Ma, prima ancora, cosa significa proprio praticare una disciplina?
Questo termine deriva da "discipulus", ovvero "discepolo" e di solito si affianca allo studio o all'insegnamento di una materia, che utilizza un complesso di norme. Non di rado si usa questo termine anche come sinonimo di severità e rigore.
Ma che cosa significa essere un "discepolo" e che cosa comporta, in pratica, percorrere un cammino esperienziale come l'Aikido?
Significa che nasce DENTRO ciascun praticante l'ESIGENZA di un'attività calendariata in modo consapevole e costante, che gli permetta di raggiungere i propri goal personali.
Le 2 parole scritte in maiuscolo sono una scelta grafica ben precisa:- DENTRO è importante perché fino a quando una persona fa le cose per compiacere le aspettative di qualcun altro NON sarà in grado di praticare alcuna forma di disciplina: al massimo si potrebbe chiamare "appecoramento" a qualche forma di volontà altrui... poco importa chi questi sia;
- ESIGENZA è importante perché se non ci fosse un bisogno che muove, che sprona ad un cambiamento sarebbe del tutto inutile una via esperienziale che consenta di modificare la condizione nella quale uno si trova. Se si sta bene, si sta fermi li: ogni forma di cambiamento/evoluzione risulterebbe infatti più un incomodo che altro.
Quindi uno diventa "discepolo" perché crede che questa sia la condizione più adatta a sé: si tratta di una SCELTA LIBERA, e ciò va ricordato poiché questa condizione richiederà di trovare una figura esterna - generalmente chiamata "Maestro" - che supporti questo discepolo e lo guidi nel suo percorso... e siccome esso potrebbe non rivelarsi solo in discesa, ma incontrare parecchi ostacoli e prove da superare, poi uno non deve prendersela con il Maestro che te le specchia, ma con se stessi, ovvero con chi ha deciso liberamente di calcare il camino.
Il Maestro è anche CONTEMPORANEAMENTE un discepolo, quindi NON tocca a lui togliere le castagne dal fuoco a qualcun altro (lui ha il suo bel da fare nel togliersi le proprie!), ma ha il compito di rammentargli la decisione di compiere un percorso esperienziale che consenta all'allievo/discepolo di arrivare ai propri traguardi, o quanto meno a togliersi dalle posizioni e dinamiche personali che egli non desidera ulteriormente mantenere.
In questo senso, il Maestro non è altro che un facilitatore ed un garante del percorso altrui, poiché ne protegge il senso profondo, specie quando il discepolo incontra le inevitabili difficoltà che lo faranno vacillare e potrebbero dissuaderlo dal proseguire nel proprio cammino.
Le difficoltà, in questo senso, sono dei setacci, dei filtri... destinate a separare chi desidera procedere fino in fondo, da chi lo desiderava solo a livello "romantico".
Avendo il Sensei incontrato molte delle difficoltà che di solito incontrano poi anche i suoi studenti, non fa altro che indicare come EGLI sia riuscito a suo tempo a superarle, così da fornire motivazione e tutoring... ma la disciplina non la fa lui, non la decide lui per nessun altro che per se stesso.
La disciplina è quindi un qualcosa di molto PERSONALE, dal quale deve essere possibile recedere in ogni momento, altrimenti viene meno la scelta libera e consapevole di sottoporvici.
Il fatto che essa sia comunemente descritta da regole, anche piuttosto severe, di condotta NON deve indurre al grossolano errore che la disciplina sia qualcosa di statico ed oggettivo: sono le persone a volere (forse) diventare "discepoli" per le ragioni dette poc'anzi, quindi a creare e percorrere la DISCIPLINA, e NON il contrario. Niente "discepoli", niente "disciplina".
E qui tocchiamo un tasto molto delicato, se non dolente, per molti praticanti di Aikido...
Ci si lamenta molto che oggi non ci sarebbero più molti Aikidoka, che le giovani generazioni si dirigono altrove, che i Dojo appassiscono e quindi muoiono... e tutte ste menate simili.
Ma riflettiamo insieme su quanto esposto poco più in su sul "DENTRO" e sulla "ESIGENZA": la gente sembra non essere così interessata a guardarsi dentro - generally speaking, s'intende - e di conseguenza conosce sempre meno le proprie propensioni ed i propri bisogni.
Come potrebbe intraprendere una disciplina una persona che non sa neppure di averne l'esigenza di farlo?
Andrà a fare altro, ma non perché le discipline tradizionali giapponesi abbiamo perso valore o non siano "di moda", quanto semplicemente perché sono uno strumento che diventa meno frequente utilizzare.
In un mondo distopico in cui regnasse quasi solo lo street food, sembrerebbe che forchetta e coltello perdano di valore , ma questo non significa che le posate non continuino ad essere molto utili per mangiare... non è vero?
La "distrazione di massa", molto più pericolosa della distruzione di massa delle eventuali bombe atomiche russe, rende la società infantile e costantemente impegnata in attività che non facciano poi così tanto la differenza: quindi prima il COVID, poi le mascherine ed i vaccini, poi l'ucraina, poi il clima, poi l'aborto... c'è sempre qualcosa di nuovo di cui parlare al scuola o al bar con gli amici. Ci avevate fatto caso?
Lo si fa mentre si sta fermi nel proprio brodo, di solito.Discepolo ci diventa chi ha SCELTO di uscire dal proprio brodo, chi non è più contento di sguazzarci dentro, per quanto noto, divertente e forse comodo... quindi ovvio che preferirà ALTRE occupazioni, quelle più trasformative ed evolutive: ecco che si metterà in cerca di un Maestro e di una disciplina in grado di fargli raggiungere quello che è importante per la propria coscienza.
Ha scoperto le proprie NECESSITÀ più profonde, ma se non lo avesse fatto non si sarebbe andato alla ricerca di alcun corso di Aikido o similari.
Abbiamo una marea di persone che ha perso il contatto più autentico con se stesso, non con le discipline marziali giapponesi... altroché!
La buona nuova è che l'anima ha un'esigenza innata ad esplorare e comprendere se stessa e quindi - per quanto si faccia per trasformare la collettività in un gregge ubbidiente e non pensate - ci sarà sempre più di qualcuno destinato a guardarsi dentro (per volontà o per "caso") e scoprire che ciò che ha percepito non gli piace o che desidera percepire nuove cose... e che quindi inizierà SPONTANEAMENTE a cercare una disciplina, poiché questa sarà la forchetta ed il coltello che gli permetteranno di digerire meglio ciò che mangerà... pure in un eventuale mondo distopico dominato quasi solo dallo street food.
Allora uno andrà a lezione NON per far piacere al Maestro o ai propri compagni di pratica, ma per SE STESSO, perché avrà chiaro che è lui/lei a perdere un'occasione se non lo facesse. PUNTO.
"Eh, ma questa sera è il compleanno di mia suocera... pensa come ci rimarrebbe male mia moglie se lo saltassi"
Ad un certo punto della disciplina si capisce bene che invece non ci sono caxxi che tangano, MAI: "la festeggio ieri o domani e vado al Dojo all'appuntamento che ho con me stesso, perché non ci può andare nessuno al posto mio".
Perché fare contenti gli altri è importante e può essere anche giusto e piacevole... ma fare quello che si sa essere importante per se stessi è ESSENZIALE... e se il mondo esterno non capisce, sono una camminata di fatti suoi.
E di solito - guarda caso - "il mondo che non capisce" è quello che passa le giornate al lavoro, a scuola o al bar a scannarsi su COVID, mascherine ed i vaccini, l'ucraina, il clima o l'aborto... Quindi, di cosa stiamo parlando?!
Un ultima considerazione, più rivolta agli Insegnanti: nel mio Dojo ci sono numerosi allievi che per me stanno prendendo più di una importante cantonata sulla disciplina che hanno deciso di seguire. Non tutti ovviamente, ma diciamo che l'80% è come se si fosse iscritto ad un rally e volesse gareggiare in triciclo.Si comportano in modo egoico, egoista, scambiano il piacere con il dovere e viceversa, si ingaggiano solo quando pare a loro, hanno già deciso di NON mettere in discussione alcune aree di loro stessi (di solito ovviamente quelle fragili e problematiche, altrimenti non ci sarebbe alcuna esigenza di non metterle in discussione)... insieme a molte altre "storture" che io fossi in loro eviterei molto volentieri.
Già, ma io NON sono in loro!
Essi invece stanno - A MODO PROPRIO - percorrendo la disciplina nel modo che ritengono migliore e questo è già molto in un mondo "distopico dello street food", anche se vedo chiaramente le loro devianze: non è un superpotere, solo esperienza pregressa... visto che numerose di quelle devianze le avevo pure io un tempo!
Sono il loro mentore, è vero, ma non ho alcun diritto di insegnare loro come vivere ciò che fanno: devo lasciarli "sbagliare", perché se non nasce dentro di loro il dubbio di stare facendo una minkyata, ogni rimando teso a farglielo notare sarebbe sicuramente frainteso o resterebbe incompreso.
Per questa ragione chi percorre una disciplina ha una naturale pazienza con coloro che la percorrono accanto a lui: è la stessa pazienza che devo avere con me stesso per tutti gli aspetti in cui attualmente io stesso sto ancora facendo qualche sonora cavolata, ignorando bellamente che tutto ciò stia accadendo.
Ciascuno di noi ha aree di sé che non è stato ancora semplice o possibile esplorare, questa è una realtà che va compresa ed accettata.
Se un giorno verranno e chiederanno cosa ne penso su come stiano facendo il loro percorso, sarò li per rispondere al meglio delle mia possibilità... ma non posso fare nulla prima di allora. D'altronde sto sul tatami per cambiare me, non loro.La disciplina è un mix di paziente accettazione e di determinazione attiva: il difficile è calibrare, volta per volta, l'integrazione di questi due aspetti solo apparentemente antinomici, in realtà del tutto complementari.
Le discipline NON cesseranno di esistere, almeno fino a che esisteranno degli uomini che hanno l'esigenza interna di esplorare e migliorare loro stessi, quindi nemmeno l'Aikido scomparirà: sono disposto scommettere firmando un assegno in bianco a chi afferma il contrario.
Dobbiamo solo recuperare la dimensione PERSONALE di tutto ciò, quella cioè che non centra un tubo con la moda, né è legata a nulla che centri con chi o cosa abbiamo intorno.
Se ho deciso di rendere l'Aikido centrale nella mia vita, l'ho fatto solo per me... non per i miei allievi o per altro.
Se domattina vado al Dojo alle 7:00 lo faccio per me, sia che ci trovi 20 persone, sia che non ci sia nessuno.
Ad un certo punto questa diventa un'esigenza così intima che si inizia a guardare veramente straniti chi fa di tutto per occupare il proprio tempo con le esigenze del mondo... pur di non avvertire le proprie e più autentiche!
E cosa c'è di strano: in fondo questi guardano straniti chi fa come me; siamo per forza strani tutti agli occhi di qualcun altro... la differenza la fa forse la consapevolezza che c'è negli occhi di chi osserva il prossimo, che più è consistente, meno tende a giudicare per ciò che trova grottesco negli altri.Marco Rubatto
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