lunedì 17 giugno 2024

KATA, la grammatica del Judo - di Pietro Leto

Cosa spinge Aikime a recensire u libro sul Judo?

Negli anni passati su queste pagine sono passati decine di volumi esclusivamente dedicati all'Aikido... ma per questa volta faccio volentieri una eccezione, viste le caratteristiche peculiari dell'opera che esaminiamo quest'oggi.

Pietro Leto è un praticante ed Insegnante di Aikido (3º dan) e di Judo (5º dan) di Palermo, oltre che un caro amico... ed è riuscito con il suo libro "Kata - grammatica del Judo" ad esplorare alcuni aspetti che molto di rado si trovano su un testo di Arti Marziali.

La recensione del suo testo quindi non è solo qualcosa che faccio molto volentieri, ma è anche un invito a voi tutti ad approfondire alcune tematiche che possono risultare parecchio importanti per la maturazione del proprio Aikido.

Il Judo moderno ha un taglio molto sportivo e l'agonismo gli ha sicuramente consentito di essere conosciuto e praticato in tutti i continenti... tuttavia rischia di fargli perdere alcuni tratti tradizionali e caratteristici che sono maggiormente evidenziati dalla pratica dei kata, ovvero delle forme preordinate.

Il kata nel Judo si contrappone al randori, che è invece il combattimento libero che di solito vediamo nelle competizioni olimpiche. Ci sono anche gare di kata, sicuramente meno famose e spettacolari... e spesso considerate come il "pensionamento" naturale dei Judoka agonisti non più giovanissimi, ma così facendo si smarriscono alcuni valori fondanti della disciplina.

Pietro Leto ha scritto quindi questo testo durante la pandemia, riordinando numerosi appunti presi nella sua lunga storia di Judoka, disciplina che pratica (ancora oggi) sin dalla tenera età di 7 anni.

Quello che ora interessa a noi è constatare che molte delle considerazioni fatte sul suo testo valgono a pieno titolo anche per noi Aikidoka, che ci alleniamo pressoché solo tramite forme precostituite di attacchi e tecniche, il cosiddetto "katageiko" appunto.

Il kanji "kata" [型], se scomposto nei suoi 3 radicali costituenti, potrebbe assumere un significato assonante con "modello da eseguire di fronte ai Kami"; come molti di voi sapranno i kami sono le divinità della cosmogonia shintoista... quindi i kata sarebbe le forme da portare al cospetto delle divinità, quindi questo termine porta con sé una certa accezione spirituale di qualche tipo.

Infatti il modello di apprendimento orientale, specialmente quello nipponico, basato su una forma da osservare prima e da ripetere poi... potrebbe portare con sé qualcosa di molto più profondo ed ulteriore rispetto alla mera meccanicità più evidente.

Pensiamo noi: "più ripetiamo un movimento, meglio lo impariamo"... e questo può essere in qualche misura vero, ma anche no... infatti può rendere tutto molto automatico, e quindi inconsapevole.

Se invece "le forme" vengono vissute come distillati di simboli ed archetipi, ecco che allora esse posseggono più livelli di conoscenza ed interpretazione... che vanno da quelli più fisici ed evidenti, a quelli più intimi, personali e spirituali.

Pietro Leto, quindi, nel ricordare a tutti i Judoka che questa disciplina è qualcosa che in origine voleva essere molto più profondo di imparare a sbattere a terra l'avversario e magari vincere una medaglia... fa contemporaneamente lo stesso favore anche agli Aikidoka - che magari non vorrebbero vincere medaglie -... ma che spesso si limitano a replicare un movimento per ottenere un risultato notevole sul proprio partner di allenamento.... anziché, ad esempio, SU LORO STESSI!

Il "kata" di per sé, e tutto il nostro katageiko di conseguenza, possono divenire degli insegnamenti a cipolla: ovvero occasioni di esplorare la pratica in modo sempre più denso, intimo e pregnante, ma mano che il tempo passa, che gli strati si approfondiscono... anche se fisicamente continuiamo a ripetere sempre gli stessi pattern di movimento.

Una forma ripetuta 30, 300, 3000... 30000 volte può avere un impatto molto differente sul nostro sistema psico-corporeo: se ripeto 3 miliardi di volte qualsiasi movimento, senza averlo mai compreso e limitandomi alla parte più superficiale di esso... potrebbe fare addirittura molto male!

Potrebbe rendere una forma meccanica ed inconsapevole... e come giustamente ricordava Morihiro Saito Sensei: "fare 1000 una esercizio che conta 0, conta 0" (come 1000x0)... invece ripetere un esercizio - sempre lo stesso - ed essere in grado di esaminarlo con una lente d'ingrandimento sempre più potente e - soprattutto - sempre diversa può costituire un enorme valore aggiunto per un praticante.

E questo vale in un kata di Judo o durante una lezione di Aikido nella quale si bestemmia un po' contro il Sensei che ci fa fare una cosa che ci sembra di conoscere già abbastanza bene...

Il fatto che conosciamo una cosa con un elevato livello di dettaglio NON significa però che non è possibile conoscerla meglio ancora, più in profondità... e soprattuto NON significa che ciò che avevamo creduto di comprendere fosse corretto ed assoluto.

Ogni tanto sono visibili alcune epifanie negli occhi degli allievi che dicono: "mah, da quando questa mano deve arrivare fino a qui?!"... "io questo particolare non lo avevo mai notato!!!"

Beh, quel particolare era sempre stato li sotto il naso, ma la coscienza non era mai stata in grado di rendere consapevole ciò che ripeteva in modo meccanico: sotto queso punto di vista, l'esercizio immutato è uno degli strumenti più potenti per far cambiare noi stessi, ovvero chi osserva e compie l'esercizio stesso.

Nel caso del Judo, Jigoro Kano Sensei aveva distillato sicuramente alcuni suoi risultati notevoli nelle sequenze dei kata che ha creato... proprio come ogni artista inserisce alcune sue pepite - Easter Eggs le chiameremmo oggi - nelle proprie creazioni... specie se queste sono consegnate alla società con l'intento di essere un valido strumento educativo e formativo per la società e le generazioni a venire.

Non credo sia stato differente per O' Sensei, anche se - francamente - penso che ciò sia avvenuto meno per una sua volontà diretta ed esplicita, così come non credo sia avvenuto direttamente per mano sua.

La differenza fra Jigoro Kano e Morihei Ueshiba sono molte ed evidenti, anche se si tratta di due mostri sacri del Budo giapponese: il primo era più razionale e metodico, il secondo più un filosofo visionario; per la cronaca, il primo sembra si fosse innamorato molto della proposta del secondo, tanto da definirlo addirittura "il suo Budo ideale" e mandare a studiare diversi suoi allievi talentuosi alla corte di O' Sensei.

In ogni caso, i primi allievi del Fondatore fecero con l'Aikido l'opera di sistematizzazione tecnica e didattica che Kano Sensei fece con il suo Judo: ciò che NON credo sia stato fatta in egual misura però è lo sforzo consapevole di fermare nel tempo le forme più dense di valore e significato... con il risultato di praticare un Aikido sicuramente molto vasto a livello tecnico, ma difficilmente compreso nell'essenzialità veicolata da queste forme.

Trovo che si vada poco e di rado dalle forme ai principi... proprio perché ci si limita - (generally speaking) - a ripetere come scimmie ammaestrate questa o quella tecnica, addirittura molto più attenti ad eseguirla secondo i dettami questa o quella linea didattica, stile e Scuola, anziché provare a leggerne il contenuto più profondo.

In un certo senso quindi anche noi Aikidoka dovremmo riscoprire il senso più profondo del katageiko, che non è sicuramente quello di fare "giusto o sbagliato" un movimento... ma è quello di presentare davanti agli dei le nostre azioni, che parlano di chi siamo tante volte molto più di quanto crediamo o vorremmo.

Concludo ringraziando Pietro Leto per questa scorrevole e piacevole lettura, di 123 pag. edito da The Ran Network, di Simone Chierchini Sensei con la quale abbiamo già a lungo collaborato in passato con mutuo profitto.

C'è una prima parte più generica e secondo me interessante per un Aikidoka, con un prezioso contributo di Adriano Amari Sensei, ed una seconda parte più dedicata all'origine ed al significato dei vari kata del Judo (Kodokan e non), che è più specifica, quindi meno generalizzabile della prima.

Buona lettura ed un proficuo katageiko a voi tutti!


Marco Rubatto





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