lunedì 24 febbraio 2020

Katame-virus e come non farsi immobilizzare dalla paura

Sospendo la programmazione dei Post previsti sul nostro Blog per una doverosa riflessione su ciò che sta accadendo in queste ore in Italia, specie qui al nord... da dove vi scrivo.

Stiamo assistendo ad un'escalation di preoccupazione e di provvedimenti affrettati per contenere l'infezione di un virus, la cui infettività sembra parecchio alta, mentre l'effettiva pericolosità meno.

Di solito ci si allarma per evitare il peggio, quindi le intenzioni nel farlo sono per forza le migliori: su questo non v'è alcun dubbio.

Bisogna solo comprendere quand'è che una cura risulta peggio della malattia: il Coronavirus preoccupa poiché ha un periodo di incubazione che non ne agevola di certo l'isolamento.... ed ha modalità di contagio che ad oggi non sono ancora state del tutto definite in modo completo.

Se una parte consistente della popolazione italiana dovesse necessitare di cure mediche improvvise, il sistema sanitario nazionale (già provato di suo!) collasserebbe in un amen: è quindi necessario evitare che ciò avvenga, e su questo siamo tutti credo più che concordi.

Il problema però attualmente è piuttosto differente, a mio avviso: quello vero è legato alla PAURA ed alla PREOCCUPAZIONE.
Assistiamo a scene di supermercati svuotati dei generi alimentari di prima necessità, a dispositivi di protezione e prevenzione introvabili (guanti, mascherine, amuchine varie) o venduti a prezzi da strozzini sul web...

Noi Aikidoka credo possiamo fare molto in questo ambito: non perché ci improvvisiamo virologi o infermieri... ma perché studiamo in continuazione i meccanismi della paura, della frustrazione, del lavoro al di fuori della nostra area di comfort, della crisi e dell'escalation del conflitto.

Se pratichiamo in modo accorto, dovremmo giungere a percepire, contattare (e forse anche un giorno a padroneggiare?) i principi che ci indicano come uscire dalle suddette forme di impasse: io, ad esempio, lo faccio... e cosa sono riuscito a comprendere di queste principi?

Che avere paura è qualcosa di umano, ma che avere paura di avere paura è INUTILE.

Noi stiamo assistendo ad una popolazione che è andata in IPER-allarme per una minaccia potenziale, ovvero per qualcosa che potrebbe esserci in futuro o meno... ma che richiede già ora di spendere le proprie energie al fine di farne fronte.

Se ci avessero avvisato che fra 3 giorni sarebbero stati chiusi i supermercati... avrebbe potuto avere una qualche forma di senso la corsa all'accaparramento dei generi di prima necessità, ma al momento la circolazione di persone e merci è ancora piuttosto libera e non vi è alcuna guerra imminente che incombe alle porte.

La PRE-occupazione, lo dice il termine stesso, è l'attitudine di "occuparsi prima" di qualcosa: vediamolo calato nel nostro campo...

Sarebbe come fare tenkan oggi per lo shomenuchi che il nostro avversario ci tirerà domani... di solito non è esattamente così che performiamo le nostre tecniche migliori, vero?!

L'Aikido richiede di stare incredibilmente presenti e connessi con il pericolo, e NON ad evitarlo... risulta infatti questo l'unico modo di fare il movimento giusto al momento giusto: prima e dopo risultano tempi e luoghi inutili.
Ma noi per il virus ci "pre-occupiamo" invece... ovvero mettiamo un tot le mani avanti.

Quando si cade in Aikido, si mettono le mani avanti?

Ci si cura di toccare il tatami nel modo più morbido e rotondo possibile: le mani talvolta aiutano tutto ciò... ma provate a pensare cosa accade a chi mette le mani avanti e ci atterra sopra se le braccia risultano troppo tese e rigide... distorsione/lussazione/rottura di polsi, gomiti, spalle... vero?

Come stiamo facendo con il virus: siamo morbidi per percepire come atterrare o stiamo mettendo le braccia avanti dure come tronchi secchi?

Se un'ordinanza vieta gli eventi sportivi in una ragione, sicuri (ad esempio) che gli assembramenti di una partita di Serie-A siano da paragonare al numero di persone che stanno su un tatami alla sera per allenarsi?
Uno è un assembramento grosso di persone passive, l'altro è un assembramento piccolo di persone attive... che le tossine con sudore le ESPELLONO!

Credo vi siano perciò differenze sostanziali... però se l'ordinanza è unica le piccole realtà e le grandi vengono accomunate ed assoggettate ad un'unica disposizione: come sparare ad una mosca con il bazooka più o meno.

C'è dell'IPER in giro, insomma!

"Prevenire è meglio che curare" recitava un famoso spot dell'Associazione Medici Dentisti Italiani, se ricordate: ma questo è PREVENIRE?


Si e no, a mio avviso. Cosa sappiamo sulle possibilità di ammalarsi di questo virus, o di qualsiasi altro in circolazione?

Sappiamo dalla scienza che il sistema immunitario è li apposta a proteggerci da ogni genere di infezioni, respingendo le minacce che ci giungono... oppure si comporta in modo diametralmente opposto: non si oppone all'infezione e quindi genera anticorpi per combatterla... e tiene una memoria delle malattie che è già riuscito a debellare in passato, così che in futuro non sia più possibile ammalarci dello stesso agente patogeno.

Da quanto nel sappiamo al momento, il nostro sistema immunitario risulta il miglior medico, farmaco o vaccino che si trovi su questo pianeta. É versatile, è potente e siamo solo alle prime armi con le piacevoli sorprese che esso sarà in grado di riservarci per il futuro

Cosa fa il sistema immunitario, in buona sostanza?
Fa come l'Aikido: evita di combattere (sen no sen) - se può -, oppure fa si che dalla battaglia si possa almeno apprendere qualcosa di utile per sé (go no sen).

Cosa fa la pre-occupazione?
Ci attiva per un nemico non ancora presente (e che potrebbe non esserlo mai), visto che si tratta solo di un rischio potenziale... però assorbe già nel presente preziose energie al nostro sistema immunitario, che quindi risulta meno "in forma" nel proteggerci dalle patologie esterne.

Praticamente TUTTE le persone decedute per il Coronavirus nel mondo o quelle che sono attualmente nei reparti di terapia intensiva presentavano/presentano delle grosse problematiche al sistema immunitario, sovente debilitato da precedenti gravi patologie.

Dobbiamo dare quindi supporto al nostro sistema immunitario e dovremmo tenere ben alte le nostre difese immunitarie... se vogliamo essere efficaci contro questo (o altri) virus: cosa dobbiamo fare quindi per ottenere questo?

1 - buona qualità di sonno;
2 - buona qualità di cibo sano;
3 - buona qualità del tempo da trascorrere da soli;
4 - buona qualità del tempo da trascorrere con gli altri;
5 - cospicua quantità di tempo da impiegare in ciò che ci ispira e realizza.

L'elenco non comprende né lo stress, né la preoccupazione, come vedete: perché quindi esageriamo nel preoccuparci? Non è né razionale, né utile.

Provare paura per un pericolo nuovo e sconosciuto è qualcosa di umano: farsi paralizzare da essa è una scelta (spesso di comodo) per non esplorare cosa vi sia oltre.
Ecco perché ho chiamato questo articolo "Katame-Virus"...

In Aikido spesso abbiamo paura, ma non ci accontentiamo di mettere una barriera fra noi ed il nostro nemico, anzi... tendiamo a fonderci con esso, per comprenderlo, capirlo, percepirlo in modo più profondo e completo.

Con il virus si ergono barriere e divisioni invece.

Avere paura della morte è nuovamente comprensibile, ma pure sciocco al contempo: la morte è il contrario della nascita... non della vita, quindi - se dobbiamo affrontarla - facciamolo con la curiosità della scoperta di cosa vi è oltre.

Un guerriero non teme di morire, ma di vivere in modo incompleto: le news che circolano in queste ore invece sono tutte tese a farci rimanere vivi... senza però fare menzione di quale qualità di vita limitante venga proposta.

Una vita di paura da evitare, di sfide che preoccupa cogliere, di "in passato abbiamo sempre fatto così": il denominatore comune è l'incapacità di fare un upgrade personale ed integrativo dalle esperienze che ci capita di fare.

C'è paura per tutto, l'ignoro è bene che rimanga lontano... in Cina per esempio: quando arriva qui sono cavoli, perché noi non siamo cinesi, non abbiamo quell'auto controllo, qui in poche ore si sclera e si prendono d'assalto i generi di prima necessità.
Che sia la volta che nell'affrontare questa nuova sfida si possa comprendere qualcosa in più su noi stessi???

La vita un opposto non ce l’ha... ed a noi spaventa un tot percepire che siamo scheggia di eternità: vi faccio inoltre presente che un virus non è un organismo vivo, ma è costituito da pezzi di DNA e di RNA che si moltiplica solo grazie alla capacità di scroccare gli involucri cellulari altrui.

Come ci si difende quindi da un virus?
Comprendendo meglio la propria natura e sviluppando la capacità di non accettare ospiti se questi sono indesiderati... o di dare loro il benvenuto ed essere capaci di fagocitarli e riprogrammarli come elementi utili al nostro sistema.

L’informazione più chiara e forte è in grado di modificare quella più debole: questo lo insegna la natura.
Un virus è una sorta di "parassita": sta a noi decidere se farci parassitare... o parassitare il parassita a nostra volta.

Isolarci serve a capire meglio chi siamo, e non a non essere infettati.
Stare con gli altri ci serve alla stessa cosa, ma in una condizione complementare alla prima... non a rischiare di infettarci.

Se il COVID-19 dovesse riuscire a sterminare la popolazione terreste... è segno che forse i virus eravamo noi, ma non vi PRE-OCCUPATE, non sono un indovino... ma credo che ciò non avverrà.
La vita è potente ed O' Sensei ci dovrebbe avere insegnato a fluire con il ki dell'universo, non andando invece "contropelo" come fanno certi pazzi psicopatici o certe amministrazioni comunali.

Il punto 5 dell'elenco precedente io lo faccio praticando Aikido, quindi ora vado a praticare - pure da solo con il bokken -, non importa... perché mi voglio bene, e quando ci si vuole bene i virus tendono ad avere una vita più grama se si rapportano a noi.
Occhio quindi alle prospettive che abbiamo, perché la nostra storia sarà scritta in base ad esse.

Marco Rubatto




lunedì 17 febbraio 2020

Come lasciare un corso di Aikido

Ci siamo spesso chiesti come fare conoscere la nostra disciplina... e quindi come iniziare questo affascinate percorso nell'Aikido: quest'oggi vi parliamo di come - secondo noi - sarebbe bene terminarlo.

Innanzi tutto dobbiamo ammettere che non tutti sono fatti per praticare Aikido per sempre, per quanto ciò possa dispiacerci.

La maggior parte di coloro che salgono sul tatami lo fanno - in realtà - per tempi non solo limitati, ma pure abbastanza brevi: qualche mese, qualche anno, un decennio... sono assolutamente più rare le persone che scelgono di farne un'attività che possa accompagnare l'intera propria vita.

Poi, indipendentemente dal tempo che ciascuno avrebbe piacere di praticare... spesso la vita prende una piega imprevista, che di fatto impedisce di esaudire le nostre più care aspettative: basta un trasloco, un matrimonio, un figlio, un cambiamento di mestiere, o anche solo di orario di lavoro... una malattia o la semplice vecchiaia che sopraggiunge.

Cambiano le nostre condizioni al contorno, cambiano le priorità della vita e bisogna operare delle scelte... che talvolta ci spingono a chiudere la porta che tempo prima avevamo con passione aperto. Talvolta, semplicemente, cambiamo noi e stop!

Quindi scegliere di smettere NON è sempre sinonimo di insoddisfazione per il proprio percorso, ma anche se questa fosse la ragione che ci spinge a fare delle scelte drastiche... c'è modo e modo di lasciare un corso di Aikido.

Lo diciamo perché abbiamo notato che le persone spesso non colgano che l'importanza di "finire bene" è almeno pari a quella di "iniziare bene"... poiché entrambi questi punti determineranno la qualità ed il significato della nostra esperienza e lasceranno dietro di loro un buon profumo o una certa puzza di bruciato.

Quando veniamo accolti in un Dojo, spesso ci sono persone che rallentano il ritmo al quale potrebbero lavorare per consentirci l'ingresso e l'integrazione nel gruppo: gente che potrebbe pensare più a sé, ma sceglie di dedicare il proprio tempo a noi ed ai nostri primi incerti passi.

Non ci riferiamo solo al Sensei, che è un habitué di pensare a cosa serve alle persone che ha dinnanzi piuttosto che a se stesso... ma anche ai semplici colleghi praticanti, di ogni ordine e grado: il tatami accoglie di solito abbastanza bene chi vuole mettere il naso dentro; pensare che ciò non abbia un valore da ricordare ed onorare non è un atteggiamento maturo.

Non dobbiamo niente a nessuno, s'intende: se gli altri frenano il proprio lavoro per accoglierci non è qualcosa che abbiamo chiesto loro di fare, solo che dobbiamo pure ammettere che - ove questo accade - talvolta ciò ci fa piacere, ci agevola e gratifica... questo invece sarebbe forse da ricordare un tot!

La nostra avventura sul tatami può durare giorni, mesi, anni o decenni, ma quando ci accorgiamo che sta per concludersi (per qualche motivo dipendente o indipendente dalla nostra volontà), dovremmo fare una seria analisi di cosa l'esperienza in sé ci ha portato.

Crediamo che, ad essere onesti, si potrebbero sempre trovare sia elementi positivi, che negativi in essa: nuove amicizie, frustrazioni, crescita della propria autostima, scoperta di nuovi limiti oggettivi, apprendimento di nuove tradizioni e filosofie, lividi e dolori dei quali non sospettavamo nemmeno l'esistenza.

Ci saranno degli aspetti di noi che escono dall'esperienza dell'Aikido esattamente come ci sono entrati, mentre altre parti di noi potrebbero risultarne completamente modificate: in meglio? In peggio?

Poco importa in realtà, perché una persona arguta è capace di trarre un buon insegnamento anche dalle esperienze che lo segnano in modo meno gradevole... quindi non stiamo a voler etichettare se il cambiamento sia stato buono o meno: limitiamoci a indagare se c'è stato... e di solito c'è stato.

Difficile infatti fare un'esperienza che non porti proprio a NULLA!

Nel caso quindi trovassimo il valore che per noi l'Aikido ha avuto (può essere infinitesimo o immenso, nuovamente poco importa) proviamo a lasciare il corso, il Dojo, il Sensei, i compagni ONORANDO questo valore.

Troppe volte abbiamo visto persone scomparire come desaparecidos, senza più dare alcuna notizia di sé: magari persone che per anni abbiamo frequentato con regolarità per 1, 2, 3, 4 volte alla settimana.
Persone con le quali sudavamo, che non avevamo remore a toccare e manipolare articolarmente nelle peggio posizioni del Kamasutra marziale.

Cosa accade a questa gente?
La vita li porta via dal tatami (questo è comprensibilissimo) e loro non vengono nemmeno a salutare ed a dire "Volevo solo dirvi grazie di tutto ed addio!"? 

Crediamo che molti non facciano questa chiusa ufficiale quasi per "lasciarsi una porta sbacciata" dietro le spalle... così SE UN GIORNO FOSSE POSSIBILE... magari potrebbero tornare a praticare!
Ciò che costoro non comprendono è che proprio non dicendo nulla e sparendo essi si precludono la possibilità di tornare ad essere stimati qualora si ricalcasse il tatami in futuro.

Il Dojo è una comunità che cresce insieme a ciascuno dei propri membri: se uno se ne va non termina solo lui/lei la sua crescita nell'Aikido... ma terminano anche TUTTI i suoi compagni di apprendere qualcosa attraverso di lui/lei: in questo senso quindi, un abbandono è sempre un lutto collettivo, e non solo uno personale.

Gli essi umani si sono inventati i riti per esorcizzare le intensità dei lutti, ci avevate mai fatto caso?!

Quindi un "Volevo solo salutarvi, le nostre strade si dividono qui"... talvolta ha un valore IMMENSO nei cuori di ciascuno, anche senza tanti discorsi o ulteriori spiegazioni!

E cosa dire di quelli che - non solo se ne vanno senza dire nulla -, ma che una volta "fuori dal giro" criticano e svalutano ogni esperienza che hanno fatto al suo interno?
Mai incontrati tipi così?!

Noi un tot...
C'è una ragione perché ciò avviene?
Più di una di certo: si sono trovati male e non hanno mai avuto il coraggio di rimandarlo al Sensei ed ai compagni... ma non ci riferiamo ora tanto a queste casistiche.

Ci riferiamo a chi sembrava tutto "casa, chiesa e tatami", quelli che a momenti vivevano nel Dojo... e che poi si trasformano nei peggiori detrattori dei luoghi che hanno frequentato assiduamente, magari per anni.

Crediamo che per costoro avvenga una sorta di dissonanza cognitiva: uno stato nel quale si manifestano condizioni che effettivamente richiedono di abbandonare la pratica dell'Aikido (frustrazione, indigenza, problematiche famigliari/personali/lavorative, etc)... ma che non si è disposti ad ammettere a se stessi, quindi si sente il bisogno di demonizzare ciò che prima si amava.

"Se fosse per me io andrei ovviante ancora, ma LORO però si sono comportati male, hanno fatto questo, detto quell'altro..."

Fate caso a quando qualcuno parla di ciò che ha terminato dopo una esperienza medio-lunga (poco importa se sia l'Aikido o altro): parla di sé o del mondo che "purtroppo" è brutto e cattivo?

Non sono casi poi così rari quelli che sputano nel piatto nel quale essi stessi hanno mangiato con appetito fino a poco prima... e che magari è stato la fonte di nutrimento per anni comune ad altre persone.

Ecco: se o quando lasciate un corso di Aikido non abbiate tanto rispetto per queste altre persone: abbiatecelo per VOI STESSI, non prendendovi per il giro!

Rispettando noi stessi, RISPETTEREMO anche gli altri ALLO STESSO tempo!

Se rispetterete voi stessi, avrete il coraggio di ammettere che non è stata proprio tutta cacca quella che ci si è scambiata con i propri ex-compagni di viaggio: e - nuovamente - se troverete del valore, ONORATELO mentre ve ne andate.

Se la vita vi dovesse in futuro riportare sullo stesso tatami, facilmente potreste ritrovare vecchi compagni entusiasti di riavervi fra loro; se non dovesse accadere mai, avrete seminato in voi e nel prossimo il valore dell'esperienza comune...

... che, come poc'anzi dicevamo, non è mai completamente vuota, né inutile, ma risulta invece piuttosto unica ed inestimabile!






lunedì 10 febbraio 2020

Godan, il traguardo che significa partenza


Lo scorso anno, durante un Seminar internazionale di Aikido in Svizzera, ho celebrato l'assegnazione del mio 5º dan Aikikai con una demo.

Il tema che scelsi di condividere è "il ponte che collega la tradizione tecnica (di tai jutsu e buki waza) con la dimensione della pratica spontanea" ed al di fuori da ogni lineage tecnico.

Questo perché sento prioritario che possa essere stabilito un legame forte e stabile fra la didattica tecnica e la saggezza contenuta nella tradizione dell'Aikido... e le nuove frontiere dell'esplorazione di quest'affascinante disciplina, che stanno ai nostri giorni anche studiando ed affinando una "didattica della libertà".

Sempre più queste due dimensioni  - spesso avvertite come polari ed opposte - mi paiono paradossalmente complementari come le ali che permettono ad ogni aereo di prendere il volo: servono entrambe anche se sono differenti e speculari.

Allenare un kata risulta molto importante...

L'allenamento tradizionale consiste nel ripetere sequenze preordinate di movimenti, dando loro un nome e specifiche caratteristichekatame waza/nage waza, buki waza... omote/ura, tachi waza, hanmihandachi waza, suwari waza... il programma tecnico in Aikido può essere davvero vasto e non bastano 20 anni di studio per conoscerlo in modo approfondito.

Questo tipo di allenamento in giapponese si chiama "keiko" [稽古] il cui etimo significa "pensare/riflettere/meditare sul passato, su ciò che è già stato": si tratta quindi di un RITO, che in qualche modo vuole rinvivire un'esperienza precedente tramite la sua ripetizione consapevole.

Lo studio delle forme quindi è di grande aiuto ad aumentare la conoscenza della nostra fisiologia (e di quella del prossimo, di conseguenza) e di tutti quegli innumerevoli dettagli tecnici che compongono un'azione.

Si tratta di uno studio di analisi, basato sulla razionalità e sulla capacità di "forzarci" ad uno schema prestabilito (non è il termine migliore che userei, ma è giusto per risultare più comprensibili).

In questo contesto esistono "giusto" e "sbagliato"... ed è fondamentale la finalizzazione del proprio agire: "so cosa voglio ottenere e provo ad ottenerlo".

Se ci riesco mi compiaccio, se non ci riesco ne cerco i motivi e ci riprovo fino a quando non ce la faccio: in ogni caso sviluppo la volontà e cerco comunque di migliorare, applicando il principio di "kaizen" [改善] (del quale vi davamo già parlato QUI).

L'allenamento è basato sulla capacità di cogliere le differenze fra quello che facciamo ed un modello ideale di riferimento... mostrato dal proprio Insegnante, di solito.
Per fare questo, risulta fondamentale sviluppare ed affinare le proprie capacità di giudizio e di critica.

Nel sistema tradizionale giapponese è anche importante comprendere attraverso l'esperienza e non aspettandosi spiegazioni dall'insegnante... cosa che affina la capacità di apprendere guardando con molta attenzione ciò che egli ci propone.

Una cosa storicamente interessante è che O' Sensei crebbe SOLO con queste modalità di apprendimento dai suoi Maestri e credo che esse siano state anche il piatto forte degli insegnamenti che siede - a sua volta - ai suoi allievi.

Coloro che sostengono che l'apprendimento delle basi sia fondamentale per lo sviluppo di una capacità più libera di espressione (in Aikido, come in qualsiasi disciplina) lo fanno proprio guardando a cosa accadde storicamente a Morihei Ueshiba.

Oggi però non siamo nel 1900 e non siamo (tutti) in Giappone: anche questo è un altro dato di realtà.

Per questa ragione con l'Evolutionary Aikido Community da numerosi anni abbiamo iniziato a studiare una sorta di "didattica della spontaneità"... e nella mia demo quindi l'ultima parte è dedicata proprio ad essa.

Innanzi tutto abbiamo una pratica che, polarmente al contrario di quella tecnica:

- non è basata sulla ripetizione, ma sull'unicità di un movimento;

- non è basata sul copiare un movimento di qualcuno, quanto sull'interpretare in modo emotivo il momento che si vive;

- non è basata sulla finalizzazione, ma sull'esperire ogni istante, anche se esso non dovesse portare a goal specifici (come fare cadere il partner, tenerlo sotto controllo, etc);

- non è basato su una forma di giudizio critico, quanto mantenere ascolto e presenza durante ogni istante del movimento... sia quando si è soli, sia quando si è in contatto con il partner;

- non è basato sul senso del dovere nel miglioramento, ma sul piacere di ciò che si vive istante per istante.

I parametri sono quindi molto diversi rispetto al keiko tradizionale: sono proprio polari ed opposti!

Questo tipo di allenamento porta il praticante alla capacità di fare contatto con il proprio mondo interiore, spesso attraversato da emozioni difficili da comprendere in modo razionale... e far esperire come questo "mondo interno" abbia un impatto molto profondo con ciò che avviene "fuori".

Se ci si calma... uke si calma; se si è lucidi e centrati, uke non è in grado di metterci alla strette; se vivo una qualità emotiva specifica, essa si specchia e riversa nel modo di muovermi.

Questo approccio - inizialmente - risulta ben poco marziale e molto più simile ad una danza... quindi ovviamente tutti i detrattori di ciò che non è tradizionale non indugiano un secondo a definirla "merda" (ho cercato di essere più aulico possibile!)... però - a livello collettivo - risulta qualcosa di completamente diverso e piuttosto interessante...

I detrattori del "non si è mai fatto così" fanno rumore subito, ma sono pochi e sparuti, come quelli che si sono aggrappati ad una tradizione mai forse compresa a fondo e che con essa moriranno nel giro di poco... gli altri invece si incuriosiscono, perché trovano assonanza con gli aspetti più attuali che l'Aikido è in grado di offrire alla nostra società!

Il video quindi fa oltre 1500 visualizzazioni in una settimana... e gli apprezzamenti sono circa in rapporto 6 a 1 rispetto a chi disdegna il lavoro (dato rilevato il 5/02/2020, 7 gg dopo la messa on-line del video).

In ogni caso, non scrivo queste righe per convincere nessuno di alcunché, quanto per portare una testimonianza ed indurre a qualche ulteriore riflessione in merito al binomio "forma-spontaneità".

Dicevamo, che a livello storico si è visto che O' Sensei giunse al livello della creativa spontaneità nella disciplina dopo decadi di studio severo e minuzioso della forma: come mai che ciò accadde?

Ovvero: perché lo studio della "forma" può un giorno dischiuderci i reami della "non-forma" e della spontaneità?

Semplice: perché apparteniamo ad un sistema apparentemente duale, ma in realtà non-scisso... quindi quando si punta verso EST ad un certo punto proseguendo ci si trova inevitabilmente ad OVEST, ovvero all'opposto della direzione in cui si presumeva di arrivare.

Così quando mettiamo le mani nella neve, esse si "bruciano": andiamo verso il freddo QUINDI il principio del caldo si fa vivo.

Ci viene la febbre, la temperatura del corpo sale, ma ci vengono i brividi di freddo: andiamo verso il caldo, QUINDI il principio del freddo si manifesta.

Sotto questo punto di vista perciò è corretto: se digeriamo quintali e quintali di forma, un giorno dovremmo in effetti risultare completamente liberi da essa... tuttavia come mai che la quasi totalità di chi in Aikido sta agendo in questo modo NON addiviene a questo stato di Takemusu Aiki?

Cosa differenzia i praticanti odierni da O' Sensei?

Molte cose e non solo legate alle capacità personali: il momento storico, la cultura in cui ciò si ambienta... ma banalmente anche il TEMPO che si ha a disposizione per dedicarsi all'Aikido - che nel caso di O' Sensei era H24 - mentre per un praticante occidentale medio se sono 3 ore alla settimana spariamo fischi e mortaretti!

Morihei Ueshiba si diresse dalla forma alla sostanza, dal visibile al personale/invisibile: ora lo possiamo fare PURE noi... ma approcciando l'Aikido in modo parzialmente diverso da come fece lui.

Possiamo da SUBITO studiare la forma, come tradizione vuole... ma altrettanto da SUBITO possiamo studiare le caratteristiche e la dinamiche che ha la spontaneità e studiare i principi anche SENZA che essi siano per forza contenuti in un pattern tecnico.

Così facendo, anziché dalla base andare verso la cima della piramide... è come se fossimo a metà della piramide e ci dirigessimo contemporaneamente sia verso la base, che verso la cima.

Mettiamo di sicuro molta più carne al fuoco (poiché oltre alla forma che è già tanta roba di suo ci sarà parecchio altro da studiare), ma dall'inizio avremo una certa capacità di muoversi sia nel regno del manifesto, sia in quello del personale/coscienziale/interno... che è più il luogo nel quale l'Aikido esprime oggi le sue maggiori potenzialità.

Fare Aikido per storcere il polso ad un rapinatore risulta piuttosto semplicistico, rispetto ad utilizzarlo per affrontare le paure che si anno (del rapinatore, come di qualsiasi altra cosa ce ne faccia).

Patrick Sensei nella parte di jiyu waza (movimenti liberi) mi ha chiesto prima di manifestare il principio dello "yin", ovvero dell'accoglienza, dell'empatia, della ricettività... quindi quello dello "yo" (termine giapponese del più conosciuto "yang" cinese), ovvero dell'azione, della determinazione, della penetrazione (se ne dev'essere accolto il primo uke che è arrivato ad attaccarmi, prima che mi ricordassi che non è bene uccidere la gente!).

In seguito mi ha chiesto di fondere, bilanciare ed integrare yin e yo... e di manifestare il principio della "leadership": non è che ci sia un modo specifico di fare una cosa del genere mentre ti attaccano in 3, però è possibile fare contatto con le proprie sensazioni, emozioni ed idee sul tema... e provare a trasdurli in movimento.

Il risultato lo potete vedere nel video seguente:

- minuti   0 -> 14 FORMA
- minuti 14 -> 23 SPONTANEITÀ



Avevo particolarmente a cuore condividere questi pensieri e questa mia esperienza perché questo riconoscimento mi giunge direttamente dal mio Sensei, al quale sono molto grato per tutta l'ispirazione ed il supporto che ha saputo darmi in questi numerosi anni di "viaggio" insieme.

Non è tanto per il 5º dan: ero già 5º dan da alcuni anni per la FIJLKAM... questo però è il MIO modo di essere di praticare ed insegnare Aikido... cosa che spesso in un'istituzione come la Federazione non è possibile fare completamente emergere, per svariate ragioni.

Sono grato ai miei allievi per il supporto costante che ricevo nel Dojo ed anche in eventi come questo, nei quali ci sono state persone che sono partire dall'Italia (anche) per farmi da uke.

Allo stesso tempo, mi sento fortunato di poter condividere questo momento con voi tutti: nella tradizione i vari gradi "dan" hanno un significato ben preciso:

- 1º dan: grado "dell'allievo che cerca la via";
- 2º dan: grado "dell'allievo all'inizio della via";
- 3º dan: grado "degli allievi riconosciuti";
- 4º dan: grado "degli esperti tecnici".

Con la cintura nera, da "mudansha" [無段者] si diventa "yudansha" [有段者] (il "guerriero"): il 5º dan risulta il grado "della conoscenza", nel quale si più acquisire il tutolo di "renshi" [錬士] ("persona che forgia") e si accede di diritto alla categoria dei "kodansha" [古段者]ovvero alla "maestria spirituale".

Io non so se sono giunto al grado della maestria spirituale, in realtà non lo credo... ma so che talvolta basta sbagliare di poco ed è una tragedia: per esempio...

- se anziché "godan", scriviamo "god han"... in anglo-giapponese diciamo "semi-dio" [神半];

- se anziché "godan", scriviamo "gohan"... in giapponese può significare sia "cattivo giudizio/erronea valutazione" [誤判], sia "pranzo" [午飯];

se anziché "godan" diciamo "gadan"...  in piemontese il significato risulta ulteriormente molto differente, "babbeo, tonto" [ガダン]!

Voglio quindi pensare che godan non sia per nulla un traguardo, ma la partenza di un viaggio che si preannuncia essere sempre più entusiasmante... consapevole che da "semi-dio" a "babbeo" la distanza può essere letteralmente piccola!


Marco Rubatto