Una delle cose che si ribadiscono molto spesso è l'importanza dell'attitudine del principiante, ovvero [初心] "shoshin": bisogna COLTIVARE la mente del principiante, RITORNARE alla mente del principiante, NON PERDERE la mente del principiante... quasi come se "a diventare un po' esperti" si perdesse qualcosa di essenziale...
Il principiante - per definizione - è colui che "sa di non sapere", e quindi ha un atteggiamento umile, aperto, curioso... insomma adotta (consapevolmente o meno) tutte quelle prospettive dalle quali è molto facile imparare con massimo profitto. Questo è sicuro!
Che l'esperienza tenda ad ingrossare il propio ego ed a far sentire le persone un po' "arrivate"... è anche un'altra constatazione facile da dimostrare: tuttavia è l'unica interpretazione possibile all'importanza di "mantenere l'attitudine di un principiante"?
L'altra sera, durante un allenamento al quale erano presenti alcuni principianti, per la prima volta in 33 anni di tatami, ho intuito un'altra interpretazione delle stesse parole... che mi ha lasciato - li per li - abbastanza di sale, ma i cui significati potrebbero acquistare parecchio spazio nella mia pratica futura, perciò volentieri la condivido con voi tutti.
L'italiano è una lingua "polisemica", ovvero nella quale una parola può assumere significati differenti, a seconda del contesto nel quale compare: ad esempio, pensate alla polisemia della parola "spirito"...
- non fare dello spirito (= non scherzare)
- ho della frutta sotto spirito (= alcool)
- in quella casa ci sono gli spiriti (= fantasmi)
- cerca di prenderla con un certo spirito (= filosofia)
Ora proviamo con la parola "PRINCIPIO"...
- può essere un sostantivo, in questo caso, indica l'inizio di qualcosa, o la sua origine. Ad esempio: "Il principio della guerra è stato la dichiarazione di indipendenza".
- può essere usata come aggettivo per indicare che qualcosa è di primaria importanza o che ha un ruolo centrale. Ad esempio: "Il principio fondamentale della nostra costituzione è la libertà di espressione".
- può essere utilizzata come avverbio, soprattutto in espressioni come "a principio di", che significa "all'inizio di". Ad esempio: "A principio di anno, abbiamo pianificato le nostre vacanze estive".
Se ora ne facciamo il participio presente che ci interessa, ovvero "principiante", indicando così un'azione che viene posta in essere in modo continuo e prolungato (come "tirocinante", "paziente", "aiutante") e non teniamoci per forza legati al significato legato ai sostantivi ed agli avverbi... ma focalizziamoci su quello fornito dagli AGGETTIVI.
In questo il principiante NON sarebbe quello che ha appena iniziato qualcosa, ma la persona che continua a incarnare e manifestare i PRINCIPI della disciplina... che, manco a dirlo, è quello che ciascun Aikidoka dovrebbe tendere a fare sempre, soprattuto quanto si è più ESPERTI.
Una persona che, ad esempio, confeziona un sacco di tecniche nelle quali non si manifestano dei principi, non sarebbe un PRINCIPIANTE, e quindi un Aikidoka SCARSO, ma non tanto perché non possiede più la mentalità di quando ha iniziato a praticare, quanto perché nonostante il tempo trascorso sul tatami, ancora NON possiede i principi di ciò che fa, ma solo la buccia tecnica più esteriore.
In questo senso, quindi, non è importante solo RIMANERE "principiante" (nel senso di "iniziante"), quanto e sopratutto DIVENTARE un "principiane", che è colui che finalmente "PRINCIPIA"!!!
Comprendete il cambio, quasi l'inversione, di paradigma?!
Possiamo poi tenere vivi ENTRAMBI i significati contemporaneamente ed affermare quindi che è importante conservare lo spirito di quando abbiamo incominciato a praticare, poiché eravamo un recipiente di esperienza VUOTO, pronto ad essere riempito... ma anche che importante diventare capace di esprimere costantemente i principi di ciò che facciamo: è buono quindi sia TORNARE, che DIVENTARE principianti... è il sistema è belle che integrato, quando inizio e fine si toccano!
Marco Rubatto
Nessun commento:
Posta un commento