lunedì 9 gennaio 2023

L'Aiki della gratitudine

Buon anno a tutti!

Non è per nulla scontato che li allievi mostrino forme di gratitudine verso ciò che si offre loro, e chi insegna questo la sa bene per esperienza personale diretta.

Di sicuro chiunque cerca di fare del proprio meglio (quando insegna o fa qualsiasi altra cosa, in realtà) e se o quando ciò viene riconosciuto da prossimo fa molto piacere. Sappiamo tutti che sarebbe un grosso autogol dare con l'aspettativa di ricevere... ma in questi giorni sto facendo qualche riflessione personale in più sul concetto di "gratuità" e su come questa possa venire vissuta dalle persone che la incontrano.

Ho avuto diversi allievi del gruppo adolescenti (quello più complicato da gestire sotto il punto di vista della costanza sul tatami) che mi hanno rimandato - in più riprese - che non sarebbero potuti essere presenti alle lezioni, agli esami, ai momenti conviviali... ciascuno ha la sua vita, i suoi impegni, e sarebbe sbagliato pretendere qualcosa di specifico, quando non lo si può o non lo si intende dare spontaneamente.

La stessa cosa avviene anche con il gruppo degli adulti, ovviamente.

Anche qui ci deve essere un elemento di gratuità: se un allievo fa qualcosa perché l'Insegnante glielo richiede - o peggio - perché lo obbliga, minacciando ritorsioni se non viene ascoltato... secondo me viene a mancare quell'elemento di auto-determinazione così fondamentale per la sua crescita.

Quindi l'allievo può sempre sentirsi in diritto di accettare solo in parte, se non rifiutare proprio del tutto, la proposta dell'Insegnante, poiché è importante non diventare succubi di nessuno e continuare a pilotare in prima persona il timone della propria barca.

Si, ma lo si pilota con saggezza?

Rispetto a questo tenderei a rispondere genericamente con un secco "NO": se l'Insegnante ci aveva chiesto impegno, presenza, partecipazione... non è detto che fosse solo per sentirsi fondamentale nelle nostre vite ed ingrassare il suo ipertrofico ego; talvolta lo fa semplicemente perché ritiene che sia la cosa più saggia per noi.

Ci sprona perché sta dalla nostra parte, non perché vuole romperci i maroni a vuoto.

Ma se l'allievo può sempre dire il suo "NO" libertario, va a finire che non solo rischia di mancare l'occasione che potrebbe invece cogliere dando retta a chi ha più esperienza (1)...

... rischia pure di non comprendere nemmeno il valore stesso di ciò che si sta negando, che è proprio quello della gratitudine (2).

E quando c'è (1) + (2) insieme l'autogol è veramente totale!

Avete presente quando gli allievi ti dicono: "Maestro, ora per un po' non so se riuscirò a venire con costanza, perché devo studiare/lavorare/pensare alla famiglia" (metteteci voi una motivazione + o - reale o solo ispirata)... ecco, il Maestro questa frase la legge così: "Adesso non vengo più, però forse un giorno, se mi sento preso bene torno".

È fisiologico che la vita faccia talvolta prendere strade diverse... ma ci ricordiamo di avere gratitudine verso chi ha lavorato con noi e per noi?

Per che non è un ciufulo scontato che qualcuno lo faccia, e continui a farlo SIA se ce ne rendiamo conto, SIA se lo diamo completamente per scontato, come un diritto naturale di nascita.

Allora cambiate pure strada... ma fermatevi un attimo ad osservare la strada che avete compiuto (piccola o grande che sia) e le persone con cui l'avete percorsa, e imparate l'Aiki del GRAZIE!

Un grazie non costa tantissimo, ma ha un valore immenso.

Coloro che hanno fatto esperimenti seri sulla preghiera hanno costatato come, in ogni cultura e credo religioso, le preghiere che hanno un effetto concreto maggiori sono quelle di ringraziamento... come mai, secondo voi?

Ho provato a fare un esperimento, un po' sadico forse, me ne rendo conto... Ho atteso le vacanze di Natale e alla lezione prima di chiudere per le feste, ho detto a tutti i ragazzi adolescenti che frequentano il Dojo che volevo parlare loro di una cosa importante.

Al termine dell'ultima lezione, ho detto loro che il Dojo non avrebbe più riaperto a gennaio, dopo le vacanze e che quella era stata la loro ultima lezione di Aikido con me. Ho provato a fare il serio, ovviamene... e sono stato attento alle loro reazioni.

L'ho fatto al gruppo che prende meno sul serio la pratica... e che pensa sempre che tanto poi avrà una nuova occasione per lavorare seriamente. Alcuni sono rimasti del tutto sbacaliti alla notizia, per altri è come se avessi detto loro "ci vediamo la settimana prossima", erano li, ma non erano li affatto.

Ed a forza di non donarsi mai, si perdono dei treni che non ci aspetteranno e che non torneranno più.

Alcuni erano emozionalmente toccati da questa "notizia improvvisa", e si percepiva che per loro aveva valore ciò che facciamo insieme fuori e dentro il tatami... avevano ri-conoscenza, per altri no, come dire: "Se non c'è più Aikido, vado a tennis!".

A NESSUNO però è venuto in mente di ringraziare per quanto avevano ricevuto dalla loro esperienza al Dojo: interessante e significativa come cosa.

Percepire il valore che possiedono le esperienze che facciamo conduce naturalmente all'Aiki della GRATITUDINE, perché sappiamo per intuito che ogni momento è unico ed irripetibile, quindi se non vissuto a pieno, va perso per sempre!

NULLA dovrebbe mai essere dato per scontato.

E tu, che pensi di tornare al Dojo dopo le vacanze di Natale, come ci rimarresti se trovassi l'edificio vuoto, il tatami rimosso, il Sensei irraggiungibile al telefono... ed un foglio appeso alla parete con un suo ultimo messaggio, che dice: "Siccome mi pareva che per voi non fosse tanto importante, ho deciso di fare altro"...?

Male forse, io almeno ci sarei rimasto molto male se mi fosse accaduto, ma è stato a seguito di una cosa del genere che ho imparato l'Aiki della gratitudine: è stata quella mancanza a farmi capire il valore di ciò che avevo, senza nemmeno rendermene conto.

Quindi, fate ciò che volete, ma io negli ultimi anni preferisco dire un GRAZIE in più, che uno in meno... ai miei genitori, che sono anziani, al mio Sensei, ai miei allievi... alla vita stessa che vivo, perché siccome la vivo, non posso dare nulla per scontato. "Grazie" è una forma di celebrazione, è qualcosa di sacro, pur non volendo addentrarmi per nulla in discorsi religiosi (la sacralità infatti è un principio che va molto oltre a ciò).

Talvolta però ci sono anche fenomeni in controtendenza: ad esempio nell'ultimo anno c'è tra i miei allievi una ragazza, che chiameremo "Martina"... che fin dall'inizio degli allenamenti mi ha colpito tantissimo per il suo modo di fare sul tatami.

Prima ancora che qualcuno le spiegasse il reishiki, notai che faceva seguire un "grazie" a qualsiasi cosa mi chiedesse. SEMPRE. Da allora ad oggi non credo ci sia mai stata una volta in cui ci siamo parlati e la sua ultima parola non sia stata "GRAZIE".

L'educazione ricevuta conta moltissimo, il suo carattere anche... ma è davvero RARO in una ragazza così giovane un'attenzione così alta verso la gratitudine.

Essa è anche chiamata "riconoscenza"... ri-conoscenza, ovvero una conoscenza ricorrente di sé: quando diciamo "grazie" a qualcuno, gli/le facciamo sapere che abbiamo visto che lui/lei esiste, e gli ri-conosciamo di averci dato qualcosa.

È come dire: "Sappi che mi hai dato qualcosa di te, io me ne sono accorto e lo rimando"... nulla che specifici se ciò che abbiamo ricevuto fosse buono o meno: una semplice testimonianza di avere preso qualcosa da un'altra persona.

E non eravamo noi a studiare il principio di ricezione "ukeru"?!

Non siamo sempre noi a volerci ri-conoscere persino in chi ci attacca... che ci viene a portare sicure mazzate?

Cosa ci trattiene quindi dal farlo anche nei confronti di chi si spende per agevolarci la Via?

Posso dirmi fortunato, visto che nel mio Dojo ci sono veramente tante persone riconoscenti oltre Martina, ma vi ho voluto parlare di lei per via della sua spontaneità nel fare qualcosa che io invece ho imparato quando ero ben più grande e dopo avere preso alcune sonore nasate personali.

C'è quindi un solo modo con cui mi viene da concludere: GRAZIE per la lettura e per l'anno che passeremo nuovamente insieme su queste pagine.


Marco Rubatto




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