lunedì 24 febbraio 2025

La didattica può pervertire l'Aikido?

Altro tema delicato, ma molto importante quest'oggi, ovvero... quando la didattica cessa di essere utile ed inizia a trasformarsi in una trappola.

Ogni Scuola di Aikido, dalle più morbide alle più marziali, si è dotata di strumenti per l'apprendimento, che erano fra l'altro completamente assenti all'epoca del Fondatore. Queste metodologie si possono oggi raggruppare sotto il termiche più generale "didattica".

Ho espresso più volte, sia verbalmente, sia su questo Blog come la didattica e la pratica siano due aspetti strettamente correlati (ci ho scritto pure un libro di quasi 300 pagine a riguardo!), ma non necessariamente specchiabili l'una nell'altra.

Quando si impara a guidare - per esempio - le varie Scuole Guida impostano per gli allievi una serie di "buone prassi" molto chiare, ma che difficilmente potranno poi essere utilizzate in una guida realistica e matura. Sono, appunto, "strumenti didattici"... utili per "imparare a guidare", così che sia poi il guidatore a comprendere quando ed in che misura farne utilizzo nelle situazioni reali che si troverà a vivere.

La perversione dell'Aikido della quale parliamo oggi è quando gli strumenti didattici vengono decontestualizzati dalla loro funzione e si inizia a crederli invece determinanti per una pratica matura: una sorta di indottrinamento alfabetico che poi verrebbe da credere indispensabile per parlare di Aikido con il proprio corpo.

I pericolosi effetti collaterali sono principalmente 2:

- il primo è che si diventa incapaci di "dialogare" con chi ha strumenti didattici diversi dai propri

- in secondo è che ci si frustra parecchio quando ci si sveglia alla realtà e si comprende quanto essi erano relativi ed utilizzabili solo temporaneamente.

Per fare questa trattazione, prenderò ad esempio limite due didattiche polari ed opposte, ovvero l'Iwama Ryu e l'Aikikai Tissier, così da evidenziare luci ed ombre dei loro approcci e favorire una comprensione più profonda di quando l'Aikido può pervertirsi senza nemmeno accorgersene.
Poi, utilizzate questo parallelo per esaminare criticamente per la didattica del vostro Shihan o Scuola preferiti... tanto non cambierà nulla!

L'Iwama Ryu si avvale di un vasto repertorio di base, comunemente detto [基本] "kihon" nella Arti Marziali giapponesi.

Secondo questa impostazione, e per ragioni storiche piuttosto comprovate, i principianti iniziano il loro apprendimento tecnico con posture e prese di tipo statico: in questi attacchi è necessario esprimere il 100% della connessione e dell'intenzione di uke di mandare energia nel centro di tori. La marzialità dell'attacco viene vissuta come prioritaria, sebbene avvenga in modo poco o niente dinamico.

Questa didattica mira a rendere consapevoli i praticanti delle geometrie e degli angoli migliori per liberarsi dai punti di presa ed operare le tecniche sul proprio compagno di pratica. A parte alcune (poche) pratiche, l'allenamento dinamico tende ad essere sconsigliato fino a 2º dan, nelle Scuole più tradizionali.

Al contrario di ciò che abbiamo appena detto, l'Aikikai del Mº Tissier (che pur fortemente influenzato dall'Aikikai dell'Honbu Dojo, ora appare un prodotto molto differente da quanto si pratica a Tokyo) tende ad avere una didattica nella quale tori ed uke cooperano per ottenere una forma tecnica prestabilita, basata su alcuni principi (la centratura, l'equilibrio, lo sbilanciamento, il non eccessivo utilizzo di forza muscolare, etc)... e lo fanno fin da subito in una forma dinamica [気の流れ] "ki no nagare", dapprima più lenta e che poi tende a divenire più veloce, man mano che la perizia e l'esperienza degli Aikidoka aumenta.

Siamo quindi in presenza di due "Scuole Guida" molto diverse per Aikidoka, ma posso garantire che ciascuna di esse offre elementi molto positivi e strutturanti, se saputi cogliere!

Ora invece parliamo di quando queste didattiche possono condurre a misinterpretare l'Aikido che si erano promesse invece di agevolare...

L'Iwama Ryu tende a far permanere in uno stato solido e poco mobile gli allievi per molto tempo, non agevolando loro la scoperta del senso del timing (che avviene prima nell'utilizzo delle armi, rispetto al taijutsu), se non a seguito di una discreta esperienza sul tatami: quando il loro attaccante si mette a punzecchiarli in modo più dinamico spesso essi "cadono dal pero"... poiché inabituati a fare tutto ciò che hanno sempre fatto... in modo più flessibile, naturale e solerte.

Essere solidi è un valore aggiunto, ma se portato all'estremo diviene "rigidezza", che invece non risulta esserlo altrettanto. Inoltre la didattica di Iwama, alla lunga, tende a far credere che la modalità di attacco forte e statica sia anche "reale"... ma non lo è per nulla!

Un aggressore, pur fortemente motivato, ci lascia andare non appena si rende conto che la sua presa lo sta mettendo in una situazione di squilibrio, e - piuttosto - ci prende in un altro modo, con una geometria più variabile ed ad a lui più favorevole. Un attacco reale è si forte, ma anche rapidamente mutevole, il che costringe ad avere una buona consapevolezza del timing... che non è bene aspettare 15 anni di tatami prima di fare propria.

Lo abbiamo detto più di una volta: osservate un randori dell'Iwama Ryu... in 3 o 4 accerchiano tori e poi lo attaccano SOLO quando lo vedono libero o - peggio - quando lui si rivolge ad uno degli attaccanti.


Questo schema è DIDATTICAMENTE valido, poiché fa prendere confidenza con un esercizio complesso, semplificandolo... ma è anche molto distante dalla realtà!

In un randori gli aggressori dovrebbero poter attaccare tutti insieme, da direzioni differenti, come vogliono e con la velocità che credono: unica buona prassi è che per questioni di "lealtà" chi attacca alle spalle lo faccia tramite una presa e non con una percussione... ma - anche in questo caso - bisognerebbe abituarsi anche a randori "sleali", ad un certo punto!

Altrimenti, dove sarebbe finita quella "marzialità" che fino a poco fa pareva il valore aggiunto indispensabile alla pratica di questa Scuola?

Perché quando ci si allena in rapporto 1:1 il kaeshi waza (contro-tecnica) deve essere sempre in canna... ed ora che si fa il randori si è tutti a disposizione di tori?

Beh, questo i praticanti di Iwama - generalmente parlando - se lo chiedono fin troppo poco, secondo me.

Ora esaminiamo analogamente la "controparte"...

Le costruzioni tecniche proposte dall'Aikikai di Francia (ma molto utilizzate anche da noi) fanno un massiccio utilizzo di comportamenti che esortano uke a fare una determinata azione o a mantenere una determinata postura... con la motivazione DIDATTICA che questo atteggiamento mira ad aumentare la propria consapevolezza su cedevolezza, assi di sbilanciamento, recupero veloce del proprio baricentro nel caso in cui lo si fosse perso, etc...

Non intravedo in ciò un problema, ma nella misura nella quale non si inizia a credere che questa serie di "buone abitudini" siano anche quelle di cui ha esattamente bisogno il mio compagno per farsi venire la forma tecnica che sta eseguendo... perché se così fosse, avremmo estromesso completamente il conflitto dall'Aikido e staremmo creando una serie di figure coreografiche, magari anche esteticamente eleganti, ma NON eseguite da un attaccante e da un attaccato... quanto da due simil Aiki-ballerini o Aiki-praticanti di Yoga di coppia.

Un esempio fra tutti che mi colpì molto le prime volte che frequentai questa Scuola è rappresentato dalle tecniche di katame waza (ikkyo, nikyo, sankyo, etc) eseguite su katatedori gyaku hanmi.

Spesso infatti in questa Scuola si richiede di uscire dalla linea dell'attacco ed utilizzare la propria mano libera per sbilanciare uke, facendo una pressione centrifuga sul gomito di quest'ultimo.

Le prime esecuzioni che mi vedevano come uke di qualcuno non andarono benissimo, perché come il mio compagno mi premeva sul gomito, io lasciavo andare la presa e lo attaccavo con l'altro braccio (ero abituato al kaeshi waza sempre in canna, in un luogo nel quale - invece - non era nemmeno contemplabile!)

Mi spiegarono che "non avrei dovuto comportarmi così", ma avrei dovuto mantenere la presa al polso, anche se questa era la CAUSA di uno sbilanciamento che non ci sarebbe stato se avessi lasciato andare.

Così facendo però avrei imparato a lasciare andare il mio equilibrio e poi a riprenderlo nel più breve lasso di tempo possibile... tempo nel quale però "sfortunatamente" il mio compagno riusciva a farmi esattamente ciò che la tecnica prevedeva. Una sorta di profezia auto-avverante, cioè.



Dal mio punto di vista (cioè quello di un attaccante che non è li per fare ciò che vuole il mio compagno, ma per attaccare e basta) tutto questo aveva poco senso marziale, però constatavo che - se facevo come mi veniva detto - la forma tecnica risultava proprio come il Sensei aveva mostrato in precedenza.

Ora - anche in questo caso - se catechizzo gli uke a comportarsi in un certo modo è ok se sono spinto da ragioni DIDATTICHE, ma poi non devo iniziare a pensare che quel comportamento sarebbe un minimo specchiabile nei luoghi dove la didattica è differente.

Ricordo un Seminar con Saito Sensei ad Ostia nel quale egli ebbe a criticare esplicitamente il modo di fare iriminage di Tissier Sensei, poiché questi prevede prima di mandare a terra l'avversario e quindi di fargli iriminage mentre si rialza. Saito Sensei disse: "Sankai iriminage dame" ("Iriminage su 3 livelli è sbagliato"); "Se uno è per terra l'azione marziale è già finita li" (intendendo che non gli verrebbe nemmeno permesso di rialzarsi).


E se questo uke semplicemente NON si rialzasse (come facevo io, senza saperlo, le prime volte che venivo buttato giù)? Che iriminage gli si potrebbe fare?

Nessuno, infatti.

É sufficiente che l'attaccante non stia alle norme che tori presuppone ed a questi gli si rovina la coreografia senza nemmeno rendersene conto.

Ma se pratichiamo una forma di Budo, siamo certo che tutto debba risolversi ad ogni livello con una bella coreografia?

In punti differenti, queste 2 DIDATTICHE soffrono di un problema analogo: si semplifica l'azione (in un caso con la preponderante staticità, nell'altro con l'accondiscendenza piena fra i praticanti) per poter  apprendere uno schema motorio... poi ci si dimentica della semplificazione e si crede che quella didattica sia l'unico modo possibile per praticare.

Ne segue che un praticante della Scuola di Tissier non capisce un tubo se si approccia alla Scuola di Iwama, e viceversa... ovviamente!

Ma quella è la DIDATTICA, non è la pratica matura.

Arriviamo quindi all'ultimo punto della presente trattazione: perché questa perversione inconsapevole della propria pratica avviene ancora molte volte?

Per alcuni specifici motivi:

1 - il praticante medio dedica poco tempo alla sua formazione e spesso lascia la pratica ancora prima di essersene formato una visione più matura; ovvio che se faccio Aikido per 4 mesi e poi mollo, avrò preso per oro colato le strategie didattiche del luogo che ho frequentato (e solo quelle), senza nemmeno rendermi conto che lo fossero e di quanto lo fossero;

2 - è molto comodo un sistema didattico che aiuta i principianti a divenire consapevoli di alcuni aspetti che riteniamo importanti della pratica, ma NON è altrettanto semplice poi renderli consapevoli dei limiti stessi della metodologia che abbiamo utilizzato per loro; questo potrebbe farli sentire "traditi" e comunque li espone ad una frustrazione crescente, togliendo loro dei punti di riferimento... che si rivelano parzialmente falsi, ma anche rassicuranti al contempo;

3 - l'Insegnante tipo (e non parlo qui né di Saito Sensei, né di Tissier Sensei, che NON sono per nulla "Insegnanti tipo") è più avvezzo a creare cloni per compiacere il proprio ego, che a supportare l'emancipazione di coloro che per un certo periodo di tempo si sono sottoposti ai suoi insegnamenti; in questo senso è bene conoscere una ed una sola didattica ed approfondire quella, anziché andare in giro ad esplorare cosa di altro offre il mondo.

Come facciamo quindi a comprendere se la nostra pratica è uscita fuori da binari sani e la didattica che utilizziamo di solito sta diventando una sorta di catechismo al quale genuflettere la nostra fede più cieca?

Molto semplice: è sufficiente CAMBIARE tipo di pratica e constatare se ciò che abbiamo appreso fino ad oggi ci è di aiuto o meno anche nella condizione inedita. Più la nostra pratica è matura, più risulteremo capaci di utilizzare didattiche differenti per ottenere la medesima cosa, e più riusciremo a fare nostra qualsiasi altra didattica, perché conosciamo molto bene il nostro corpo e quello dei nostri compagni quando si relazionano fra loro, staticamente o dinamicamente che sia.

Chi non cambia mai "pollaio" è condannato a non comprendere mai fino in fondo la qualità del mangime del quale si è fino ad ora nutrito... credendolo l'unica cosa commestibile sulla faccia dell'Aiki-pianeta Terra.

In questo senso, mi sembra che il 95% degli Aikidoka sedicenti ESPERTI ami nutrirsi per lo più di cibo sintetico, purtroppo... anche se (e proprio perché) arriva SOLO dalla loro fabbrica di mangime preferito.

Marco Rubatto








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