lunedì 30 settembre 2019

Scissioni: quando l'Aikido fa come le cellule del cancro

In Aikido molto sovente avvengono scissioni nei gruppi di praticanti: è stato così in passato, è così nel presente e forse pure in futuro... certe dinamiche continueranno ad accadere.

Koichi Tohei Sensei lascia l'Aikikai nel 1974 e crea la sua Ki no Kenkyukai, Hitoira Saito Sensei lascia l'Aikikai nel 2004 e crea il suo gruppo Iwama Shin Shin Aiki Shuren Kai... solo per citare due famosi esempi internazionali di "scissione".

Masamichi Noro Sensei muore nel 2013 e si crea una scissione: i suoi allievi Senpai dicono di voler continuare la sua missione e diffondere il Kinomichi... mentre la moglie ed il figlio Takeharu dicono di voler continuare la sua missione e diffondere il Kinomichi (???)

What The Fuck: ma vogliono tutti la stessa cosa... perché non rimanere uniti, "consorziarsi" e farlo insieme?

Manco per la capa... ciascuno per i fatti suoi e coltello in mezzo ai denti nei confronti dell'altra fazione!

In Italia il compianto Maestro Alessandro Tittarelli lasciò la TAAI del Maestro Paolo Corallini per fondare la Iwama Shin Shin Aiki Shuren Kai Italy... per fare un esempio più vicino alle nostre latitudini.

Si è scissa la scuola del Maestro Savegnago dopo la sua scomparsa, sempre per rimanere in Italia... e, analogously, la vecchia ADO Uisp sotto la direzione storica del Maestro Christian Tissier si è scissa in Docenti confluiti nel Progetto Aiki ed altri AIADA.

(n.d.r. sono TUTTE Associazioni, nella maggior parte dei casi Sportive Dilettantistiche: NON sono Federazioni, cerchiamo di tenerlo bene a mente!)

Insomma in Aikido tutti sono concordi con il fatto che ci deve essere armonia, che il nostro avversario è un pezzo di noi stessi, che il rispetto è un valore irrinunciabile, che il conflitto può essere vissuto in modo costruttivo... ma proprio non ce la facciamo ad andare d'accordo, e quindi ciascuno è meglio che vada per la "sua strada"!!!

Nulla di male, per carità... talvolta è meglio soli che male accompagnati: ma cosa c'è dietro alla caratteristica incapacità degli Aikidoka (fra l'altro dei Maestri di questa disciplina!) a non riuscire ad andare d'accordo in modo stabile, integrante e costruttivo fra loro?

Perché la gente non crea sodalizi per aumentare la forza e raggiungere così gli obiettivi comuni, ma al contrario... si divide e crea una sorta di clonazione del luogo da cui proviene?

Così se uno fosse stato malato... dopo un po' di luoghi malati ce ne troviamo 2!!!

Abbiamo una nostra teoria in merito: è sufficiente guardare la natura... studiarla.

Un albero ha un unico tronco, molte radici perché deve nutrirsi e ancorarsi in modo capillare e stabile nel terreno... ma nessuna delle radici si sognerebbe mai di rinnegare il tronco o di fare la diaspora rispetto alle sue compagne a fianco.

Un albero si divide in molti rami, che sono sue espressioni differenti... un sacco di foglie: ma la fotosintesi di ciascuna di esse serve a TUTTA la pianta, nessuno ringreta il luogo dal quale gli arriva la linfa.

Un organismo quand'è che diventa complesso?
Quando è in grado di DIFFERENZIARE le caratteristiche delle sue cellule, e far lavorare questa bio-diversità insieme, a vantaggio mutuo fra di loro.

Una cellula, quand'è che si divide?
La mitosi cellulare è un processo molto interessante da studiare: una cellula ha una polarità equilibrata...



Poi qualcosa accade: il nucleo muta e duplica il suo DNA... e dopo poco la stessa membrana contiene 2 nuclei... quindi si divide in due parti, che formeranno 2 cellule figlie, identiche come informazione alla "cellula madre".

Cosa fanno le specie animali che vivono in condizioni ambientali ostili?
Fanno un sacco di figli/uova... in modo tale da preservare il loro patrimonio genetico, consci che molti dei nascituri moriranno.

Dividersi per creare ambienti simili a quello da cui si proviene è quindi un atto di auto-conservazione,  mirato SOLO a mantenere intatte le informazioni disponibili... 

...mentre dividersi mantenendo una connessione con il proprio luogo di provenienza - pur non rinunciando a differenziarsi - è il lavoro che fa la natura quando vuole formare creature più complesse e ricche di quelle di partenza.

La differenza fra le tipologie di divisione che avvengono fra le cellule di un albero e le cellule del cancro è emblematica!

Come si divide di solito l'Aikido?

Purtroppo, come la CELLULA del cancro, purtroppo: crea immagini fedeli a se stesso, propaga la sua informazione... ma non per formare un organismo differenziato sempre più complesso.

Come mai adotta questa dinamica?

Non è facile trovare una risposta univoca: deve essere qualcosa che ha a che fare con una disconnessione fra i singoli e le prospettive della disciplina, per quanto ciascuno ami rimandare di abbracciarle in modo incondizionato.

Una ragione può essere la gestione del "potere personale": se esistesse SOLO un'organizzazione Aikidoistica al mondo, o in Italia, o nella propria città... chiunque sarebbe chiamato a farne parte; il numero di poltrone dirigenziali verrebbe ridotto drasticamente.

Se, dopo un po' di militanza in una realtà, ne usciamo e fondiamo la NOSTRA realtà personale, in essa posiamo ricoprire i ruoli che nella Scuola di provenienza spettavano ad altri.

Se c'è 1 Aikido, c'è un Fondatore, Morihei Ueshiba... Se ce ne fossero 1000 sfumature differenti (cosa che è reale), potrebbero esserci altrettante persone che - in qualche modo - potrebbero reclamare un analogo epiteto/posizione di rilevanza.

Altra considerazione: COLLABORARE richiede, in ogni caso, la capacità di mediazione... poiché non è pensabile la possibilità di andare d'accordo senza la rinuncia o il ridimensionamento di qualche "desiderata" personale, al fine di dare supporto a chi ci sta a fianco.

Questa rinuncia "all'IO" in un organismo complesso è ottenuto puntando sul valore del "NOI": in ogni cellula esiste la stessa informazione, lo stesso DNA... solo che esse scelgono di sviluppare parti di questo codice informativo e tarparne altre, questo permette alle cellule di DIFFERENZIARSI.

La cellula che compone il timpano non invidia il compito e la posizione di una cellula che costituisce il pancreas: timpano e pancreas servono entrami ad un essere umano... la natura ci insegna che l'eco-sistema è in equilibrio quando ogni parte ha SIA un valore individuale, che un significato ed un valore nel CONTESTO nel contesto in cui è calata.

In Aikido spesso gli Insegnanti vogliono fare tutti l'O' Sensei della situazione, e così non se ne esce!

Il cancro infatti è una cellula omicida, ma anche suicida al contempo: moltiplica se stessa senza controllo, si ribella dall'eco-sistema di cui fa parte... e parte per la sua battaglia di colonizzare le aree limitrofe a se stessa.

Questo, li per li, rinforza la sua colonia... quindi sembra fare "vincere" la sua battaglia contro le altre cellule... solo che questa proliferazione impazzita a poco a poco impatta negativamente anche sull'organismo che le ospita: se esso perisce,  muore pure la colonia di cellule impazzite e colonizzatrici.

Il cancro è una mancanza di collaborazione fra le cellule: dire ora che in Aikido siamo ammalati di forme cancerogene di comportamento sembra una brutta cosa... ma pure somigliante in modo molto fedele a ciò che spesso accade!

Scindiamoci pure, ramifichiamoci all'infinito se serve... ma DIFFERENZIAMOCI anche e creiamo il NOSTRO valore aggiunto, per ARRICCHIRE il tronco dell'albero da cui ciascuno proviene ed al quale apparterremo pure in futuro!








lunedì 23 settembre 2019

受け身 Ukemi: le polarità del ricevere

Quanto di noi traducono la parola giapponese "ukemi" con "caduta"?

Non pochissimi...

Quest'oggi è nostro compito delineare meglio il significato di questo termine... poiché è più che mai importante nella pratica dell'Aikido.

Ukemi deriva dalla radice del verbo [受ける] "ukeru", che significa "ricevere" e da [身] "mi", che significa "corpo": letteralmente quindi "il corpo che riceve".

Quando cadiamo, il corpo di solito sta ricevendo la tecnica che il compagno applica per stornare il nostro attacco, e riceviamo anche il contatto con il tatami... che è li pronto ad attenderci.

Ukemi è quindi tradotto con "caduta" per brevità, ma significa molto ma molto di più.

Avevamo già scritto un articolo in merito nel 2012, che potrete trovare QUI... ma è il caso di fare un piccolo update, poiché nel frattempo ne sono passate di ukemi sotto i ponti e sopra i tatami da allora!

Uke ha la stessa radice semantica, quindi è "colui che riceve", ma non è il solo a farlo: quando riceviamo un attacco, lo riceviamo con tutto il nostro corpo... quindi anche tori all'inizio di ogni azione fa letteralmente un ukemi!

In ogni caso uke attacca e compie questo atto - o lo dovrebbe fare - con tutt'altra intenzione di cadere: vuole ferirci, far entrare la sua energia nel nostro corpo e non in modo rispettoso, altrimenti non sarebbe un'aggressione la sua.

Lo vuole inoltre fare inoltre mantenendo il suo equilibrio più stabile possibile. Non vuole cadere, né ricevere un ben niente: vuole sconfiggerci!

La nostra azione lo dovrebbe/potrebbe sbilanciare: a questo punto le sensazioni del suo corpo gli indicheranno se per lui è possibile continuare con il suo attacco o se le conseguenze di quest'ultimo lo obbligano a perdere l'equilibrio per non ferirsi.

Lui sta facendo UKEMI (1º di uke) ben prima di cadere quindi, poiché il suo corpo "in ascolto" - in poche frazioni di secondo - riescono ad indicargli se persistere o desistere nella sua azione.

Eventualmente poi cade, ed a queso punto il suo corpo dovrà cercare il modo più rispettoso di prendere contatto con il tatami... altra UKEMI (2º di uke), conseguente e diversa da quella precedente!

Per tori, d'atro canto come già dicevamo, NON è possibile applicare alcuna forma di azione se NON si è percepito il timing e l'intensità dell'attacco: fare UKEMI (1º di tori), ovvero stare in ascolto con il corpo (e la mente) diventa essenziale pure per lui... e ben prima di quanto non serva all'attaccante!

Solo se il proprio corpo è aperto alla ricezione è possibile agire... ma agire QUANTO?!

Come fa a sapere tori quanta energia mettere nella sua risposta?

Sicuro che ne dovrebbe mettere il meno possibile, poiché dovrebbe utilizzare quella dell'avversario... ma quanto stringere una leva articolare - per esempio - senza che essa danneggi il partner?

Ed ecco nuovamente una UKEMI (2º di tori), grazie alla quale egli applica la leva, ma contemporaneamente il suo corpo è ricettivo alle sensazioni ricevute da quello del compagno: prima di arrivare al danneggiamento dell'articolazione tori saprà fermarsi... e solo grazie al fatto che era in ascolto.


La sensibilità diviene una componente molto importante dell'azione! 

Le UKEMI in ogni scambio sono quindi approssimativamente divise in 4 differenti istanti, 2 a carico di chi attacca e 2 di chi riceve l'attacco ed esegue la tecnica.

Si cade quindi, certo... ma il corpo che riceve è qualcosa di molto più profondo di ciò.

Quand'è che risulta difficile farlo?

Quando abbiamo PAURA di farci male, di far male agli altri: la paura CHIUDE la sensibilità, e con meno sensibilità c'è paradossalmente una possibilità maggiore di ferirsi e di ferire.

Come tenere però il corpo aperto alla ricezione anche in momenti "tosti", come quelli di uno scambio intenso di energie?

Il rilassamento è la chiave di tutto ciò: più siamo rialzati, più risultiamo sensibili... l'Aikido risulta quindi la capacità di rimanere rilassati sotto stress.

Comprendete da soli quanto questa disciplina risulti particolarmente attuale nelle vite che viviamo?!

STRESS ovunque, spesso accompagnato con dosi massicce di conflitto (magari non fisico, ma non per questo meno facile da gestire!): più il nostro corpo e la nostra mente sono in grado di rimanere APERTI e ricettivi dinnanzi a questo ambiente aggressivo, più avremo possibilità di rispondere ad esso in modo naturale e costruttivo.

UKEMI non è (solo) una caduta, ma una prospettiva per affrontare le cose più difficili... potremmo dire che è un modo di ESSERE, ancora prima che un modo di fare.

L'Aikido trabocca di UKEMI, trabocca perciò di cose utili per la vita di chiunque!









lunedì 16 settembre 2019

Come si paga un Dojo

Giusto per attiraci qualche antipatia all'inizio di una nuova stagione di pratica, abbiamo ritenuto importante quest'oggi definire alcune basi in merito al sistema di pagamento più opportuno ad un luogo in cui si pratica Aikido.

Che questo luogo sia una palestra pubblica, privata o un Dojo vero e proprio a volta fa la differenza ed a volte no, e vi spieghiamo il perché.

Talvolta i corsi di Aikido sono offerti da Fitness Club in cui essi rappresentano solo UNA delle scelte del carnet proposto ai "clienti".

In questo caso, le regole di pagamento saranno dettate dal Direttivo della Società Sportiva/Polisportiva ed il Docente del corso di Aikido si dovrà uniformare a ciò, così come fanno gli Istruttori di tutte le altre disciplina presenti.

Fra l'altro di solito i soldi NON passeranno nemmeno per le sue mani, ma i pagamenti saranno operazioni di segreteria, che - appunto - esulano dal suo coinvolgimento.

Saranno fattacci sempre della Segreteria stare dietro ai pagamenti dei membri che frequentano il Centro, e che magari hanno la possibilità di seguire più discipline contemporaneamente.

POI invece c'è il luogo appositamente pensato e creato per fare Aikido, di solito la cui gestione è interamente nelle mai del Sensei o dei Senpai di una Associazione... ed è di questo che ci occuperemo quest'oggi!

Poco importa se il Dojo abbia una sua sede propria, affitta una stanza in un Fitness Club, o usufruisce di uno spazio in una palestra comunale: le dinamiche saranno tutte molto molto simili.

Nel caso in esame, gli allievi saranno normalmente dei Soci di una Associazione Sportiva Dilettantistica, che sono tenuti a pagare 2 tipi differenti di contributo:

- la quota annuale di iscrizione (che può avere validità gennaio-dicembre o di 12 mesi dal momento di iscrizione);

- il contributo associativo, che è quello inerente alla vera e propria frequenza dei corsi.

Quest'ultimo, secondo la legge italiana, è quella quota (non è un prezzo, né un costo!) che serve per garantire che insieme si possa raggiungere lo "scopo sociale", in questo caso ovvero di "fare Aikido": essa comprende l'acquisto delle attrezzature (tatami), il pagamento di affitti ed utenze del locale utilizzato per la pratica, il rimborso spese per il Docente che tiene le lezioni (non è uno stipendio!), le spese di Segreteria, quelle di pubblicità, l'eventuale Commercialista, etc.

Chi porta avanti la baracca quindi,  ha bisogno di assicurarsi quel minimo di entrate che gli garantiscano di farcela a sostenere tutte queste voci di spesa, che dettagliate nel bilancio annuale dell'Associazione.

Pochi sono attualmente in Italia coloro che insegnano per mestiere, ma chiunque insegni ed abbia l'onere di portare avanti un corso di Aikido deve badare anche a tutte queste cose, oltre che al mero svolgimento ordinario delle lezioni.

Ora, ciò che talvolta abbiamo rilevato anche da noi (per fortuna poco) è che ci sono persone che scambiano la frequenza al Dojo con l'iscrizione in un Fitness Club, che ha regole se volgiamo molto più "occidentali"... e quindi vicine al nostro ordinario modo di pensare.

"Vado" = "pago" e "non vado" = "non pago"

Questo in un Dojo non funziona per NULLA, ed ora proveremo insieme a comprendere come mai...

L'iscrizione in un Dojo è molto più simile a quella ad una community nella quale si paga PER FARNE PARTE, in cui si ha la possibilità di frequentare, indipendentemente se poi decidiamo di farlo oppure no.

Quando un allievo inizia a praticare, sa che sta facendo una scelta ben precisa... ovvero inizia a sottoporsi ad una disciplina che non prevede (di suo) alcun tipo di discontinuità di allenamento: la regolarità è anzi uno dei suoi ingredienti più importanti!

Poi ci sono le vacanze di Natale, quelle di Pasqua, quelle estive, i ponti... tutti momenti in cui la struttura potrebbe essere chiusa e quindi gli allenamenti hanno uno stop FORZATO... ma non che ciò sia previsto dal modo tradizionale di allenarsi nelle arti marziali.

In questa "promessa a se stessi" che l'allievo fa, esiste anche una componente che riguarda i propri compagni di percorso: i suoi amici praticanti e l'Insegnante.

Egli promette a se stesso che proverà a dare sempre il massimo... e contestualmente lo promette anche ai propri compagni.

Se una persona decide di prendersi qualche giorno di vacanza, di fare un ponte lungo, o di andare in ferie ad ottobre per pagare di meno in villeggiatura (ed il suo lavoro lo permette) - secondo noi - non dovrebbe essere la frequenza ad un corso di Aikido ad impedirglielo.

Solo che c'è modo e modo di farlo e vanno tenute presenti alcune cose...

SCEGLIENDO di NON frequentare il Dojo per qualche tempo, non è possibile smettere di contribuire al suo sostentamento: la quota pagata infatti serve - come dicevamo - per poterne fare parte, e non SOLO per prendere parte alle lezioni.

Se una persona si allontana temporaneamente dal Dojo, gli affitti, le bollette e le spese di quest'ultimo non svaniscono infatti nel nulla!

Il Dojo sarà ancora li, al proprio ritorno, poiché ci saranno Sensei e compagni che se ne saranno presi cura durante la propria assenza: un Dojo è qualcosa di vivo ed organico, non quindi un locale sul quale è possibile tirare giù le saracinesche quando fa comodo ad ogni suo singolo componente.

Il Sensei era presente sul tatami - come sempre - per fare lezione e dedicarsi ai suoi allievi: possiamo smettere di rimborsarlo per i suoi sforzi perché noi abbiamo UNILATERALMENTE deciso di prenderci 10 giorni di pausa dal mondo?

Pensateci bene: vi sembra una cosa etica?

Poi, quando torniamo, ci fa piacere che il tatami sia pulito, che gli spogliatoi siano in uno stato decoroso, etc: e chi avrà pensato a tutto ciò, mentre noi eravamo via?

Quei balenghi di compagni + Sensei che la pausa non se la sono presa!
("Balengo" è un'espressione dialettale di Hokkaido, che letteralmente tradotta significa "coloro che pensano a mandare avanti la baracca mentre tu ti fai i fatti tuoi").

Quindi abbiamo intenzione di supportare qualcosa che diciamo di amare e che poi ci torna utile in prima persona... o ci teniamo tanto a qualcosa, ma poi "lontano dagli occhi, lontano dal cuore"?!

Diventa facile scordarsi la coerenza, non trovate?

Altro aspetto importante: durante la nostra assenza, i compagni avranno affrontato allenamenti e tematiche che noi ci siamo persi inevitabilmente... quando rimettiamo piede sul tatami però ci farebbe piacere essere eruditi su tutto ciò, vero?

Quindi - per paradosso - chi c'era ora si dovrebbe fermare per re-introdurci e farci mettere in pari con il livello di tutti gli altri: quindi smettere di progredire per permettere a chi era assente di colmare le lacune che lui stesso ha SCELTO di avere (in virtù della propria assenza)!

In giapponese, i presenti... quelli che non si sono presi pause si potrebbero quindi chiamare: "cornuti e mazziati"... e forse anche in italiano!

Quindi, lasciatevelo dire: pagare la quota durante la propria assenza programmata è un ottimo modo per dare supporto a tutto il lavoro e l'INCOMODO che essa causa a terzi, a livello pratico e pure didattico... è una sorta di "scambio" nel quale NON pesare sugli altri diventa un segno di responsabilità di ogni singolo membro di una comunità.

Se l'abbonamento ci scade al 5 di giugno, e noi torniamo al Dojo al 12 giungo (perché siamo andati in crociera)... il rinnovo mensile successivo sarà 5/06-5/07 e non 12/06-12/07!

Ovviamente solo molti i casi in cui tutto ciò può trovare delle eccezioni intelligenti, visto che anche una regola RIGIDA NON fa parte dei principi della nostra disciplina marziale: se uno si fa male e deve sospendere la pratica per 2 mesi, sarebbe sciocco farlo continuare a pagare la quota, analogamente dicasi se un o deve affrontare una lunga trasferta lavorativa... in quanto non si tratta di una SCELTA soggettiva, ma di un BISOGNO piuttosto oggettivo.

Così se uno parla al Docente e gli dice: "Senti io mi devo prendere 15 giorni per stare con la mia famiglia, come posso fare per farlo senza dare noia?"... Magari questa potrebbe essere la volta in cui si arriva ad una forma di mediazione fra i bisogni del singolo e quelli della community...

Ma comprendete come una decisione personale ed univoca del singolo praticante impatta SEMPRE sui suoi compagni e sul Docente?

Peggio ancora quando di essa non si informa poi l'organizzatore delle lezioni!

Far parte di un gruppo di praticanti è qualcosa che di solito fa piacere, perché ci si sente in una sorta di famiglia, in cui ci si accudisce reciprocamente, ci si sente accolti e protetti... MA ciò implica anche un BUON senso di responsabilità personale: poi arrivano le camionate di fatti nostri... Vi sembra normale che esse azzerino tutto il resto, come se tutto questo legame in un momento venisse meno?

Nel nostro Dojo le pulizie le facciamo tutti insieme: ci sono un paio di persone che arrivano da lontano, e per le quali sarebbe un problema fermarsi una mezz'oretta dopo la lezione, perché i chilometri da fare sono davvero tanti prima di poter tornare a casa.

Come hanno fatto queste persone a non "mancare" ai loro "doveri" verso i compagni?

Semplice, hanno avuto la maturità di dire: "Non riusciamo a partecipare alle pulizie perché dobbiamo rientrare a casa, ma per esservi di supporto ogni tanto vi diamo il necessario per acquistare i detersivi che usate nel Dojo, così da sentire che anche noi facciamo la nostra parte nelle pulizie"!

Capire cosa vuole dire senso di responsabilità verso se stessi, verso cosa si fa insieme agli altri e verso questi ultimi?
Ci hanno pensato da soli, nessuno avrebbe detto loro nulla...

É veramente importante NON riempirsi la bocca si filosofie sublimi, se poi la umile pratica dello "stare insieme" non le rispecchia neanche un po'... ma anzi le contraddice: è forse meglio smettere del tutto, ma essere almeno COERENTI.

E proprio in merito a questo, un ultimo - doveroso - inciso: ciascuno dovrebbe essere responsabile delle proprie azioni verso gli altri, se si vuole  che esse risultino rispettose del rapporto che si ha con essi.

Per questa ragione, ha poco senso che un povero cristo di Istruttore, che se va bene tiene la contabilità di domenica, rinunciando al suo tempo libero... debba correre dietro a quelli che si scordano di versare IN ANTICIPO la loro quota associativa!

"Te li volevo dare giovedì scorso, ma poi non ci siamo più visti (per 10 settimane e per responsabilità SUA!)... ed ora non li ho dietro, ma la prossima settimana te li porto sicuro! (atri 3 mesi di assenza poi)"... Quanti di noi si sono sentiti dire frasi simili dagli associati?

Dovremmo escludere costoro dalle lezioni per essere equi con chi invece è sempre puntuale nei suoi pagamenti, ma poi di solito non lo si fa, perché si cerca di pensare al bene pure di costoro... credendo che il loro bene sia appunto ALLENARSI!

Beh, non sempre è così: talvolta è necessario anche far sbattere alle persone in naso contro la propria superficialità, specie se essa ha effetti non positivi anche su altri soggetti, oltre al diretto interessato.

Se non paghiamo un palestra, potremmo addirittura sentirci "furbi"... ad aver trovato il modo di imboscarci ed allenarci gratis: ma se ciò avviene in un Dojo è veramente gravissimo!

E lo diciamo perché ciò è successo in passato: un Dojo a "gestione famigliare" (non il nostro) ha tenuto le porte aperte ad un ragazzo che per 2 anni NON ha pagato le sue quote associative, semplicemente perché nessuno se n'era accorto... e lui badava bene a ricordarlo ai gestori.

Una volta che la malefatta è venuto a galla, il Maestro ha richiesto di rifondere gli arretrati, e di questo ragazzo subito dopo si sono perse definitivamente le tracce.

Ci chiediamo: è questo il modo più roseo per far terminare la pratica di una persona?
Crediamo di no!

Si trattava di un ragazzo molto giovane, nemmeno maggiorenne: forse nella sua immaturità ha realmente creduto di essere il ganzo della situazione... ma è stato solo immaturo e basta, questa è la verità!

Quindi al Dojo NON solo si contribuisce PURE quando non ci siamo, ma non si fa aspettare il gestore nell'incasso delle proprie quote, se intendiamo mettere in pratica quel rispetto che piace tanto nominare agli Aikidoka.

Ci possono essere situazioni in cui pure i soldini fanno fatica ad esserci: se ne parla con chi di dovere e crediamo che una situazione si troverà sempre... molte volte abbiamo consentito la pratica di persone che non potevano permettersi di pagare, ma avevano passione per l'Aikido.

L'importante è PARLARNE e cercare INSIEME una soluzione ai problemi... altrimenti quel "noi" di cui tanto andiamo fieri nella nostra disciplina fa a farsi friggere in un micro-secondo!











lunedì 9 settembre 2019

Nobuyuki Watanabe: il no touch che toccava parecchio

Lo scorso 20 agosto è venuto a mancare un altro allievo diretto di O' Sensei, attivo fino a poco prima della sua scomparsa: mi riferisco a Nobuyuki Watanabe Shihan, 8º dan Aikikai.

Aikime dedica in suo onore il Post di questa settimana.

Parliamo di un Insegnante di Aikido molto particolare nel suo genere, poiché per tutta la vita ha sviluppato ed insegnato specificamente alcune parti della disciplina che non è così solito incontrare in giro.
Per questa ragione Watanabe Sensei è stato molto al centro dell'attenzione negli ultimi decenni, parecchio giudicato... e molto criticato, spesso anche pesantemente.

Io l'ho frequentato per un brevissimo lasso di tempo, direttamente in Giappone, quindi mi sento titolato a rimandare qualcosa della mia esperienza personale e diretta... senza limitarmi al "sentito dire", come invece sembra diventato di moda per molti Samurai da tastiera dei nostri giorni.



Ma partiamo con alcuni cenni della sua biografia...

Nobuyuki Watanabe nacque il 25 luglio del 1930, nella Prefettura di Miyazaki.
Il Sumo fu la prima forma di Budo alla quale si affacciò e mentre faceva le superiori iniziò la pratica del Judo.
Praticò anche Jukenjutsu (la tecnica della baionetta),  ma amò e considerò il Judo l'arte marziale migliore, sino a quando - si dice - non venne atterrato da uno shiho-nage…

Watanabe Sensei iniziò la pratica dell'Aikido in un club, all'ufficio del Primo Ministro, dove lavorava all'età di 22 anni.
Dopo aver ricevuto lo shodan, andò ad allenarsi presso l'Honbu Dojo di Tokyo. Praticava li alla mattina, prima di andare al lavoro, ed alla sera, dopo esserci uscito.

Hiroshi Tada, Nobuyoshi Tamura, Koichi Tohei, Sadateru Arikawa erano gli uchideshi del Dojo al tempo nel quale Watanabe Sensei venne ad allenarsi li.

Anche lui divenne uchideshi, parecchio influenzato da O' Sensei e da Kisaburo Osawa.

Nobuyuki Watanabe è parso qualcosa di differente rispetto altri Insegnanti, perché sembra aver sempre rifiutato di utilizzare la forza fisica durante l'esecuzione delle tecniche.

Dicevano che egli facesse proiezioni kokyu senza alcun tocco e che il suo Aikido fosse caratterizzato dal no-touch.

Talvolta è anche stato considerato un fake totale, ma era Istruttore senior all'Hombu Dojo per molti anni e possedeva l'8º dan Aikikai.

Nella vita fece il chiropratico, e non si sa bene se ciò venne influenzato dall'Aikido... o accadde l'opposto, ma i due ambiti furono sicuramente molto collegati, integrati ed interdipendenti.

Nobuyuki Watanabe viaggiò molto con l'Aikido: era ben conosciuto nel mondo e particolarmente amato in alcune nazioni, come la Germania, la Russia e la Nuova Zelanda.

Si è ritirato (non so di preciso quando) a causa della sua età avanzata.

Ora qualche considerazione sulla particolarissima visione dell'Aikido che ha portato avanti per una vita.

Data la mia provenienza piuttosto pragmatica e solida nella pratica, io - come molti altri - mi ero chiesto (sin dagli anni 2000) quale veridicità potesse avere una pratica nella quale sembrava che l'uke si buttasse a terra da solo...

Energia invisibile?
Emanazioni di ki a distanza, tipo Dragonball?
Eccesso di riverenza verso il proprio Sensei?

Non lo sapevo, e volevo vederci personalmente più chiaro.
Andai in Giappone, ad Iwama (Dojo amministrato da Tokyo dopo la scomparsa di Saito Sensei)... e quindi (fra le molte cose) chiesi PURE di lui.




Quest'uomo veniva SOLO deriso, soprannominato "Magic Man"... veniva dato da intendere come fosse solo un ciarlatano, intento a vendere fumo agli sprovveduti creduloni disposti a dargli retta.

Non mi accontentai e, una volta a Tokyo, iniziai ogni settimana a frequentare le sue lezioni dell'Honbu Dojo: insegnava al venerdì al tempo Nobuyuki Watanabe.

La prima cosa che notai fu che c'era una buona atmosfera alle sue lezioni, cosa non sempre scontata all'Honbu Dojo: molte lezioni si rivelano infatti una palla mostruosa purtroppo!

Questo Sensei faceva effettivamente del no-touch un suo stigma, ma era altrettanto evidente come il fine NON volesse essere quello di sembrare "magicamente invincibile"!

Se veniva TOCCATO, Watanabe Sensei era benissimo in grado di concludere una tecnica in modo piuttosto tradizionale.

Emergeva come ci volesse/dovesse essere una ragione DIETRO alla sua didattica: era evidente come non fosse una cosa buttata li a caso.

NON sembrava possibile essere scelto come suo uke: era continuamente attorniato da persone che lo seguivano - forse da anni - e che sembravano veramente idolatrarlo come un kami vivente!
Il senso di riverenza era evidente ed in alcuni casi era pure palese che alcuni suoi uke fossero disconnessi, poiché lui faceva un cenno a destra e loro si tuffavano a sinistra... senza alcuna coerenza.

Ricordo che questo non mi piacque, perché poteva essere sintomo di fake: se avesse atterrato me senza toccarmi, ci avrei poi creduto... un po' tipo San Tommaso, ma non accadde.

Mi limitavo a vedere però in lui un senso del ma-ai e del timing che raramente avevo visto così sviluppato prima, e non è che al tempo fossi proprio alle mie prime armi.

La tecnica sembrava "auto-comporsi" strada facendo, per cui un movimento - apparentemente - casuale... risultava essere quello migliore per sbilanciare il suo partner.

Egli coglieva quasi sempre gli attaccanti nel loro angolo morto, e li atterrava con una tecnica talvolta poco definita, ma dove era evidente una totale assenza di forza: questo invece mi piacque molto.

Tutte le maldicenze che mi avevano preparato a quell'incontro mi parvero limitate: c'era ancora molto che non capivo, ma che davanti avessi un Sensei con un'esperienza dai contro-cabasisi era piuttosto innegabilmente percepibile.

Lasciai le sue lezioni all'Honbu Dojo con più domande rispetto alle risposte che avevo ottenuto, ma il feeling non era stato malvagio... solo razionalmente MOLTO complesso da processare e digerire.

Il mio Aikido in seguito prese alcune direzioni piuttosto inedite rispetto alla mia storia precedente: iniziai lavorare in modo stabile ed approfondito con le qualità dell'INTENZIONE dell'attacco: dopo un tot divenne più semplice e leggibile un lavoro tipo quello proposto da Watanabe Sensei.

Il no-touch può essere SOLO un metodo per mettere in risalto ALCUNI aspetti della pratica, ma non centra un fischio con la magia e con l'onda energetica di Goku!
Questa cosa l'ho sperimentata più volte sulla mia pelle in modo diretto.

Dopo quasi 10 anni dalle lezioni con Watanabe Sensei, e dopo avere pensato tutt'altro rispetto a quei momenti, proprio quest'estate ho presenziato ad un importante summit che si è svolto in Svizzera (e del quale vi parlerò nel dettaglio più avanti, perché vale proprio la pena farlo!), al quale c'erano 15 insegnanti... provenienti da molti Paesi differenti del mondo.

Notai su un tavolo proprio uno splendido book fotografico su Nobuyuki Watanabe Sensei: una sorta di regalo dei suoi allievi del Belgio, per ringraziarlo delle sue numerose visite in quella nazione.

C'erano un sacco di sue frasi riportate, veramente ispiranti e profonde: parlavano di rapporto, di connessione fra se stessi e gli altri.



Ho iniziato a discuterne con alcuni dei presenti ed un'Insegnante Olandese ed uno Belga mi hanno rimandato di averlo conosciuto molto bene... di sicuro meglio di quanto non ebbi modo di farlo io.

I loro rimandi erano pieni di ammirazione per la sua opera - a quanto pare - molto umile di divulgazione di determinati principi della disciplina.

Il suo fare sembra essere stato generoso sul tatami, specie nei confronti dei principianti... cosa che io ad esempio NON ho visto, poiché a Tokyo sembrava essere sempre sotto scorta armata di alcuni fedelissimi... che però forse erano i primi ad avere colto poco di colui che stupidamente cercavano di scimiottare ed idolatravano senza che nessuno avesse forse chiesto loro di farlo.

C'erano sorrisi spontanei, c'era riconoscenza in chi lo ha frequentato, per avere avuto la possibilità di farlo: non posso far finta di non averla vista.

In fine posso dire di NON avere colto del tutto il personaggio, però mi sento di rimandare che - pur nel suo no-touch - dee avere toccato il cuore di molta gente!

Una cosa che sicuramente mi viene da ammirargli è stata forse la perseveranza nel percorrere quella che lui considerava essere la SUA strada, la SUA metodica, la SUA visione dell'Aikido, INDIPENDENTEMENTE che ciò fosse compreso, approvato o supportato dagli altri.

Watanabe Sensei ha ricevuto critiche spietate da tutti coloro che non sono riusciti a comprendere cosa egli volesse insegnare con la sua metodica: questo pare non sia mai stato qualcosa in grado di togliergli la serenità o la focalizzazione nel continuare per la SUA strada!

Essere se stessi all'Honbu Dojo non è qualcosa di banale, ieri come oggi: chiedetelo al Doshu (che per ruolo NON potrà rispondervi, se non elusivamente), a Endo Sensei o a Yasuno Sensei!

Beh... Nobuyuki Watanabe lo è stato per una vita intera, ed anche solo questo gli fa guadagnare un sacco di rispetto ai miei occhi: poi uno sarà libero di studiare il no-touch o di rifiutarlo come metodo... ma essere sempre di più se stessi è sicuramente uno dei compiti più importanti da raggiungere attraverso la nostra disciplina!

Quando si incontra un Sensei, anziché provare SOLO a muoversi come lui, sarebbe una cosa più lungimirante comprendere COSA voglia dirci con ciò che fa, quale sia il "messaggio in bottiglia" che costantemente ci invia... o quale luna indica il suo dito.

Ringrazio personalmente Watanabe Sensei, rimasto parzialmente un mistero per me, per avermi fatto alzare così tante volte lo sguardo verso il cielo, senza avermi mai rivolto una parola!


Marco Rubatto