
... cadere generalmente spaventa parecchio i neofiti...
Il "cadere" solitamente viene tradotto in gergo con la parola "ukemi"... ma se andiamo a fondo, questo termine vuol dire molto di più che fare un tonfo sul tatami...
[享け] "ukeru" in giapponese è il verbo "ricevere", mentre [身] "mi" è il corpo, ma non nel senso materialistico con cui lo indicheremmo in occidente, non ci riferiamo cioè solo al corpo fisico, ma a tutti quei diversi componenti che ci costituiscono... ovviamente le membra quindi, ma anche la mente, lo spirito e l'anima.
"Il corpo che riceve", che "accetta", quindi potrebbe essere una traduzione più vicina al significato originario del termine ukemi, nel senso più ampio di "corpo" al quale sopra abbiamo accennato.
Perché, se così fosse, quando cadiamo durante le lezioni, accettiamo ci venga fatta una tecnica... staremmo facendo qualcosa di molto più profondo che "subire": non ci sarebbe proprio nulla di cui essere succubi o nei confronti della quale essere passivi... ma piuttosto un'opportunità di imparare come adattarci rapidamente ad una situazione mutevole, in modo tale da azzerarne (il più possibile) i danni e, perché no... sperimentare anche uno stato difficilmente approcciabile in altro modo nelle esperienze di tutti i giorni.
L'archetipo della caduta, della perdita di equilibrio, della possibilità di "perdere" qualcosa, più in generale... solitamente spaventa, e non poco.
Abbiamo impiegato un'esistenza a "farci una posizione", e poi tutto ad un tratto, per una causa esterna... le nostre certezze vengono minate, c'è' un cambiamento improvviso ed indesiderato che ci si para davanti.

Cosa fare?
Irrigidirsi il più possibile, in modo da trattenere ciò che si possiede - l'equilibrio, o qualsiasi altra cosa - in modo tale da difendere a denti stretti le nostre conquiste?
La tradizione insegna che questo è un ottimo rimedio per farsi dell'autentico male, e... molto spesso, anche nel fallire definitivamente nel nostro goffo intento.
Il "lasciarsi andare", ACCETTARE che qualcosa possa essere modificato dal compagno o dalla situazione in modo duttile invece sembra una carta che può risultare più vincente del previsto... e la natura lo insegna: un bicchiere di cristallo che cade al suolo si rompe inevitabilmente - è rigido -, ma altrettanto non avviene con qualcosa di morbido e deformabile, per esempio con una gomma o una spugna...
Un bimbo solitamente cade per terra spensierato, si ruzzola e si rialza... rimanendo morbido, "senza forma"... in modo tale da riuscire a prendere punto per punto la forma della superficie che incontra. Un anziano solitamente si rompe un osso ogni volta che perde l'equilibrio, anche perché cerca di mantenere l'equilibrio, non vuole cadere e fa di tutto perché ciò non avvenga.

Ma se ci rompiamo prima? Questa possibilità è interdetta.
Ma allora uke deve sempre assecondare tori in modo morbido: proprio per nulla, deve semplicemente capire quando è il caso di ostinarsi e quando invece è meglio per lui adattarsi... e molte volte questo distinguo fa la differenza fra il raggiungimento del proprio mandato ed il pronto soccorso!

E quindi...?
... e quindi è bene imparare a lasciarsi andare, specie se riceviamo una tecnica applicata correttamente, che non ci lascia che la possibilità di liberarci perdendo l'equilibrio e planando al suolo... se è possibile, anziché FRANARE!
Ma la questione più spinosa è come si comporta in nostro "corpo" in quelle situazioni: razionalmente sappiamo forse tutto... "devo fare la proiezione, girare intorno a quel punto li, mettere la mano li, il piede là...", ma a conti fatti poi ci sentiamo bloccati dalla paura... quella di farci male, dalle nostre insicurezze, veniamo influenzati da quelle di tori... e viene fuori un suplizio di caduta, nella quale precipitiamo a terra con gli occhi chiusi e quando li riapriamo ci mettiamo a controllare se tutte le ossa sono ancora al loro posto!
Dobbiamo infatti sapere che quando gli stimoli esterni (il ritmo del partner, le cose che girano tutt'intorno mentre si cade...) ed interni (le sensazioni ed emozioni, ad esempio) sono molti, troppi forse per il nostro cervello, il conscio ed il subconscio cedono il passo all'inconscio, appositamente studiato per agire con una maggiore istintualità ed istinto di autoconservazione.

A cosa serve quindi anche l'arte dell'ukemi?
Ad imparare proprio a non far scattare questo antifurto e ad avere la possibilità di rimanere calmi, presenti e rilassati durante la caduta.
Questo risulta importante poiché ci permette di uscire dal binomio "caduta = problema/pericolo"... per apprendere invece che essa può risultare un efficacissimo stratagemma per riconoscere istintivamente una posizione di libertà di cui normalmente non si è consci, e percorsa la quale si è nuovamente in grado di tornare a fare ciò che si stava perseguendo PRIMA che il nostro equilibrio venisse minato... attaccare per esempio, nel caso di uke!

Nella nostra esperienza, la seconda opzione è quella vincente in caso, ad esempio, che si cerchi di togliere fiato a tori... che non dovrà eseguire quindi solo UNA tecnica, ma DECINE e decine, perché il suo uke, si rialza sempre incolume come una molla e riprende ad attaccare!
Ma per far questo è necessario prima aver accettato di cadere, CADERE e poi ancora CADERE, senza vivere questa esperienza come un dramma!
Molte arti marziali, infatti, spesso definiscono se stesse come la disciplina che insegna a rialzarsi sempre una volta in più di quelle in cui siamo caduti: un ottimo sistema educativo per cimentarsi a non mollare mai, sul tatami... come nella vita di ogni giorno!

... perché abbiamo accettato anche la conseguenza "peggiore" di un'azione ancora prima di intraprenderla, a questo punto chi più sarà in grado di fermarci?!
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