia parte imprescindibile della pratica.

Allora non stapperemo di certo bottiglie di champagne quando qualcuno del Dojo verrà a mancare, ma almeno sapremo vivere quel momento delicato e denso come qualcosa di costruttivo ed utile, per noi e per la community alla quale apparteniamo. Un ottimo modo direi di onorare la memoria di chi non c'è più!

Ci sarà di sicuro un tempo per le lacrime, sarebbe fuorviante pensare il contrario, perché il dolore della separazione ci sarà COMUNQUE, però ci sarà anche una nuova "fragranza" nel cuore, sentendo i nostri compagni riunirsi a quell'essenza di cui anche noi facciamo parte... sebbene ci si possa sentire abbastanza esuli in questo tirocinio intensivo sul pianeta Terra, immemori pure di averlo scelto.

Marco Rubatto


PS: Andrea, Giancarlo, Alan... grazie di tutto, vi vogliamo BENE!




  


lunedì 21 ottobre 2024

Quanto è importante la teoria in Aikido?

Sembrerebbe che la pratica fisica sia la componente essenziale dell'Aikido, ma siamo sicuri che sia proprio così?

É importante costruirsi alcune basi "teoriche" nel tempo, sulle quali riflettere e con le quali influenzare la nostra pratica fisica?
Ed in che misura?

Quest'oggi proviamo a riflettere su queste domande, poiché risultano tutt'altro che scontate... ed alcuni potrebbero sorprendersi di quanto non lo siano per nulla!

Di sicuro il lavoro che facciamo con il corpo è determinante, poiché esso si dimostra essere lo strumento più umile e coerente con il quale avanziamo sul nostro DO... però non dovrebbe risultare strano che possa essere richiesto anche una certa dose di studio intellettivo, da affiancare al movimento fisico.

Ci sono alcune discipline - fra esse prendo ad esempio la meditazione - nella quale è piuttosto comune il mantra "teoria e pratica vanno insieme": con questa frase si intende che il lavoro intellettuale è necessario per approfondire alcuni aspetti sottili e comprendere come avvengono determinati processi interiori.

D'altro canto, però, non sarebbe corretto trasformare o limitare un'attività esperienziale in una mera speculazione filosofica: è necessario "mettere in pratica", ovvero "vivificare con l'esperienza"... soprattutto quella fisica.

Sotto questo punto di vista la mente ed il corpo possono (dovrebbero!) trovare una forma di equilibrio, nel quale la mente fa ciò che è capace di fare meglio (indagare con l'intelletto), ed il corpo altrettanto (praticando zazen o le forme di meditazione attiva che si è scelta).

Talvolta l'Aikido è stato definito "meditazione in movimento", ma al di là di concordare o meno con questa etichetta... sappiamo per certo che anche nella nostra disciplina è necessario coordinare ed integrare l'aspetto mentale con quello fisico e corporeo.

O' Sensei (ed anche parecchi Maestri della tradizione marziale) era un avido lettore e ricercatore, in campo religioso e spirituale, ma anche filosofico e letterario: in una parola, era un uomo colto... non nel senso di "persona che ha fatto studi universitari", quanto di individuo che amava esplorare e conoscere diversi ambiti dell'esistenza.

E con questa "cultura" ci ha imbibito la sua pratica, tanto che essa divenne indissolubilmente legata al suo sistema di valori ed alla sua prospettiva non violenta.

Oggi il Budoka medio, e l'Aikidoka medio con esso, leggono e studiano poco... essendosi trasformati in una sorta di "trafficoni da tatami". Noi occidentali abbiamo poi una difficoltà in più, rispetto ai nostri colleghi con gli occhi a mandorla: ci interessiamo di cose che NON appartengono né alla nostra cultura, né alla società ed al tempo in cui viviamo.

Lo studio della lingua giapponese - per dirne una - diventa quindi determinate, ad un certo livello di maturazione marziale, per non rimanere impigliato in qualcosa che si ripete all'infinito senza comprendere bene, con l'aspettativa magica che un giorno tutto ciò si chiarifichi da sé.

Lo studio della storia e della cultura del Giappone, così come la vita del Fondatore dell'Aikido e dei suoi principali allievi ci permette di entrare meglio in connessione con una fitta serie di elementi che non possono che arricchire i nostri movimenti sul tatami... e spesso hanno anche la possibilità di influire su di essi in modo diretto e chirurgico.

Intendiamoci: non si tratta di diventare per forza traduttori simil madre-lingua, o enciclopedie viventi del Medioevo giapponese... ma di STUDIARE e quindi cercare coerenza fra ciò che si SA e so che si FA.

La conoscenza della vita di Morihei Ueshiba un po' più approfondita di quella che fornisce Wikipedia, ci permette di comprendere quanto - ad esempio - egli visse alcune crisi che influenzarono parecchio le sue decisioni: la paura per la sicurezza del padre lo portò sulla via delle Arti Marziali, ed in seguito la preoccupazione per la sua malattia lo spinse verso le pratiche dell'Omoto Kyo... la differenza di vedute lo allontanò dal suo mentore Takeda, etc.

Oggi non solo si studia poco, ma osservo persone che si sentono autorizzate ad insegnare l'Aikido agli altri commettere banali errori legati alla propria ignoranza del mondo che dovrebbero invogliare gli altri a conoscere e studiare.

La differenza fra dire o scrivere Dojo Hara Kai ed Hara Kai Dojo... oppure fra Sensei Marco Rubatto e Rubatto Marco Sensei ne sono la più evidente testimonianza: lasciamo perdere quelli che utilizzano il termine onorifico "san" per indicare se stessi, magari solo perché suona un po' a mandorla... ma c'è gente che ha idee molto vaghe, forse anche troppo, sul mondo che vorrebbe patrocinare.

E così la teoria e la pratica non vanno più sotto braccetto... ma l'Aikidoka diventa una sorta di fabbro da tatami, un batti lastra umana... con tutto il rispetto verso queste nobili professioni, di solito però non svolte esattamente da premi nobel per la filosofia o la letteratura.

E quando non si studia la storia e non la si è compresa ad un certo livello di profondità, si replicano i suoi gli errori (pure sul tatami)... quando non si studia e non si fa propria la filosofia, compiremo movimenti nei quali non ve n'è traccia alcuna. Le tecniche diventeranno vuote, e magari si suderà anche moltissimo... ma non diversamente da quanto accade in una sauna o durante una lezione di aerobica.

Ed è forse questo ciò che vogliamo?

Un piccolo aneddoto, accadutomi ormai oltre 20 anni fa: al tempo collaboravo con un Maestro di Judo e, per ringraziarlo dello spazio che ci offriva per praticare Aikido, ero solito fargli un piccolo regalo per Natale... di solito acquistato in un negozio alla periferia di Torino, che fa importazione diretta di Articoli Marziali dal Giappone.

Anno dopo anno, credo di avergli abbastanza arredato casa con quadretti provenienti dal Kodokan, spille, tengui... ed altri articoli della tradizione: un giorno non sapendo cosa acquistargli, chiesi al negoziante se ci fosse qualche novità editoriale sul Judo... così da acquistare un libro che il mio collega ancora non possedesse. 

La sua risposta fu lapidaria: "Ma i Judoka mica leggono!"...

Senza fare di tutta l'erba un fascio (ci saranno sicuramente pure Judoka molto acculturati)... osservo però che in Aikido non è molto differente, anche se la nostra disciplina vorrebbe in qualche modo sembrare quella culturalmente più densa: non è proprio così nei fatti. Ci sono Insegnanti che faticano a contare in giapponese fino a 10!

Ma allora cosa ti vesti con il KEIKOGI (e non con il KIMONO... ignorante come una foca monaca a mandorla)! Fai lezione in tuta da ginnastica, dico io...

C'è gente che mentre insegna dice parole "giapponesofile", magari sentendosi anche un tot figo, sentite male e ripetute a pappagallo (ad esempio, l'ultima che ho sentito è "kiai des" -"desu" in giapponese è il verbo essere - anziché "kiai de", ovvero "con il kiai")... perché è  qualcosa di mai studiato e compreso ad un certo livello di consapevolezza.
Ma in fondo è solo una piccola "s": che differenza vuoi che faccia... corriamo a darci mazzate!

Mi capitano spesso allievi provenienti da altri percorsi precedenti nell'Aikido che mi dicono che nei loro vecchi corsi NON si usava tutta la nomenclatura giapponese che si utilizza da noi. Ma NON ne utilizziamo una sovrabbondanza... era là che non ne utilizzavano proprio!

Attenzione: non è che pretendo che i miei allievi conoscano i kanji con i quali si nominano le pieghe dell'hakama... il livello richiesto è veramente "basic": la nomenclatura tecnica di base, le parti del corpo, contare fino a 30... Dopo un anno di pratica, ci riescono pure i bambini di 5 anni!

In Dojo da noi c'è una libreria che contiene quasi tutta la bibliografia dell'Aikido in italiano, oltre numerosi testi in inglese ed in giapponese: fino ad ora UN solo mio allievo l'ha utilizzata con costanza per acculturarsi... gli altri prendono qualche testo sporadicamente, o mi aiutano a toglierci la polvere quando facciamo le pulizie approfondite nel Dojo.

Io ho scritto un certo numero di libri che i miei allievi di solito NON sanno nemmeno che esistano... e queste stesse pagine vengono lette più da estranei che fra di loro.

Magari non saranno particolarmente interessanti o acculturanti... ma il fenomeno che emerge è quello che dicevo: "Fammi fare un po' di movimento con il pigiama bianco 2 volte a settimana, così metto il cervello in formalina per qualche ora e mi svago"... Triste ammetterlo, ma perlopiù è così.

Esistono invece concetti, come ma-ai, ki-musubi, hara, omote/ura, deai, awase... che sono complicati spiegare in termini del tutto occidentali, poiché sono imbibiti di una tradizione culturale MOLTO differente dalla nostra. E se non vogliamo sia necessario trasformare ogni lezione in una conferenza, sarebbe bene che pure gli allievi qualche cosa leggessero sulla disciplina che praticano e sul mondo dal quale essa proviene; almeno da un certo livello d'ingaggio in poi.

Anche se la cultura - di per sé - non ha mai fatto male a nessuno!

In ogni caso, nella civiltà della divisione nella quale viviamo è parecchio facile semplificare (anche troppo) sistemi complessi: muoviamo il corpo facendo SPORT,  muoviamo la mente ed apprendiamo con i LIBRI... e potremmo cascare nell'errore che la cosiddetta "teoria" sia qualcosa in contrapposizione alla PRATICA, mentre è COMPLEMENTARE ad essa.

Ogni luogo che visito negli ultimi anni chiedo abbia una lavagna bianca o a fogli mobili sulla quale imbrattare schemi su schemi: ne abbiamo una di quasi 2 mq in Dojo, sempre piena di parole e disegni, connessi fra loro... a Palermo ormai c'è un armadio nel quale vengono conservati tutti i rotoli che ho imbrattato negli anni. Le persone mi chiedono se possono fotografare ciò che scrivo, segno che non sono abituate ad un approccio la cui pratica sia supportata da un'altrettanto funzionate parte teorica.

Che però trovo sempre più importante: da vivificare di certo nel movimento fisico e nel sudore... ma qualcosa che ci permetta di comprendere ciò che facciamo a tutti i livelli, senza richiederci una fede cieca e un addestramento solo basato sulla ripetizione... come si fa con i cani, le scimmie ed i delfini.

Se la mente ed il corpo vanno coniugati, allora perché sudare senza muovere un neurone?
Forse ci meritiamo qualcosa di più...

Marco Rubatto






lunedì 14 ottobre 2024

Aikido senza gradi ed esami

Come cambierebbe la nostra disciplina se decidessimo di fare a meno di esami e ad ogni parametro di graduazione?

É una domanda molto interessante... in quanto sia gli esami, sia i vari sistemi di graduazione sono il fulcro di una serie di problematiche piuttosto annose, e non del tutto superate ai nostri giorni.

Quindi faccio una proposta provocatoria: chiunque entra dalla porta non sostenga più esami ed non ottenga gradi (di qualsiasi natura)... oppure riconosciamo di default il 9º dan... e la qualifica di Shihan (persona da imitare), Doshu (guida), Kai-Cho (Capo-Scuola) a CHIUNQUE... in questo modo saremo tutti uguali e non ci sarà più nessuno che lamenta ingiustizie!

Ci farebbe comodo ricordare che ai tempi di O' Sensei era tutto esattamente così: non esistevano esami strutturati per raggiungere un grado specifico: un giorno il Maestro Morihei ti batteva sulla spalla e ti diceva: "Sei 4º dan"... anche se non fossi stato mai stato 3º dan in precedenza. Era tutto deciso da una persona sola al mondo (il Fondatore), la cui opinione non era minimamente discutibile: si faceva come diceva lui... e stop. Ora le cose però sono un po' differenti...

Le qualifiche, così come oggi le abbiamo in Italia per poter insegnare una disciplina sportiva, sono un'acquisizione recente, che non è ancora uniforme in tutto il mondo. In Europa esiste lo SNaQ, ma altrove ad esempio no...

I titoli giapponesi (Fuku-Shidoin, aiuto Istruttore; Shidoin, Istruttore; Shihan, Maestro...) sono qualcosa che non è uniformato nemmeno all'interno delle stesse discipline tradizionali giapponesi: alcuni li sentono con più importanza, altri li ignorano quasi del tutto.

Ovvio che da quando si è cercato di dare loro una strutturazione - almeno all'interno della disciplina che pratichiamo - ci sono state differenti interpretazioni di questa strutturazione, da parte delle varie correnti stilistiche che l'Aikido moderno presenta.

Di solito i parametri che presi in considerazione prima di potersi presentare ad un esame sono stati:

- periodo di permanenza al grado precedente, frequenza e costanza degli allenamenti;

- numero di seminari e formazioni fatti dal grado precedente;

- uno specifico curriculum tecnico da padroneggiare (almeno fino al 4º o il 5º dan);

- particolari meriti e benemerenze da tenere in considerazione a riguardo di impegno sulla divulgazione della disciplina (nel caso dei gradi dan più elevati)

Il problema di fondo nasce dal fatto che i famigerati gradi kyu e dan erano (e sono) una metodologia imperfetta, come molte altre ce ne sono, per verificare/esprimere/manifestare i propri avanzamenti di consapevolezza nella disciplina. Ciò che accade agli altri non è di minimo interesse dalla prospettiva di chi è tutto intento a migliorare se stesso... e comprendere con chiarezza se ciò sta avvenendo oppure no.

Un secondo dopo la strutturazione dei curriculum tecnici, invece, è stata naturale anche la COMPARAZIONE delle differenti abilità di coloro che magari posseggono lo stesso "grado". E di qui in poi si è generato il grande caos: "Io so fare questo più di lui/lei, ma ho un grado inferiore al suo..." etc, etc, etc.

A parte il fatto che i curriculum tecnici sono relativi alle singole Scuole, quindi ciò che secondo una corrente si studia da 5º kyu, in un'altra si affronta al 2º dan... ed in un'altra non si studia nemmeno... ci sono comunque alcuni aspetti che continuerebbero a non quagliare ANCHE se ci fosse un unico curriculum con il quale - per magia, molta magia - tutto il mondo dell'Aikido andasse d'accordo.

Il fatto che i cosiddetti "gradi" non vengono attribuiti da un robot ad un altro robot: quindi NON è possibile alcuna forma di oggettività binaria, tipo acceso/spento, giusto/sbagliato, promosso/bocciato... stiamo cercando di descrivere l'avanzamento di un essere umano con un numero, ovvero di giudicare un sistema complesso con una scala graduata troppo limitata per poter tenere in considerazione tutte le infinite sfumature dell'esistere e del fare.

Se parecchi fanno a botte per ottenere gradi e qualifiche e noi le togliessimo, cosa resterebbe?

Semplice: resterebbero sul tatami le persone che sono li per fare il loro processo di miglioramento personale, anche se non ci fosse più un metro per tentare (maldestramente) di misurarlo!

Ma chi insegna?

Colui o colei che hanno la consapevolezza più alta nella disciplina... ovvero quelli che avrebbero dovuto avere i gradi più alti, se questi fossero stati attribuiti con cognizione di causa.

Altrimenti diventa una comune, nella quale tutti - essendo "alla pari" - hanno diritti e doveri di imparare ed insegnare al prossimo. Però questa cosa NON funziona e gli esseri umani già lo sanno bene da tempo.

In qualsiasi ambiente sociale, il più "anziano" o esperto tende ad avere più voce in capitolo rispetto chi è appena arrivato: ci sarà una ragione, no?

Come potrebbe funzionare quindi un percorso di acquisizione di consapevolezza senza qualcuno che lo guidi, in accordo con chi si lascia guidare?

Bene: i gradi kyu e dan - pur nella loro estrema semplicità e limite - hanno sopperito a tutto ciò fino ad ora.

Ma NON sono perfetti, NON sono oggettivi, NON sono la legge del Signore... si tratta solo di un escamotage pratico per far funzionare un meccanismo sociale, per provare a regolamentare una micro-società proprio in quegli aspetti che sono molto complicati (se non impossibili) da normare con precisione.

A questo punto però arriva un ulteriore problema: SUPPONIAMO che ciascuna organizzazione attribuisca gradi e qualifiche in modo oculato e secondo un evidente principio di merito (qualcosa di realmente ardito e quasi mai riscontrabile nei fatti!)... QUALE sistema di graduazione è il migliore, visto che ce ne sono tanti?

Alcuni di voi ci hanno chiesto di esprimerci in merito alle certificazioni e le modalità per comprendere quali sono più tutelanti di altre...

Il discorso è lungo ed articolato e magari lo affronteremo a dovere in un Post dedicato, però posso dire fin da ora che - nonostante si sappia già che ogni sistema di graduazione ha delle falle dei limiti - sarebbe bene volgere lo sguardo a quale fra essi è più difficilmente FALSIFICABILE.

Il denaro del Monopoli funziona come quello corrente all'interno del gioco da tavolo, però non viene accettato nei negozi... come mai? Perché non c'è un Ente affidabile che lo emana: la stessa cosa vale per i gradi e le qualifiche in Aikido.

Ad esempio, i gradi Aikikai (dell'Honbu Dojo, non quelli dell'Aikikai d'Italia o di qualsiasi altro Stato) NON sono perfetti, però vengono emanati da un'UNICA fonte certificatrice, hanno una filigrana, un numero di protocollo e devono sottostare a regole internazionalmente ben chiare.

Certo che c'è poi il furbetto che s'immanica questo o quello Shihan e riesce pure ad aggirare le regole del protocollo... ma è più complicato rispetto a fare la stessa cosa con il grado stampato con la getto d'inchiostro dal Maestrino in basso a destra.

Provate - sempre per puro esempio - ad entrare in Federazione ADESSO e farvi riconoscere gradi e qualifiche SENZA rispettare le regole del Regolamento Organico Federale: ve le tirano sui denti le vostre richieste!

Se invece un gruppo di persone si mette insieme, crea un'Associazione (di 1º o 2º livello, non importa) e poi inizia distribuire "gradi interni" si fa qualcosa di sicuramente lecito, ma al contempo anche un tantino autoreferenziale... proprio perché è una dinamica percorribile da chiunque, senza che nessuno possa dire nulla in contrario. Quindi noi dell'Aikido PRIMA ricorriamo a questa dinamica anarchica, nella quale ciascuno è libero di attestare ad altri ciò che ritiene meglio... POI ci mettiamo a litigare fra noi su quale "grado" conti di più o sia il migliore: siamo veramente dei furboni che meritano l'estinzione!!!

Ed il Mondo dell'Aikido è pieno di gradi che hanno una marea di sigle differenti appresso: 3º dan Aikikai3º dan Aikikai d'Italia dan FIJLKAM dan CSEN dan UISP dan LIBERTAS dan AICS dan ASI, 3º dan OPES, 3º dan CSAIN,  3º dan ASC, 3º dan Progetto Aiki, 3º dan Shumeikai, 3º dan FESIK dan Atago dan Dantai dan Aiada... sono tutte "cose" diverse che utilizzano lo stesso numero e la stessa parola giapponese per identificare percorsi DIVERSI fra loro, talvolta più ISTITUZIONALI, talvolta meno... talvolta più SERI, talvolta meno.

Diventa quindi molto complicato orientarsi in questa infinità di variabili e contesti differenti, poiché di solito ne conosciamo al massimo bene 1... forse 2, ma non di più.

Ed in Italia c'è ancora una confusione pazzesca in merito a queste cose, poiché ciascuna delle sigle fa di tutto per convincere la schiera dei propri iscritti di essere finita nel luogo migliore, più serio, più ufficiale, più tutelante.

E siccome pure io appartengo ad un paio di queste sigle (Aikikai so Honbu e FIJLKAM) potrei sembrare di parte: bene, vorrei assicurare che lo sono senza alcun dubbio... ma solo perché ho studiato a fondo questi Enti e, nel tempo, ho compreso ad un certo livello di dettaglio le differenze fra le diverse possibilità di appartenenza.

Provate, per esempio, ad informarvi voi stessi da un consulente serio sulle differenze che passano fra:

A) Fondazione Internazionale (Aikikai)

B)  Federazione Nazionale (FIJLKAM)

C) Ente di Promozione Sportiva (CSENUISPLIBERTASAICSASI, OPES, CSAINASC...)

D) Associazione di 1º livello (Associazione Sportiva Dilettantistica/ASD, oppure SSD) (Hara Kai, Dantai, Shumeikai, Aiada, FESIK, Atago)

E) Associazione di 2º livello (approfondisci QUI) (Progetto Aiki)

F) Ente Morale (Aikikai d'Italia)

G) Scuola privata (Ciccio Formaggio Ryu...)

Con 80-100,00 € da un bravo Commercialista o un bravo Avvocato vi togliete la paura... poi incomincerete a comprendere come mai un 3º dan Aikikai ed in 3º dan FIJLKAM si equivalgono quasi sempre, mentre NON è detta la stessa cosa per tutte le altre sigle.

Ma lungi da me voler convincere qualcuno... fate le vostre debite ricerche per i fatti vostri, se ne avete voglia.

La stessa cosa potrei dire per le famigerate "Qualifiche d'Insegnamento", che in Italia non sono ancora tutte SNaQ manco per niente... quindi ci sono Enti che rilasciano certificati che sono validi SOLO al loro interno e che poi vengono a chiedere alla CTN Aikido FIJLKAM perché la loro Qualifica NON viene equiparata all'interno della Federazione, sempre per fare un altro esempio.

Ma se c'è tutta questa bio-diversità (che se fosse stilistica sarebbe pure una grande ricchezza) ed alcuni percorsi di certificazione sono più "verificabili" di altri... allora perché tutta la Community Aikidoistica non confluisce in quelli più seri e strutturati... così da ridurre il caos e poter parlare una sorta di lingua comune, almeno per quanto concerne le graduazioni ed i riconoscimenti?

Me lo sono chiesto letteralmente per quasi 20 anni... ma ora credo finalmente di avere compreso perché ciò non è accaduto, non accade e mi pare prossimo che non accadrà nemmeno nell'immediato futuro: questo discorso però richiede un approfondimento ulteriore, che faremo forse più avanti.

Ma in sostanza: 1000 percorsi di graduazione, TUTTI con pregi e difetti abbastanza evidenti... tutti che cercano di auto-eleggersi migliori di altri... così non se ne uscirà mai.

Nemmeno però eliminando esami e gradi si risolverà il problema alla radice: dobbiamo quindi trovare un nuovo approccio alla questione, qualcosa che onori ciò che c'è stato, ma ci consenta anche di proseguire con flessibilità e meno incertezza rispetto al passato.

Io mezza idea ce l'avrei pure... ma devo dire che questa cosa mi tange sempre meno nel tempo: ho ottenuto ciò che desideravo, sia in termini di riconoscimenti, che soprattutto di pratica, quindi per me le cose possono anche rimanere come stanno.

Se dovessimo fare dei cambiamenti migliorativi, lo potremmo fare però per tutti coloro che devono ancora intraprendere questi percorsi, così che non si trovino ad incappare nelle stesse difficoltà dalle quali abbiamo provato a districarci noi.

Marco Rubatto






lunedì 7 ottobre 2024

Aikido e velocità di apprendimento

Vi siete mai chiesti quali sono i fattori che influenzano la velocità di apprendimento di un Aikidoka?

Io SI... l'argomento mi interessa particolarmente per 2 ragioni specifiche:

- sono un Aikidoka, quindi sono interessato in prima persona a comprendere come continuare ad apprendere più velocemente possibile;

- ho allievi che mostrano propensioni molto differenti all'apprendimento, e mi piacerebbe dare loro una mano.

Un primo apporto alla velocità di apprendimento può essere dato misurando questo parametro in relazione all'età di chi si appresta ad apprendere qualcosa: più si è piccoli, più questa velocità è elevata... mentre più l'età avanza, più questo parametro rallenta.

Come mai? Proviamo a spiegarlo in parole semplici...

L'apprendimento può essere definito come la capacità di includere nuove informazioni, ma anche elaborarle e farle proprie; questo richiede una certa propensione al cambiamento, già ché ogni cosa che impariamo tende a farci cambiare la mappa con la quale descriviamo il territorio della nostra realtà.

Impara prima chi è disposto a modificare le proprie convinzioni ed i propri schemi di pensiero: anche i neuroni sono in grado di creare nuove piste neurali, che agevolano un migliore scambio di informazioni all'interno dell'encefalo. Esiste cioè una certa capacità trasformativa dentro ciascuno di noi, una elasticità che va sfruttata per acquisire nuove forme... della mente come del corpo.

Frequentiamo tuttavia tutta una serie di luoghi per l'apprendimento più intenti a riempirci come un uovo di informazioni, fin tanto da ingolfarci... piuttosto che affiancarci e supportarci nei processi di cambiamento che servono ad apprendere. E dalle elementari in poi - di solito - inizia a ridursi la capacità che abbiamo di includere nuove informazioni, poiché parte di esse costituisce una sorta di "spazzatura" voluminosa, spesso ben poco utile al nostro sistema bio-psichico. Ci servirebbe qualcuno che ci spieghi come funziona la RAM del nostro computer mentale, oltre a preoccuparsi di saturarci l'hard-disk.

Un corso come quello di Aikido propone una metodologie di apprendimento differente da quella scolastica ordinaria: si impara tramite esperienza personale diretta, per propriocezione, con la cinestesia del corpo. Non è richiesto alcun atto di fede nell'Insegnante, poiché tutto è sperimentabile e verificabile in prima persona.

Da piccoli il corpo è morbido ed aperto, così come lo è la mente... ma crescendo una mente più selettiva tende a plasmare un corpo fisico altrettanto trattenuto, articolarmente parlando.

L'Aikido richiede tuttavia di rilassare ed aprire al massimo sia la percezione, sia la propria capacità di ricevere con il corpo: sotto questo punto di vista, uke è la base dalla quale allenare la propria capacità di apprendimento.

Ora pero immaginiamo cosa accade quando ciascuno di noi ha la (spesso errata) percezione di avere appreso qualcosa ad un livello sufficiente di qualità: le energie restanti vengono spese in due ambiti completamente differenti...

... il primo è quello di imparare nuove cose, ma il secondo è quello di cercare di non perdere, di proteggere, ciò che ha già appreso. Notate però che questo secondo ambito è completamente assente in un bambino piccolo, o in un principiante.

Sapere di non sapere nulla consente di impiegare TUTTE le nostre energie nell'apprendimento, mentre più accumuliamo conoscenza e know how, più aumenta la quota parte di energie che riserviamo alla loro protezione.

Quando parlo di "protezione" di ciò che abbiamo imparato non mi riferisco solo al tentativo di "non dimenticarlo"... ma anche dal rischio molto concreto che ciò possa essere messo in discussione da situazioni, nuovi fatti e persone che sembrerebbero rimandarci o che "non avevamo capito molto bene" o che "quello che avevamo capito era proprio sbagliato".

É un po' ciò che accade all'università, quando ti dicono che la fisica di Neuton è ormai superata: si fa resistenza a crederci perché era una fisica dannatamente predittiva, semplice... nella quale con 3 conti si arrivava ovunque. Sembra di peggiorare nel sostituirla con il concetto di "probabilità", specie se prima si pensava di possedere una certezza!

In Aikido è la stessa cosa...

Da principianti non ci si pone alcun limite o problema e si è disposti ad accettare tutto per buono fin da subito; poi si cresce negli anni di pratica e nei gradi, e si cerca - inconsciamente - di imparare SOLO le cose che non contraddicano il nostro storico, perché tutto il resto richiederebbe una revisione totale e faticosa, che non siamo disposti troppo a fare.

E la nostra velocità di apprendimento RALLENTA inevitabilmente... talvolta - purtroppo - fino a fermarsi del tutto.

In media, chi sono quindi in Aikido le persone che imparano più lentamente... o che hanno addirittura smesso di farlo?

I SENPAI e/o gli INSEGNANTI! Sembra paradossale, ma è proprio così...

Un cosiddetto "esperto" che durante una lezione qualsiasi (poco importa se vissuta da allievo o da docente) NON impara nulla di rivoluzionario per il proprio Aikido sta tirando il freno a mano alla sua velocità di apprendimento: preferisce ribadire che mettere in discussione... evitare il nuovo anziché ristrutturare il proprio livello e lanciarsi verso i propri ignoti.

Pensate, ad esempio, con quale bassa frequenza un Aikidoka - sedicente esperto - si reca in un luogo nel quale fanno Aikido in modo differente dal suo lineage di provenienza: ad esempio... un Senpai del gruppo Tissier che va a fare un Seminar di Iwama Ryu (da allievo, ovviamente), o un Senpai della Scuola di Iwama che ricambia la cortesia al Seminar di Roquebrune.

Raro, raro, raro... Ebbene, c'è una ragione: in entrambi questi casi, la frequenza a qualcosa di inusuale per sé richiederebbe una massiccia dose di ristrutturazione delle piste neurali e degli schemi motori già appresi: ovviamente consentirebbe anche un veloce apprendimento (specie per un Senpai), ma questo viene sacrificato, per non avere la sensazione di dover mandare alle ortiche parte del proprio lavoro pregresso... così come per evitare la frustrazione di avere a che fare con cose nuove, che non si conoscono per nulla.

Evitiamo cioè come la peste i luoghi nei quali un esperto possa tornare a sentirsi principiante!

In realtà, MAI il nostro lavoro pregresso ha necessità di essere buttato via: è parte della nostra esperienza, è già "nostro", non può essere rovinato, rubato, messo in discussione da nessuno... e sarà sempre li al nostro servizio, quando ne avremo bisogno.

É proprio solo la paura di dover ammettere che c'è ancora qualcosa che non sappiamo a fermarci! Umanamente parlando, questo è comprensibile... però dovremmo ricordare a noi stessi che siamo sul tatami per progredire, non per ribadire quanto è glorioso il nostro passato!

Di contro a tutto ciò, abbiamo che la velocità di apprendimento rimane invariata (o anche aumenta) se si tiene viva una certa dose di curiosità, di abitudine al cambiamento, di necessità di confrontarsi con qualcosa di ancora sconosciuto o inesplorato.

In Aikido ciò può avvenire o provando schematizzazioni differenti da quella alla quale siamo abituati... oppure decidendo anche di esplorare livelli differenti delle stesse pratiche: ciò ci garantisce una massiccia dose di novità costante, che è poi ciò che è assicurato ad ogni neofita nei primi anni di frequenza del tatami.

Cerchiamo di comprendere PERCHÉ nella tradizione è considerato così importante il termine [初心 ] "shoshin", "mente del principiante"... e facciamo del nostro meglio per continuare ad avere un approccio congruente con questa attitudine.

Consiglio di recuperare un Anime dal titolo "Golden Boy", il cui protagonista ha fatto dell'apprendere il principale motivo dell'esistenza... come forse dovrebbe fare anche chi intende fare la differenza con se stesso, ogni giorno.




Marco Rubatto