Credo tanti, io sicuramente sono stato fra quelli almeno.
Ancora sono molti quelli che ritengono che le Arti Marziali debbano insegnare anche a non farsi mettere i piedi in testa da parte di un aggressore, proprio fisicamente parlando, intendo.
Credo che il binomio "Aikido e difesa personale" possa essere una prospettiva comune e che quindi non debba essere né sottovalutata, né svalutata.
Quello che dico però è che se una persona ha la fortuna e la costanza di praticare Aikido per qualche anno, sotto la direzione di un buon Insegnante... mi pare riduttivo fermarsi alla sola questione dell'efficacia in strada di ciò che facciamo nel Dojo.
Le leve sono molto potenti, le proiezioni pure... e ricordo bene una lezione di Hitorira Saito Sensei che sgridò fermamente un allievo presente che pareva prendere un po' alla leggera quello che stava facendo sul tatami; lo redarguì dicendo qualcosa come: "Qui è questione di vita o di morte... puoi uccidere con una di queste tecniche, se vuoi scherzare o giocare il posto giusto non è questo".Sono passati molti anni, non ricordo esattamente le parole, ma il senso era un po' questo.
Esiste sicuramente una componente "marziale" forte, in grado certo di bloccare un aggressore, ferirlo... e pure ucciderlo se una tecnica venisse applicata senza riguardo alcuno per questi; però andremmo contro il principio dell'Aikido che ci dice che noi siamo anche un po' lui... e che se feriamo lui, feriamo anche un pezzo di noi stessi.
Quello che però affermo è che non c'è solo questo, ma molto di più: c'è qualcosa nella disciplina che pratichiamo che può essere studiato per tutta la vita senza smettere di avere la sensazione che non si sia ancora del tutto arrivati al punto, non si stia in realtà padroneggiando proprio nulla.
C'è lo studio di noi stessi sotto stress, in una situazione di conflitto: di qui vengono le botte più toste da assorbire che si possono prendere sul tatami!
Il conflitto viene di solito visto come un aggressore (il carnefice), che tenta o riesce a fare qualcosa di sgradevole e poco rispettoso all'aggredito (la vittima): ovvio che si voglia uscire da una situazione simile - se ci identifichiamo con la vittima - ma non sono sicuro che la nostra disciplina indichi che la strada migliore per farlo sia quella di divenire "il carnefice del carnefice"."Eh, ma ha iniziato lui... se l'è voluto lui!"... Boh, non lo so, ma sicuramente chi ragiona così la scemenza la fa una secondo dopo che l'ha fata l'altro, e la compie di natura analoga del gesto che critica nell'altro, oltretutto.
L'Aikido credo sia ben al di là del dualismo vittima-carnefice, sapete?
É una sorta di "3º via", che comprende le precedenti, in qualche modo, ma le integra e le supera; come si fa tuttavia a non essere né vittima, né carnefice?
Si tratta di non lasciare che una persona o una situazione ci possa mettere all'angolo, ma al contempo si sia capaci di non mettere all'angolo la persona a nostra volta mancandole di rispetto... non è qualcosa di così banale, per questo serve una vita di allenamento per comprendere bene questa dinamica.
É una forma di accoglienza non succube e una forma di forza/azione in grado di non perdere sensibilità per raggiungere un fine: un'integrazione di yin e yang... sotto questo punto di vista Marte va benone, ma ci manca Venere per raggiungere un equilibrio completo.
No, non intendo "sedurre l'avversario", non è quell'aspetto di Venere... è quella saggezza/intelligenza che può essere partorita solo da una sensibilità emotiva che non viene spenta per diventare più forti.
Accadono cose strane quando una persona si stanca di essere vittima, ma non vuole per questo diventare un carnefice: una delle prime è andare a cercare un "salvatore", ovvero qualcuno che sistemi il carnefice al posto nostro; molti vedono nelle Arti Marziali, o il Maestro che insegna loro il salvatore dalla loro condizione di vittime.Ma così facendo si passa involontariamente dalla padella alla brace!
Il trio "vittima-carnefice-salvatore" è molto più complicato da sciogliere della diede che abbiamo esaminato poc'anzi, e ne derivano le seguenti conseguenze spiacevoli:
- la vittima sviluppa dipendenza nei confronti del salvatore, perché senza di esso non è in grado di fare valere le sue ragioni col carnefice; inoltre lei diventa il mandante del salvatore dal carnefice, quindi una sorta di "carnefice stealth" e indiretto;
- il salvatore diventa il carnefice del carnefice, al posto della vittima... e svaluta la vittima, implicitamente mostrando che lei non ce la può fare a cavarsela da sola;
- il carnefice diventa la vittima del salvatore.
Insomma un bello scambio di ruoli, che consente di ripartire con la medesima giostra, magari solo recitando una parte differente!
Ribadisco che la figura del salvatore è quella che meglio si approssima ad un insegnante di Aikido andato a male, poiché nel proteggere la vittima la svaluta, insinuando che questa non sarebbe in grado di risolversi il problema da sola, in più va ad immischiarsi in fatti che non sono suoi.
Il praticante dovrebbe lasciarsi alle spalle dinamiche frustranti simili ed approdare ad una prospettiva diversa... che per varie ragioni ho definito "l'errante/il vagabondo". Questi forse non sa ancora bene cosa farsene del conflitto, ma ha chiaro che non intende più occupare né la posizione della vittima, né quella del carnefice, né tantomeno quella del salvatore... quindi vaga, va in giro accumulando esperienze.
Un errante "erra", che in italiano significa anche "sbaglia", ma inizia ad apprendere dai propri errori, quindi è capace di fare tesoro delle proprie esperienze per divenire una persona migliore, più vicina al proprio ideale (qualunque esso possa essere).Il top è la sua evoluzione ulteriore: "il pellegrino", ovvero un viandante che però ha ben chiara una sua meta: sa cosa vuole raggiungere ed utilizza tutte le sue esperienze per arrivarvici.
Il conflitto ci sarà sempre, ma in quest'ultimo caso chi ne viene coinvolto lo utilizza consapevolmente come strumento per crescere: fa surf sulle onde dello stress, anziché affogarcisi dentro. Il cambio di paradigma è notevole, così come il risultato finale dell'esperienza!Se però noi Insegnanti per primi utilizziamo l'Aikido SOLO in chiave tecnica, come una sorta di "jujutsu educato" stiamo forse sottovalutando (forse anche svalutando) lo strumento potente che abbiamo fra le mani.
Quindi l'Aikido non può o non deve servire per la difesa personale?
Non affermo questo: dico che la propria integrità fisica è molto importante, ma che c'è molto altro da esplorare... che risulta ben più interessante che fermarsi ad applicare una leva alla spalla di qualcuno... mentre non so chi sono e non so cosa farmene delle esperienze che vivo, incluse quelle conflittuali, a qualsiasi livello esse si collochino (fisico, relazionale, lavorativo, mentale, emotivo, etc...).Le Arti MARZIALI iniziano a "funzionare" invece molto bene quando fanno pace e si integrano con le arti VENERIANE, ossia quando sia lo yang che lo yin trovano posto nelle nostre pratiche... e forse lasciamo a queste ultime il saggio compito di guidare le prime.
Venere per sua natura non vuole comandare, ma è in grado di una intelligenza emotiva, di una velocità di risposta e di una capacità di percezione che Marte si può scordare di brutto... quindi se lo aiuta ad essere meno un bulletto di periferia o l'eroe alla Rambo... pure quest'ultimo ci guadagna un tot in immagine!Le Arti Marziali NON diventano meno "marziali" se fa più capolino lo yin rispetto a quanto immagineremmo: la cedevolezza del Ju-jutsu o del Ju-do sono la dimostrazione che questa intuizione è stata seguita in passato anche dalle Scuole più tradizionali.
Poi il macho celodurista tenta sempre un po' di prendere il sopravvento, ma solo perché è uno yang immaturo, che vuole far vedere i muscoli, vuole mostrare di essere forte ed imbattibile... forse proprio a causa di un suo recondito senso di inferiorità irrisolto.
In conclusione, se qualcuno viene da me e mi chiede se l'Aikido è efficace per la strada, di solito gli rispondo che lo è... ma che prima che lo sia è necessario togliersi di dosso quella paura che ti capiti qualcosa per la strada, e che questo richiede di imparare a conoscersi... e non solo a mettere in leva il polso di qualcun altro.Se poi uno impara a conoscersi MENTRE mette in leva il polso di qualcuno (o qualcun altro mette in leva il suo), allora le due "fazioni"/prospettive possono serenamente coesistere, cooperare e supportarsi vicendevolmente sullo stesso tatami!
Marco Rubatto
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